Stati e social media: la nuova ‘guerra civile’. Di Marco Affatigato.

Thomas Hobbes.

Facebook, Twitter, Instagram per citare i più conosciuti fra i social networks , cercano di esercitare un «potere planetario» e sostituirsi così agli Stati, diffondendo una inquietante ideologia. Qualche mese fa ricordiamo le discussioni tra l’allora presidente degli Stati Uniti d’America , Donald Trump, e i social media facendo emergere pubblicamente uno scontro inedito, una guerra di un genere nuovo. La figura dello Stato-Leviatano, di cui Thomas Hobbes fu il teorico, si è imposta all’Europa nel corso del XVII° secolo per farla uscire dalla violenta anarchia in cui le rivalità politiche e le guerre di religione la mantenevano dal Rinascimento. Questo grande Leviatano che si chiama Repubblica o Stato é un «uomo artificiale» composto da una multitudine di uomini di un solo paese. In breve, una macchina in cui gli uomini sono gli elementi di base. In questa «macchinaé la sovranità é un anima artificiale. Un altra macchina, composta anche questa di uomini – l’insieme dei social networks – entra ormai in concorrenza con questi Stati, minando la loro legittimità a governare, a decidere. Armati della loro «buona coscienza», reincarnazione paradossale e meccanica della bell’anima di un tempo, questi social networks si pongono al di sopra degli Stati. Vogliono la vera sovranità, sostituendosi a quella già enunciata da Hobbes – l’anima digitale del mondo. A più di quattro secoli dalla sua nascita, lo «stato moderno», il Leviatano, vede di fronte a sé un avversario inatteso, pronto a sostituirlo, un Leviatano di altro genere con un potere nuovo. E’ l’inizio di una nuova Era? Trascendenza, interiorità e vita privata. «Dio é il garante delle verità eterne» ci diceva Descartes. Niente si oppone affinché si interpreti il «garante» anche come il «guardiano». Ma Dio é ugualmente, secondo Sant’Agostino, il garante della vita privata. Da Garante diventa anche guardiano o Custode. Il garante e il custode di questa parte d’umanità che sfugge a Cesare. Quella che permette a Soljenitsyne di «resistere», malgrado la sete distruttiva di Cesare. Una società orfana di Dio avrà molte più difficoltà a proteggere «interiorità», la «vita privata». La più ufficialmente atea fra tutte le «società umane», la Cina, é quella che nel nostro secolo ha meno scrupoli politici nel disprezzare «interiorità» (fede) e la «vita privata». Nella pratica dei social networks, la violazione della ‘interiorità» e della «vita privata» significa; giudicare, condannare e linciare pubblicamente, senza alcuna procedura giuridica né argomentazione e contro-argomentazione razionale. Sorveglianza digitale. Non è lo Stato che vi sorveglia – ricordando l’incubo orwelliano descritto in «1984» -, è il sistema tecnologico digitale , l’algoritmo. In molti paesi occidentali, lo Stato ha concesso ai GAFAM la sorveglianza e la denuncia di ciò che viene ritenuto «immorale» da criteri planetari del momento e decisi da un «gruppo di persone». Al contrario, i sistemi dispotici di vecchio stile, quelli in cui le vestige del totalitarismo sono ancora attive, temono questi dispositivi e apparecchi come una minaccia per la loro distruzione. Sentono il «mondo digitale» come una concorrenza. Per loro, queste tecnologie sono il pericolo della dissoluzione della società, il pericolo della disobbedienza generalizzata, dell’anarchia, della guerra civile. Leviatani della vecchia scuola, questi Stati comprendono che la domotica é una delle armi utilizzate dal nuovo Leviatano, il nascente Leviatano, il mondo digitale, per spedirli nella pattumiera della storia, quella che i vincitori creano. Facebook, Twitter e tutti gli altri social networks fautori della é comunicazione senza dialogo». La comunicazione senza dialogo firmata dai social networks , la limitazione della «piazza» lasciata ai messaggi e commenti visa a impedire il dialogo come anche a prevenire il ritorno a ciò che è stato bandito: l’incontro. Sui social networks non ci si incontra, si crede di incontrarci. Si «incrociano» dei nomi, spesso degli pseudonimi, dei profili, spesso degli «avatars» e delle fotografie (a volte false). Gli umani si muovono come delle «palline egocentriche» il cui unico legame sociale si riassume nella/alla «comunicazione informatica». Una nuova forma di comunicazione s’impone attraverso questi mezzi: comunicare per comunicare, una comunicazione senza l’incontro senza il dialogo. Una comunicazione senza posta in gioco, senza scopo. Ogni social network è un universo a se, rinchiuso in se, sufficiente per se stesso, che annulla fagocitandoli gli «scopi» dell’esistenza reale. La vita prima dei social network , quando gli uomini e donne comunicavano tra loro, vi era il senso della vita. La comunicazione verbale e scritta con l’incontro fisico possedeva tutto lo spessore dell’esistenza. L’esistenza la «gonfiava» della sua linfa, ricevendo così il suo significato. Il «senso» ne figurava lo «scopo». I network , invece, promuovono una comunicazione vuota di sensi. Verso la sostituzione della «opinione pubblica» La distruzione della «opinione pubblica» da parte dei social networks, per sostituirsi ad essa, é planetaria. La «opinione pubblica» é politica nella misura in cui si materializza nelle «mediazioni»: comunità di pensiero, riviste, «media» degni di questo appellativo, associazioni, sindacati, partiti politici. La «opinione pubblica» non è mai tale in sé; non si mostra pubblicamente che con il «mezzo» di una istanza intermediaria tra il popolo e il potere esecutivo. Essa, la «opinione pubblica» , si unisce provvisoriamente con la «volontà generale» il giorno dello scrutinio elettorale. E’ necessario vedere, un po’ ovunque negli «Stati democratici», la diminuzione alla partecipazione al voto elettorale come una conseguenza della sostituzione della «opinione pubblica» dai social networks. Più i social crescono nel loro potere , più la «opinione pubblica» si affievolirà fino a sparire e più gli elettori s’allontaneranno dallo strumento del «voto elettorale». La «opinione pubblica» si incarna, quindi, nelle mediazioni dei «corpi intermediari», delle istituzioni ma i partecipanti ai social network essendo individualisti e egocentrici fuggono qualsiasi mediazione. Quando la violenza si virtualizza. I social network liberano l’energia che lo Stato-Leviatano, nelle sue diverse forme storiche, tratteneva: la violenza. La proliferazione della violenza , dell’odio nei social , che spesso da violenza virtuale sfocia in violenza fisica nel mondo reale, esprime due fenomeni. Il primo: l’indebolimento generale del legame politico, la cui ragione originale di essere si rapporta alla confisca della violenza sociale, in altre parole alla «armonia interiore». Gli Stati non hanno fatto attenzione a questa «guerra civile generalizzata» che, impossibile all’interno dello «stato Leviatano» , si sposta verso l’universo del virtuale, questo «parallelo» immateriale del mondo effettivo, per rinascerci una volta che quest’ultimo si sarà costituito in «reti». Sono proprio i recenti avvenimenti, come la diffusione del jihaddismo in scala mondiale o le campagne di denigrazione politiche, ideologiche, il wokkismo illustrano questo spostamento come questa rinascita. Il secondo: l’inizio di una guerra dell’insieme «reti sociali-GAFAM-universo digitale» contro la forma-Stato, e contro degli Stati, in vista della riorganizzazione della vita collettiva dell’umanità sotto il loro patrocinio. Nell’ottica di questo insieme, il ritorno all’ante politica prepara il salto nel post politico (la rivoluzione antropologica dell’utopia transumanista, la pianetizzazione del «l’uomo digitale»). I misfatti del pedagogismo. L’uguaglianza non si può costruire che su una «tabula rasa». Le reti sociali vanno ancora più lontano: esse presuppongono che la «tabula rasa» si ricostituisce ogni mattina, ogni volta che una persona si collega su un social. La violenza delle «reti sociali» é stata minuziosamente preparata per distruggere la Scuola in nome del «progressismo» e attraverso i mezzi delle «nuove pedagogie» o il «pedagogismo». Il messaggio sublimale di queste pedagogie ostili alla sublimità della conoscenza, indirizzata agli studenti, si concentra in uno slogan: voi siete uguali al professore, la vostra opinione vale quanto la sua. L’obbligazione di umiliarsi innanzi agli studenti é ordinata al professore. I social networks si sostituiscono alle «classi» e i manovratori delle reti sociali ai pedagoghi. E’ così che l’odio e la violenza che si dispiega e sviluppa sulle reti sociali si imparano nelle scuole e si diffondono nelle strade. Una nuova scuola espressa nelle reti sociali con nuovi pedagoghi ispirati da un certo tipo di sociologia che porta il marchio di un odio che non osa dire il suo vero nome: odio verso la Cultura, odio verso la Lingua identitaria, odio verso l’Eccellenza (la meritocrazia), odio verso la Storia, in breve odio verso tutto ciò che differenzia gli umani. Odio verso tutto ciò che potrebbe elevare individualmente. Il volto disumanizzato. Il volto è un richiamo etico. Ora i social networks, prima di tutto, rimuovono dai volti le sue dimensioni principali: l’essere e il richiamo etico. In questo impoverimento, in questa desertificazione del volto, risiede la condizione di possibilità stessa della «rete sociale». Lo stesso impoverimento possiede la «carta d’identità»: digitalizzazione. L’immagine idealizzata – digitalizzata – del volto libera dall’obbligazione etica che il faccia a faccia carnale impone spontaneamente. Ciò che il «pensiero» deve rimproverare alla guerra quanto ai social networks si racchiude in questa breve diagnosi: l’una e gli altri riducono il volto in una «forma», riduzione e conversione che lo svuotano della sua carica etica, dell’obbligazione inquantificabile che abbiamo verso noi stessi, verso di lui. E qui ritroviamo Freud: questa conversione rompe il sottile strato di cultura che tiene imprigionate nei sotterranei della nostra personalità le bestie feroci che vi albergano. I lupi, le bestie feroci (senza dubbio i leoni), le vipere – Hobbes, Freud, Mauriac – i social networks : le vipere dalle lingue velenose lasciate in libertà nello spazio digitale. L’avvento del «pastoralismo politico». Nulla è meno insignificante di quanto è accaduto all’uomo, sul pianeta, in quasi tutti i Paesi, in tutti i continenti, durante l’anno 2020, durante la campagna sul virus Covid.-19. E’ in questo periodo – vero terremoto antropologico – che si è confermata l’organizzazione umana che l’universo digitale preparava da molto tempo prima. Le decisioni prese dai governi per «parcheggiare» i loro amministrati, cosi’ ci hanno detto, per proteggere i più vulnerabili tra loro, giocarono il ruolo di acceleratore del «programma di digitalizzazione dell’esistenza umana». Per parlare un linguaggio comune al Platone di «Politica» e al Peter Sloterdijk delle «Regole per il parco umano», i governi hanno usato l’uomo come un gregge, che misero in un recinto e che custodirono nei pascoli. Questo ritorno al «pastoralismo politico» cortocircuita le concezioni moderne del rapporto tra governanti e governati, in modo particolare quelle che provengono dall’Era Lumière. Se c’è un «pastore», il popolo non è più il soggetto politico. La morte dell’uomo. Durante la campagna sul virus Covid-19 sono morti, mondialmente, milioni di individui, molto spesso anziani e colpiti d’altre patologie già biologicamente mortali. Questa «campagna» ha però accelerato la «morte dell’uomo». Essa, attraverso le tecnologie che sono state imposte approfittandosi del momento, ha ucciso altro che le persone in carne e ossa, ha assassinato l’uomo dell’umanismo. Essa ha assassinato una forma culturale. Una forma di civilizzazione. L’obbligo di distanza che è venuta ad imporsi é il segno esteriore della morte di questa forma culturale dell’uomo, imponendoci un cambiamentoantropologico, trasformando ognuno di noi in «uomo numerico» (Homo numericus) , in «uomo digitale», in «uomo trasparente», in uomo di cui le macchine sanno tutto, in uomo senza il suo giardino segreto, in «uomo connesso», in uomo che non può più essere uomo che attraverso la «connessione internet».

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