1. I limiti della questione.
La recente digitalizzazione degli atti della Società delle Nazioni – madre giuridica dell’organizzazione delle Nazioni Unite cui succedette con maggiori poteri di intervento nel 1946 – adottata a Ginevra nel 2017 e che consente la lettura di più di 30 milioni di files, consente agli studiosi di ripercorrere la travagliata storia di quella istituzione del 1919, quale frutto del Trattato di pace di Versailles fino al 1939, quando il Patto Molotov – Ribbentrop, fra la Germania nazista e l’URSS di fatto pose fine alla Polonia ed aprì le porte al Secondo Conflitto Mondiale, cancellando la stessa Società. A leggere i resoconti storici su quella Istituzione – voluta dal Presidente americano Wilson per raffreddare e prevenire i conflitti fra Nazioni attraverso mediazioni diplomatiche di paesi terzi – si infranse il mito delle Nazionalità e si introdusse il principio di Limitata Sovranità fra gli Stati aderenti, anche in armonia al principio di autodeterminazione dei Popoli, in sostituzione della vecchia teoria delle sfere di influenza che aveva prodotto l’Imperialismo ed alimentato tutte le guerre dopo il Congresso di Vienna del 1815 e poi nel 1914 il Primo Conflitto Mondiale. Nei venti anni successivi però poche vicende raggiunsero un effettivo livello di bassa conflittualità o addirittura vennero appianate sul nascere. Per esempio le controversie per le isole Åland; i confini fra Albania e Jugoslavia; l’appartenenza dell’Alta Slesia fra Germania e Jugoslavia, nonché le controversie di confine fra Germania e Polonia e fra Grecia e Bulgaria. Fuori dall’Europa, va ricordata la questione di Mosul fra Iraq e Turchia (1926) ed il conflitto fra Columbia e Perù del 1932. Però il caso della Ruhr e la vicenda di Corfù nei primi anni ’20 dimostrano quanto fosse labile il meccanismo arbitrale soggetto alle manovre politiche degli Stati vincitori, dove prevaleva di volta in volta o la la spinta neocapitalista franco-inglese, o la reazione Sovietica comunista, oppure l’indipendenza tradizionale di Austria e Germania, senza contare le contorsioni verbali di Mussolini, che nel 1920 distingueva fra imperialismo nazionalistico delle Grandi Potenze occidentali e un espansionismo fascistico nel Mediterraneo. Una bipartizione risibile che gli consentì l’invasione dell’Etiopia e che gli permise di appoggiare nel 1935 la Germania di Hitler sulla questione Renana. Tematiche che attraversarono tutta la vita dell’Istituzione e che preludevano al suo disfacimento alla fine degli anni ’30. Ma un tema che gli studiosi dovranno riprendere è invece la definizione dei rapporti economici e finanziari, una Sezione dello Statuto della Società finora poco considerato e per di più influenzato dalla disputa anti sovranista che permeava il dibattito politico diviso fra Stati nazionalisti e Nazioni di più giovane costituzione orientate ad una politica economica internazionale più aperta all’integrazione commerciale.
2. The World Economic Conference di Ginevra del 1927. Fautori e detrattori.
A margine del Patto di Locarno dell’ottobre del 1925, dove vennero preparati vari accordi fra Belgio, Francia, Germania, Inghilterra ed Italia, in merito al confine fra Francia, Belgio e Germania lungo il Reno; nel 1927 vennero emesse Raccomandazioni di Ginevra di politica commerciale unitarie e gerarchicamente superiori e più vantaggiose dei vecchi Accordi Bilaterali. Benché Mussolini gridasse il disappunto dell’Italia per essere stata estromessa da tali accordi e direttive, minacciando di già la propria autarchia e la probabile belligeranza (discorso dell’Ascensione del 1927); tuttavia, la politica estera italiana guardava a forme di cooperazione economica di stampo oligolipolistico analoghe nei Balcani. Il Governo Italiano, proprio nelle relazioni fra Jugoslavia e Albania, appoggiava quest’ultima, sia per le antiche relazioni positive fra le Case Reali – addirittura lo Stato fascista pretendeva legami etnici fra le popolazioni romane ed illiriche – sia per la diffidenza con la prima per la questione della Dalmazia e per Trieste. Nondimeno, le critiche italiane erano aggravate da un senso di francofobia opposto da Mussolini ad Aristide Briand, il socialista Ministro degli Esteri francese, il cui famoso spirito di Locarno veniva spesso beffeggiato dal Duce perché chiaramente legato alla tradizione illuminista e libertaria, oltreché protettiva di decine di esuli italiani antifascisti, cosa che disturbava appunto il Regime. Quando poi a breve il Briand ottenne dagli Stati Uniti – nella persona del Ministro Kellog – un evidente sostegno economico (1928), malgrado ci fosse l’adesione di altri 55 Paesi, tutti impegnati a rinunziare alla guerra come modello di politica nazionale nelle rispettive relazioni ed adottare soltanto mezzi pacifici; l’Italia Fascista non mancò di irridere a quella presunta utopia e rinnovò per voce del Duce la predetta formula dell’espansionismo fascista. Del resto, il nuovo vento di pace fra Francia e Germania generò di lì a poco il piano di riduzione delle controverse riparazioni di guerra fra i due Paesi (c.d. piano Young, dal nome del segretario di Stato degli U.S.A. che concesse alla Germania un robusto credito su richiesta del dinamico omologo tedesco Stresemann) in continuazione del precedente piano Dawes che nel 1922 salvò la Germania di Weimar dalla prima fortissima crisi economica. Tuttavia la restaurata autonomia finanziaria della repubblica di Weimar nel quinquennio 1925-1929, allarmava i paesi europei per l’aumento delle sue esportazioni dovute al rialzo dell’indice di produzione, effetto delle sovvenzioni americane e che invasero il mercato italiano senza adeguate compensazioni alle alterazioni della concorrenza. Non è un caso che alla maggiore condanna della guerra – che un il movimento pacifista voleva addirittura espungere da ogni norma dello Statuto della società, per esempio anche per il caso di aggressione da parte di uno stato membro su un altro, come sarà per l’Italia a danno dell’Etiopia – seguisse da parte del Briand un progetto di Unione Europea, esposto al parlamento francese il 31.7.1929 e poi a Ginevra. Una formula organizzatoria di Unione federale Europea caldeggiata anche dal conte austriaco Kalergi sul giornale Vossische Zeitung di Berlino e Neue Freie Presse di Vienna. I fautori del movimento paneuropeo nel 1924 emisero un Manifesto Europeo, dove la questione europea sarebbe stata originata esclusivamente dal costante confronto militare e politico di 25 paesi e che era stata alimentata da una classe politica ottusa, da sempre pronta a guerreggiare per i propri interessi fin dall’epoca della Guerra dei 30 anni. Si lamentava quindi la persistenza di una catastrofe politica, economica e culturale permanente. Del pari, una rivista democratica e cristiana francese – Evolution – in cui scriveva lo stesso Briand ed anche il giovane Jean Monnet, riprese questo manifesto e approfittando della vittoria elettorale del patto delle sinistre unite fin dal 1926, si poneva due obiettivi: rinsaldare il mondo operaio cattolico e socialista in chiave antisovietica e aprire un dialogo col mondo liberale e progressista, ognuno preoccupato per i rischi sulla libertà di concorrenza in un mondo globalizzato, con ricadute di Nazionalismo pronto alla guerra, senza contare che la temuta apertura del Mercato Unico ledeva lo spazio produttivo nordamericano, come l’economista Charles Levinson predicava nei circoli repubblicani contrari negli stessi anni al New Deal di Roosevelt. L’economia europea non era ben disposta a quel salto di qualità cui la Società delle Nazioni non sembrava dare nessun’impulso o conferma a causa delle sue regole fondative poco incisive in senso economicamente indipendente.
3. Apogeo e decadenza del Movimento Europeo Unitario.
Il movimento del Kalergi nel 1926 tenne un congresso celebrativo della ideologia Paneuropea, dove parteciparono illustri pensatori che avevano già proposto un’Unione Europea paritaria fra 25 Stati e che chiedevano la partecipazione della Gran Bretagna finora sorda all’appello di Kalergi e Briand. Sopratutto era comune la richiesta di soppressione delle barriere doganali, tesi voluta da politici (Nitti), da scrittori (Mann), da filosofi (Ortega y Gasset) e da scienziati (Einstein). Inoltre, Kalergi segnalava come la finanza e l’industria europea avevano un formidabile avversario nella concorrenza americana, circostanza che si ripeterà negli anni ’60 e fino ad oggi molto presente per l’Unione Europea. Briand, del resto, nel 1929 portò le ragioni della futura Unione Europea all’Assemblea della Società sottolineando la necessità del legame politico federale e posponendo però l’aspetto economico. Ingenuità del suo agire da illuminista e da socialista utopista, perché la Società non poteva aderire a questo progetto da libro dei sogni e perché si taceva su un punto essenziale, notato dagli storici dell’epoca – per esempio, il Renouvin ed il Presidente francese Herriot – in quanto non si scioglieva il nodo della Sovranità e dei limiti della futura Federazione. E ciò che preoccupava i promotori del progetto era pure quello che oggi assilla gli studiosi dell’attuale sistema costituzionale europeo, vale a dire il Principio di unanimità e non di maggioranza, nonché di come imputare in modo vincolato sanzioni alle parti contraenti inadempienti agli obblighi federali, questioni che le Scienze Politiche e le Relazioni Internazionali odierne ancora ritengono essenziali per il cammino politico di un’Europa pienamente unita. All’epoca però in Italia erano gli scritti finali di Filippo Turati a sollevare la pietra d’inciampo del Progetto Kalergi, vale a dire il Regime fascista, sostenendo quel Principe del socialismo europeo che soltanto la democrazia socialista e borghese avrebbero potuto fornire il terreno proprio per una Federazione europea. E da eco gli fece lo Sturzo da Barcellona poco prima della crisi del ’29, giacché il fondatore del Partito Popolare credeva nel parallelo progredire del livello politico rispetto a quello economico, in quanto l’esperienza della Germania prima dell’unificazione politica aveva avuto un indubbio tassello essenziale ma non del tutto esaustivo nell’Unione Doganale promossa da Bismarck nel 1834. Che tale Unione dovesse avere per presupposto soltanto il profilo economico costituiva pure la contraddizione rilevata in Germania dallo Stresemann, che nell’agosto del 1929 optò chiaramente per l’inattuabilità delle idee unitarie dell’amico Briand, anche se la sua morte improvvisa poco dopo interruppe il fecondo dialogo fra le due Nazioni. D’altro canto il silenzio critico inglese e la guerra fredda statunitense – la cui perdurante assenza della Società delle Nazioni continuava a pesare nelle relazioni diplomatiche con l’Europa – rimasero uno scoglio insuperabile di quel Progetto, approvato chiaramente solo dai nuovi Paesi dell’Est e dalla Turchia, divenuti Paesi implicitamente satelliti della Francia, a condizione però di un regime doganale che non li assoggettasse del tutto ad influenze commerciali di altri Paesi. Intanto, la caduta del primo governo Brüning in Germania ed il ritorno della stesso alla guida del Governo dopo lo scioglimento del Reichstag nel 1930, ruppe i tenui fili con la Francia, tanto più che il Partito Nazista divenne il secondo gruppo politico del nuovo Parlamento. Le successive elezioni in Francia del 1931 videro la sconfitta dei socialisti di Briand a favore delle destre di Laval, discusso capo conservatore legato all’Action française di Maurras. Morto Briand di lì a poco (7.3.1932) veniva meno il fautore della pace europea e del sogno paneuropeo, peraltro accomunato allo spirito conciliativo dello Stresemann e all’utopia europeista del Kalergi. Questi da esule dall’ Austria dopo l’Anschluss negli Stati Uniti fino al 1945 e poi di nuovo in Svizzera, ricostituì nel 1948 il Movimento umanista parlamentare europeo. Mai domo nel promuovere la democrazia, nel 1949 fondava il Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale per i diritti umani, riconosciuta pubblicamente dal Trattato di Londra, oggi sede a Strasburgo ed Ente autorizzato dall’Assemblea generale dell’ONU a tutelare i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto. Un pilastro dell’attuale Unione Europea, affinché non si ripetano gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e che dovrebbe riattivare lo spirito umanitario europeo nelle guerre in Ucraina e sulla striscia di Gaza, messo a dura prova per le evidenti minacce alla pace internazionale.
Un altoforno (Archivio Ansaldo, Genova).
Bibliografia:
- Sul patto di Locarno, sull’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni e sull’intesa fra Stresemann e Briand, vd. MARCELLO FLORES, Il secolo-mondo: storia del Novecento, Il Mulino, 2002, cap. XV; nonché ETTORE ANCHIERI, La diplomazia contemporanea. Raccolta di documenti diplomatici (1815-1956). Padova, Cedam, 1959 e atti diplomatici susseguenti, per esempio il Patto Kellog-Briand del 1928.
- Sulla figura di Aristide Briand, cfr. SERGE BERSTEIN Histoire du Parti Radical: Tome 1, La recherche de l’âge d’or 1919-1926, Parigi, 1980.
- Su quella di Kalergi, cfr. invece, Paneuropa, una proposta. Coudenhove-Kalergi e l’Unione dell’Europa, Laruffa editore, 2008.
- Per quanto riguarda il progetto paneuropeo e il suo destino critico fra le due guerre, vd. SIMONA GIUSTIBELLI, Europa, Paneuropa, Antieuropa, Edizioni Rubbettino, 2006.
- Sui limiti della Società delle Nazioni e sui principi di unanimità o maggioranza nelle attuali istituzioni Europee, vd. SERGIO FABBRINI, Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l’Europa, edizioni Laterza, 2017.
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