1. Vita e opere: un percorso difficile.
Il tema delle quotidiane difficoltà dello scienziato nei confronti del Potere e della Politica nacque con la scoperta delle leggi di natura da Talete e Anassimandro fino ad oggi, passando per Keplero, Galileo e Newton, fin quasi nei giorni nostri, per esempio parlando di pandemia e di vaccini per le note vicissitudini di Pasteur nella civilissima Francia di secondo ‘800. E la letteratura, specialmente il teatro verista e espressionista dell’età positivista – pensiamo a Ibsen, “Un nemico del popolo” (1883) e Jules Romains, “Knock, ovvero il trionfo della medicina”, (1923) – senza contare il “Galileo “ di Brecht (1943) e “I fisici” di Dürrenmatt (1962), il cui ricordo meriterebbe una maggiore attenzione a quasi 60 anni dalla loro rappresentazione. Ma vi fu nella letteratura teatrale del ‘900, un autore che, benché dimenticato – o mai seguito in Italia di recente – ebbe il coraggio di allertare la comunità civile spesso poco influente e alquanto superficiale, così come oggi appare sgomenta o disattenta fra populismi, sovranismi, a volte cieca di fronte ai numerosi ciarlatani che la espongono a rischi sanitari e di manipolazione democratica. Ci riferiamo a un quasi sconosciuto autore degli anni ’30 e che nello stesso anno produsse una “pièce” teatrale non di valore inferiore al messaggio esistenziale e politico dei suoi conterranei or ora citati: Friedrich Wolf, nato nel 1888 a Neuwied in Westfalia sulle sponde del Reno, di famiglia benestante. Morì a Berlino nel 1953, dopo anni di esilio e di continui dubbi sulla fede comunista abbracciata durante la guerra civile da cui scaturì la Repubblica di Weimar. Wolf produsse più di quaranta opere, soprattutto drammi e commedie, ma anche sceneggiature di film e libretti d’opera. Oggi è poco rappresentato, ma nel 1930 esordiva con un dramma divenuto popolare – “I marinai del Cattaro”- dimostrando che la fede comunista non era esclusivo patrimonio della classe operaia – come il contemporaneo Turek che era un semplice uomo di mare – ma che poteva essere di fatto patrimonio culturale di un medico borghese. Umanista ed espressionista – “Il povero Corrado” (1922), tragedia in 5 atti sulle guerre di religione, aprirono nuovi orizzonti sulle origini del protestantesimo. Fu anche campione della liberazione femminile, “Cyankali”, (1929), dramma in 8 quadri, un opera realista sul delitto di aborto. In quel 1930, invero mise in scena il predetto dramma popolare che subito si alternava al teatro d’avanguardia che già Brecht e Piscator portavano avanti a Berlino. “L’opera da tre soldi” per fare un classico esempio, negava ogni trionfalismo e piuttosto, a suon di musica, ma con intento sarcastico, mostrava le ingiustizie del mondo capitalista, dove si vive e si muore senza speranza. Il teatro tedesco, spinto dal modello schilleriano, assumerà così sempre più un oggetto paradossale e un linguaggio dialettale che negava ogni barocchismo linguistico. Appunto, “Un’opera da tre soldi.”.. Wolf invece, mosso dall’ideologia realista, costruì un modello classico ibseniano e proprio della tradizione di Goethe, per fare presa politica sul pubblico. E quindi con i “Marinai del Cattaro” esplicitava la lotta del proletariato contro la borghesia, mentre già con la precedente esperienza del “cianuro di potassio” dispensato alle donne che abortivano illecitamente, insisteva nella denigrazione dello stato borghese e riapriva il discorso del femminismo socialista. La censura lo colpì prima col carcere; e poi il Nazismo nel 1933, lo indusse alla fuga in Francia e in Russia, fino al 1945, quando rientrò in patria e si stabilì nella DDR. La critica oggi delimita la produzione di quegli anni nel genere letterario “dell’esilio”, attribuendo agli autori di tale periodo – fra cui spiccavano Mann e Brecht – la qualifica di temporaneo riflusso nel genere leggero e non più ideologico, dove l’estetica rappresentativa rifuggiva da ogni intento pedagogico ed ideologico di convincimento sociale. Wolf si trovò così in una morsa: da una parte lo stare in esilio a Parigi dovette imporgli l’adozione di una scelta di rassegnazione al Nazismo, e quindi la modifica di quella cultura soggettivistica espressionista mai abbandonata dal collega Brecht; dall’altra, nel quadro dell’obbedienza alle direttive sovietiche, non poteva sminuire la sua etica antinazista. Di qui, la mediazione fra istanza rivoluzionaria che non lo escludesse dal pubblico che di politica non ne voleva sapere in modo diretto e che voleva sorridere anche delle vicende umane, cioè il valore della vita quotidiana e la responsabilità personale dell’uomo di cultura. Quindi dello scienziato come vedremo nella parte dedicata al “Professor Mamlock”. Di qui la improvvisa scelta della sceneggiatura di film e la radiodrammaturgia, un comodo rifugio di copertura e di segnalazione subliminale del credo socialista, senza però urtare la borghesia francese, che anzi nella commedia “Beaumarchais” del 1941, ne vide un ottimo divulgatore della Grande Rivoluzione per motivi propagandistici. Né si liberò però della penetrante osservanza staliniana, stante l’adesione alle ultime indicazioni sovietiche che nel 1935 che adottarono il rigetto della equiparazione fra fascismo e socialismo democratico, operazione che risentiva dell’imminente guerra di Spagna. Sia come sia, poiché le faraoniche e lunghe messe in scena cinematografiche e radiofoniche non venivano più giudicate opportune dal governo francese; Wolf dovette di nuovo emigrare in U.R.S.S., mettendo in azione la sua sottile tecnica di “comunista dal volto umano”, nel senso di abbinare la forma estetica realista dietro un velato senso di umanismo quotidiano di stampo esistenziale appreso a Parigi ascoltando le prime esperienze teatrali di Sartre e Camus. Di questo periodo, è il dramma “Laurenziana”, ispirato alla tragedia di Lope della Vega “Fuente Ovejuna”. Del pari, diresse due riviste a Mosca, di stampo letterario (“Internatsionalnaya Literatura” e “Das Wort”, fra il 1936 e il 1945), rivolte alla cerchia progressista degli esiliati, anche se non marxisti e che ebbe una certa diffusione negli U.S.A., dove fu letta da Adorno e Mann, oltreché dall’amico e connazionale Leonhard Frank. Ma il martello staliniano era sempre pronto a battere: nel settembre del 1936, la sempre più evidente critica di Wolf agli indirizzi unilaterali governativi, lo indurranno ad uscire decisamente dal “paradiso staliniano”, di fronte a quasi cinquemila emigranti di origine tedesca tacciati di deviazionismo, onde le purghe che caratterizzarono per almeno altri quattro anni il regime sovietico. E la migliore soluzione per salvarsi fu la partecipazione alla guerra di Spagna, la fondazione nel 1941 del Comitato antinazista tedesco e la resistenza in madrepatria, al fianco di un altro dissidente, Ludwig Turek e con frequenti permanenze a Zurigo, dove riuscì a far rappresentare il dramma in 4 atti “I patrioti” e il “Dr. Lilli Wanner e consorte”, ancora fortemente influenzati da un’estetica esistenzialista non distante dal teatro di Pirandello. Quando nel 1945 rientra nella Germania liberata, con fede rinnovata nel marxismo difese le conquiste sociali appena acquisite, senza però cedere sui diritti civili di libertà che aveva faticosamente maturato in esilio e la libertà di espressione conquistata proprio nella democratica Zurigo, dove negli anni ’40 aveva presentato non poche commedie, superando le resistenze locali in nome del suo collaudato stile di poeta non solo realista, ormai immune dalle statiche regole del Partito Comunista, a cui non mancò di opporre la disillusione della sua etica libertaria, rafforzata dalla triste esperienza di un esilio mai interrotto. Di questo periodo di rivolta intellettuale al Potere Comunista della DDR – che nel 1953 vide la repressione di moti popolari per il carovita e per la evidente lesione dei diritti civili – rinveniamo una ulteriore traccia in alcune sue opere grottesche, “La partenza”, 1949; “La Sindaca Anna”, 1950; nonché nel libretto di un’opera lirica contemporanea, “La notte vorace” del 1948. Autoesiliatosi in Polonia proprio negli anni della dittatura parastalinista di Pieck e poi di Ulbricht, morì di infarto improvvisamente forse suicida. Aveva ricoperto la carica di ambasciatore polacco a Berlino Est, ma ormai era chiaramente in dissenso con lo stalinismo, non senza aver esperimentato fino alla morte la reazione antidemocratica del 1953 e dopo che ormai da trent’anni era stato fortemente limitato nella sua vita professionale di medico e di fisico, quando da giovane ricercatore della Croce Rossa, in piena prima guerra mondiale, già fin da allora comprese come il metodo scientifico fondato sulla ragione, era stato il principale motore della conoscenza e dell’etica personale. In fondo – come ci dice in un suo saggio del 1935, “noi umani non siamo sempre e comunque spontanei nel pensare e giudicare a tavolino. Occorrerà sempre la Scienza – e la tecnica di conseguenza – a diventare più esperti e anche più ferrei nella morale. Ma se viviamo in un Regime illiberale, dove la critica è telecomandata dall’alto e dal denaro, la scienza decadrà e la creatività umana sparirà a vantaggio del Potere”. Due sono le opere di Wolf che al riguardo vale la pena dunque di esaminare brevemente, ancora perfettamente attuali.
2. Il Professor Mamlock (1933 – 1935) e Der Rat der Götter (1950).
Il dramma che lo lanciò sul palcoscenico di Parigi fu il “Professor Mamlock” – un nome che rappresenta icasticamente il personaggio principale. Un rispettato chirurgo che vive la sua professione da ebreo integrato nella Repubblica di Weimar nel 1930. Nel primo atto, frequenti sono i conflitti col figlio Ralf, un attivo comunista e antinazista. Al momento della presa del potere di Hitler, il padre, tutto legato alla coscienza nazionalista, fedele suddito del Reich repubblicano, perde lavoro e diritti. Di fronte alla presa di coscienza degli errori politici che aveva commesso nell’avere agevolato il Nazismo, Mamlock – cioè “il cretino” – si uccide. Alla fine della recita – ripresa in un film del 1961 che adattò il dramma – compare il messaggio centrale dell’autore: “con questa vicenda abbiamo voluto rappresentare quello che mai ognuno di noi dovrebbe fare di fronte al più grande crimine finora perpetrato”. Il pubblico di Zurigo, occidentale e democratico, applaudì commosso, dicono le cronache del tempo. Lo spirito antinazista e la questione ebraica apparvero le vere protagoniste delle due versioni, l’una rivolta alla tragica fine del popolo ebraico; mentre quella del 1935 anticipò la imminente tragedia delle democrazie occidentali. Soprattutto si trattava di una feroce critica proprio perché non avevano difeso e sanzionato dal potere nazista sia il popolo ebreo, sia la civiltà europea. Merito del suo messaggio fu quello di dire senza peli sulla lingua che “oggi era il turno dell’ebreo, ma che domani sarebbe stato quello di tutti gli altri uomini liberi. Come avevano profetizzato i Fratelli Rosselli nelle contemporanee trincee spagnole. E come oggi occorrerebbe ripensare in qualsiasi genere di trattative con i Talebani…..Ma lo scritto che profeticamente ricostruì la sfera di autonomia della Scienza rispetto ad ogni forma di dipendenza dal Potere e che rende la figura di Wolf imperitura, è la sceneggiatura di un film che faremmo bene a vedere in quest’epoca di strani rapporti fra Potere economico e la stessa Scienza. Parliamo di “Der Rat der Götter” (Il Concilio degli Dei), una pellicola del 1950, dove appare ancora più netta posizione di Wolf, ormai pentito, nella sua sfera di esiliato. Il film ha per tema generale il ruolo centrale dell’impresa IG Farben nella produzione di gas asfissianti da destinare ai campi di concentramento. Il consigliere privato Mauch, membro segreto del Consiglio direttivo dell’impresa, vuole profittare al massimo facendo aumentare la costruzione delle bombole venefiche, a fronte dell’aumento della domanda sterminatoria del regime nazista, frutto delle note decisioni di Wansee relative alla soluzione finale eliminatoria del popolo ebraico. Un chimico, il dott. Schulz, dapprima gli obbedisce dando seguito all’aumento di produzione; ma poi si fa scrupoli a riguardo e solo la minaccia di conseguenze gravi alla sua famiglia presta il definitivo consenso. La “Shoah” è dunque avvenuta. Tuttavia, gli Alleati nel 1945 decretarono il divieto di ulteriore produzione. Quando però nel 1948, scoppierà un’esplosione a Ludwigshafen in chiara violazione del divieto e con danni ambientali e personali gravissimi, il chimico romperà il silenzio e porterà sul banco degli imputati l’avido imprenditore. La vicenda in verità prendeva le mosse dalla politica industriale di un un gruppo di imprese chimiche a partecipazione americana fin dal 1925. Dopo la crisi del ’29 il gruppo di impresa di innocui tintori, assunse col Nazismo un ruolo centrale nella chimica di guerra, immettendo sul mercato il famigerato Zyclon B, un insetticida adoperato nella camere a gas dei lager. Per di più, la IG Farben fu una di quelle società che richiesero più manodopera nei depositi per le loro fabbriche, nonché ottenne dal Governo il permesso di adoperare prigionieri di guerra e gli ebrei per esperimenti a cavie per test medicinali di vario genere, tra cui il Metadone e lo stesso gas nervino. Anzi, durante l’occupazione della Polonia e della Cecoslovacchia, molte distillerie vennero occupate ed aggregate al colosso tedesco. Uno dei processi di Norimberga trattò la questione, condannando a pene molto blande i dirigenti e i proprietari, spesso poi condonati dal Governo Federale nei primi anni ’50. Senza contare che gli Alleati risparmiarono dai bombardamenti buona parte degli stabilimenti e alla fine il Ministro delle finanze Schacht di chiara fede nazista, risparmiò la ditta da fallimenti e chiusure, tanto che riprese la normale quotazione in borsa. Di tale ambigua situazione Wolf fu un inesorabile narratore, dietro l’espediente estetico delle rivelazioni e dei sacrifici personali del chimico Schulz e della sua famiglia. E di questa triste vicenda fu anche testimone il nostro Primo Levi, che nel 1944, internato ad Auschwitz fu assegnato come chimico alla fabbrica IG Farben. Una realtà paradossale che permette di capire la logica razzista dl Terzo Reich e degli stessi alleati. L’ironia della storia fu che Wolf vide realizzato un impensabile vuoto del progresso scientifico, una deficienza morale gravissima, che oggi impone la costante pressione del controllo politico sulle attività scientifiche, ma non certo un’invasione. Alla quale deve del pari corrispondere una maggiore sensibilità etica degli scienziati anche fino all’estremo sacrificio personale.
Bibliografia:
- Su Friedrich Wolf, vd. MARIA TERESA SCIACCA, Theater ohne Publikum: Literatur im Exil am Beispiel Friedrich Wolfs, Editore Neofelis, Berlin, 2015, nonché LADISLAO MITTNER, Storia della letteratura tedesca, vol.III, Tomo 2°, 1971, Torino.
- Per il dramma Der Rat der Götter, vd. il film relativo su www.filmportal.de
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