Le molte anime del fondamentalismo islamico e la debolezza dell’Europa. Di Alberto Rosselli.

Guerriglieri islamici in posa (foto chiaramente propagandistica).

La Legge Islamica e il terrorismo.

L’attuale conflitto tra Israele e Hamas (ed Hezbollah) pone quesiti circa lo stato di salute di un’Europa debole e politicamente irrilevante almeno nel contesto internazionale, e induce a riflessioni circa la vera ‘sostanza’dello jihadismo islamico (1) e dell’Islam stesso. Detto questo, focalizziamo l’attenzione su uno dei movimenti terroristici anti occidentali  più famosi, anche se ormai offuscati dalle gesta di  Hamas, cioè l’Isis. Perché, ci si domanderà, preoccuparsi ancora dell’Isis, movimento islamico severamente ridimensionato e rinvangare circa la storia dello jihadismo? La risposta è semplice: comprendere bene jihadismo (ideologia che attualizza il concetto classico di jihad secondo una logica nuova, cioè ‘globalizzata’, anche per quanto concerne la prassi terroristica)  e il perché dell’Isis in quanto a movimento religioso oltre che ‘politico’, significa comprendere la natura e le dinamiche di tutti i movimenti fondamentalisti primo fra tutti l’Isis, soggetto che forse per primo è riuscito a costituire una sorta di Stato Islamico militarmente e politicamente rilevante, in grado di dare battaglia ai suoi avversari in campo aperto e non soltanto attraverso la prassi del terrorismo tradizionale. Cosa è l’Isis. L’Isis, sigla di Stato Islamico di Iraq e Siria o Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), è un’organizzazione islamica di stampo jihadista attiva soprattutto tra il 2010 e il 2020, in cui ha rivendicato vari attentati in Europa, Medioriente e Africa. Ci si riferisce allo stesso gruppo quando si usa il termine Isil, Stato Islamico di Iraq e Levante, IS, Stato Islamico, e Daesh, che è l’acronimo arabo. L’ideologia su cui si fonda l’Isis è il ritorno a una dottrina islamica integralista, ritenuta più pura, e infatti l’organizzazione ha condannato gli Stati arabi che hanno adottato costumi occidentali o hanno mantenuto posizioni islamiche moderate. Oltre a questo, l’Isis ha incolpato l’Occidente di aver spaccato il mondo musulmano e di averne impedito uno sviluppo indipendente, motivo per cui ha compiuto vari attentati in tutta Europa come mezzo di vendetta e destabilizzazione. L’obiettivo finale dell’organizzazione era ed è quello di creare un vero e proprio Paese in cui radunare tutti i musulmani, riportandoli a un’interpretazione “più autentica” della legge islamica, cioè la sharia.

Guerriglieri dell’Isis in Siria. A differenza di Al Qaeda, l’Isis aveva modalità operative differenti. L’Isis era in grado di svolgere non soltanto azioni terroristiche, ma campagne militari vere e proprie.

Per comprendere le origini e la genesi storica dei vari e differenti movimenti, non soltanto l’Isis, ma anche Al Qaeda (primo soggetto terroristico organizzato su modello transnazionale), Hamas ed Hezbollah, occorre rivisitare e comprendere – seppure sinteticamente – la storia e la natura dell’islam stesso e i suoi fondamenti religiosi, culturali e politici. La religione islamica consiste in fede (al-iman) e pratica (al-din). Ogni musulmano, uomo o donna, è tenuto ad osservare (pena una sanzione morale o materiale) i doveri posti dalla sharia (sharī’a, cioè “la strada giusta” e, alla lettera, “via [diritta] rivelata da Dio”, ma si può anche tradurre con “legge divina”), un corpo di norme che serve a guidare l’intera vita di un fedele, tanto che in essa convivono regole teologiche, morali, rituali e quelle che per noi occidentali potrebbero definirsi di diritto privato, affiancate da regole fiscali, penali, processuali e di diritto bellico. La sharia poggia sui “cinque pilastri dell’islam”:Šahāda (letteralmente, la “testimonianza”), Salāt (l’adorazione, talvolta tradotta con “preghiera”), Zakāt (l’elemosina, la carità obbligatoria), Sawm (il digiuno nel mese di ramādan), Hağğ (il pellegrinaggio annuale alla Mecca).

Per quanto concerne l’Isis, la denominazione stessa di questa entità (presente come Al Qaeda non soltanto a livello regionale mediorientale) non del tutto sradicata dall’Occidente) che ha preteso come Hamas di rappresentare l’islam è stata ed è ancora fonte di molteplici interpretazioni. La questione del nome – Isis, Isil, Isi, IS (Stato Islamico), Dāʿish ed altri ancora – da utilizzare per riferirsi al gruppo estremista e alle pseudo-istituzioni che tale soggetto cerca di consolidare nei territori sotto il suo controllo (parte della Siria e dell’Iraq, ma anche porzioni della Libia) è stata discussa da molti commentatori. Il fatto di scegliere una dizione piuttosto che l’altra, o di riferirsi direttamente alla pretesa del suo fondatore iracheno Abu Bakr Al-Baghdadi (1971–2019) di rappresentare un nuovo e autoproclamato Califfato Islamico, ha aperto una serie di problematiche che l’Occidente avrebbe dovuto valutare attentamente, soprattutto per elaborare una strategia logica tesa ad annullare o almeno a contenere il fenomeno del terrorismo islamico.

L’Isis era ed è infatti un’organizzazione estremista che considera il jihad (jihād, cioè la lotta interiore spirituale per raggiungere una perfetta fede islamica fino a praticare la “guerra santa” contro ogni infedele o apostata) l’ago della sua bussola fideistica e strategica (lo Stato Islamico è di fatto una realtà statuale fortemente accentrata e sovranazionale, il cui ordinamento giuridico si rifà ai dettami della tradizione coranica). Una bussola che segue un’interpretazione radicale, anti-occidentale, ma per alcuni versi ortodossa, del Corano (Al-Qur’ān), con lo scopo ultimo di fondare uno superstato salafita, annullando di fatto gli Stati  musulmani e i loro confini ed inglobando perfino aree geografiche, religiose e culturali esterne, non ultima l’Europa.

Guerriglieri dell’Isis in Siria. L’Isis aveva un suo esercito perfettamente armato ed equipaggiato, in grado di affrontare ogni avversario in campo aperto.

Terrorismo e concetto di Stato Islamico.

Entità politicamente ed etnicamente variegata, l’Isis appare come un organismo operativo tendenzialmente statuale, rigorosamente religioso, molto efficiente nell’organizzazione militare e soprattutto alimentato da notevoli risorse finanziarie, derivanti in parte dalla vendita di contrabbando del petrolio – tutta la sua strategia militare applicata in Iraq e Siria ha sempre mirato al possesso dei locali giacimenti che, a seconda delle fonti, garantirebbero una produzione fra 1,5 e 3 milioni di dollari al giorno – e in parte dal sostegno di taluni stati come l’Arabia Saudita wahabita (1) e il Qatar: attori della politica mediorientale assai ambigui, cioè non dichiaratamente anti occidentali o anti israeliani ad esempio, ma di fatto sostenitori più o meno occulti di svariati movimenti terroristici islamici. A differenza di questi Paesi, l’Iran, potente Stato sciita dichiaratamente anti occidentale e anti sionista, opera invece in altro modo, sostenendo finanziariamente e militarmente Hezbollah (organizzazione paramilitare islamica sciita e antisionista libanese fondata nel 1982)

I Fratelli Musulmani e lo Stato Islamico

Pur differenziandosi sotto il profilo organizzativo e operativo da Al Qaeda (movimento paramilitare terroristico internazionale islamista fondato da Osama bin Laden nel 1988) e da Hamas (organizzazione politica e paramilitare palestinese sunnita fondata da Ahmed Yassini nel 1987) l’Isis, al pari di Hamas, è un prodotto dell’ideologia dei Fratelli Musulmani (Jamaʿat al-Iḫwān al-muslimīn), organizzazione islamista fondata al Cairo, nel 1928, da al-Hasan al-Bannā, anche se quest’ultima non afferma una stretta cogenza del jihad, avendo da tempo optato per una strategia legale o semi-legale per tentare la conquista del potere politico. Lo Stato Islamico, al contrario, segue un’interpretazione radicale, antioccidentale e antimodernista dell’islam, sostenendo di rifarsi al credo delle origini e – soprattutto in Siria e Iraq – ad una pratica assolutista, persecutoria e sanguinaria nei confronti di quegli elementi considerati allogeni o estranei alla “purezza” religiosa e iconoclasta salafita, ossia cristiani caldei, sciiti, sette sufi, yazidi, curdi e peshmerga (le forze armate curde della regione autonoma del Kurdistan iracheno). L’aspetto teoretico di maggior rilievo del salafismo di cui è imbevuto l’Isis, è, pertanto, quello di un ritorno drastico e violento alle fonti, dando avvio al contempo ad una nuova interpretazione autentica (ijtihād) dei dati coranici e della tradizione etico-giuridica (sunna). E sotto questo aspetto, possiamo dire che il movimento, dietro una veste apparentemente tradizionalista, è in realtà e paradossalmente un soggetto teso ad una sorta di “modernizzazione dell’islam”, dal momento che esso stesso non disdegna lo strumento esegetico dell’ijtihād e la tecnologia più avanzata (media, internet, canali youtube), per affrontare le nuove fattispecie giuridiche che si accompagnano ai processi di globalizzazione economico-culturale dell’era contemporanea. Altro elemento innovativo sotto il profilo propagandistico di questo movimento apparentemente “selvaggio” è l’indottrinamento e la cooptazione sistematica di elementi combattenti musulmani non soltanto mediorientali o asiatici (pakistani o filippini dell’isola di Mindanao) o africani e asiatici (egiziani, libici, algerini, nigeriani, somali, kenyoti, sudanesi), ma anche europei, cioè residenti nel Vecchio Continente, e caucasici (azeri e ceceni). Un discorso a parte bisognerebbe invece fare per uno Stato, l’Emirato talebano di Afghanistan. Qui, almeno secondo le dichiarazioni del Presidente Usa Joe Biden, lo jihadismo inteso come allocazione e diffusione di movimenti fondamentalisti, primo fra tutti Al Qaeda, risulterebbe ‘controllato’ dalle autorità talebane ansiose di ricevere in cambio un riconoscimento giuridico e soprattutto finanziamenti per affrontare l’attuale, spaventosa crisi economico-finanziaria locale.

L’Isis, come Al Qaeda, Hezbollah e Hamas, era in grado di sobillare gran parte della ‘umma’ musulmana in funzione anti occidentale.

La debolezza dell’Europa.

Riguardo all’Europa, ricordiamo che in questi ultimi anni l’Isis è riuscita nell’intento di convertire e arruolare centinaia di volontari, soprattutto belgi, britannici, francesi, olandesi e tedeschi: operazione facilitata dalla ormai palese resa culturale di un’Unione Europea sempre più laicista e politicamente nulla, al punto di rinunciare alle proprie radici greco-romane ed ebraico-cristiane in nome del multiculturalismo esasperato e di un anonimato identitario tinteggiato da una sorta di nichilismo autodistruttivo. Ed è proprio qui che sta il problema. l’Isis, come d’altra parte anche Hamas, combatte una guerra religiosa prima ancora che politica, non il contrario come sostengono alcuni analisti (l’’Isis e poi Hamas non sono mai state interessate alla questione palestinese); un tipo di conflitto che l’ormai secolarizzato Occidente forse non riesce a comprendere fino in fondo, e tutto ciò rappresenta un altro rilevante problema. La non comprensione è infatti dovuta ad una sostanziale differenza di mentalità e di linguaggio. Una diversità che dovrebbe essere meglio studiata ed elaborata prima di giungere ad iniziative di carattere bellico, talvolta necessarie e utili, ma non certo risolutive per abbattere l’estremismo islamico in generale e quello dell’Isis in particolare. Studi più accurati circa i multiformi aspetti dello jihadismo, una maggiore ma più mirata attività militare di contrasto sul campo, superiori norme di sicurezza alle nostre frontiere, contenimento dell’immigrazione dall’area mediorientale e nordafricana e, soprattutto, minore dipendenza dell’Occidente dal fattore petrolio, potrebbero rivelarsi armi risolutive. E al tempo stesso, proprio perché quella scatenata del Califfato di Abu Bakr è soprattutto una guerra di religione, anche l’agire su un piano altrettanto religioso, cioè attraverso una rivalutazione della fede cristiana – intesa come salda e coraggiosa filosofia di pace e di giustizia (il cristianesimo rappresenta per l’Isis un nemico mortale, in quanto impalcatura dell’unico Occidente civile) potrebbe coronare l’intera opera. Come ha sottolineato l’esperta di questioni islamiche, Souad Sbai: “La popolazione europea mostra il fianco, indebolendosi sempre più sotto la lenta ma inesorabile morsa del multiculturalismo criminogeno degli anni Duemila”. Una deriva che, di fatto, ha favorito l’espandersi del fenomeno della cooptazione da parte dell’Isis di soggetti culturalmente smarriti e psicologicamente fragili, da utilizzare per la realizzazione di un luciferino progetto egemonico.

Certo è che senza l’appoggio di Stati islamici inequivocabilmente favorevoli ad un logico dialogo con l’Occidente e concretamente impegnati contro ogni fenomeno di radicalismo – intenzione che fino ad oggi non si è mai manifestata chiaramente – il fenomeno Isis e Hamas non potranno mai essere sconfitti, anzi si riproporranno probabilmente in altre forme. Trattasi – lo sappiamo – di una grave, pesante assunzione di responsabilità della quale gli Stati musulmani devono farsi carico nell’immediato. Il tempo delle paure, dell’ambiguità e dell’inganno mirati a mantenere o sostenere inconfessabili posizioni di predominio economico e religioso oltranzista è ormai finito.

La presenza dell’Isis in Siria e Iraq nel tempo.
  1. Jihadismo. Jihad in arabo significa letteralmente “sforzo”. Nell’interpretazione islamica, con questa parole si vuol intendere lo sforzo e la lotta interiore da compiere per arrivare alla fede e per compiere un’operazione in grado di raggiungere una vera maturità nella fede. Oggi però, da un punto di vista mediatico, soprattutto in occidente jihad viene inteso come lotta da compiere contro gli infedeli. Per questo motivo, i gruppi terroristici islamici vengono definiti jihadisti. Dunque con jihad si vuole oggi soprattutto indicare la “guerra santa” professata e proclamata dai gruppi radicali internazionali protagonisti dell’ascesa del terrorismo islamico dagli anni ’90 in poi.
  2. Salafismo: è un movimento che vuole un ritorno ad un islam puro, scevro di modernizzazioni e simile a quello delle prime generazioni di musulmani vissuti ai tempi del profeta Mohammed (il termine «salaf» in arabo vuole dire antenati, predecessori). Il salafismo moderno traccia le sue origini nel diciannovesimo secolo, quando si cominciò a ritenere che solo ritornando alle radici e a una interpretazione letterale dell’islam il mondo musulmano potesse resistere alla pressione militare, economica e culturale esercitata dall’Occidente.
  3. Wahhabismo: movimento di riforma religiosa sviluppatosi nel secolo XVIII in Medio oriente, il quale ha preso piede soprattutto nella Penisola Arabica e nell’area del Golfo Persico. Si basa su una rigida interpretazione del Corano ed ha tra i principi quello di una riscoperta dei vari canoni originari dell’Islam. Ideologo del Wahhabismo è stato Muḥammad ibn ‘Abd al-Wahhāb, appartenente alla tribù araba dei Banu Tamim morto nel 1792. Oggi questo movimento è molto seguito soprattutto in Arabia Saudita e nell’area del Golfo Persico. All’interno del mondo musulmano sunnita, il wahhabismo è considerato uno dei fronti più rigidi e conservatori.
Hamas.

Lascia il primo commento

Lascia un commento