Suore di cuore e lupi di mare. Di Giuseppe Moscatt.

Florence Nightingale.

1. Inter arma caritas per humanitatem ad pacem.

E’ noto che la Croce Rossa adottò come motto il titolo suddetto già dopo la battaglia di Solferino (1859) in uno storico incontro a Ginevra nel 1863, dove 16 Paesi europei manifestarono l’auspicio che in tempo di guerra le potenze belligeranti dichiarassero neutrali ed inviolabili gli ospedali di campo e militari; nonché estendere tale protezione al personale sanitario degli eserciti, dei collaboratori volontari ed ai feriti stessi. Infine, si appellavano ai Governi affinché scegliessero un segno distintivo comune per le persone ed i beni protetti. Aleggiava però fra loro il ricordo di due donne, Miss Florence Nightingale che a Balaklava in Crimea nel 1855 si dedicò anima e corpo alla cura ed alla salvezza dei soldati ed alle inumazioni; e di Giustina Borromeo Verri analogamente proprio a Solferino, eroine di pace che inaugurarono l’assistenza umanitaria ai feriti in battaglia e negli ospedali, senza contare il prodigarsi della marchesa Pallavicino – Trivulzio, che a Torino presiedeva un Comitato di Signore per la raccolta di bende a loro destinate.

Members of the 4th Light Dragoons at camp in the Crimea, circa 1855. (Photo by Roger Fenton/Hulton Archive/Getty Images)
Rara istantanea. Guerra di Crimea, 1855. Ufficiali della coalizione anglo-franco-piemontese (al centro, in piedi, un parigrado turco).

Prendendo spunto da quegli eventi drammatici, Romain Rolland inviò al teologo di Corte di Berlino, Ernst von Dryander, una lettera aperta in merito allo scambio epistolare di questi – primo predicatore di Guglielmo II – col predicatore protestante di Nîmes Ernest-Charles Babut, che era stato pubblicato a Ginevra il 18.10.1914. Da un paio di mesi infuriava il Primo Conflitto Mondiale, il Belgio era già sotto assedio e l’armata tedesca avanzava in direzione di Parigi. Rolland propose una mediazione fra la naturale arroganza germanica di supremazia ideologica e storica della Kultur ed una pari rilettura della Civilisation, antirazzista ed universalista, laica e panlatinista. Perché invece dell’arroganza bellicista del Primo Predicatore ed alla unilaterale protesta del Pastore per le violenze connesse di quell’invasione, non si faceva appello all’Umanesimo caritatevole già sperimentato dalla Croce Rossa? Perché arrivare ai genocidi ed alle distruzioni di Lovanio? Perché non affermare piuttosto che non esiste forza dello Spirito capace di splendore atta a perforare il muro di certezze non vere dietro il quale si chiudeva la Germania Imperialista…erano certezze mostruose, compiacimenti farisiaci che glorificano un Dio presunto creatore di duri e di puri….Vale a dire il suo Imperatore, i suoi Ministri, il suo esercito e la sua razza…loro che gioiscono per la morte di chi non la pensa come i Prussiani …portatori di una foia mostruosa, una follia collettiva, un delirio ai limiti di una depressione inevitabile, che può produrre un’incurabile e morbosa pazzia sia per chi la porta sia a chi la subisce … Quando la pazzia di Aiace diverrà la Caritas di Achille? E noi che facciamo, stiamo a guardare? Fra il bene ed il male la lotta sembra impari: è necessario ancora un secolo per ricostruire ciò che si è distrutto in un solo giorno? Ora Lovanio, domani Parigi, dopodomani Roma (e diremmo noi, Gaza, Odessa, lo Yemen…)? Prosegue Rolland: la guerra è odiosa, ma ancora più lo sono coloro che la narrano dall’alto delle loro scrivanie senza farle… il compito più degno di chi non può partecipare, sia quello non solo di seppellire i morti, ma anche di  fermare il fuoco, di perseguire la Pace, di avere  pietà dei prigionieri e degli inermi; cioè inter arma Caritas, proprio per favorire la distensione ed il dialogo fra i popoli. Mentre infuria la violenza delle armi; mentre si spara in obbedienza agli ordini; mentre prevale un sentimento comune di propaganda e siamo assordati dalla propria ragione contro la ragione degli altri; dov’è il discernimento dell’Uomo? Dove sta il buonsenso ed il diritto diplomatico? Perché ci giriamo di lato e cambiamo giornale quando leggiamo i tanti delitti  di guerra? Perché consideriamo l’altrettanto motto famoso Si vis pacem para bellum come un valore assoluto ed inesorabile? In altri termini, Rolland invitava i due campioni di parte a farsi operatori di pace, non a giustificare con l’ordine sociale la ineluttabilità della guerra. Due personaggi della storia oggi ci sembrano perciò così esemplari di azione pacifica in piena tempesta bellica, consapevoli attori di un dialogo che ripudi la violenza per il bene dell’Uomo.

2. Il comandante Todaro: un caso di obbedienza alla Coscienza.

Un militare tutto di un pezzo, eroe di guerra, ma chiaro oppositore alla mera distruzione di un nemico ormai inerte, fu il comandante del sommergibile italiano Cappellini, Salvatore Todaro. Durante un crociera di guerre in Atlantico, il suo sommergibile affondò il piroscafo belga Kabalo, il 15.10.1940, a 720 miglia marine da Madera, prendendo però a rimorchio una lancia di salvataggio con 26 naufraghi e che poi li imbarcò con evidenti difficoltà, sbarcandoli dopo un periglioso viaggio nelle Azzorre. Operazione di soccorso che fin da allora sollevò un vespaio di critiche in un momento storico terribile di guerra, ma che oggi è stata riproposta da un film ed un romanzo (vedi note) che hanno riaperto il nodo del soccorso da navi di Paesi Civili a barconi di extra comunitari che si dirigono sulle nostre coste in fuga dai Paesi d origine. Invero, l’ammiraglio capo della Marina tedesca Karl Dönitz, quando seppe tale episodio di disobbedienza all’ordine di affondare e di non soccorrere i naufraghi, anche solo se fossero sospetti viaggiatori di navi che trasportassero armi agli Alleati, ebbe a dire ironicamente di Todaro come fosse un donchisciotte del mare. Da par suo, Todaro gli replicò: noi siamo italiani, abbiamo 2000 e più anni di Civiltà, noi queste cose le facciamo! Salviamo naufraghi, non nemici! E poi al comandante belga, prigioniero di guerra, ribadirà: Noi affondiamo il ferro nemico, senza paura e senza pietà, ma noi salviamo gli uomini. Quando in seguito una nave inglese avvistò il sottomarino emerso e lo cannoneggiò; lo mise a rischio di affondamento, perché sovraccarico non poteva scendere al fondo a pena di inabissarsi senza speranza. Di fronte alla scelta di salvare i propri uomini dal fuoco inglese e quindi di sacrificare in acque gelide i prigionieri ristretti in superficie: Todaro ubbidì alla sua coscienza di uomo giusto e caritatevole. Non solo comandò al suo equipaggio di continuare a navigare in superficie, perché era questo il loro dovere di militari, ma anche richiese agli inglesi di cessare il fuoco, adempiendo al suo dovere  di salvare loro stessi, ma anche a quello di proteggere i naufraghi rifugiati in superficie. Lo stesso problema di coscienza sicuramente lo ebbe il comandante inglese, che doveva obbedire all’analogo ordine Churchill di colpire, affondare e sparire senza lasciare naufraghi, guarda caso disobbedendo. Fu proprio così, consentendo l’approdo del Cappellini, alle Azzorre, territorio neutrale. Non mancò un ulteriore passaggio di Todaro sul suo diario di viaggio, rinvenuto dagli eredi del comandante molti anni dopo e base per il romanzo e la sceneggiatura del film che si disse. Io sono di nuovo pronto a colpire e ad affondare tutti i nemici che incontrerò nel mio cammino e a diventare invulnerabile quando salverò la loro vita di naufraghi e o di inermi. Così si è sempre fatto in mare dai tempi di Odisseo, così sempre sarà! E coloro che non lo faranno saranno maledetti! Una condotta coraggiosa che se non poteva di per sé interferire sull’andamento del conflitto, ci sembra ancora la terapia dell’anima, avvelenata dai mostri che siamo obbligati a portare nei nostri cuori, spesso angosciati dal bisogno di Pace e Carità che vive comunque nell’animo umano.

Il comandante Salvatore Todaro.
Il sommergibile Cappellini a Bordeaux.

3. La scelta di suor Cecilia: Dio o Mammona?

Simbolo analogo di Pace e Carità, fino allo stremo personale, ci pare anche la scelta di Suor Cecilia – al secolo Angela Basarocco (1914-1986) – nota come l’angelo bianco di Niscemi. Nata a Racalmuto, in provincia di Agrigento e patria di Leonardo Sciascia ; prende i voti nell’ordine delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto nel 1935 ed inizia la sua carriera professionale di infermiera all’ospedale di Niscemi, un comune agricolo vicino a Caltanissetta. Ospedale in gravissime condizioni di sicurezza sanitaria nei giorni successivi allo sbarco alleato (10.07.1943), analoghe alla situazione di crisi degli ospedali nel 2020 in occasione della prima ondata di epidemia Covid. Avvenne invero che l’ospedale si svuotò di personale a fronte di numerosi feriti italiani e tedeschi. Dodici fra questi ultimi – a leggere le sue memorie ed altre testimonianze raccolte nel 2022 – vengono catturati proprio dagli americani di Patton che arrivavano da Gela, dopo lunghe ore di combattimento. Accusati di spionaggio e condannati alla fucilazione senza regolare processo, in spregio alla Convenzione di Ginevra del 1929. L’ordine del democratico Patton è irrevocabile, al pari di quello del nazista Dönitz e del conservatore Churchill nel caso di Todaro: catturare e fucilare senza fare prigionieri. Ma un Nemico è un Nemico e  non piuttosto un Avversario da punire e limitare solo per il tempo di guerra? Solo una voce, quella di suor Cecilia, si leva a pietà nelle tetre sale dell’ospedale. Il suo No sferza e scuote il plotone di esecuzione democratico, qui molto simili ai nazifascisti nelle campagne del Nord Italia durante la Resistenza; oppure nei campi di sterminio degli oppositori al Comunismo gestiti dai compagni stalinisti. Suor Cecilia, mai doma, dopo aver tentato di ridurre alla ragione il comandante americano, si getta in mezzo fra i condannati ed i soldati col fucile in mano. Allora fucilate anche me! grida in dialetto. Di fronte a quella ingiustizia, dove il dovere di obbedire era stato automaticamente adempito, nella semplice coscienza di Cecilia emerge d’un tratto una distorsione che la mente di quei militari non aveva rilevato, un atto che per Lei era profondamente immorale e per di più anticristiano, offensivo ai valori che da molti anni aveva perseguito. Quale legge morale e giuridica poteva sovvertire la legge di Cristo e la coscienza umana che pretendono invece il rifiuto di condanne senz’appello di quei poveri soldati, uomini e cristiani? In un lampo la sua coscienza umana e cristiana diventò la sua legge morale. Sparate su di me, Iddio vi perdoni! Un fulmine che colpì tutti i soldati del plotone e che convinse il comandante americano a sospendere l’esecuzione e a spedire a Caltagirone i prigionieri tedeschi, dove rimasero fino alla fine della guerra e che poi ritorneranno a Niscemi per ringraziare la suora. Il dubbio di Cecilia e le remore di Todaro costruiscono un unico filo conduttore di prevalenza delle ragioni del cuore rispetto alle ragioni della logica di guerra. Sicuramente Todaro ricavò dalla cultura greca il suo rispetto per l’avversario ed il suo chiaro rifiuto verso ogni forma di gratuito sterminio. E anche suor Cecilia aveva fatto tesoro dell’insegnamento di San Pietro, che negli Atti degli Apostoli, rimproverato dal sommo sacerdote di aver insistentemente predicato Cristo con lo scopo di fare cadere sugli Ebrei il suo sangue; rispose: Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini (AT, 27-33). E lo stesso Rolland riprenderà tale principio ricordando un grande della Chiesa cattolica, Tommaso Moro, che a rischio di essere decapitato – come fu poi – oppose al Re Enrico VIII, nell’Inghilterra rinascimentale flagellata dal Protestantesimo, il suo No al divorzio dal Re, prodromo dello Scisma Anglicano. Nessuna scappatoia legale fu invocata, neppure dell’insigne giurista qual’era. Nella storia non erano mancate scelte difficili, dai notabili più elevati ai militari ed ai semplici cittadini, in merito all’adeguarsi al senso comune, specialmente quando un Nemico si frappone al nostro cammino in ogni fase della vita individuale e collettiva. E’ un obbligo morale, laico religioso che sia, quello di fermarsi un momento e di riflettere sulla condotta da adottare in un caso o nell’altro. Nessuno ha il diritto di obbedire meccanicamente ad un ordine, anche se il political correct lo impone. Perfino Kant, padre dell’imperativo morale di dire la verità e di rifiutare la menzogna, aveva però detto che il cielo stellato è sopra di me, ma la legge morale è dentro di me. L’essere operatore di pace non può non guardare alla propria coscienza e meditare bene, oltre ogni ragionevole dubbio, su ciò che ci si presenta come bene assoluto, meno che mai di fronte ad un ordine palesemente immorale.

Bibliografia:

  • La lettera di Romain Rolland a Ernst Dryander è pubblicata nella collana  I premi nobel per     letteratura, a cura di CRISTOBAL DE ACEVEDO, 1965, volume dedicato a Rolland, pagg. 144     e    ss..
  • Le origini della Croce Rossa si ritrovano nello scritto di HENRY DUNANT, Un ricordo di Solferino,

    ed. Croce Rossa Svizzera, Berna, 1988. 

  • Sul  caso Todaro, vd. Comandante, romanzo di EDOARDO DE ANGELIS e SANDRO  VERONESI, ed. Bompiani, 2023, nonché sul personaggio, cfr. www.marina.difesa.it, ad vocem.
  • Su suor Cecilia Basarocco, vd. Suor Cecilia Basarocco, l’angelo bianco, a cura di SALVATORE 

     RAVALLI, RICCARDO LA CARA e ROSARIO ANTONIO RIZZO, Morrone editore, 2022.

  • In merito alla massima Nessuno ha il diritto di obbedire, attribuito ad a Hannah Arendt  in relazione

     al suo Studio su Eichmann, La banalità del male, vd. KENNETH WALTZ, Teoria della politica

     internazionale, edizione il Mulino, 1987, riassunto sull’Enciclopedia Britannica – Man, the State

     and War, ad vocem, in lingua inglese.

Lascia il primo commento

Lascia un commento