Erasmo da Rotterdam. Contestualizzare o assolutizzare? Le recenti notizie su un tema coinvolgente per gli storici, legate ad una serie di conferenze dell’Opera nazionale scozzese su Puccini, riaprono la questione della “Cancel Culture”: orientamento critico che vuole riscrivere la Storia e i personaggi che l’hanno fatta. Di Giuseppe Moscatt.

Erasmo da Rotterdam.

Più che di “Cancel Culture” si dovrebbe parlare di “Cultura del Boicottaggio”, forma molto utilizzata nella politica attuale ma anche per quanto riguarda la storia e i personaggi che l’hanno segnata a vario titolo. Una moderna forma di ostracismo, nata intorno al 2017 nell’ambiente delle comunità Twitter e che inizialmente significava “cessare ogni forma di supporto per una persona o una iniziativa o un’organizzazione”. Di conseguenza la definizione si è estesa a tutti quegli ambiti di revisionismo e iconoclastia che chiedono la rimozione di monumenti, riconoscimenti e toponomastica e, in generale, all’azione del politically correct.

Nel 2020 il noto linguista e attivista Noam Chomsky ha riconosciuto l’esistenza della cultura della cancellazione, ovviamente contrapponendo la propria visione della storia. Anche in questo senso in Italia il termine “Cancel Culture” è utilizzato per lo più come recipiente in cui sono cadute iconoclastia, censura preventiva, polemiche, e altro ancora, fino al puro revisionismo storico in sé. La denuncia della cultura della cancellazione viene contrastata da chi giudica il termine stesso come sproporzionato all’effettiva portata dei fenomeni analizzati, ma è difficile credere in casi effettivi di cancellazione di opere, né censure di artisti, intellettuali, autori, che possano essere oggettivamente attribuiti a una presunta “cultura” o fenomeno univoco e riconoscibile come tale.

Spesso viene detto che la cultura della cancellazione si manifesterebbe verso opere d’ingegno del passato, come libri e film, portatrici di valori talvolta offensivi, togliendoli dal contesto in cui sono stati ambientati o scritti, oppure verso personaggi famosi (tra cui William Shakespeare, Winston Churchill, Andrew Jackson), e anche il celebre filologo e padre del Cristianesimo post-medievale, che anche il Concilio Vaticano II ha preso a modello, umanista e riconosciuto precursore dell’unità europea, Erasmo da Rotterdam (1466-1536).

Alla prima domanda sulla reale contestazione opposta a tali illustrissimi meriti da un folta letteratura di storici ebrei americani, non per caso nota negli ultimi anni ’90 e ribadita oggi dalla “Cancel Culture”; si innesta una seconda questione, se cioè l’antisemitismo di Erasmo – e a ruota quello di Lutero – siano non solo veramente provati ma anche se la conoscenza storica e la relativa metodologia d’indagine adottata da tali ricercatori, non nasconda falsi e tendenziosi obiettivi, nonché abbia abbandonato la conclamata tecnica dalla concatenazione dei fatti storici fra loro, vale a dire secondo un ragionevole ordine temporale, nel loro movimento dinamico e con i protagonista giudicati dai loro contemporanei. Dove la loro umana soggettività interagisce col materiale prodotto dalle fonti del loro tempo, non evitando di amplificare i loro naturali difetti e di cancellare o sminuire la portata della loro assolutezza. Vedremo ora dalla sua biografia se le ragioni delle loro revisioni possano essere veramente giustificate sino alle arroganti operazioni di demolizioni di statue, di lapidi in memoria di personaggi storici del recente passato.

Una biografia particolare

Quando il personaggio cui la recente “cultura della cancellazione” riguarda un colosso del pensiero e della storia quale Erasmo da Rotterdam, non basta la mera analisi delle fonti documentali che lo vedono protagonista, ma occorre affidarsi alla bravura critica di chi ne ha fatto la biografia, verificando se quelle riletture critiche siano bilanciate da un senso oggettivo spesso assente, tali da dimostrare in poche battute l’assoluta grandezza dello stesso, pure nel quadro di una cornice storica volta a giustificare, o almeno a comprendere, la sua posizione autonoma di fronte alla bufera che lo investiva. La “tormenta” fu la Riforma Protestante, il vento che lo scosse fu Lutero, il povero albero sbattuto la Chiesa Cristiana d’occidente e il ramoscello impavido che resse il fiume impetuoso che allagò i campi fu il nostro Erasmo. Il biografo fu Stefan Zweig, un austriaco di egregia scrittura, idoneo a sintetizzare, in meno di 300 pagine, vita e opere del più grande filologo della storia moderna. La semplice lettura dei titoli degli undici paragrafi del suo libretto del 1935 – a sua volta richiamante la più organica storia della sua vita, che costituisce un caposaldo della storia moderna del 1924, fatta da Johannes Huizinga – scolpisce il drammatico suo esistere, quasi un’ampolla di vetro tra i vasi di coccio, come sentenziò il nostro Manzoni. Infatti , nel primo capitolo, Zweig lo classifica subito come mediatore di pace fra Lutero e Leone X, fra la più fanatica eruzione psicotica e nazionalistica della storia e il rappresentante più arrogante della classe

dirigente ecclesiastica e politica dell’epoca – i primi anni del’500 – dove al duro ideale rivoluzionario del sentire religioso – “nulla concedo” – si opponeva la decadenza morale del Potere temporale e dunque la lasciva compiacenza di una classe dirigente ecclesiastica e laica, laddove l’elemento capitalista e politico prevaleva perfino all’interno della Chiesa Romana, età che il biografo con acutezza riprende nel secondo capitolo. Quell’età fra il ‘400 e il ‘500 vide la nascita degli stati nazionali e si aprirono i mari e le terre d’occidente. Erasmo ebbe una giovinezza oscura da figlio illegittimo di un prete non autorizzato a sposarsi; lo studio matto e disperato fra il 1475 e il 1489 – era nato a Rotterdam nel 1467 circa – la passione per il canto, la frequenza nei seminari agostiniani e la prima operetta in forma di lettura – ne scrisse a migliaia di ogni genere fino alla morte nel 1536 – “la lettera sul disprezzo del mondo” – che era già tutto un programma, di vita e di fede. “Essere nel modo, ma non essere del mondo”, potrebbe essere il suo motto. E quando un oscuro suo studente nei nel 1515 cercò di intervistarlo per comprendere il suo messaggio, non riuscendo a parlargli, ma dopo una fatica immane nel seguirlo, finalmente ne individuò i connotati e un suo assistente – un uomo oscuro quanto brillante era il maestro – gli disse con arguzia degna del personaggio, che “Erasmo era un uomo per sé” , fuori da ogni partito, fuori da ogni disputa, uomo del dubbio, uomo della mediazione, uomo di intelletto fine, pacifista, magari di seconda fila, non in senso negativo, ma di attesa, di studio complesso, mai certo, che provava, verificava, ritornava e ripeteva all’infinito i risultati acquisiti. Era anche un viaggiatore senza confini: Parigi, Londra, Livorno, Roma, Basilea, Venezia, Torino, Friburgo di Brisgovia, infine ancora Basilea, dove muore, ormai vecchio e quasi dimenticato, il 12 luglio del 1536. Principi e Re, letterati, Papi e Nobili, borghesi e perfino contadini; ne sentirono la voce per decenni fra il 1500 – quando uscì la sua prima grande opera morale, “Gli Adagi” dedicata al lord protettore Mountjoy – e il 1536, quando apparve una sua traduzione commentata dell’eretico Origine del secondo secolo D.C., le cui posizioni influenzeranno, non senza l’abile mediazione di Erasmo, Hans Urs von Balthasar, uno dei massimi teologi cattolici del ‘900. Si può dire che Erasmo abbia suggestionato e indirizzato tutta la teologia progressista alle virtù teologali opportunamente riprese dalla Contro Riforma Cattolica: la Fede liberamente perseguita, la Speranza di un mondo nuovo, la carità dall’amore verso gli altri. Soprattutto va ricordata “L’elogio della follia”, sua massima opera teologica, dove la “follia della Croce” evangelica si convertiva nella pace, nella mitezza, nell’ecumenico sentimento di fratellanza, insomma nell’umanesimo evangelico francescano, frutto del dialogo aperto con le altre religioni mediterranee. Un rinnovato francescanesimo in salsa nordeuropea, con la ricerca della Pace perpetua al primo posto, condita da una rinnovata filologia greca e latina che si allineava a Lorenzo Valla e a Johannes Reuchlin, il biblista più autorevole del ‘400.

Erasmo, l’assoluto

Ma nella sua costante professione di intellettuale “per tutte le stagioni”- tanto per citare la qualifica del suo grande amico Tommaso Moro che diede titolo a un grande film degli anni ’60 di Fred Zinnemann – rare furono le volte in cui parteggiò, contraddicendo il suo stile di vita. Ci riferiamo alla notoria disputa con Lutero, quando su invito di Leone X scrisse il saggio “De libero arbitrio” cui rispose Lutero focosamente nel “De servo arbitrio”. Vicenda complessa che qui non è il caso di approfondire per limiti di spazio. Piuttosto in una seconda vicenda, assistiamo a quel presunto infortunio di Erasmo che ha dato il destro a quella schiera di storici ebrei americani di cui dicemmo all’inizio. Fu il

c.d. “affare Reuchlin”, dove il presunto antisemitismo di Erasmo si intrecciò con quello di Lutero ben più evidente. In particolare, uno dei maestri di Erasmo, Johan Reuchlin, un filologo esperto di lingua ebraica, venne attaccato da un collega ebreo convertito – tale Pfefferkorn – per aver osato respingere come assurda ed esagerata la pretesa del convertito di bruciare tutti i libri ebraici, ostacoli per la invocata sradicazione di quella comunità. A dire di molti teologici conservatori tedeschi dell’epoca, i giudei erano usurai, falsi invocatori dei sovrani cristiani, obbedienti di fatto al Talmud e alla Kabbalah! Era il primo passo per la cacciata degli Ebrei dall’impero di Carlo V sul modello di quella del 1492 in Spagna. Poiché il maggiore studioso di ebraismo era il vecchio Reuchlin, si aspettava una sua parola di consenso e la mattanza libraria si sarebbe aperta nelle università tedesche. Reuchlin, come ogni buon esegeta legato alla pace e alla collaborazione con le “fedi del Libro” – i pochi islamici e i numerosi ebrei in terre germaniche – tergiversava, mentre i professori cristiani di Colonia rumoreggiavano, condotti dalla Santa Inquisizione che esigeva l’adozione della soluzione spagnola. Nel 1514 – dopo 5 anni di rinvii – Reuchelin prese le parti delle Comunità ebraiche dinanzi all’Imperatore e ai legati pontifici, prospettando il grave rischio teologico e sociale del rogo di quei libri. Era il frutto di un grande fermento intellettuale che aveva origine nelle università renane: il comune senso antisemita era stato però disatteso dal Maestro umanista. Ne seguì che la causa venne spostata da Colonia a Roma e poi venne del tutto respinta, anche a seguito della leale difesa di Erasmo, che in varie lettere ad amici si pose a sostegno di Reuchelin. Proprio qui, l’infortunio che si disse. In alcune lettere Erasmo affermava, nel culmine della collera di “vedere il brav’uomo Joahnnes criticato in modo oltraggioso, su menzogne di un ebreo convertito, un grande accusatore, senza prove, quasi una spia, un falso cristiano, un traditore. Io sono favorevole a sanzionare gli ebrei doppiogiochisti, che mi sembrano simili alla peste per la loro pericolosità alla vita delle comunità cristiane” (lettera a Reuchelin del 5-6-1516; lettera a Pirckheime, 2-11-1517; lettera a Johannes Caesarius del 3-11-1517). E poi le “Lettere di uomini oscuri” del 1516, dove in modo satirico apparvero molte frasi antisemitiche del tempo, affidate alla cerchia degli amici di Reuchelin, che beffeggiavano molti teologi di Colonia per la loro fede antisemita. E le satire sembravano arieggiare quelle di Erasmo pubblicate nella raccolta dei “Colloqui”, del 1516, sui vizi degli ecclesiastici romani, interpretati dai protestanti come vizi degli ebrei convertiti al Protestantesimo. Una confusione di ruoli e di persone che non fece bene a Reuchelin e all’amico Erasmo, mentre favorì il cavaliere von Hutten, all’epoca uno dei maggiori alleati di Lutero. In ogni caso, il costante rifiuto di Erasmo a schierarsi o con Lutero o con la Chiesa Romana, lo estraniò dalle dispute intellettuali e teologiche, anche se la sua teoria fu profetica sul fatto che la pace in Europa ormai era gravemente minacciata. Quanto all’antisemitismo or ora segnalato, non era però un suo valore assoluto e che mai più si ripeté. Fu piuttosto la difesa dell’amico e maestro Reuchlin, e la malevola operazione di von Hutten ne era stata la causa, tanto da farlo allontanare dall’università di Lovanio verso Basilea. Qui passò la vecchiaia osservando con sgomento come venisse nel 1527 oltraggiata Roma (il c.d. “Sacco” da parte degli spagnoli); le varie diete di Spira che diedero luogo ufficialmente alla Protesta (25 aprile 1529); come l’amico latinista Louis de Berqin venisse bruciato a Parigi nello stesso anno; le varie guerre fra Carlo V e Francesco I; la battaglia di Appella am Albis, 1531, dove il suo maggior antagonista Zwingli veniva assassinato; e via discutendo. Senza contare come l’amico del cuore Tommaso Moro venisse decapitato per aver disobbedito ai

“diktat” di Enrico VIII ormai decisamente rivolto all’autonomia separatista con la Chiese Anglicana. Eppure, un lampo di genio imperiale, di quel giovane Carlo che qualche anno prima aveva conosciuto, illuminò Erasmo: fra guerre e roghi che insanguinavano l’Europa, la necessità di un incontro di pace fra le varie fazioni si faceva strada. Un discepolo dell’amico Reuchlin, il luterano Melantone, sembrava pronto a trovare la mediazione sull’Eucaristia e sulla Predestinazione, i temi più caldi, opportunamente messi da parte pur di trovare un accordo sulla formula organizzativa del nuovo Papato. “noi benediciamo l’autorità del Pontefice Romano e tutta la devozione della Chiesa, perché il Papa non ci ripudi”. E mentre Erasmo, fuggito ancora una volta a Friburgo per non essere vittima dalle persecuzioni di teologi di Basilea che non accettavano la sua tolleranza religiosa, segno del suo sostanziale rifiuto dell’antisemitismo; Papa Clemente VII sembrava pronto ad aderire al progetto unitario di Melantone, “La confessione di Augusta”. Unica condizione, l’assenso favorevole indubitabile di Erasmo che però rinunziò in modo netto e forse troppo precipitato, riaffermando la sua neutralità intellettuale, ma compromettendo la debole intesa quasi raggiunta. Chiuso nel suo studio di Basilea a coordinare ancora una volta il testo del Nuovo Testamento, moriva non prima di aver rifiutato il cappello cardinalizio offerto dal nuovo Papa Paolo III, che convocherà la pietra tombale della Riforma Protestante, il Concilio di Trento del 1545, inaugurando la c.d. “Contro-Riforma Cattolica”. Come si può aderire allora alla “cancel culture” di un personaggio di tale portata? Come si può accettare anche un’ombra di antisemitismo di questo assoluto dominatore dell’intelletto che fu Erasmo da Rotterdam, signore della pace, dalla moderazione, del dubbio scientifico, della lotta al fanatismo religioso? Contestualizzare non significa non estendere valori presenti nel passato, quando tali valori abbiano carattere assoluto in tutti i tempi. Tale assolutezza ieri, oggi e domani rendono lo storico un testimone della profezia di un gigante del pensiero, ma non lo autorizzano né a giustificare, né a cancellare episodi che ogni uomo può vivere nelle difficoltà della vita quotidiana.

Bibliografia:

1. Per il contesto storico quale fonte primaria dalla conoscenza storica, vd.. ADORNO, GREGORY,

VERRA, Manuale di storia dalla filosofia vol.3, Roma-Bari, Laterza, 1996, pagg. 82-83.

2. Sulla biografia della vita e dalle opere di Erasmo, vd. più di recente, ROLAND BAINTON, Erasmo

della Cristianità, Sansoni, Firenze, 1960.

3. In merito all’influenza del pensiero di Erasmo sul Concilio Vaticano II, vd. Erasmo, il Vaticano II e

Francesco, “su settimana news” online, 18-4-2019.

4. Per la letteratura critica su Erasmo in senso antisemita, vd. LĖON POLIAKOV, Storia

dell’antisemitismo, dalle origini dal Cristianesimo all’Europa dal ‘500. ultima edizione, BUR storia, 2012.

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