Il Messico: dalla grande depressione all’impegno militare a fianco degli Alleati. Di Marco Fermani

Manifesto di propaganda messicano durante la seconda guerra mondiale

Rispetto alla partecipazione brasiliana sulla linea Gotica nel 1944-45 meno nota è l’ancor più simbolica, ma patriotticamente significativa, impegno di Città del Messico sul fronte del Pacifico.

L’America latina tra le due guerre e le specificità messicane.

Sebbene non coinvolta direttamente dalla Grande Guerra, anche l’America latina subì pesantemente dapprima l’effetto della caduta degli scambi commerciali, poi la grave crisi europea che ne seguì. Sul piano economico essa scosse, per la caduta dell’esportazione delle sue materie prime e degli investimenti, il modello quarantennale definito come primario-esportatore: materie prime e semilavorati in cambio di prodotti di largo consumo e industriali ad alto livello tecnologico.

Il crollo delle entrate fu affrontato dapprima con tagli alla spesa e il blocco degli investimenti, ma portò rapidamente al nazionalismo economico e al protezionismo, tentando di costituire una media industria di sostituzione. Nel frattempo, progressivamente, gli USA si sostituirono come investitori al primato relativo che ancora gli europei vi avevano ricoperto. Infine l’immigrazione fu, di fatto, bloccata.

La crescente sindacalizzazione, l’inurbamento (ma non in Messico, rimasto rurale fino alla fine della seconda guerra mondiale per l’80%), l’accentuarsi del contrasto tra campagne e città, il passaggio inevitabile da un sistema oligarchico alla democrazia di massa, misero in crisi i ceti dirigenti.

Politicamente la sinistra marxista e anarchica restò piccola e settaria, mentre più successo conobbero il radicalismo e un certo spiritualismo “modernista”. La cultura tendeva a cercare ora, per l’ingresso delle masse nella scena pubblica, una sorta di “religione laica sostitutiva” nella politica, con una catena di sindacati e associazioni culturali di complemento di modello analogo a quanto avveniva sul Vecchio Continente; del progresso, non più indefinito, si vedevano ora anche i costi sociali, in termini d’inflazione e disoccupazione.

La caduta dei modelli prebellici portava a recuperare un mito nazionalista di coesione interclassista, minacciata dalle ideologie straniere, a ritrovare lo spirito comunitario contro l’individualismo e a opporre l’unità cattolica alla lotta di classe marxista; come in larga parte del mondo iberico furono, infatti, anni di reazione antipositivista e di notevole revival del cattolicesimo, in tutte le sue manifestazioni.

In Messico, dove la caduta della dittatura di Porfirio Diaz e degli “cientificos” aveva preceduto la crisi generale ed in cui le convulsioni sanguinarie erano state motivo di timore per gli altri Paesi, dove il cattolicesimo era stato marginalizzato dalla rivoluzione, poi represso durante la Cristiada, infine tenuto pur sempre sotto controllo, il connubio di nazionalismo e socialismo aveva anche tratti comuni all’area.

Obiettivi di ogni populismo1 (da G.Vargas e Peron da una parte, al Perù radicale a cavallo degli anni ’40-’50, al primo castrismo e infine a Chavez dall’altra, con una vasta gamma di sfumature ideologiche intermedie e realizzazioni parziali) furono in sintesi i seguenti: la ricerca di un’ampia base popolare, l’integrazione sociale sulla base della ridistribuzione della ricchezza, sostenere l’industrializzazione e allargare il mercato interno anche con lo statalismo interventista e la convergenza tra gli interessi dei ceti produttivi e di quelli dei lavoratori, una concezione “unitaria” del popolo come comunità coesa (non società d’individui), una forte idea della sovranità e dell’identità.

La critica alla democrazia rappresentativa, accanto ad una netta caratterizzazione antimperialista, antioligarchica e spesso anticomunista, portava il populismo a prefigurare un leader carismatico, che dialogasse direttamente con il popolo, senza mediazioni, e a un tendenziale antipluralismo, anche quando non giunse al partito unico.

Mentre il governo forte (“maximato”) di Plutarco Elias Calles degli anni ’20 può, nel suo nazionalismo rivoluzionario, definirsi come una sorta di “giacobinismo” (priorità alla battaglia anticlericale e inquadramento delle masse nella rivoluzione), gli anni del successore Lazaro Cardenas, che egli aveva creduto un suo delfino ossequiente, videro una virata verso il populismo, sebbene ben diverso dal contemporaneo Estado Novo di Vargas in Brasile.

Egli operò, infatti, applicando due punti disattesi della costituzione del 1917. una riforma agraria estesa, che inquadrava nella comunità del cosiddetto “ejido”, i contadini più poveri, e la nazionalizzazione nel 1938 del sottosuolo, fondando la Petroleos Mexicanos, dopo che i forti contrasti con gli americani e la Standard Oil gli permisero di strumentalizzare i sindacati, sostenuti segretamente contro i proprietari.

Tuttavia, sebbene accogliesse gli esuli repubblicani spagnoli e desse qualche aiuto ai “rojos”, fu più un nazionalista volto a riassorbire i conflitti, attraverso principi semicorporativi, che un socialista. D’altra parte non era neanche di “destra” in un’accezione comune.

Autoritario e se non altro precursore del cosiddetto “populismo classico” degli anni ’40-’50, indicò nel 1940 un successore anche più moderato di lui e soprattutto meno ostile al cattolicesimo.

Il Messico in guerra.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale in Europa si risolse in America latina in una serie di dichiarazioni di neutralità; solo Cile, Argentina e Brasile avevano del resto forze armate di un certo rilievo e, sebbene avessero qualche simpatia per l’Asse anche per i numerosi cittadini di origine italo-tedesca, tutti i paesi latinoamericani erano molto legati alle esportazioni verso Gran Bretagna ed USA.

Lo stimolo al nazionalismo, di cui si è parlato in precedenza, non poteva, infatti, a lungo resistere alle sirene di un panamericanismo a guida nordamericana, che aveva per scopo la costituzione di un sistema integrato di economie fornitrici delle materie prime necessarie al poderoso sforzo, industriale prima ancora che militare, in vista dell’intervento a fianco di Londra. Il senso della rooseveltiana politica del cosiddetto Buon Vicinato, che voleva limitare al minimo gli interventi diretti dei primi trent’anni del secolo nell’area, aveva avuto anche quest’aspetto fin da prima della guerra.

La stretta neutralità iniziale del Messico, che non aveva Marina (salvo qualche guardiacoste) e una limitata Aeronautica (pochi vecchi apparecchi e pochi piloti), era anche motivata da un esercito privo di una tradizione che non fosse quella di garante dell’ordine o milizia in lotte civili, e che ancora nel 1940 era inteso soprattutto come pilastro dell’educazione civica alla causa della rivoluzione.

Tuttavia la difesa dei traffici navali minacciati, accanto alle pressioni USA dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941, doveva cambiare gli orientamenti; l’affondamento di due petroliere messicane, ad opera di sommergibili tedeschi il 28 maggio 1942, indusse il presidente Manuel Avila Camacho alla dichiarazione di guerra all’Asse del 3 giugno successivo.

Nel primo anno di guerra l’impegno si risolse in azioni di pattugliamento aereo delle coste del Pacifico e dei Caraibi, ma la dichiarazione della Carta delle Nazioni Unite indusse Roosevelt a coinvolgere, almeno simbolicamente, messicani e brasiliani nella causa alleata con un impegno più diretto. Dopo l’incontro col presidente Camacho dell’aprile 1943 un primo contingente di sette piloti messicani fu inviato a San Diego per addestrarsi. Di lì a poco l’Esquadron 201, di circa 300 tecnici e 32 piloti, fu costituito col nome di Aquile Azteche e posto ai comandi del colonnello Cardenas Rodriguez.

Il reparto, come da accordi con gli americani e votato dal senato a fine dicembre, sarebbe stato destinato al fronte delle Filippine. L’accurata pianificazione americana impose tuttavia, passato in rassegna dal presidente Camacho il 16 luglio 1944, che l’addestramento effettivo avesse inizio in Texas solo poco dopo.

Fu perciò iniziato il 24 luglio sui velivoli At-6 Texan e sul vecchio caccia P40 Kittyhawk, mentre in contemporanea a New York i motoristi si applicavano sul propulsore da 2500 cv del cacciabombardiere P47 Thunderbolt, scelto come aereo di reparto, mentre gli americani stavano passando al P51 Mustang. Esso contemplò anche il volo acrobatico e in notturna, con esercitazioni di tiro al suolo e in volo. Due messicani restarono vittime d’incidenti in questa fase.

Imbarcato a San Francisco e giunto a Manila il 30 aprile 1945, quando la guerra era già nella sua fase conclusiva, l’Esquadron aveva il tricolore sullo stabilizzatore verticale e le ali e un comandante tattico messicano, ma era inquadrato nell’USAAF come parte del 58° Fighter Group del 5° Air Force. Invece le regole d’ingaggio in combattimento e il codice militare per il personale restarono messicani.

Basati a 13 km da Clark Field, gli aerei dovevano fornire appoggio aereo tattico alle truppe USA avanzanti a nord di Luzon contro la 14° armata nipponica del generale Yamashita (ancora 60mila uomini, ma in sostanza senza forze aeree).

I P-47 volarono dal 7 maggio in formazione organica su quattro Escuadrillas, a fianco del 310°Squadron USAAF, ma solo dieci giorni dopo fu considerato terminato l’addestramento finale operativo sotto tutela USA.

Dal 4 al 6 giugno eseguirono sedici missioni, dal 7 al 25 altre trentuno, con turni massacranti e 461 bombe sganciate; dal 25 giugno al 30 luglio altre novantadue missioni precedettero il cambio di obiettivo: condurre attacchi contro le guarnigioni di Formosa (Taiwan). Il resto del Group invece fu destinato ad avere ragione della resistenza a Okinawa.

Imbarcatosi a Manila il 23 ottobre e giunto in California il 13 novembre, l’Esquadron Aquile Azteche fu al centro di una parata a Città del Messico il 20 novembre successivo, durante la quale i partecipanti (un pilota era morto in scontro aereo, quattro per il tiro della contraerea giapponese) ricevettero, unici nella storia del loro paese, una medaglia al valore per azioni di guerra.

Ancora oggi in quei giorni si rinnovano le celebrazioni di quegli uomini ed eventi e un’opera monumentale celebrativa fu eretta per accogliere le spoglie dei caduti e dei reduci. Oggetto di un film già nell’immediato dopoguerra, l’impegno con gli Alleati diventò, infatti, momento di coesione senza riserve delle diverse parti politiche o religiose del Paese, sebbene nell’economia della storia abbia avuto parte più che altro simbolica.

1 Strumentali e fuorvianti le recenti attualizzazioni dispregiative del concetto di populismo in un contesto in gran parte non comparabile, come sa la migliore letteratura storica latinoamericana e delle dottrine politiche. Del resto il termine fu coniato curiosamente dai marxisti, operando un paragone con il movimento socialista russo rivale, a base rurale, del secondo Ottocento. A legare i due fenomeni era in realtà solo il giudizio politico di considerarli uno sviamento delle masse dalla lotta di classe. Curioso è perciò che sia riusato con leggerezza da intellettuali, giornalisti e politici liberal, il che forse ne tradisce le origini ideologiche e ha soprattutto il torto di cogliere solo alcuni aspetti dell’esperienza populista.

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