L’Alaska: ultima frontiera degli USA. Di Gino Salvi

Dalla Russia zarista alla Federazione americana. Dalla pesca al petrolio, la storia della meno conosciuta stella degli USA.

L’Alaska compirà 60 anni: nel 2019, cadrà infatti il 60° anniversario del suo ingresso ufficiale negli Stati Uniti, proclamato dal presidente Dwight Eisenhower (1890 – 1969). E, come tutto ciò che riguarda l’Alaska, anche la sua storia è particolare. Infatti, secondo gli storici, i primi abitanti dell’Alaska giunsero dall’Asia nel Nord America fra 15.000 e 30.000 anni fa, nel corso di un’era glaciale che fece abbassare il livello del mare e creò una lingua di terra lunga 900 miglia (1440 km) che collegava la Siberia all’Alaska. La prima importante invasione dall’Asia attraverso tale lingua di terra fu messa in atto dai tlingit e dagli haida, che si stabilirono nel Southeast e nella British Columbia, e dagli atabaschi, una tribù nomade che si insediò nell’Interior. Gli altri due gruppi principali erano gli inupiat, che scelsero la costa settentrionale dell’Alaska e del Canada (dove sono noti come inuit), e gli yupik, che si stabilirono invece nell’Alaska sud-occidentale. Il più piccolo gruppo di nativi a giungere nell’area fu quello degli aleuti, che occupò le Aleutian Islands. Si ritiene che gli inupiat, gli yupik e gli aleuti siano migrati nel continente americano circa 3000 anni fa; quando arrivarono gli europei, dunque, tali popolazioni si erano ormai stabilmente insediate. Nonostante l’asperità dell’ambiente, le popolazioni indigene prosperano fino all’arrivo degli outsiders (stranieri, non nativi), soprattutto dei cacciatori di pellicce e dei balenieri, che portarono con sé armi da fuoco, alcolici e malattie distruggendo il delicato rapporto dei nativi con la natura e annientando così intere comunità. Un tempo circa 20.000 aleuti vivevano nelle Aleutian Islands: in soli 50 anni i russi li ridussero a meno di 2000 anime. I balenieri che giunsero nei villaggi inupiat nella metà del XIX secolo furono altrettanto micidiali: vi introdussero infatti il consumo di alcol, che alterò lo stile di vita di intere comunità con effetti devastanti. Poiché l’Oceano Pacifico settentrionale è freddo e tempestoso, l’Alaska fu uno degli ultimi luoghi al mondo di cui gli europei tracciarono la toponomastica. A causa di ciò, gli esploratori di diversi paesi tentarono di avanzare pretese sul territorio e sulle sue risorse con la costruzione di fortezze. La prima traccia scritta della scoperta di questo paese fu lasciata da Vitus Bering (1681 – 1741), un navigatore danese che era alle dipendenze dello zar russo. Nel 1728 le esplorazioni di Bering dimostrarono che l’America el’Asia erano due continenti separati. Tredici anni più tardi, al comando della St Peter, il navigatore gettò le ancore vicino a Cordova, diventando il primo europeo a mettere piede in Alaska. I cacciatori di pellicce russi si affrettarono a invadere le Aleutian Islands e altrettanto rapidamente fondarono insediamenti a Unalaska e a Kodiak Island. Non più tardi del 1790 la Russia aveva organizzato la Compagnia russa d’America per regolare il commercio delle pellicce e sedare i violenti dissidi tra i cacciatori. Quando le riserve di caccia nelle Aleutians Islands si esaurirono, Aleksandr Baranov (1747 – 1819), che dirigeva la Compagnia russa d’America, trasferì la sua sede da Kodiak a Sitka, nel Southeast, facendone la città che sarebbe poi stata soprannominata ‘la Parigi americana in Alaska’. Baranov controllava (alcuni direbbero dominava) ormai un impero immensamente redditizio che si estendeva dalla Bristol Bay alla California settentrionale. Intorno al 1860 i russi si resero conto che il controllo dell’Alaska stava diventando problematico; si trovavano infatti a dover gestire un territorio eccessivamente esteso. E, quando gli Stati Uniti emersero dalla guerra di secessione con tutte le carte in regola per diventare una grande potenza mondiale, William H. Seward(1801- 1872) segretario di stato del presidente Andrew Johnson (1808 – 1875) firmò con la Russia, nel 1867, un trattato per l’acquisto di un territorio le cui risorse avrebbero permesso alla Confederazione di ammortizzare molto in fretta 7,2 milioni sborsati – meno di 2 l’acro (0,40 ettari). AI Senato, la battaglia per ratifìcare il trattato durò sei mesi prima che l’acquisto fosse infine approvato. Il 18 ottobre 1867, a Sitka, ebbe luogo il formale passaggio dell’Alaska agli Stati Uniti. L’Alaska rimase un territorio disorganizzato e in preda all’anarchia per i successivi 20 anni, con l’esercito americano a pattugliarne la costa e la marina a sorvegliarne le acque. Le sue ricchezze nascoste furono scoperte a poco a poco: prima le balene, poi i fenomenali banchi di salmoni, che nel 1878 diedero impulso alla costruzione delle prime industrie conserviere a Klawock, su Prince ofWales Island; ma era solo !’inizio. Infatti, poco dopo, l’Alaska salì alla ribalta della scena mondiale grazie alla scoperta dell’oro. L’oro fu scoperto nel Gastineau Channel negli anni ’80 del 1800; città come Juneau e Douglas sorsero da un giorno all’altro e Cirde City, nell’Interior, fu fondata nel 1893 quando si scoprì l’oro nel Birch Creek. Tre anni più tardi nella regione del Klondike, nello Yukon canadese, prese l’avvio una delle più leggendarie corse all’ oro della storia. Migliaia di persone lasciarono il lavoro e vendettero le loro case per finanziarsi un viaggio a Skagway, una città sorta quasi improvvisamente nel Southeast dell’Alaska. Anche se durò solo dal 1896 ai primi anni del 1900, la precipitosa corsa all’oro nel Klondike fu l’epoca più vivace dell’Alaska e fece per sempre guadagnare allo stato la reputazione di ‘ultima frontiera’ del paese. A tre anni di distanza dalla scoperta dell’oro la popolazione dell’Alaska era raddoppiata, tanto da raggiungere quota 63.592 abitanti di cui oltre 30.000 nati altrove. E fu l’oro a decidere le sorti dell’Alaska, facendo propendere per la scelta di Juneau come capitale a scapito di Sitka, priva di giacimenti. Nel giugno del 1942, solo sei mesi dopo l’attacco di Pearl Harbor, i giapponesi aprirono la campagna delle Aleutian Islands bombardando Dutch Harbor per due giorni e poi conquistando le isole di Attu e Kiska. Oltre a quella di Guam, fu l’unica invasione straniera del suolo americano nel corso della seconda guerra mondiale ed è spesso soprannominata ‘la guerra dimenticata’. La battaglia per riconquistare Attu Island fu particolarmente cruenta. Dopo 19 giorni di combattimenti e dopo aver fatto sbarcare sull’isola oltre 15.000 soldati, l’esercito statunitense riprese possesso di quel pezzetto di terra spoglia, ma non senza ingenti perdite umane: rimasero feriti 3929 soldati, di cui 549 morirono in seguito alle ferite riportate. Nel 1942, in seguito all’attacco giapponese delle Aleutian Islands, il Congresso americano fu colto dal panico e si affrettò ad apprestare contro misure per proteggere il resto dell’Alaska. Ad Anchorage, Fairbanks, Sitka e Whittier furono installate basi dell’esercito e dell’aviazione, e in tutta l’Alaska fu distaccato un cospicuo contingente militare. Il fulcro di questo intervento militare fu la costruzione della famosa Alcan (chiamata anche Alaska Hwy); la strada fu infatti opera dell’esercito, ma ne beneficiarono anche gli stessi abitanti dell’Alaska, poiché migliorò la mobilità dell’intero paese e rese possibile l’utilizzo delle sue risorse naturali. Nel 1968 la compagnia petrolifera Atlantic Richfield scoprì imponenti giacimenti di petrolio sotto la Prudhoe Bay, nel Mare Glaciale Artico. Combinazione, nel 1973, il valore del petrolio raddoppiò, dopo che fu dichiarato l’embargo all’oro nero arabo. Dal 1980 al 1986, lo stato dell’Alaska, popolato da solo mezzo milione di abitanti, generò entrate per 26 miliardi di dollari. Nel 2006, Sarah Palin (nata l’11 febbraio del 1964), ex sindaco di Wasilla, una cittadina a nord di Anchorage, si candidò a governatrice dello stato l’Alaska. Nel corso del suo mandato Sarah Palin si è adoperata, insieme ai suoi parlamentari, per far approvare una legge volta a incrementare le tasse sui profitti delle compagnie petrolifere a favore della popolazione locale. Perciò, la sfida maggiore per l’Alaska del XXI secolo sarà riuscire a convincere !’intera nazione e, ancor più, Washington, della liceità del suo diritto a sostentarsi con un’economia basata sull’utilizzo delle risorse naturali delle grandi aree selvagge del paese.

Bibliografia

Storia degli Stati Uniti, Maldwyn A. Jones, Bompiani, Milano, 1992.

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