Associazionismo. ‘Domus Cultura’ (Genova): un quinquennio di orgoglio, di successi e di qualche frustrazione. Di Miriam Pastorino.

Al centro, Rodolfo Vivaldi, Presidente di 'Domus Cultura'.

Nata nel marzo del 2019,  l’associazione Domus Cultura ha subito cercato di interagire con le istituzioni, a partire dal Comune di Genova e dalla Regione Liguria, entrambe con sindaco e presidente di nomina recente, i quali si ponevano in discontinuità con le amministrazioni al potere da quasi mezzo secolo.

Il logo di ‘Domus Cultura’.
La prestigiosa sede della ‘Domus Cultura’ (Genova).

Le motivazioni che spingevano la Domus in questa direzione poggiavano su solidi fondamenti: i venti soci fondatori, in gran parte presidenti di altre associazioni culturali e socio-culturali attive in Genova e nel Tigullio, non solo concordavano sull’urgenza di imprimere un cambiamento di rotta alla deriva che già aveva condotto la città all’estrema decadenza, fino a renderla, tra l’altro, la capitale della denatalità, ma avevano coscienza della direzione in cui era necessario muoversi per risalire la china. La circostanza che diversi soci fossero molto diversi per formazione professionale, predilezioni elettive e temperamento, anziché generare contrasti, ha finito per costituire motivo di arricchimento. Ciò anche grazie all’affabile disponibilità, non disgiunta da fermezza, del presidente Rodolfo Vivaldi, la cui liberalità – cosa non di poco conto – si è manifestata nella messa a disposizione, quale sede della neonata associazione, la spaziosa e splendida dimora storica Pietro Doria, situata nel cuore della città antica.

Per tutti coloro che collaborano con la Domus o semplicemente ne seguono l’attività, è certamente fonte di soddisfazione l’entità e la qualità delle iniziative fin qui realizzate: più di cento tra convegni, presentazioni di libri e mostre su temi spazianti dalla filosofia alla storia, dalla letteratura all’arte, dal cinema alla musica, fino a comprendere l’economia e il rinnovamento della pubblica amministrazione. Purtroppo, accanto ai motivi di orgoglio, non sono mancati quelli di frustrazione, dovuti alla quasi totale impossibilità di mettere in pratica almeno qualcuna delle buone idee espresse nel corso di questi cinque anni, molte delle quali frutto di precedenti studi e ricerche. Conformandosi al pur discutibile stile ormai invalso nell’uso comune, la nostra associazione ha infatti avanzato numerose proposte sotto forma di progetti o a mezzo bandi, tutte assolutamente praticabili, che pur partendo da basi di carattere culturale, erano in grado di produrre in maniera diretta o indiretta effetti positivi sia in campo sociale sia in quello economico.

La dimostrazione delle reali potenzialità della nostra associazione si è potuta esplicare pienamente in un unico caso, allorquando Domus Cultura, attraverso il bando “Genova città dei Festival” indetto dall’Assessorato alla Cultura, riuscì ad ottenere, oltre al patrocinio, un sostegno finanziario dal Comune. Questo accadde nel 2021 quando, grazie a un contributo base di seimila euro, a cui si aggiunsero altri 1.250 euro ottenuti dalla Regione Liguria (somma necessariamente integrata da alcuni collaboratori), la Domus riuscì ad allestire, in un prestigioso palazzo del centro storico una bellissima mostra di 48 ritratti di grandi personaggi vissuti nel corso del XX Secolo che, attraverso le loro opere, in un modo o nell’altro, hanno inteso lanciarci un messaggio, o meglio un monito sulle sorti negative che si andavano delineando per tutti, rimasto inascoltato. Il libro-catalogo della rassegna era corredato da una scheda dedicata a ciascun profeta redatta da eccellenti intellettuali italiani. L’originalità dell’iniziativa, assieme alla qualità dei ritratti, già in corso d’opera, aveva suscitato l’interesse di Vittorio Sgarbi, il quale scelse di stendere una lusinghiera prefazione. Nel corso di quasi due mesi l’esposizione attrasse centinaia di visitatori, anche stranieri, diede vita a due importanti convegni e suscitò una vasta eco presso i mass media, nonché quello di numerosi quotidiani e riviste culturali, sia cartacee che online (alcune delle quali francesi e belghe) dove apparvero numerosissimi articoli e segnalazioni.

A distanza di tre anni, in virtù della notorietà ottenuta, i nostri “Profeti” continuano a girare l’Italia, richiesti da importanti Comuni e Regioni. Fin qui sono stati in Lazio, in Abruzzo, in Puglia, in Toscana e nelle Marche; sempre ospitati in sedi istituzionali o prestigiosi palazzi storici, contestualmente a convegni dedicati a questo o quell’altro personaggio a cui hanno preso parte noti intellettuali.

Il motivo del perdurante interesse è certamente dovuto alla ricchezza dei contenuti della rassegna che spingono a guardare con altri occhi la Storia del secolo che, ormai da più di vent’anni, ci siamo lasciati alle spalle. Ed è proprio per rispondere all’esigenza di ulteriori riflessioni che a Genova ancora di recente si è tornati a mettere al centro dell’attenzione due dei nostri “Profeti”. Con il convegno “Céline e Drieu La Rochelle, due volti di un’altra Europa”, lo storico Alberto Rosselli e l’editore Andrea Lombardi, quest’ultimo tra i più accreditati studiosi dell’autore de “Il viaggio al termine della notte”, sono state messe in evidenza le inquietanti analogie che, tra le due guerre, contrassegnarono la tormentata esistenza dei due scrittori e il profondo malessere esistenziale che avvelena i nostri giorni, seminando confusione nelle coscienze e gettando ombre cupe sul futuro. Gli ottimi risultati ottenuti con “I Profeti Inascoltati” dovrebbero far riflettere sull’importanza di intraprendere un percorso di risalita che, partendo da basi culturali, attraverso i consueti mezzi della politica, sia in grado di organizzare eventi, promuovere libri, film, fiction e salotti televisivi nonché leggi finalmente sensate.

Tale percorso è tutt’altro che facile dal momento che il sentire comune si è talmente allontanato dalla “ragione naturale” da far apparire non solo logiche ma anche “buone e giuste” pratiche in realtà molto pericolose se non aberranti e dal doloroso sapore di morte che, poco alla volta, attraverso lo stravolgimento della Storia e la cancellazione o l’alterazione, a suo modo sapiente, del significato stesso delle parole, ha finito per produrre generazioni di individui immaturi, fisicamente e psicologicamente fragili, prede naturali di ogni genere di “dipendenze”, che andrebbero chiamate per quello  che in realtà sono: vizi, perché in che altro modo si può considerare l’assunzione reiterata di droga o di alcool, purtroppo praticata sempre più spesso in età precoce? Non a caso il termine “vizio”, ossia abitudine insana, controproducente e nemica della salute, è oggi uscita dal vocabolario.

Ed è a questo punto che deve intervenire quell’operazione di studio e di ricerca che, purtroppo, è vano aspettarsi dalle agenzie culturali tuttora  operative. Dalle università agli opinionisti che si contendono la comunicazione di massa attraverso giornali, salotti e salottini televisivi e informatici, dalle case editrici alla convegnistica d’élite o di piazza, va in scena, senza soluzione di continuità, una cacofonia che alimenta l’atrofizzazione della mente assieme a un letale senso di impotenza, attraverso un processo molto simile a quello delle cellule cancerogene che fin qui nessun medico ha avuto cura di aggredire. Gli strumenti che ci servono sono memoria, spirito critico e ragionamento logico assieme alla possibilità di interagire con la politica consentita agli ormai pochi ancora in grado di individuare la cura giusta per una malattia potenzialmente in grado di distruggerci, e non solo noi, ma la nostra stessa civiltà, senza la quale si ritorna alla barbarie o, peggio, alla “caverna” di platonica memoria.

Lascia il primo commento

Lascia un commento