L’uomo che non volle farsi Zar. Di Cristina Bardella.

Un documento da riscoprire: le Memorie del principe Youssoupoff.

A quasi un secolo dalla Rivoluzione Russa, le opere sul tema o su personaggi a vario titolo strettamente correlati al tema sono innumerevoli. Tuttavia, importanti testimonianze dirette non vengono riedite da decenni. Un esempio probante è costituito dalle Memorie del principe Felix Youssupoff, un testo di interesse notevolissimo ed affascinante di per sé, ma contenente – irrimediabile colpa! – considerazioni oggi ritenute politicamente scorrette; e non ci riferiamo, come si potrebbe credere, ad una difesa d’ufficio del mondo zarista operata da colui che è passato alla storia come l’uccisore di Rasputin. Tuttavia, se l’intera verità sugli avvenimenti accaduti nella notte fra il 29 ed il 30 dicembre 1916 nell’annesso del palazzo della Moika, la residenza del principe a San Pietroburgo (all’epoca Pietrogrado), probabilmente non si conoscerà mai, attribuire a Youssoupoff la morte violenta del famigerato staretz rappresenta ormai – come vedremo – un’opzione superata. Ricondurre peraltro la figura di Youssoupoff esclusivamente alla fine di Rasputin sarebbe riduttivo, essendo il principe stesso, oltre che testimone eccezionale di un’epoca e della sua fine, un personaggio degno di un romanzo; e le sue scintillanti eppure umanissime Memorie, divise in “prima” e “dopo” l’esilio, sono una fonte di notizie rilevanti in ogni loro capitolo. Il capostipite degli Youssoupoff discendeva dal profeta Alì, il nipote di Maometto, e diede origine ad una stirpe di principi; uno di essi, Termess, si stabilì oltre il Mar Caspio occupando enormi territori tra il Don e gli Urali. Nel XIV secolo il suo pronipote Edigue Manguite combatté al fianco di Tamerlano per poi fondare la Krimskaia-Orda o Khanat di Crimea; nel Cinquecento Youssouf, Khan della Nogaiskaia-Orda, era riconosciuto come sovrano dall’alleato Ivan il Terribile. La figlia di Youssouf e regina dei Kaza, Soumbeca, si ribellò allo stesso zar ma fu fatta prigioniera dopo un assedio di otto giorni; per commemorare l’impresa venne eretta a Mosca la cattedrale di San Basilio dalle otto cupole. Nel Seicento il pronipote di Youssouf si convertì al credo cristiano ortodosso e ricevette il titolo ed il nome di principe Youssoupoff; suo figlio fu consigliere di Pietro il Grande, costituì la flotta russa ed ebbe in dono dallo zar Pietro II il palazzo di Mosca fatto costruire da Ivan il Terribile nel 1551, nato come residenza di caccia e collegato al Kremlino da un complesso labirinto di corridoi sotterranei, dove lavori di restauro operati alla fine del XIX secolo rivelarono numerosi scheletri incatenati ai muri. Nella seconda metà dell’Ottocento la stirpe degli Youssoupoff era sul punto di estinguersi. L’ultima esponente, Zenaide, sposò il conte Soumarokoff-Elston ed i due figli nati dal matrimonio, Nicola (1883) e Felix (1887), adottarono su ukase di Alessandro III nome e titoli materni; il primo morì nel 1908 in un duello causato da un amore male ispirato ed il secondo divenne l’unico erede della maggiore fortuna dell’Impero, un immenso patrimonio comprendente fabbriche e terre disseminate in tutta la Russia e collegate dal treno privato della famiglia: citiamo solo una proprietà nel Caucaso dal terreno imbevuto di petrolio estesa su duecento chilometri, ed un’altra nella regione del Koursk divisa in dipartimenti con stabilimenti, officine (vetrerie, falegnamerie, manifatture edili e tessili, raffinerie di zucchero, produzioni alimentari) ed allevamenti. Pagine avvincenti sono riservate alle residenze ed ai tesori d’arte in esse contenuti: oltre ai palazzi di Mosca e San Pietroburgo, le due tenute in Crimea, Koreiz e Kokoz, e la celeberrima Arkhangelskoye distante venti chilometri da Mosca. Una brillante descrizione di quest’ultima dimora paragonata a Versailles – dove su richiesta della famiglia imperiale gli Youssoupoff ospitavano esponenti di case regnanti, e che poi Trotskij si attribuì come buen retiro – viene resa dalle altrettanto brillanti memorie del primo amore di Felix: Maria di Romania (“Missy”), la bella ed intelligente figlia di Alfredo di Edimburgo e di Maria di Russia, sorella dalla parimenti incantevole Victoria Melita (“Ducky”) che divorziò da Ernesto Luigi d’Assia, fratello della zarina Alessandra, per unirsi al futuro capo di casa Romanov in esilio, Kyrill. La posizione unica degli Youssoupoff per nome, censo, cultura vasta e non convenzionale, come pure la frequentazione di statisti esteri, permetteva loro una prospettiva ed una capacità critica sconosciute ad altri componenti della classe egemone russa del tempo; non interessati a cariche o prebende, Zenaide prima e Felix poi erano liberi di esprimere giudizi, assumere posizioni “non gradite” e non riverire alcuni membri della famiglia imperiale, vedi le due granduchesse (sorelle della nostra regina Elena) che avevano presentato intenzionalmente alla zarina Alessandra una serie di funesti “guaritori”, ultimo dei quali Rasputin. Felix delinea con cognizione di causa le divisioni e le alleanze tra i Romanov, ognuno con una filiera di protetti destinati, spesso senza competenza né capacità, a ministeri, alti comandi militari, ambasciate, cariche religiose; gli Youssoupoff, amando visceralmente la Russia, vedevano con sgomento e rabbia lo zar Nicola seguire consigli catastrofici sin dalla sua incoronazione nel 1896 e la zarina imporre la propria volontà negli affari di Stato, pur “non avendo alcuna idea della situazione politica e sociale”. La consapevolezza dunque non difettava agli Youssoupoff, che si fecero portavoce del profondo malessere degli strati non solo elevati della società russa riguardo all’onnipotenza di Rasputin, parlando con franchezza alla zarina di corruzione, di spionaggio, delle creature dello staretz nei posti chiave del governo, delle forze armate, del Santo Sinodo: parole vane per la sovrana chiusa nella sua religiosità malata ed ossessiva, che rispose bandendo la famiglia dalla Corte. Dopo avere compiuto gli studi ad Oxford, nel 1914 Felix sposò la principessa Irina, figlia della sorella dello zar Xenia e del granduca Alessandro Mikhailovitch, superando l’opposizione di Alessandra e quella di non pochi Romanov con l’aiuto decisivo della nonna di Irina, l’intelligente e volitiva zarina madre Maria, e della granduchessa Elisabetta (“Ella”) che aveva preso il velo in seguito all’uccisione del marito in un attentato, e che divideva il suo tempo tra ospedali ed ospizi in assistenza fattiva dopo aver donato i suoi beni ai più indigenti (ciò non le avrebbe impedito, nel 1918, di essere gettata ancora viva nel pozzo di una miniera dopo essere stata maciullata con il calcio di fucili; i resti di lei e dei suoi compagni di sventura furono ritrovati e riconosciuti dai Bianchi. Santa e Martire della Chiesa ortodossa, Elisabetta riposa in Santa Maria Maddalena a Gerusalemme).

L’ostilità di gran parte della famiglia imperiale era motivata dalla “vita scandalosa” – l’espressione è dello stesso memorialista – del fidanzato, ovvero dalla propensione di questi ad abbigliarsi in fogge femminili, causata dall’ostinazione della madre nel vestirlo da bambina fino alla pubertà. In realtà Felix si travestiva pure da mendicante, chiedendo l’elemosina fuori dei ritrovi eleganti a persone di società che non lo riconoscevano e lo scacciavano; non un divertimento insolito, ma il desiderio di conoscenza di un’altra faccia della realtà sociale. Dal matrimonio, rivelatosi solido anche nelle traversie dell’esilio, nacque nel 1915 una figlia, chiamata Irina come la madre. Intanto la Russia era entrata in guerra, ed alle disfatte belliche si sommavano enormi problemi interni ad ogni livello sociale: lo zar era al fronte, la zarina era reggente dell’impero e di conseguenza Rasputin aveva accesso ad informazioni vitali, subito fatte pervenire in Germania tramite la Svezia neutrale e filo-tedesca. All’attività assai remunerata di spionaggio, lo staretz univa quella di reclutatore di agenti: abbiamo la testimonianza diretta di Felix (speculare a quella dell’ambasciatore francese a Pietrogrado, Paléologue), sul quale il santone esercitò, invano, ogni genere di pressione. Si comprende allora quanto lo staretz fosse funesto per la Russia e per gli alleati dell’Intesa. Ufficialmente – così come si legge nelle Memorie – la decisione di eliminare Rasputin fu presa dal granduca Dimitri Pavlovitch, dallo stesso Youssoupoff, dall’ufficiale e grande invalido Soukhotine e dal deputato Purichkevitch: un esponente della famiglia imperiale, uno dell’aristocrazia, uno delle forze armate ed un membro della Duma. Il principe accenna al nome di Oswald Rayner, ufficiale inglese presente a Pietrogrado, già suo compagno di studi ad Oxford e sin qui inspiegabilmente “al corrente dell’iniziativa”. In realtà Rayner è la chiave di lettura per la verità sull’uccisione di Rasputin: Felix non menziona i servizi militari britannici, ma il recente e definitivo saggio di Andrew Cook (“Uccidere Rasputin”, Settimo Sigillo, 2013) indica letteralmente la “pistola fumante”: la pallottola fatale, non rivestita e “sparata in fronte a distanza ravvicinata”, proveniva da una Webley 455, unicamente in dotazione a (determinati) ufficiali inglesi del tempo: come Rayner. Youssoupoff si autoaccusò dell’omicidio perché il piano prevedeva futuri assetti dinastici quali l’abdicazione dello zar e dello zarevic Alessio, la reclusione in convento della zarina e, verosimilmente, l’ascesa al trono del venticinquenne Dimitri, l’unico Romanov ad essere gradito nel Paese e presso gli Alleati; e che doveva essere scevro da ogni sospetto di omicidio per il significato religioso insito nella sovranità. Dettaglio essenziale: le versioni a base di festini e mutilazioni assortite vennero diffuse nel 1928 con precisi intenti di “intossicazione” dal foglio scandalistico in lingua russa Dnj, pubblicato a Parigi da Kerenskj dietro lo pseudonimo di Aaron Kirbis: né il primo né l’ultimo tessuto menzognero e strumentale scritto prima, durante e dopo la fine dello zarismo (vedi, ad esempio, “Behind the Veil at the Russian Court” apparso a Londra nel 1913 a firma di un misterioso “Count Vassili”, in realtà la principessa Catherine Radziwill, fautrice del ramo dei Romanov più vicino al trono dopo Nicola e lo zarevic: quello del citato Kyrill). Felix sfuggì all’arresto voluto dalla zarina e poi ad “azioni” della Okhrana perché protetto dai servizi d’ordine organizzati dai suoi operai e contadini, mentre Dimitri (più tardi amante ed ispiratore di Coco Chanel) si salvò dalla furia vendicativa degli accoliti di Rasputin nell’ospedale anglo-russo – non un caso –, nascosto dalla capo-infermiera lady Sybil Grey, autorevole membro dell’establishment britannico. Intanto la Rivoluzione era alle porte ed a Youssoupoff venivano tributate ovazioni nelle città e nelle campagne, ragione per cui, all’indomani dell’abdicazione di Nicola II, prima il presidente della Duma Rodzianko (“Mosca ti vuole Imperatore!”), poi il granduca Nicola Mikhailovitch con l’ammiraglio Koltchak gli offrirono il trono. “La Russia non può rimanere senza sovrano e la dinastia dei Romanov è screditata” furono le parole del granduca, che per vincere il legittimismo dell’interpellato continuò: “Il potere in Russia non è ereditario, né elettivo: è usurpatorio.”. Il principe rifiutò per lealtà verso i Romanov. Rodzianko di lì a poco avrebbe avuto un ruolo fondamentale sebbene discusso a posteriori; Koltchak sarebbe stato con Wrangel la figura di punta della guerra civile (disperiamo di vedere il film russo del 2008 a lui dedicato); il granduca Nicola morì col suo gatto in braccio lanciando battute di spirito al plotone di esecuzione. Il 13 aprile 1919, da Yalta, Felix lasciò per sempre la Russia con la famiglia, i genitori, la zarina madre ed una folla di compatrioti, a bordo della corazzata Marlborough messa a disposizione da Giorgio V; portava con sé qualche gioiello e due Rembrandt che gli sarebbero stati sottratti con l’inganno da un mercante d’arte americano. I genitori e la piccola Irina si stabilirono a Roma, ospiti di Marie-Rose Radziwill (“Bichette”) nel villino di questa in Via Boncompagni. Residente prima a Londra e poi a Parigi, nel 1940 a Felix venne ancora proposto il trono russo da parte di un emissario di Hitler; e declinò l’offerta per la seconda volta. L’amore per la Russia, prima e dopo l‘esilio, e la nostalgia lancinante per la patria perduta sono i sentimenti dominanti di questo splendido libro, datato 1953, che termina così: “Rivedrò mai la Russia? Non è proibito sperare. Giunto ad un età in cui non si può contare più sul futuro, mi accade ancora di immaginare un tempo che forse non vedrò – il tempo che si chiamerà: dopo l’esilio.” Il 14 novembre 2014, a Parigi, sono andate all’asta ben 1300 lettere autografe – quasi tutte inedite – di Felix ed Irina: patrimonio inestimabile, forse anche per riscrivere tanta storia con testimonianze di primo piano e prima mano, che non vogliamo credere disperso per sempre. Il principe morì nel 1967, ultimo del suo nome; Irina si è spenta nel 1970. La loro figlia, sposatasi nel 1938 con il conte Nicola Cheremeteff nella chiesa russa di Roma (e residente in Via Pietro Raimondi, e non nell’inesistente Via Ramundi come da note di polizia italiana del tempo), ha avuto a sua volta un’unica figlia, Xenia Sfiri-Cheremeteff – anch’essa madre di una sola figlia, Tatiana –, appassionata ed indefettibile custode della memoria; nata a Roma nel 1942, è divenuta nel 2000 cittadina russa per ukase di Putin.

N.B. Si è voluta mantenere di proposito la grafia francese del nome Jusupov poiché con tale grafia che l’Autore delle Memorie ha firmato l’opera. Le citazioni tratte dall’opera medesima sono state tradotte dall’Autore dell’articolo.

Bibliografia:

– Prince Félix Youssoupoff, Mémoires, V&O éditions, 1990.

– Andrew Cook, Uccidere Rasputin, Settimo Sigillo, 2013.

– Andrew Cook, Ace of Spies: The True Story of Sidney Reilly, Tempus, 2004.

– Maria di Romania, La storia della mia vita, Mondadori, 1936.

– Michael Gray, Blood Relative, Victor Gollancz, 1998.

– Almanach de Gotha 1914, Justus Perthes.

– Maurice Paléologue, Le crépuscule des Tsars. Journal 1914-1917, Mercure de France, 2007.

– Jonathan D. Smele, Civil War in Siberia. The anti-Bolshevik Government of Admiral Kolchak 1918-1920, Cambridge University Press, 1996.

– Mikhail Vladimirovich Rodzianko, The Reign of Rasputin: An Empire’s Collapse, A. M. Philpot Ltd., 1927.

– A. Summers e T. Mangold, La fine degli Zar, Rizzoli, 1979.

– Tatiana Botkine, Au temps des Tsars, Grasset, 1980.

– Victor Alexandrov, La tragedia dei Romanov, Mursia, 1968.

– Edvard Radzinsky, The Last Tsar, Arrow, 1993.

– Count Paul Vassili (alias Catherine Radziwill), Behind the Veil at the Russian Court, Cassell & Co., 1913.

– Edmonde Charles-Roux, L’Irrégulière, Grasset, 1974.

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