La ‘Deutsche Motorisierte Kompanie’, ovvero i tedeschi che combatterono nel Regio Esercito in Eritrea. Di Vincenzo Meleca (*).

Un gruppo di volontari tedeschi della Compagnia Autocarrata con uniformi e armamento italiani.

La storia militare ha sempre dedicato ampio spazio ai grandi episodi, divenuti così, giustamente, famosi e ben conosciuti, come, ad esempio, le battaglie di Canne, Waterloo, Somme, Stalingrado, Midway, El Alamein o lo sbarco in Normandia o il bombardamento  nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Eppure la stessa storia militare è fatta anche, se non soprattutto, di tanti piccoli e piccolissimi episodi, noti magari soltanto a pochi appassionati. Questo della Deutsche Motorisierte Kompanie, la Compagnia autocarrata tedesca, che combatté in Eritrea durante la Seconda Guerra Mondiale inquadrata come reparto regolare del Regio Esercito italiano, ne è un esempio.

La presenza tedesca in Africa Orientale

Grosso modo nello stesso periodo in cui l’Italia metteva piede in Africa Orientale, creando i suoi possedimenti in Eritrea e Somalia -e cioè negli ultimi due decenni dell’Ottocento- anche la Germania creava una sua colonia, la Deutsch-Ostafrika, un vasto territorio corrispondente agli attuali Stati di Burundi, Ruanda e Tanzania (all’epoca denominati Ruanda-Urundi e Tanganica). La colonia ebbe vita breve, perché alla fine della Prima Guerra Mondiale, fu spartita tra la Gran Bretagna, che se ne prese la parte maggiore, il Belgio, che occupò il Ruanda e il Portogallo, al quale toccò un piccola porzione di territori, il cosiddetto Triangolo di Kionga (o Quionga). Molte famiglie tedesche che vi si erano trasferite tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento avevano però deciso di rimanere nei territori della loro ex colonia o nella confinante colonia britannica del Kenya. Dopo lo scoppio della guerra, il 1° settembre 1939, alcune di queste famiglie decisero di trasferirsi nei possedimenti dell’alleato italiano in Africa Orientale. Già a fine agosto del 1939 una decina di navi mercantili tedesche che si trovavano in Mar Rosso o nell’Oceano Indiano, avendo avuto notizie dell’imminente inizio del conflitto, si rifugiarono nel porti di Chisimaio, in Somalia, e di Assab e Massaua, in Eritrea[1], per evitare di essere catturate o affondate dagli inglesi o internate nei porti di Paesi neutrali, come comunque accadde anche nelle colonie italiane. Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, un certo numero di tedeschi ritenne di dover partecipare alle operazioni militari in Africa Orientale al fianco dell’alleato italiano.

Elementi della Compagnia Autocarrata Tedesca. Saluto alla bandiera.

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La nascita della Compagnia Autocarrata Tedesca (Deutsche Motorisierte Kompanie)

Evidenziando come la documentazione sulla nascita e soprattutto sulla partecipazione alle operazioni belliche della Compagnia Autocarrata Tedesca (fonti tedesche la definiscono “Deutsche Freiwillige Motorisierte Kompanie”, “Compagnia motorizzata di volontari tedeschi”) sia estremamente scarsa, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, un certo numero di tedeschi[2] presenti nelle nostre colonie dell’AOI (fino al 10 giugno 1940 formalmente con la qualifica di internati) si offrirono di combattere a fianco degli italiani.

Volontari della Compagnia Autocarrata Tedesca si addestrano all’uso di mitragliatrici Shwarzloze cedute dagli italiani.

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Il rimorchiatore tedesco ‘Kionga’.
 Il rimorchiatore Kionga, varato ad Elbing nel 1921 con il nome Ernst, nel 1936 fu ammodernato ad Amburgo per essere inviato in Mozambico e sostituire un altro rimorchiatore (il Dar-es-Salam) che era affondato. Il 1 settembre 1939, giorno dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, con un equipaggio di sei tedeschi e 22 africani e con due passeggeri, il Kionga salpò da Tanga (Tanzania) con un carico di 150 balle di sisal e una notevole quantità di carbone, olio e petrolio. Meno di una settimana dopo, raggiunse Chisimaio (Somalia), dove gli africani furono sbarcati e furono sostituiti da 15 tedeschi provenienti dall’equipaggio della nave tedesca Uckermark, anch’essa riparatasi a Chisimaio. L’anno successivo, con l’entrata in guerra dell’Italia, il rimorchiatore fu militarizzato con il suo equipaggio dalla Kriegsmarine e, battendo bandiera di guerra tedesca, fu utilizzato come dragamine ausiliario dalla Regia Marina italiana (1). All’approssimarsi delle truppe inglesi e sudafricane (Chisimaio fu conquistata il 17 febbraio 1941) l’unità fu affondata dagli stessi tedeschi. Del suo equipaggio non hanno notizie, ma è assai probabile che fu catturato e inviato in qualche campo di prigionia fino al termine del conflitto. Recuperato dagli inglesi, il Kionga fu rimesso in servizio come rimorchiatore fino a quando, nel 1949 gli inglesi lo vendettero alla Soc. Rimorchiatori Laziali di Genova, che lo ribattezzò Felicita. Nel 1951 il porto di base divenne Civitavecchia Nel 1986 risultava essere ancora nel registro della Lloyd’s List, ma nel 1987 l’anziana nave fu trasformata in ristorante galleggiante, trasferita a Portoferraio all’Isola d’Elba e se ne perdono le tracce. (2) Cfr. “Le operazioni in Africa Orientale”, Ufficio Storico Marina Militare, 1961, pag. 200Cfr. News, House Magazine della Deutsche Afrika-Linien, luglio 2016, pag. 4)  
Ufficiali tedeschi della Compagnia Autocarrata.
Teatro di Guerra: Africa Orientale (1940-1941).

Poiché dalla documentazione risulta che la gran parte di questi volontari provenisse dagli equipaggi delle navi bloccate a Massaua e, forse, da quelle bloccate a Chisimaio, è presumibile che i profughi provenienti dai territori sotto controllo britannico o belga siano stati un’esigua minoranza e, non essendo presenti in A.O.I. unità militari della Wehrmacht o della Kriegsmarine (tranne il rimorchiatore Kionga, vedi box)  che potessero inquadrare questi volontari, per poter rientrare nelle regole del diritto internazionale non restava loro che arruolarsi nel Regio Esercito italiano[3].

In proposito è molto interessante quanto scrisse il Ministero della Guerra allo Stato Maggiore del Regio Esercito l’8 ottobre 1940, raccomandando in particolare che i volontari fossero utilizzati “per la costituzione di in piccoli reparti, possibilmente misti”, che fossero loro riconosciuti “il grado corrispondente a quello rivestito nelle forze armate dello Stato di appartenenza” e “il trattamento economico previsto per i militari nazionali[4]. E così avvenne, anche se non subito.

La stampa tedesca dell’epoca diede risalto alle gesta della Compagnia Autocarrata germanica in Africa Orientale Italiana.

Dopo una breve permanenza a Massaua, infatti, tra fine giugno e il 1° luglio 1940 i volontari furono trasferiti ad Asmara, dove secondo talune fonti, sembra che furono alloggiati nella caserma Graziani, dove vennero inquadrati in una compagnia il cui organico sarebbe dovuto essere composto da un Comando di compagnia (con un ufficiale, un sottufficiale, un graduato e 16 militari di truppa), due plotoni fucilieri (con un sottuffiaciale, sei graduati e 28 militari di truppa ciascuno) e un plotone mitraglieri (con un sottufficiale, tre graduati e 38 militari di truppa), per complessivi 131 uomini[5]. Il loro arruolamento nel Regio Esercito presentava però vari  problemi, dalla loro cittadinanza alla lingua, dal loro addestramento alla dotazione di armi e vestiario e per finire al come impiegarli operativamente. Quanto al problema della cittadinanza (il Regio Esercito poteva arruolare soltanto cittadini italiani o delle nostre colonie), in qualche modo si riuscì evidentemente a risolverlo, se il 2 luglio 1940 la compagnia viene ufficialmente costituita, con sfilamento as Asmara, di fronte al Generale Luigi Frusci, Governatore dell’Eritrea. Per quanto riguarda gli aspetti logistici, nelle non molte fotografie disponibili i volontari tedeschi sono abbigliati con uniformi italiane color cachi, mostrine di colore bianco bordate di rosso con la svastica, bustina e casco coloniale, entrambi con una coccarda bianca orlata di rosso con la svastica, ma quella sulla bustina di ufficiali e sottufficiali di minori dimensioni.

Il generale Luigi Frusci.

L’armamento individuale consisteva nel moschetto 91/38 e, per gli ufficiali e sottufficiali, della pistola Beretta Mod. 34 (o Glisenti M1910), mentre quello di squadra erano la mitragliatrice Schwarzlose e il fucile mitragliatore Breda Mod. 30[6]. Una volta arruolati e dopo aver giurato -peraltro senza troppa convinzione[7]– fedeltà al Re (dubito però che siano diventati davvero parte integrante e a pieno titolo del Regio Esercito: osservando con attenzione le poche foto a disposizioni, infatti, si nota l’assenza delle stellette, segno di piena e formale appartenenza alle nostre Forze Armate), si posero due problemi: come addestrarli e come impiegarli operativamente. Nell’attesa di una decisione sul loro impiego, e avendo a disposizione come quadri soltanto l’Oberleutnant (Tenente) Gustav Hamel ed un sottufficiale, l’Hauptfeldwebel (Maresciallo Capo) Adolf Bremer, che con pochi altri volontari avevano avuto esperienze militari durante la Grande Guerra, si procedette all’addestramento: prima quello formale e, subito dopo, quello vero e proprio, in quanto la gran parte dei volontari non aveva mai prestato servizio militare.  L’unità ebbe anche un gagliardetto, sembra disegnato dallo stesso Governatore dell’Eritrea Frusci: un lato vi era una normale bandiera italiana e dall’altro lato la bandiera del Terzo Reich con una svastica. L’asta

In quella occasione, nel suo discorso alle truppe tedesche schierate, Frusci affermò “Si costituisce oggi la compagnia autocarrata tedesca. Giunga il mio saluto di Comandante a questi figli della Germania Hitleriana che volontariamente hanno voluto vestire la divisa per condividere glorie e disagi nella guerra che combattiamo uniti per la vittoria della giustizia e del diritto. Sono essi simbolo di quella fraternità di idee ed armi per cui Fascio Littorio e Croce Uncinata guidano sulle fronti di Europa e d’Africa le eroiche masse marcianti dei due grandi Paesi. Lontani dalle loro case essi trovino in tutti quel senso di cameratesco affetto che solo si tempra attraverso le dure prove della lotta illuminata dal più grande ideale[8] Quasi un mese dopo venne presa una decisione sul loro impiego.

In un documento del 29 luglio, il Generale Frusci, Comandante dello Scacchiere Nord[9], propose al Comando Superiore delle FF.AA. dell’Impero[10] di costituire un gruppo squadroni autocarrati, composto da tre squadroni (uno dell’Amara e tre dell’Eritrea) e dalla compagnia autocarrata tedesca[11].La proposta venne accolta e la costituzione del Gruppo squadroni autocarrati, autorizzata dal Comando superiore il 15 agosto, fu formalizzata da Frusci il successivo 18 agosto, precisando che la sede del Comando del Gruppo e dei quattro squadroni autocarrati sarebbe stata Cheren, mentre quella della Compagnia autocarrata tedesca sarebbe stata ad Asmara, poi mutata anch’essa in Cheren[12].Il gruppo Squadroni autocarrati avrebbe costituito, assieme alla Squadriglia corazzata “Amara”, al Gruppo motorizzato “Eritrea”, al Gruppo misto motorizzato della Polizia dell’Africa Italiana e alla compagnia della Guardia di finanza la riserva del Comando di Scacchiere. L’addestramento fu tutto sommato breve, in quanto la Compagnia autocarrata (i mezzi erano nove autocarri Fiat 611C[13]) da settembre venne schierata prima ad Agordat e poi a Cheren, molto probabilmente dipendente dalla 41ª brigata del Generale Ugo Fongoli.

Direttrice Cassala – Agordat (teatro operativo).

L’impiego operativo

Nell’ottobre 1940 la Compagnia venne spostata al confine sudanese partecipando alla conquista di Cassala poi, tra il 15 e il 30 novembre, sembra sia stata dislocata  a Uaccai, assieme al XCIX Battaglione[14], ma l’intervento in forze delle truppe inglesi costrinse italiani e tedeschi a ritirarsi su Agordat.  Nel gennaio 1941 il caposaldo venne investito da un forte contingente britannico al quale il Generale Orlando Lorenzini, che contava su non più di 6 o 7.000 uomini, non potè resistere più di tanto. La prima linea difensiva, con uno sviluppo di 22 chilometri, si appoggiava ai monti Taninai, Caianaic, Itaberrè, Laquatat e Cochen ed era presidiata da 5 battaglioni coloniali (III, IV, XXXV, CI, CLI), dal 150° battaglione CC.NN. e dalla compagnia di volontari tedeschi[15]. Quest’ultima, assieme alle compagnie carri armati, fu tolta dal presidio di Cherù e trasferita al presidio di Agordat[16]. In quello stesso periodo, per dare all’unità tedesca maggiore competenza nella linea di comando e dopo che l’Addetto militare tedesco aveva comunicato che sarebbero arrivati in Italia, provenienti dalla Germania, due Ufficiali e quattro Sottufficiali destinati a far parte“della compagnia carristi in A.O.I.” (sic)[17], nella serata del 19 gennaio 1941 giunsero effettivamente a Roma il Tenente Vellmer e il Sottotenente Heinz Werner Schmidt (vedi box nella pagina seguente) nonchè il Maresciallo Pohl e i Sergenti Teichmann, Popping e Rehmann[18].

Heinz Werner Schmidt, secondo e ultimo comandante della Compagnia Autocarrata Tedesca

Heinz Schmidt, nato in Sud Africa nel 1916 da genitori tedeschi, all’età di quattro anni si trasferì con la famiglia in Germania, dove trascorse la maggior parte dei suoi anni giovanili e universitari, diventando un cittadino con doppia cittadinanza tedesca e sudafricana. Quando scoppiò la guerra, poteva scegliere tra tornare in Sudafrica, arruolarsi e combattere a fianco della Gran Bretagna oppure restarvi senza arruolarsi (il servizio militare in Sudafrica era volontario), oppure restare in Germania (come glielo permetteva la sua doppia cittadinanza) e combattere nelle fila delle Forze Armate del III Reich. Scelse di restare in Germania e si arruolò nell’Heer, la forza armata di terra della Wehrmacht. Già veterano della campagna di Polonia, dopo la breve parentesi come comandante della Compagnia Autocarrata Tedesca in Eritrea, dove giunse perchè, essendo sudafricano di nascita, era considerato buon conoscitore dell’Africa, fu destinato nel marzo 1941 in Africa Settentrionale. Qui, ebbe il comando di una compagnia di armi pesanti e il 23 novembre 1941, durante la battaglia di Sidi Rezegh, Schmidt giocò un ruolo chiave nell’investire e superare le posizioni sudafricane. Successivamente fu distaccato, presso lo staff di Rommel, sostituendo il Capitano Hermann Aldinger e partecipando valorosamente a varie battaglie in Egitto e successivamente in Tunisia, a Gafsa e Kasserine. Cosa sia successo a Heinz Schmidt e a quali azioni abbia preso parte dopo la campagna nordafricana non è noto. Nel 1948, dopo la fine del conflitto, Heinz decise di sfruttare la sua cittadinanza sudafricana e tornare nella sua terra natale, dove si stabililì a “Nuova Germania”, una piccola comunità tedesca nell’entroterra di Durban. Lì avviò due società, Pineware e Gedore tools, per la produzione di piccoli elettrodomestici. Ebbe una certa notorietà narrando le sue esperienze militari, in particolare quelle al fianco di Rommel, nel libro “With Rommel in the Desert “, ed è sua la famosa citazione di Rommel sull’uso personale del “bottino” catturato: riferendosi in particolare  ai caratteristici occhiali britannici spesso indossati sopra la visiera sul berretto, Rommel affermò infatti “Presumo che il bottino sia consentito; anche per un generale”. Schmidt è deceduto a Durban nel 2007.  

Da quanto risulta, il 27 gennaio 1941 partirono però dall’Aeroporto del Littorio (ora Aeroporto di Roma-Urbe) con probabile destinazione Asmara soltanto i due Ufficiali[19]. Il Leutnant Schimdt sostituì l’OberleutnantHamel al comando della Compagnia autocarrata tedesca, e di Hamel e di Vellmer si perdono le tracce, così come per i quattro sottufficiali. Schmidt, lasciò successivamente l’Eritrea il 9 marzo 1941, con un velivolo dei Servizi Aerei Speciali decollato da Asmara e diretto a Tripoli[20].

Dalle documentazione consultata[21] risulta che la compagnia di volontari tedeschi (definita talora “Compagnia autocarrata speciale”) partecipò effettivamente ai combattimenti nella zona di Agordat (27-31 gennaio 1941) con una forza di 4 Ufficiali, 5 sottufficiali e 133 militari di truppa, subendo 39 perdite tra questi ultimi, ma che fu sciolta il 1° marzo 1941.  Dalla relazione di Lorenzini, risulta infatti che il 30 gennaio i volontari, che erano in posizione di riserva, vennero spostati nel punto più minacciato dalle truppe inglesi, cioè il tratto Cochen-Laquotat. Il giorno successivo, la Compagnia, assieme ad altri reparti, sotto il comando del Tenente Colonnello Gino Luziani, comandante della XLII Brigata, partecipò ad un tentativo di contrattacco nella zona in cui i pochi carri M 11/40 erano stati praticamente annientati dai Matilda britannici[22]. Il tentativo fallì e  la Compagnia, dopo aver subito molte perdite, iniziò il ripiegamento, assieme a tutte le altre nostre unità[23].

E’ interessante notare che gli inglesi erano a conoscenza sul fronte di Agordat della presenza di questa particolare unità: “It was difficult at this time to know the strength of the Italian garrison at Agordat with accuracy. It was estimated to consist of the 2nd, the 12th and the 42nd Colonial Brigades, three Black-shirt Battalions, two Field Artillery Groups, two Medium Artillery Batteries, one Company Medium tanks, one Company Light tanks, three Groups Bande troops, and also one German Company.”.[24]

Nonostante varie fonti sostengano la Compagnia abbia combattuto a Barentù (dove vennero impiegati invece i quattro squadroni del Gruppo autocarrato[25]), Cheren e sull’Amba Alagi, sulla scorta della documentazione citata e della data di scioglimento dell’unità (1° marzo 1941) si può affermare che, come unità organica, probabilmente non partecipò ai combattimenti a Cheren (soprattutto quelli del marzo 1941)[26] e sicuramente non a quelli dell’Amba Alagi (17 aprile-17 maggio 1941)[27]. Nella stessa documentazione citata si afferma inoltre che, una volta sciolta, il personale “è stato reimbarcato sui piroscafi tedeschi”, ciò che comunque non esclude come taluni volontari abbiano partecipato individualmente ai due eventi bellici. Quanto detto sembra essere confermato dal testo del telegramma inviato il 3 giugno 1941 al Ministero dell’Africa Italiana a firma del Generale Pietro Gazzera, in quel momento, in seguito alla resa del Duca d’Aosta, Governatore dell’Africa Orientale Italiana e Viceré d’Etiopia,  che riporta testualmente: “Da informazioni risulterebbe che compagnia tedesca dopo combattimento Agordat…fu imbarcata su piroscafi tedeschi in rada Massaua. Non si hanno ulteriori notizie.[28] Parte dei -o forse tutti i- volontari si recarono invece a Massaua, forse sperando di potersi imbarcare su uno dei mercantili tedeschi presenti, lasciare l’Eritrea e tentare di violare il blocco inglese ed è possibile che fossero questi i marinai degli equipaggi delle quattro navi che riuscirono a lasciare Massaua, anche se per tre di loro con poca fortuna: la Coburg, infatti, partita il 17 febbraio 1941, viene intercettata il 4 marzo nell’Oceano Indiano dall’incrociatore australiano HMAS Australia e si autoaffondò.

La nave tedesca ‘Coburg’.

La ‘Coburg’ in affondamento (Archivio Australian War Memorial).

Stessa sorte capitò il 24 marzo alla Oder, una volta avvistata dallo Sloop Shoreham a Ras Seine (Stretto di Perim) e il 30 marzo alla Bertram Rickmers, che aveva lasciato il porto eritreo il giorno prima, avvistata dal ct. Kandahar. La Wartenfels riusci invece a sfuggire alla intercettazione di unità navali nemiche arrivando il 10 marzo a Diego Suarez (Madagascar di Vichy), dove si autoaffonderà nel maggio 1942 all’arrivo degli inglesi[29]. Tutti gli equipaggi di queste navi finirono poi in campi di prigionia britannici. Varie fonti affermano inoltre che alcuni volontari della Compagnia Autocarrata Tedesca riuscirono a raggiungere l’Europa imbarcandosi su alcuni sommergibili italiani che lasciarono Massaua per arrivare alla base italiana BETASOM di Bordeaux. Una di queste fonti è il secondo e ultimo comandante della Compagna. Heinz Werner Schmidt, che nel suo libro di memorie scrive testualmente: “Really, -said General Paulus- ‘Very interesting indeed. And what happened to your seamen?” “As far as I know, Herr General, one or two Italian submarines succeeded in rounding the Cape, and on them were some members of the German Volunteer Company and also the First Officer of the Coburg. I believe the other ships were all scuttled by their crews, mostly in Massawa harbour. The Coburg, so I heard in Tripoli from the English radio, was scuttled near Mauritius.[30]

Da accurate ricerche presso l’Ufficio Storico della Marina, nei rapporti di missione di tre dei quattro sommergibili che riuscirono ad arrivare a Bordeaux (Galileo Ferraris, Alberto Guglielmotti e Perla)[31] non vi è traccia di eventuali “passeggeri” tedeschi. Invece, sempre nel rapporto di missione del quarto sommergibile, l’Archimede, si cita come unico “passeggero” il Sottotenente di vascello della Marina Mercantile tedesca Günther Hostle, imbarcato in qualità di interprete[32]. I volontari che non riuscirono ad imbarcarsi e lasciare Massaua, caduta l’8 aprile 1941 non ebbero altra scelta che consegnarsi al nemico. Forse alcuni di loro erano tra i 25 tedeschi che, assieme agli oltre 760 civili e militari italiani, furono oggetto dello scambio di prigionieri che ebbe luogo il 20 e 21 marzo 1943 nel porto turco di Mersin [33].

Il sommergibile ‘Archimede’ (Taranto, 1939).
Un sommergibile italiano in bacino di carenaggio. Massaua (1940).
 
La censura postale   Anche per i volontari della Compagnia Autocarrata funzionò il servizio di posta militare, peraltro richiesto espressamente dall’omologo ufficio tedesco (1), servizio soggetto ovviamente alla censura militare. Tra le varie segnalazioni registrate (2), riferite ad esempio ai mesi di ottobre e novembre 1940, ve ne sono di curiose, come quella di due soldati che scrivono “…Quando penso a tutti i buoni e nutrienti cibi che hanno i nostri soldati e qui invece vedo questo mangiare mi va via la testa e non posso spiegarmi come si possa ancora rimanere in forze.” e “…il trattamento dell’Esercito Italiano è disgraziatamente compatibile solo per gli italiani. Noi non possiamo abituarci ai maledetti maccheroni e spaghetti e pensiamo con nostalgia alle patate fatte al forno…” o pessimisticamente preveggenti “…Io aspetto, ora come prima, che la guerra finisca entro quest’anno (1940, n.d.a.). Se così non fosse, allora per noi la prospettiva è molto torbida.” Vengono evidenziate anche lamentele sull’organizzazione militare, sia italiana sia tedesca. Così si esprimono due volontari: “…che a noi militari piaccia in modo particolare la vita di qui, non possiamo proprio affermarlo. Per il soldato tedesco il sistema di qui è alquanto seccante e noioso” e “…Oggi ci hanno letto una lettera del nostro Console generale. Diceva che durante i colloqui del Brennero, l’ammbasciatore von Mackensen attirò l’attenzione del feld Maresciallo Keitel per la mancanza di bravi ufficiali e sottufficiali nella Compagnia tedesca in A.O.I.. Keitel ha promesso immediato rimedio e in brevissimo tempo (almeno come si dice qui) verranno inviati in A.O.I. a mezzo aereo ufficiali e sottufficiali particolarmente capaci ed assumeranno il comando della Compagnia. La nostra gioia è immensa perché ora siamo più una compagnia ridicola che vera truppa.”   (1) Comunicazione della Direzione Superiore Postale Militare del 7 marzo 1941, prot. 302388/F, in Fondo L14, busta 114. (2) Cfr. Relazioni quindicinali del servizio di revisione postale effettuato nell’Impero – Governo Generale dell’A.O.I., Ispettorato Generale di Polizia dell’Africa Italiana,   (quindicine dal 16 al 31 ottobre 1940, dal 1° al 15 novembre 1940 e dal 16 al 30 novembre 1940), e Relazione sull’andamento generale del Servizio censura della R. Marina dal 4 ottobre 1940 al 21 gennaio 1941, in USSME, Fondo 141, L4, busta 12.          

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare va al Capo dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Colonnello Fabrizio Giardini e al suo personale per l’aiuto nella non semplice ricerca della documentazione e all’Ingegner Gabriele Zorzetto per le preziose informazioni e documenti trasmessi.

Fonti bibliografiche:

AA,VV., “East African Campaign, 1940-41, Official History of the Indian Armed Forces In the Second World War”, Bisheshwar Prasad, D. Litt., Combined Inter-Services Historical Section, 1963, in https://www.ibiblio.org/hyperwar/UN/India/EAfrica/

Piero Cruciani, “A.O.I. 1940- Un reparto tedesco nel Regio Esercito”, in Storia Militare, maggio 1995

Angelo Del Boca, “Gli italiani in Africa orientale”, Mondadori, 2000

Heinz Hirche, “Compagnia autocarrata tedesca, Deutsche Freiwilligen in Italienische-Ostafrika”, in Die Wehrmacht, 9 ottobre 1940

Vincenzo Meleca, “Storie di uomini, di navi e di guerra nel Mar della Dahlak”, Greco e Greco, 2012

Vincenzo Meleca, “Italiani in Africa orientale. Piccole e grandi storie di pace, di guerra, di lavoro e d’avventura”, TraccePerLaMeta, 2017

Samuel W. Mitcham Jr., “Triumphant Fox: Erwin Rommel and the Rise of the Afrika Korps”, Stackpole Books, 2009

Heinz Werner Schmidt, “With Rommel in the Desert”, Panther Book, 1968

Pierluigi Romeo di Colloredo Mels, “Africa Orientale Italiana 1940-1941”, Soldiershop Publishing, 2021

Alberto Rovighi, “Le operazioni in Africa Orientale (Giugno 1940-Novembre 1941) – Vol. 1 – Narrazione”, Ufficio Storico SME, 2021


[1] A Chisimaio si erano rifugiate almeno tre navi che, alla caduta della Somalia, tentarono di fuggire:  la Uckermark, intercettata da unità della Royal Navy, per evitare la cattura si autoaffondò l’11 febbraio 1941 (https://www.naval-history.net/xDKWD-EF1940-41.htm) mentre la Tannenfels lasciò Chisimaio il 31 gennaio 1941, riuscì a forzare il blocco britannico e raggiunse Bordeaux il 19 aprile 1941. Il rimorchiatore Kionga, che aveva mantenuto bandiera ed equipaggio tedeschi, si autoaffondò, ma fu recuperato dagli inglesi. A Massaua se ne erano rifugiate ben dieci. Alla caduta in mani inglesi dell’Eritrea, sei di loro (Gera, Frauenfels, Liebenfels, Crefeld, Lichtenfels e Oliva) si autoaffondarono nel porto di Massaua o nel golfo di Dahlak Kebir, tre (Oder, Coburg e Bertrand Rickmers), intercettate da unità della Royal Navy si autoaffondarono, una, la Wartenfels, riuscì a forzare il blocco britannico e a raggiungere il Madagascar. Cfr. V. Meleca, “Storie di uomini, di navi e di guerra nel Mar della Dahlak”, Greco e Greco, 2012 e i forum http://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/34125-mercantili-in-eritrea-1941/ e   http://www.ddghansa-shipsphotos.de/wartenfels200.htm.

[2] A seconda delle fonti, si va dai 138 uomini (https://de.wikipedia.org) ai 160 “contadini” (https://italiacoloniale.com). Al 22 febbraio 1941 risultavano in forza 142 uomini, il che fa presumere che, oltre agli Ufficiali e Sottufficiali arrivati in A.O.I nel gennaio 1941, fra il giugno-luglio 1940 e il febbraio 1941 se ne siano aggiunti di nuovi in sostituzione delle perdite subite. Cfr. Foglio 201494/2 del 22 febbraio 1941 del Comando Scacchiere Nord – Scioglimenti, contrazioni e costituzione nuovi reparti Prot. 201809 1 marzo 1941 – “Unità, reparti e servizi sciolti in conseguenza della situazione militare di questi ultimi tempi – punto 4: Compagnia autocarrata speciale”, in USMME, Fondo Diari Storici, 1-11, busta 1524 

[3] Secondo alcune fonti, alcuni di coloro che si erano rifugiati in Somalia sembra abbiano raggiunto Massaua a bordo del piroscafo italiano Piave, ovviamente prima che l’Italia entrasse in guerra (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Compagnia_autocarrata_tedesca). In base alla documentazione dello Stato Maggiore Esercito, la compagnia era stata formata con volontari provenienti dagli equipaggi delle navi che all’inizio della guerra si erano rifugiate a Massaua. Cfr. USMME Fondo Diari Storici, 1-11, busta 1524 ccit. e Alberto Rovighi, “Le operazioni in Africa Orientale (Giugno 1940-Novembre 1941) – Vol. 1 – Narrazione”, Ufficio Storico SME, 2021, pag. 208, nota 1. Identica affermazione fa Del Boca: “La compagnia era costituita da marinai sbarcati dalle navi rimaste bloccate nel porto di Massaua.“ (Cfr. Angelo Del Boca, “Gli italiani in Africa orientale”, Mondadori, 2000, pag.406, nota 57). Non risulta invece che marinai tedeschi si siano arruolati nella Regia Marina. Gli uomini dell’equipaggio del rimorchiatore Kionga, unitamente a quelli del mercantile tedesco Uckermark che si trasferirono sul Kionga, furono infatti arruolati nella Kriegsmarine.

[4] Cfr. USSME, fondo L14, busta 114, documento del 3 ottobre 1940, prot. 144500, ad oggetto “Volontari stranieri”.

[5] Cfr. USSME, Diari Storici, fasc. 1533, buste 1 e 2, allegato n. 3 al foglio 0212890 del 19 agosto 1940 “Organico della Compagnia autocarrata tedeschi volontari”.

[6] Non è chiaro se i moschetti e le mitragliatrici Schwarzlose in dotazione alle nostre truppe nelle colonie fossero ancora nel calibro originario 6,5 mm o in quello da 7,35 adottato nel 1938, mentre il fucile mitragliatore Breda era senz’altro in calibro 6,5.

[7] In una lettera di un volontario tedesco sottoposta a censura militare si legge testualmente: “Il nostro console generale…ha preteso da noi che facessiomo giuramento a Sua Maestà il Re d’Italia sebbene noi siamo soldati tedeschi e ci ha minacciato di farci portare in un campo di concentramento qualora noi avessimo rifiutato di giurare. Il detto signore dimostra di avere uno straordinario concetto del significato di giuramento alla Bandiera” Cfr. Governo Generale dell’A.O.I., Ispettorato Generale di Polizia dell’Africa Italiana – Relazione quindicinale del servizio di revisione postale effettuato nell’Impero – Quindicina dal 1° al 15 novembre 1940, in USSME, Fondo 141, L4, busta 12.

[8] Discorso di Frusci, riportato nell’Ordine del giorno del Comando Scacchiere Nord del 2 luglio 1940, prot 4803 Il discorso fu riportato anche dal quotidiano Innsbrucker Nachrichten del 21 agosto 1940, anche se il testo e la relativa traduzione non corrispondono alla lettera al testo ufficiale: “Oggi è stata schierata la compagnia motorizzata tedesca. Come Generale Comandante del fronte Nord rivolgo il mio saluto ai figli della Germania nazionalsocialista, che indossano di loro volontà l’uniforme per dividere con noi fama e fardello della guerra, che conduciamo uniti per la giustizia. La svastica e il fascio littorio sono i simboli della fraternita’ per idee e armi. Sui territori europei e africani i coraggiosi soldati delle due grandi nazioni marciano uniti. Lontani dalla loro patria i figli della Germania nazionalsocialista troveranno la vicinanza cameratesca, rafforzata ancora tramite le dure battaglie guidate da alti ideali.”

[9] Lo Scacchiere Nord, che fronteggiava il Sudan settentrionale e comprendeva i territori dei Governi dell’Eritrea (meno la Dancalia) e dell’Amara, aveva una forza di circa 102.000 uomini;

[10] Il Comando superiore delle forze armate dell’Africa orientale italiana, istituito con decreto legge n. 1856 del 17 agosto 1938, fu soppresso con legge n. 887 del 21 giugno 1940 (riportata dalla G.U. n. 172 del 24 luglio 1940), Tuttavia, la denominazione di Comando Superiore rimase e fu ancora usata in vari documenti ufficiali, a volte come Comando Superiore delle FF.AA. dell’Impero.

[11] Cfr. USSME, Fondo Diari Storici, fasc. 1533, busta 2.

[12] Cfr. USSME, Fondo Diari Storici, fasc. 1533, busta 2

[13] Cfr. comunicazione del Colonnello Giuseppe Pizzorno, Capo di Stato Maggiore dello Scacchiere Nord, del 27 agosto 1940, prot. 021382. Alcune fonti affermano che l’unità ebbe in dotazione anche qualche autoblindo Fiat 611, sulla cui presenza, però, non abbiamo trovato conferme documentali.

[14] Cfr. “L’ultimo ricordo di terra d’Africa”, memoria del Cap. Crainz Evelino sulle operazioni della 41ª Brigata Coloniale, documento segnalato dall’Ing. Gabriele Zorzetto.

[15] Cfr. Alberto Rovighi, “Le operazioni in Africa Orientale (Giugno 1940-Novembre 1941), Ufficio Storico SME, 2021, Vol. 1 – Narrazione”, pag. 208, cit. e  Relazione del febbraio 1941del Colonnello Orlando Lorenzini Comandante la II Brigata coloniale, in Le operazioni in Africa Orientale (Giugno 1940-Novembre 1941), Ufficio Storico SME, 2021, Vol. II – Documenti, doc. n. 116, pag. 288. Secondo A. del Boca “Per difendere il caposaldo di Agordat, il cui perimetro ha uno sviluppo di 22 chilometri…Lorenzini ha a sua disposizione 10 battaglioni indigeni, un battaglione di camicie nere, i resti della banda amhara a cavallo del tenente Guillet, una compagnia di volontari tedeschi, reparti della PAI…..In tutto 6/7 mila uomini, e non 12 mila come sostiene la relazione inglese, in gran parte provati da dieci giorni di combattimenti, dagli attacchi aerei e dai 200 chilometri di ritirata.” (Cfr. Angelo Del Boca, “Gli italiani in Africa orientale”, Mondadori, 2000, pag.406).

[16] Cfr. Memoriale del Ten. Luciani Luciano (vicende con diversi reparti coloniali tra il 1935 e il 1941: 12ª Compagnia Presidiaria, 31ª Banda d’Istruzione, XXXV Battaglione Coloniale), documento segnalato dall’Ing. Gabriele Zorzetto.

[17] Promemoria del Ministero della Guerra del 17 gennaio 1941, prot. 103806, ad oggetto “Ufficiali e sottufficiali tedeschi per compagnia carrista in A.O.I.”, in USMME Fondo Diari Storici, 1-11, busta 1524  – Foglio 201494/2 cit

[18] Cfr. Comunicazione del 18 gennaio 1941, Prot. 27/41, del Secondo Addetto militare tedesco, Tenente Colonnello Horst Pretzell al Ministero della Guerra, (USMME,  Fondo L14, busta 114)

[19] Cfr. comunicazione del Comando Supremo- Stato Maggiore Generale indirizzata del 26 gennaio 1941, indirizzata al Ministero della Guerra e per conoscenza all’Ufficio Operativo Servizi Aerei Speciali, prot. 490/SV con oggetto “Partenze per A.O.I. di due Ufficiali Germanici”

[20] Cfr. comunicazione del 13 marzo 1941, prot. 203373/3 ad oggetto “Ufficiale Tedesco partito per Tripoli”, del Comando Truppe dell’Eritrea al Ministero della Guerra in USMME, Fondo L14, busta 114. 

[21] Cfr. USMME, Fondo Diari Storici, 1-11, busta 1524  – Foglio 201494/2 cit.

[22] A proposito di questo episodio è interessante quanto scrive da Mike Bennighof, storico e giornalista statunitense, secondo il quale “One British writer claimed that these tanks had been manned by Germans, a strange and nonsensical allegation that also surfaces in some British accounts of fighting in the Western Desert” (“Uno scrittore britannico ha affermato che questi carri armati erano stati presidiati da tedeschi, un’affermazione strana e priva di senso che emerge anche in alcuni resoconti britannici di combattimenti nel deserto occidentale”). Notizia destituita di ogni fondamento, come documentato da Maurizio Parri, “Tracce di cingolo – Compendio generale di storia dei Carristi”, pagg 94 e 95.  Secondo lo stessoBennighof, “Lorenzini also had the rather dubious assistance of the Deutsche Motorisierte Kompanie” (“Lorenzini aveva anche il supporto piuttosto dubbio della Deutsche Motorisierte Kompanie”). Cfr. Mike Bennighof, “Africa Orientale Italiana: Advance from Sudan”, 2018. In entrambi i casi, non ho trovato alcuna conferma o riscontro di tali affermazioni.

[23] Relazione del febbraio 1941 del Colonnello Orlando Lorenzini Comandante la II Brigata coloniale, in Le operazioni in Africa Orientale (Giugno 1940-Novembre 1941), cit.doc. n. 116, pag. 288

[24] Cfr. East African Campaign, 1940-41, Official History of the Indian Armed Forces In the Second World War, Chapter IV – Italians on the Retreat, pag. 44.

[25] Cfr. Relazione del Colonnello Oreste Delitala, Comandante la Piazza di Barentù, febbraio 1941, in Le operazioni in Africa Orientale (Giugno 1940-Novembre 1941), Ufficio Storico SME, 2021, Vol. II – Documenti, doc. n. 117, pag. 303.

[26] Alcune fonti riportano che, quando Agordat fu lasciata al nemico, sembra che la Compagnia abbia contribuito al compito di fungere da retroguardia ai reparti in ritirata verso Cheren e Asmara.

[27]Cfr. https://de.wikipedia.org/wiki/Deutsche_Freiwillige_Motorisierte_Kompanie_in_Eritrea e  ,  https://www.passionmilitaria.com/t198991-allemands-sous-l-uniforme-italien-deutsche-freiwillige-motorisierte-kompanie

[28] Telegramma inviato il 3 giugno 1941 al Ministero dell’Africa Italiana, prot. Servizio cifra 7116. Dal tenore del testo è evidente come la caduta di Massaua, avvenuta quasi due mesi prima, l’8 aprile, non fosse nota a Gazzera.

[29] Il Wartenfels verrà poi recuperato dagli inglesi diventando l’Empire Tugela.

[30] «Davvero?» disse il generale Paulus. «Davvero molto interessante. E che fine hanno fatto i tuoi marinai?‘» «Per quanto ne so, signor generale, uno o due sottomarini italiani riuscirono a doppiare il Capo, e su di essi c’erano alcuni membri della Compagnia di Volontari Tedesca e anche il Primo Ufficiale di il Coburg. Credo che le altre navi siano state tutte affondate dai loro equipaggi, principalmente nel porto di Massawa. Il Coburg, così ho sentito a Tripoli dalla radio inglese, è stata affondata vicino a Mauritius. » H. W. Schmidt, “With Rommel in The Desert”, cit,  pag. 46

[31] Cfr. USMM, in “Sommergibili”, Racc. 37/87, Smg. Galileo Ferraris, Rapporti di missione-Rapporto di Missione Massaua-Bordeaux 19/S.R.P. 12 maggio 1941, a firma del Comandante, C.C. Livio Piomarta; Racc 37/61, Smg. Alberto Guglielmotti, Rapporti di missione-Rapporto di Missione Massaua-Bordeaux 1/S.R.P. 5 giugno 1941, a firma del Comandante C.F. Gino Spagone; Racc. 37/87,  Smg. Perla, Rapporti di missione-Rapporto di Missione Massaua-Bordeaux 45/S.R.P. 5 giugno 1941° firma del Comandante T.V. Bruno Napp)

[32] H.W. Schmidt scrive che il “First Officer of the Coburg” si imbarcò su un sommergibile italiano, senza fare il nome né dell’ufficiale né del sommergibile. E’ possibile che fosse proprio Günther Hostle, perché risulta che quando il Coburg lasciò Massaua il Primo Ufficiale fosse Emil Memmen, che ricopriva lo stesso incarico a bordo del Crefeld, un altro piroscafo tedesco che si era rifugiato nel 1939 nello stesso porto di Massaua Al termine della missione dell’Archimede, Holstle fu proposto dal Comandante del nostro sommergibile, il Capitano di corvetta Marino Salvatori, per essere insignito della decorazione di Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Cfr. USMM, Rapporto di Missione Massaua-Bordeaux, 9 maggio 1941, prot. 96/S.R.P., in racc. 37/8, voce “Archimede”

[33] Cfr. V. Meleca, “Italiani in Africa orientale. Piccole e grandi storie di pace, di guerra, di lavoro e d’avventura”, TraccePerLaMeta, 2017, pag. 244.

(*) Per gentile concessione del Sito: https://www.ilcornodafrica.it (data di pubblicazione, 12 marzo 2023).

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