Napoleone Bonaparte: critiche ed elogi ieri, oggi e, forse, domani. Di Giuseppe Moscatt.

Napoleone Bonaparte ritratto in età giovanile.
  1. Il Napoleone di Carlyle: un eroe ambiguo e un perfido dittatore.

Fare un processo a Napoleone Bonaparte, a più di duecento anni dalla morte, non ci sembra inappropriato poiché i miei Maestri di storia moderna dell’Ateneo Catanese, come generale insegnamento mi diedero un metodo di analisi, studiare il più vicino storico all’evento e alla persona, in relazione alle temute derive autoritarie presenti nel momento storico attuale. Ora Thomas Carlyle,  fu il più acerrimo critico del più grande uomo dei suoi tempi, pur con qualche distinguo e una certa simpatia o rassegnazione cristiana che dir si voglia. La scelta di Carlyle su Napoleone non dipendeva solo da quanto premesso, ma anche dal confronto dell’eroe nazionale inglese che acutamente lo pose a confronto, Oliver Cromwell. Nella famosa conferenza del 22 maggio 1940, lo storico inglese rilevava la ricerca vana dei Popoli di ritrovare la loro sicurezza nelle Rivoluzioni; o nelle Costituzioni; o nel Parlamentarismo, i cui frutti alla lunga si erano risolti in mere promesse tradite dai fatti. L’unica via di un governante serio e sincero sarebbe piuttosto l’eroe, l’uomo della Provvidenza – qui  però favorito dalla Provvidenza, non certo l’uomo cui la Provvidenza ha generato qualcosa a Lui estraneo .. – e dunque il confronto con l’altro eroe, il Cromwell. Non tanto un interprete del sentimento nazionale, ma colui che lo crea, cioè coloro che guidano il Popolo, cui si deve obbedire, perché le Moltitudini  vivrebbero altrimenti alla cieca e con freddezza portano collettivamente alla fine della Nazione. E questa fu l’opera di Napoleone. “Fu uno spruzzo come di polvere da fucile largamente sparsa… una fiammata come di eriche secche .. per un’ora soltanto l’Universo intero sembrò avvolto dal fumo e dalle fiamme… poi il fuoco svanì e riapparvero fiumi e monti, stelle nell’alto sul suolo benefico…  Più tale Napoleone lo calpestava, tenendolo oppresso come un tiranno, più fiera sarebbe stata un giorno la reazione del mondo contro di lui…L’ingiustizia si ripaga da sé e con un enorme e pauroso interesse composto…” Di più: Napoleone viene tacciato di ciarlataneria, di truffatore, di ambizioni mascherate da promotore di giustizia e di eguaglianza. Carlyle lo vede cioè come un bugiardo machiavellico, dotato certamente di un istinto naturale notevolissimo che perfidamente sfruttava gli errori degli altri. In altre parole, non potendo tradire chiaramente la Rivoluzione, la cavalcò per fare carriera, la portò al punto di farla dimenticare al popolo francese e la usò come uno spaventapasseri per la borghesia e la nobiltà interna ed europea. L’odio dell’una nel decennio 1792-1802 e la paura dell’altra fino al 1815, lo tennero sempre sulla cresta dell’onda. Era l’uomo più giusto per far tornare l’ordine interno e sviluppare all’esterno la potenza militare. La Pace di Leoben del 17 aprile 1797, fu l’ultimo manifesto della Repubblica Francese; ma la vittoria di Austerlitz e la successiva pace di Tilsit del 1807, la rimisero in discussione. Nondimeno, proprio dal periodo del consolato a vita (1802-1804) la menzogna più grande: il Concordato col Papa e la successiva apparenza di ritorno alla libertà della Chiesa, fu la prova di un gigantesco castello di carta che fu l’Impero. E qui  ne sente il confronto col Cromwell: questi per Carlyle era stato molto più onesto pur avendo causato un numero di morti non indifferente e benché la Rivoluzione Inglese avesse avuto come ideale la Bibbia. Non si pretendeva la volontà di un popolo che lo acclamasse, ma Cromwell si era limitato ad essere solo un Mosè per l’Inghilterra. Non certo un Napoleone impastato di scetticismo religioso, un Deista poco convinto, con una religione “i cui rappresentanti devono rinchiudersi nella sola guida dei problemi religiosi”… Questa è utile al governo e occorre servirsene per agire sugli uomini… Principi che per Carlyle resero il Corso una piuma al vento e che anzi lo rendevano ai suo occhi un despota.

Ritratto di Bonaparte in età giovanile.

A Carlyle non mancavano del resto alcuni episodi della fulminea carriera di Napoleone che ne giustificassero questo tremendo giudizio morale e che scientemente lo aveva inquadrato fra gli eroi negativi e per fortuna transitori: bastava citare le stragi di popolo a Madrid del 2 maggio 1808 e la fucilazione del Principe Pio del 1814, durante l’occupazione della Spagna e ritratto magistralmente dal Goya. E noi aggiungiamo di supporto a questa presunta natura tartufesca di Napoleone le stragi del 13 Vendemmiaio del 5 ottobre 1795 a Parigi; le Pasque Veronesi e i fatti di Pavia del 1796 durante la campagna d’Italia; senza contare gli incendi di villaggi durante la spedizione di Russia e la morte per impiccagione degli editori tedeschi solo perché pubblicavano libelli satirici sull’Imperatore a cavallo. Insomma, per Carlyle Napoleone credeva che il popolo fosse ben altro dall’essere quella realtà che lui pensava, un mondo da possedere e da mantenere, anche scendendo a patti con le Case Regnanti che un momento prima aveva combattuto e vinto. Diremmo oggi un bipolare, un folle pari ai noti autarchi del ‘900 e a qualche Caudillo ancora oggi al governo. Un giudizio morale sprezzante che nascondeva la paura  di uno scozzese tutto banca e impresa: la politica economica di Napoleone, integrazionista e protezionista del suo Blocco Continentale, atto a limitare le politiche economiche espansive della sterlina nelle colonie e negli altri continenti, dal Mediterraneo al Baltico. Il terrore della crisi che il sistema capitalista anglosassone e la riapertura in Gran Bretagna dello spettro socialista, che l’amico Mazzini gli rappresentava ogni sera a  cena. E dunque ecco la radice delle sua critiche al Sistema Napoleonico, ben condite di spirito puritano e di livore antiparlamentare, unico fattore quest’ultimo che accettava dal Napoleone del 18 Brumaio del 1799.

  • Dall’odio di Carlyle alle simpatie del Manzoni.

Mentre Carlyle fa qualche cenno alle leggi di Napoleone, viste come un raro motivo di accettazione delle opere di quell’Eroe – ma poi si riferiva soltanto alle leggi di riforma dell’Amministrazione, a qualche opera pubblica, al centralismo di Stato unitario cui modellare la Gran Bretagna e alla politica culturale e urbanistica, che Carlyle pensava di far adottare a Londra – Alessandro Manzoni lo prese come esempio della sua Morale Cattolica, esposte in un saggio di critica storica nel 1819. Il grande Lombardo vide la necessità di dimostrare l’egemonia della natura religiosa sull’umano e quindi affiancò al Napoleone eroe e conquistatore, il Napoleone cristiano.

Thomas Carlyle.

Durante la sua gloriosa carriera fino all’esilio solitario, la fede in Dio che gli fu una agognata consolazione. La natura umana gli venne meno in costante proporzione alle sue gloriose imprese a favore della speranza nel Dio che mai negò. L’universale, il particolare, il destino e la singola azione, si fronteggiavano con rapidità impetuosa, dando l’impressione di un cavallo in corsa, di conquista in conquista. Poi la corsa cessò e pensiamo all’Eroe, finalmente muto e pensieroso, seduto sugli scogli di S. Elena, pronto a pensare il passato, con un velo di nostalgia, desideroso di capire dove aveva sbagliato, pregando finalmente il Signore a dargli la capacità di capire, di perdonare e di tornare di nuovo in auge. Non è più l’eroico furore di un Bruno, ma un filosofo della sua storia che si pone a ricercare l’evento centrale della sua vita. Ciò che lo angoscia è il ruolo del contesto, che modificò la sua particolarità di dirompente lettore del reale ed esecutore fulmineo delle cose terrene. Si pensi al genio militare: essere nel posto giusto, al momento giusto e sapere dosare le forze per balzare in avanti. Forse nei suoi ricordi specialmente nella prima campagna d’Italia – e nella successiva spedizione in Egitto – gli balenarono l’esempio di Cesare e di Alessandro, da lui metabolizzati nella prima gioventù alla scuola militare di Brienne. Le prime vittorie e la veloce marcia verso Vienna e poi le battaglie in Germania e in Polonia – Wagram ad Austerlitz – gli erano sembrati segni di quel Destino che fin da  Millesimo lo avevano favorito. Il Manzoni dice con rara precisione che ove apparve il baleno delle sue armi\ivi tenne dietro il suo fulmine, come effetto di una causalità assoluta che lo aveva favorito. Ma non riusciva a capire perché la spedizione di Russia era fallita, malgrado la conquista di Mosca; perché a Lipsia nel 1814 si era trovato all’improvviso senza uomini e generali pronti ad obbedirgli; perché a Waterloo non arrivò per tempo l’armata di Grouchy; perché non era riuscito ad invadere l’Inghilterra; come mai la Spagna gli resistette malgrado a Vitoria-Gasteiz avesse vinto. Dubbi e pentimenti del suo recente passato. Aveva fatto un Codice Civile innovativo, ma l’eguaglianza delle donne era stata dimenticata, malgrado Madame De Staël, una pettegola senza rispetto, tuonasse da Coppet ogni volta che legiferava… E quello scemo di suo amante, quel Costant, prima nemico perché aveva ristretto la libertà di stampa rinfacciandogli il caso dell’editore Lamb, fatto impiccare a Norimberga perché aveva pubblicato un libello satirico sulla riforma agraria promessa che si era bloccata dopo le proteste del Re della Baviera. Ma che nei 100 giorni gli aveva scritto una nuova Costituzione molto più liberale e democratica di quella che aveva approvato da Imperatore… Un fantasma gli appariva ogni notte: quello del Duca di Enghien, che fece giustiziare per accuse inventate da quel bastardo di Fouché durante il Consolato. Una accusa di congiura falsificata sia per la pochezza delle prove ma, anche per la presunta deroga al principio di intangibilità delle frontiere di uno Stato estero, visto che Napoleone ne ordinò l’arresto da parte di un commando della sua guardia ad Ettenheim nel Baden-Württemberg. Trascinato di fronte a un tribunale corrotto e obbediente all’Imperatore, manovrato dal  Fouché, il povero giovane venne condannato senza prove alla fucilazione. Anche molti liberali e repubblicani – lo stesso Manzoni e poi Hugo, fino a Tolstoj e Mann – deprecarono la condanna e la sua figura di liberatore venne sostituita dall’immagine di Tiranno. Del resto, Manzoni si chiedeva come mai non era rimasto buono nella splendida isoletta che gli inglesi gli avevano offerto dove passare il resto della sua vita. E qui la grandezza del poeta: la domanda del significato della sua vita, cui quei ricordi tendevano, come sarebbe stato considerato in futuro? Quei drammatici errori erano veramente prevalenti nella vita di quell’Eroe? Oppure, qualcosa di positivo avevano provocato gli stravolgimenti politici che le sue guerre avevano lasciato nella Società Europea, indubbiamente scossa dai filosofi illuministi e oramai segnati in modo indelebile dall’impetuoso volo napoleonico? Lo Spirito Assoluto che Hegel aveva visto in lui altro non era per Manzoni che un segno di Dio e della Provvidenza. Infatti questi frutti della Rivoluzione, appena cennati dal benevolo Manzoni e giocoforza segnalati dall’arcigno Carlyle, saranno il germe che rinfrescherà la pianta della libertà appena innestata da Napoleone senza che questi se ne fosse accorto.

Raffigurazione pittorica della battaglia di Austerlitz, il ‘capolavoro’ di Napoleone.
  • Napoleone il genio incompreso della modernità?

La storiografia su Napoleone – qui per ragione di spazio ridotta solo a due fra i maggiori intellettuali del secolo decimo nono, quasi contemporanei alla vita e al mito di Napoleone – oscillava fra il procedere dell’uomo in un’epoca di transizione quale fu il ventennio (1794-1815), che lo vide sul palcoscenico della Storia. La domanda finale del Manzoni, nella sua  retorica formulazione alla luce del sentimento cristiano; e il giudizio di tirannia dello storico inglese; andavano ad intrecciarsi con la storiografia marxista che nello studiare l’altro Napoleone francese, il terzo che rilesse a ritroso l’ascesa e la caduta con gli occhiali del materialismo storico. Certamente, se mancò al Burckhardt – un maestro dello storicismo di fine ‘800 – ogni riferimento alla storia interiore del Corso e dunque una interpretazione fondata sulla logica del Potere di Legislatore più o meno legato alla Rivoluzione, e al Legittimismo nella sua ultima fase; equivoca rimaneva la sua posizione sul problema sociale e ben più chiara fu la sua tesi di rinnovatore della politica europea. I liberali e le scuole laiche – ma anche i cattolici conservatori – o curarono maliziosamente i rapporti familiari, oppure le sue scelte dettate da perfidia, orgoglio e anche buona fede, anche se qualche studioso positivista si avventurò sugli aspetti militari (per es. la battaglia di Marengo); o sugli aspetti diplomatici (la pace di Lunéville), fino ai profili economici connessi al Blocco continentale. Quando però nel ‘900, assume rilievo la scuola storica della lunga durata, la polemica  sull’Uomo e sul suo lascito alle future generazioni sembrerà porre fine alle lunghe discussioni finora premesse. Proprio la scuola francese degli Annales, guidata da Marc Bloch e Fernand Braudel, fornisce un metodo di lettura della storia fisiologica rispetto alla patologia degli eventi. Facendo tesoro della considerazioni collaudate secondo cui la storia procede per salti e dunque dando rilevanza a fatti che costituiscono le cc. dd. rotture della sua evoluzione; questi studiosi hanno dato prevalenza ad episodi apparentemente sommersi dal tumultuare degli eventi e hanno sottolineato la loro permanenza anche quando apparivano superati, fino a ritrovarli sempre più evidenti nel mondo attuale. Di qui, il metodo comparativo fra un regime ed un altro, la ricerca interdisciplinare, la distinzione fra la grande storia e la storia quotidiana, nonché l’uso della statistica e della sociologia. E  in quest’ottica che va inquadrato il fenomeno Napoleone. Magistrale fu l’opera letteraria di Federico Zardi – e la conseguente trasposizione televisiva di Edmo Fenoglio – intitolata I grandi Camaleonti apparse al pubblico televisivo nell’ottobre del 1964. Erano gli anni della crescita economica italiana, dei relativi giochi politici parlamentari e della fase culminate della guerra fredda, nonché gli albori dell’Unità Europea. Inoltre la ricerca storica più recente ha scoperto molte tracce  che le sue riforme amministrative – centralismo amministrativo; educazione pubblica obbligatoria; trasporti più sicuri ed organizzati; economia nazionale interventista; concordati religiosi; tutela del patrimonio artistico – hanno avuto sulle democrazie tradizionali dei nostri giorni una presenza ineluttabile. Allo Storico quindi spetterà di ritrovare quegli istituti socio-giuridici che le Costituzioni prescrivono proprio da quell’epoca. Coloro che invece ancora insistono sulle nefandezze del Regime Napoleonico – per esempio l’essere una saccheggiatore d’opere d’arte, un assassino e stragista legato al Potere – non solo dimentica lo spirito critico dello storico legato alla dinamica dei fatti nel lungo periodo; ma ha obliato – spero in modo strumentale – che furono eventi legati a fattori temporanei e che soprattutto, il progresso della parità nei diritti civili sancita dal Codice Napoleonico, è divenuto un limite assoluto ed inderogabile stereotipo di tutte le codificazioni contemporanee. Fu Napoleone allora un genio incompreso dalla modernità? Ancora una volta risuona la domanda del Manzoni fu vera gloria? che rende immortale il protagonista della storia e un classico la poesia a lui dedicata in questo secondo centenario.

Bibliografia:

Di recente, in occasione del più volte citato bicentenario della morte, i due inserti culturali di Repubblica (1 maggio) e del Corriere dalla sera (18.4.2021) hanno riletto l’amplissima bibliografia e il significato del mito napoleonico.

Sulla nozione storico- interpretativo del lungo periodo, vd. FERNAND BRAUDEL, I tempi della  storia: economia,società, civiltà, Bari, Edizioni Dedalo, 1986.

La migliore biografia personale è di EMIL LUDWIG, Napoleone, Dall’Oglio editore, Milano, 1968.

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