Quando ‘antirazzismo’ è sinonimo di ‘progetto di distruzione del sistema sociale’. Di Marco Affatigato.

Fine anni Sessanta. In America si manifesta contro il razzismo.

Una nuova visione del Mondo si sviluppa, riempita di paradossi e di «annullamento» delle differenze. Una cosa è a me chiara: l’antirazzismo produce ciò che pretende combattere. È davvero una follia, guidata dall’ideologia che si è impossessata degli attivisti desiderosi di trasformare un mondo che produce essenzialmente «classi» di vittime. Gli storici studiosi delle idee, i politologhi, i sociologhi e i direttori dei centri studi della ricerca analizzano questo nuovo antirazzismo che sta generando una nuova «guerra culturale». Affrontano concetti di parte, come il «razzismo sistemico» o «razzismo istituzionale», e ci dovrebbero portare a riflettere sulle differenze tra «antirazzismo universalista» e «antirazzismo basato sull’identità».E’ un neo-razzismo che dovremmo provare ad analizzare. Per me si tratta di mostrare che la parola «razzismo» può intendersi in più modi e sensi; poi vorrei mostrare che la nozione di «razzismo» é complesso ed ha é complesso e nello stesso tempo confuso, soprattutto poiché é stata fabbricata e strumentalizzata da diverse migliaia di antirazzisti; infine, di chiedere di metter fine all’utilizzo di questo termine come etichetta polemica applicabile a qualsiasi avversario politico. Una prima distinzione è tra «razzismo classico», biologico e inegualitario, che concepisce la specie umana come un insieme di «razze» naturali, e il «neo-razzismo», differenzialista e culturale, che non biologizza le differenze e non postula una disuguaglianza tra i gruppi umani. Il razzismo biologico-inegualitario é incentrato sull’affermazione e il mantenimento di una «superiorità razziale» che si attribuiscono i dominanti, quando il neo-razzismo implica il «culto delle identità» particolari e della loro purezza, che si tratta di preservare incondizionatamente. Ciò che caratterizza il neo-razzismo é l’annullamento delle differenze e il suo postulato dell’inassimibilità dei gruppi differenti. Come l’antirazzismo dominante erige in norme di legge la differenza. Quando invece il «razzismo classico» é fondato sulla dominazione e lo sfruttamento dei gruppi giudicati inferiori per natura, il neo-razzismo é un modo di legittimazione di una «politica di separazione» tra i gruppi, definiti come delle «entità storico-culturali» o delle «comunità» da rispettare assolutamente. Ma questa visione neo-razzista di una «società multicommunitarista» raggiunge quella di certi gruppi antirazzisti. Una seconda distinzione, é tra il razzismo di tipo «universalista» fondata su un «diniego di identità» e il razzismo di tipo «differenzialista» fondato su un «diniego di umanità comune». Preciso. Il razzismo derivante dall’universalismo astratto non riconosce la «dignità specifica» di tale o tal altro gruppo, e esso si riconosce dal suo rifiuto assoluto del «diritto alla differenza», ha la sua negazione della diversità umana come valore. E’ quindi «eterofobo». Quando invece il razzismo derivante dalla «visione differenzialista radicale» consiste nel sacralizzare o annullare le differenze, fenotipiche o culturali, tra i gruppi umani. Potrebbe essere detto «eterofilo» in ragione del suo amore dichiarato per le differenze. E’ questo l’apparente paradosso: il razzismo può essere sia «eterofobo» sia «eterofilo». Così da poter confondere i militanti antirazzisti in cerca di idee semplici, o sempliciste. Ma c’è anche abbastanza per farli panicare, poiché l’antirazzismo può essere eterofilo, praticando la «apertura all’altro», come eterofobo, comprendendo l’universalismo, in un modo rigido, come implicando un dovere di somiglianza, se non di uniformità. Quindi, analizzare il razzismo senza pregiudizi ideologici porta a considerare l’antirazzismo come un problema. Del resto l’antirazzismo «gnostico» ha sostituito la «gnosi marxista». Voglio però precisare subito, per evitare di essere mal interpretato, che definisco «gnosi» un sapere che salva. Il postulato di «razziabilità», applicato a tutti i gruppi umani e a tutti i comportamenti sociali, fa emergere una «visione rivoluzionaria» del mondo che definisco come post-marxista e neo-antirazzista. Siamo in presenza di un manicheismo sommario tradotto in linguaggio pseudo sociologo: dopo che è stato composto da «dominanti e dominati», da «sfruttatori e sfruttati», da «colonizzatori e colonizzati», il genere umano é ormai popolato da «razzanti e razzati», da «razzisti e vittime del razzismo». Questi termini opposti fanno parte di un lessico specializzato nell’accusare e nel denunciare. Sono , pero’, prima di tutto dei termini polemici ripresi senza un esame critico da numerosi sociologhi, politici e storici di sinistra. Ciò che distingue l’opposizione «razzanti/razzati» nella loro utilizzazione ideologiche in riferimento alle «nazioni occidentali» giudicate «razziste», é che i «cattivi» sono supposti essere «maggioritarie («i Bianchi indigeni») e le loro vittime minoritarie (gli immigrati, i «non Bianchi» , i musulmani, ecc.). Il contrasto é evidente con le opposizioni che strutturavano il «pensiero rivoluzionario» all’epoca del marxismo: i dominanti e gli sfruttatori erano stigmatizzati come gruppo di minoranza (un pugno di sfruttatori) e le loro vittime celebrate come gruppo maggioritario (le grandi masse). Con la banalizzazione dell’opposizione « razzanti/razzati», i «buoni» (i razzati) sono diventati il gruppo di minoranza e i «cattivi» (i razzanti) maggioritari, ansiosi di imporre le loro norme, le loro leggi e di difendere lo «statu quo», vale a dire l’ordine social-razziale di cui profittano (il «privilegio bianco»). La cultura vittimista nella quale si é integrato l’antirazzismo sentimentale e miserabilista presuppone il «culto della minoranza», del marginale, dello «altro» – figure che prendono il posto di «povero» e dello «escluso». Nella vulgata antirazzista così come si é costituita dagli anni 1980, il razzismo é definito come «razzalizzazione» della differenza o di certi tratti della differenza. Il processus di «razzalizzazione» consiste nell’essenzializzare e assolutizzare la differenza tra «loro e noi», sulla base di una proiezione di rappresentazione razziale su tale o tal altro materiale simbolico o processus sociale. Nella «letteratura» riguardante questo tema, la parola «razzalizzazione» funziona molto spesso come un «termine magico» che esprime una evidenza tale che nessuno ha bisogno di definir se non in modo vago. Tra l’altro é spesso impiegato come sinonimo o quasi sinonimo di «razzializzazione» o, ancora, per indicare una varietà della «razzializzazione». In numerose «letture», le espressioni «razzializzazione della religione» e «razzializzazione del religioso» funzionano come espressioni equivalenti. Gli studi accademici si moltiplicano sulla «razzializzazione dell’islam» o «dei musulmani» nei paesi occidentali accusati di essere sistematicamente «islamofobi». Da circa vent’anni l’estrema sinistra si dichiara «post coloniale», «decoloniale» o «indigenista» e professa ciò che chiama un «antirazzismo politico» che si oppone allo «antirazzismo morale» delle associazioni tradizionali come allo «antirazzismo di Stato», che denuncia ritualmente il «razzismo sistematico», come se il concetto fosse perfettamente definito e il fenomeno così chiamato fosse un fatto scientificamente stabilito. Niente di tutto questo invece. Il «razzismo istituzionale», prima versione del «razzismo sistematico», é apparso come una ipotesi esplicativa, formulata con una intenzione militante in un contesto particolare: gli Stati Uniti d’America della fine degli anni 1960, da due rivoluzionari oggi definiti «afro-americani», uno dei quali diverrà uno dei leaders del movimento «Black Panthers», Stokely Carmichael. Per questi due intellettuali impegnati si trattava, in un epoca in cui la «questione nera» lacerava il paese, di caratterizzare il razzismo anti-Nero tale che ne facevano allora l’esperienza nella «società statunitense». Essi distinguevano il «razzismo istituzionale» dal «razzismo individuale», postulando che la società statunitense era strutturata dal «razzismo bianco», che i Bianchi ne avessero coscienza oppure no e che professino delle opinioni razziste oppure no. Importare in Europa questo modello polemico del razzismo fabbricato negli USA degli anni 1960 per analizzare la «società europea» e , per quanto mi concerne, la «società italiana» di oggi rileva di una pura operazione di propaganda, dovuta a delle «sette» antirazziste che vogliono accusare i paesi europei di essere paesi intrinsecamente razzisti, dove le «discriminazioni sistematiche» se possono ritrovare e vedere ad ogni angolo delle strade. Il postulato neo-antirazzista, ripreso dai «wokistes», é che le vittime delle discriminazioni razziste appartenenti sempre a dei gruppi minoritari. I «non-Bianchi» sono ontologicamente minoritari quanto possono essere empiricamente maggioritari. Ecco perché i «Bianchi», supposti essere maggioritari nelle democrazie occidentali, non possono essere dei «razzializzati». L’espressione «razzismo anti-Bianchi» é rigettata come una «contradictio in adjecto». Da ciò il rifiuto di considerare come vittima di razzismo un «Bianco» trattato da «sporco Bianco!» e aggredito in quanto tale da una persona di colore. Ma se ciò accade a un «non Bianco», ontologicamente minoritario e «razzializzato»: qualsiasi osservazione ch’egli percepisce come una «offesa verbale» essa é subitamente denunciata come prova indubitabile di razzismo. E’ la logica delle accuse «wokistes». Questa é la conclusione pratica di una serie di definizioni ideologiche dogmatiche dichiarate. Come le nozioni pseudo-erudite di «razzismo sistematico», di «razzializzazione» e «razzizzazione», rischiano di allargare senza limiti definibili il campo del razzismo. Cos’è quindi che non è nè «razzializzabile» né «razziabile»? Ecco una riflessione che mi permette di definire i due dogmi fondamentali dell’antirazzismo degli intellettuali impegnati: tutto é una «costruzione sociale», «razza» compresa, e tutto é «razzializzabile» o «razziabile». Si può dire che la razza e il razzismo sono ovunque così che l’ultimo «catechismo antirazzista» si fonde nell’esporre una nuova visione panrazzialista il cui principale effetto é quello di conflittualizzare la società europea. E questa visione é autodistruttrice. Cosa è possibile fare, reagire contro un tale fatalismo razziale? C’è solo una soluzione: la ridefinizione rivoluzionaria dell’antirazzismo come progetto di distruzione totale del sistema sociale europeo.

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