Ernest Renan: dall’Idea di Nazione alla vita di Gesù, attraverso l’ebraismo. Di Giuseppe Moscatt.

Ernest Renan.

1. Un discepolo di Stendhal.

Chiunque si accostasse ad Ernest Renan, bretone e parigino, cattolico protomodernista, nazionalista ed europeo puro sangue; non può non ricordare l’eroe di Stendhal del Rosso e il Nero, capolavoro della letteratura mondiale, immortalato dall’attore Gérard Philipe nel bellissimo film di Claude Autant-Lara (1954). Che il titolo del film – L’uomo e il diavolo nella traduzione cinematografica italiana – trasponga un personaggio letterario. Julien Sorel, che indosserà tutti i panni di Ernest Renan, è fatto indubitabile. Che la biografia dello scrittore francese, pupillo di due cardinali franco-tedeschi – Félix Dupanloup e Ignaz von Döllinger, membri autorevoli al Concilio Vaticano I, in odore antiliberale, critici del dogma di Pio IX sull’infallibilità del Papa – fosse già famosa per le sue intemperanze  romantiche; è cosa risaputa. Fra il 1823 e il 1845 gli accadono eventi familiari luttuosi: la morte violenta del padre in mare; un amore morboso per la madre e la sorella; l’entrata nel famoso Seminario a Parigi di Saint Sulpice dove imparò l’ebraico che gli fu utile per la Vie de Jésus del 1883. Spogliatosi per evidenti ragioni di incompatibilità con la stretta morale cattolica e la notevole passione per le scienze naturali, fu fulminato dalla lettura di Darwin che il biologo Berthelot gli passava tradotte dall’inglese. Divenuto dottore in lettere e filosofia (1846-1848), si dette alla saggistica non solo scientifica: perciò compaiono L’avvenire della scienza (1848), Un diario di viaggio in Italia (1849-1850) e gli Scritti di linguistica semitica (1855-1858). Il viaggio in Libano (1860-1861) la porta alla Cattedra di lingue orientali nel collegio di Francia, dove però le sue teorie di realista e storicista sul Vangelo lo videro contestato ed escluso dell’insegnamento per giudizi eretici su Gesù. E dal 1863 al 1892, anno della sua morte, la cultura francese sarà imperversata da una critica serrata ai suoi scritti che piano piano deborderanno dalla saggistica al romanzo. Se guardiamo la prima produzione saggistica dello Renan emerge un evidente favore con le teorie di Comte di stampo evoluzionista del mondo, alla fede nel progresso e alla logica idealista dove lo scienziato era un sacerdote moderno capace di guidare il popolo. Per questo aspetto immanentista, fa dapprima un freddo osservatore della Rivoluzione del 1848 e poi più legato all’ascesa di Napoleone III al soglio imperiale. Nondimeno, aderì alla scuola storica e critica del Droysen, firmando traduzioni dei libri di Giobbe e del Cantico dei Cantici (1860). Il suo credo  religioso appariva inquinato dal metodo d’indagine storicista, benché fosse soggettivamente attratto da un ritorno alle radici di una Chiesa cristiana delle origini. Decisivo sarà il viaggio in terra fenicia nel 1861, dove morì la giovane moglie  e dove contrasse il colera che lo rese inabile per molti mesi. Forse la lettura del Lutero di Walter Bauer e della connessa indagine sulle origini del Cristianesimo e su Origene, diedero al Renan una svolta ideologica ancora insuperabile, come si vedrà fra poco. Caduto nel 1870 Napoleone III, che lo aveva spesso apprezzato accademicamente per la brillantezza dello stile e per un certo conservatorismo politico, Renan proseguì la sua storia delle origini del Cristianesimo, iniziata proprio col bestseller La Vie de Jesus, presentato nel suo stile forbito e conflittuale, tanto da dire: Per quanto mi riguarda, non sono mai così fermo nel mio essere liberale per fede; ma quando penso alle origini della Chiesa Cristiana, mi esalto per il mio lavoro, come quando ascolto per ore il rintocco delle campane di YS, la mia città bretone sommersa dal mare, che in terra celta stanno a ricordare le onde del futuro che scuotono il passato. La opere successive sugli Apostoli, San Paolo, l’Anticristo, Gli Evangeli, La Chiesa Cristiana, Marco Aurelio e la Caduta dell’impero romano (1866-1882), non ebbero l’effetto mediatico della Vita di Gesù, non essendo stati così potenti da infiammare i teologi e storici allo stesso modo, malgrado lo stile letterario, altrettanto coinvolgente come quello di Hugo e Zola. Seguirono anni di silenzio apparente, specialmente quando al termine della sua vita, osò pubblicare una Storia del popolo di Israele (1892), pochi mesi prima dello scoppio dell’Affare Dreyfus, una vicenda che mise alla prova la Terza Repubblica Francese, frutto di un complotto spionistico fomentato dalla Germania e che gettò benzina sul fuoco ideologico nazionalista e antisemita attizzato proprio da un pamphlet del Renan riemerso nel 1894 alla sua morte. Ma andiamo nei particolari delle tre opere più importanti.

2. La vita di Gesù.

Come si anticipò, il maturo Renan, ritornato dalle colonie siriane fulminato proprio sulla Via di Damasco come S. Paolo, alla prima lezione di storia del Cristianesimo al Collegio di Francia, parlò di Gesù Cristo, Uomo incomparabile. E tutto il corso si basò su una innovativa rilettura del Vangelo di natura critica  e razionale, dove veniva in modo romanzato la natura umana del Salvatore, mentre venivano taciuti o svalutati la divinità ed i miracoli. In sintesi, Cristo era considerato solo un uomo di altissimo senso morale. Il dogma della Trinità veniva quindi cancellato ed al suo posto affiorava un genio umano sublime, romanticamente ricostruito in un ambiente realistico dal lato storico e con uno stile soggettivamente accattivante. Proprio nelle Premesse al volume, Renan, conscio dello scalpore che questo testo provocava fra gli studenti e il Corpo docente, avvertiva sulla sua persona un odio implacabile da parte delle gerarchie ecclesiali, che ne traevano motivi per costringerlo all’esilio lontano dalla Patria, come per motivi opposti stava accadendo allo Hugo. Renan allora per convinzione, suffragata anche da prove archeologiche e fotografie dei luoghi palestinesi, continuò a disegnare un Cristo uomo in tutto e per tutto. La sua tesi, derivata da David Friedrich Strauß, considerava un Gesù senza dogmi e simboli. Cioè un uomo fondatore di un’etica sublime, un altro Socrate e un altro Platone. E in ciò era veramente il figlio di Dio. Non era un visionario, ma si credeva Figlio di Dio ed il miracolo era un semplice evento naturale. Il centro del messaggio religioso stava piuttosto nella purezza del cuore e nella solidarietà sociale. Diceva che purtroppo la Chiesa non ci ha affatto liberato, ma ha addirittura tradito la massa degli schiavi e dei diseredati sostituendosi all’Imperatore Romano. Che fare? Quale Regno di Dio? Forse quello borghese di Napoleone III? E che dovrebbero dire le coeve comunità religiose legate a libri religiosi che dettano codici di articoli di fede mai scritti dal Cristo? Occorreva per Renan tornare al popolo che aveva creato la fede in Gesù Cristo. Anzi e nell’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo (vd. vangelo Giovanni, paragrafo 21 versetti 4 e ss.) era venuta l’ora in cui non si pregherà più all’aperto, ma era il nostro cuore il vero tempio di Dio!In sintesi, il Regno di Dio è il Regno dall’anima di tutti, dove l’amore del Figlio verso il Padre altro non era che il simbolo dell’amore umano. La conclusione del suo Gesù fu lapidaria: Gesù per tre anni ha fatto una vita che nella nostra società l’avrebbe portato venti volte davanti al Tribunale! Loisy, Tyrrell, von Hügel, von Harnack, Bergson, Blondel, Möhler e Buonaiuti riconobbero in Renan come il loro Padre intellettuale,  cioè del modernismo teologico che dilaniò la Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II, di cui fu un precursore fin dal 1862, quando pubblicò quel piccolo libretto che i seguaci modernisti amarono non meno degli stessi vangeli canonici.

3. Che cos’è una Nazione?

Già da quegli anni il pericolo di una guerra di rivincita contro la Germania di Bismarck, era nell’aria come lo era la nascita di una dittatura reazionaria. Ecco perché il Maturo Renan dichiarava: Che cos’è allora una Nazione? Ciò che fa che gli uomini la formino è il ricordo di grandi azioni compiute da Grandi uomini compiute da tutti insieme e la volontà di compierne altre. E quindi non qualunque gruppo di uomini è di per sé è Nazione, neppure  quella amorfa di uno Stato. Impero Asburgico e Impero Turco erario l’esempio negativo dell’epoca, Imperi che avevano una moltitudine di persone diverse per le lingua, religione e costumi. Ciò premesso, l’Autore ricorda il caso della Francia, dove il processo di equilibrio politico e culturale si protrasse progressivamente da Carlo Magno a Luigi XIV. Guerre, anche civili, stragi e tirannie, che l’hanno colpita fino al tragico conflitto con la Prussia del 1870-1871. Tuttavia era trionfata la solidarietà collettiva, a condizione di mantenere una memoria collettiva comune e perfino un oblio, purché condiviso. Dunque la Nazione come realtà storica stabilizzata fino a tollerare esperienze parallele anche fra razze diverse, di lingue opposte, perfino di aree lontane e di Continenti diversi. Una realtà spirituale unica che rendeva omogeneo il passato ed il presente: da una parte un’anima collettiva, magari ricca di ricordi; dall’altra un consenso vivente e la volontà di stare ancora insieme. La conclusione del lungo discorso riguardava il privilegiare forme politiche democratiche che convalidassero la coesione sociale. Ed infine un’offerta di pace alle consorelle Germania ed Italia appena unificate. Una richiesta di fratellanza umana e cristiana europea che Renan lanciava a tutte le classi di tutti i paesi, contro la nazionalizzazione delle singole masse per una federazione comune europea che fu il primo a credere. Fu un messaggio finale incompreso e travisato. Due guerre mondiali ed una guerra europea in atto ci danno la prova di quanto sia ancora lunga la strada indicata.

4. Marco Aurelio e la caduta dell’impero romano.

Con la pubblicazione della Vita di Gesù la sua posizione accademica ebbe a rafforzarsi nel panorama storicistico nazionale ed internazionale, a discapito però di quello politico, divenendo per i cattolici conservatori un novello Lutero e per i progressisti democratici e marxisti un pensatore incompiuto, cui mancava cioè la coscienza di avere fatto un salto di qualità dal filologismo religioso all’ateismo più avanzato. E’ il 1863, quando la letteratura francese esprimeva un romanzo storico e picaresco che farà concorrenza alla coeva opera del Renan, il Capitan Fracassa, dove lo sconosciuto Theophile Gautier raccontava la vita di un gruppo di attori girovaghi con toni popolari ed esuberanti che distraevano l’opinione pubblica sulla grave polemica teologica ed intellettuale che Renan rappresentava. Per quasi vent’anni Ernest tacque sulla sua teologia immanentista, come la definì il Cardinale Antonelli, Segretario di Stato durante il Concilio Vaticano I. Poi venne il 1871 e la catastrofe della Francia di fronte all’armata prussiana di Moltke e Bismarck. Il silenzio di Renan cessò con un saggio politico rivolto alla ricostruzione del paese, la riforma intellettuale e morale. Un intento grandioso, pari al ciclopico e controverso tentativo di ridurre in forma umana la figura del Cristo. Qui emergeva il progetto educativo del positivista Renan, ormai traghettato al di là del mero spiritualismo religioso e passato alla rieducazione politica e sociale della Francia. Come farà lo Spengler qualche decennio dopo, per la Germania, Renan profetizzò il sorgere di una serie di dittature instabili simili a quelle successive alla Caduta dell’Impero Romano e un suo saggio su Marco Aurelio imperatore è ancora oggi godibile per l’acribia storica e per aver rilevato la gravità della c.d. peste Antonina che già gli parve la causa determinante per quell’evento. Il cesarismo democratico e plebeo della Repubblica gli sembrava il frutto della degenerazione materialista cui egli stesso aveva dato un forte scossone anni prima proprio col suo Gesù. E quindi che fare? Alla Sorbona terrà una conferenza storica proprio nel 1882, quando il cesarismo democratico che temeva per il suo Paese, sembrava sul punto di riportare quella dittatura militare di Napoleone nelle vesti del generale conservatore George Boulanger (1837-1891). Ispettore della Fanteria del Ministero della guerra e seguace dell’altro generale Patrice Mcmahon, Boulanger fomentava la reazione revanscista francese contro la Germania di Bismarck e la riconquista dell’Alsazia e della Lorena, le ricche province dell’alto Reno passate all’impero tedesco dopo la guerra del 1871. Per contrastare tale tendenza popolare, Renan scrisse l’ultima opera da esaminare, ma non per questo meno importante, cioè il saggio storico Marco Aurelio e la fine del mondo antico, pubblicato nel 1882. Un appassionante e curatissima biografia dell’imperatore romano e del contesto storico, attualizzato alla sua epoca, dove l’ascesa del marxismo non gli parve affatto lontano dalla nascita delle prime comunità cristiane. Un esempio ci pare quello dove Renan paragonò le sezioni popolari dell’Associazione Internazionale degli operai, vale dire la Prime Internazionale, alle originarie comunità cristiane. Nelle premesse del saggio in questione, Renan – influenzando perfino Engels poco prima che morisse – notò il medesimo ambiente popolare, di gente senza diritti – simili ai nostri immigrati extra comunitari – che isolata dalla comunità circostante, poco organizzate, ma dotate di un forte proselitismo che lottavano con una crescente solidarietà assistenziale contro un mondo pagano privilegiato ed egoista e noi diremmo una società di due terzi medio ricca, ben distinta da un agglomerato di persone per un terzo povera e disagiata. Da qui, la notissima giustificazione per Marco Aurelio, accusato di essere in contraddizione palese con l’opinione comune di un Gibbon o di un Droysen, i maggiori storici di Roma dell’epoca, stupiti che un imperatore buono e dotto come lui, un precipitato di filosofi morali rivolta al bene comune e all’etica come guida spirituale – descritta in modo personalissimo nei suoi Ricordi e tale da influenzare perfino Boezio e Agostino – mostrasse un’acredine ed una violenta azione persecutoria contro le comunità cristiane. Tanto che nei suoi Ricordi Marco Aurelio osò descrivere lo scontro storico fra Cristianesimo ed Impero come quello fra due animali che stanno per gettarsi addosso l’uno contro l’altro, alla stregua degli spettacoli quotidiano nel Circo Massimo. Di qui, la dolorosa scelta dell’imperatore, dell’uomo pubblico che da tutore dello Stato, deve difenderlo da ogni attacco, anche se le ragioni dell’attaccante siano condivisibili. Una necessità storica ineluttabile. Tanto più che l’anima individuale – che Marco Aurelio non negava – è sempre pronta ad andare in rovina, specialmente se diventasse collettiva. Ora, il Cristianesimo dell’epoca, specie quello di fede apocalittico, derivata dalle correnti  estremiste giovanili che credevano nell’imminente caduta del mondo per la venuta di Cristo  alquanto imminente, pensava che ciò fosse questione di mesi e dunque la persecuzione di tali idee non poteva mancare. In fondo, lo stesso clima politico nell’Europa di fine ‘800, dove la notoria crisi del secondo capitalismo industriale evidenziava il ricordo dell’azione di Marco Aurelio, che Renan giudicò opportuna anche perché fra il 150 ed il 180 d.c.,  si ebbero anni di una gestione complessa dell’imperatore in esame. Parti, Quadi e Marcomanni – popolazioni barbare ai quattro confini dell’Impero – premevano senza limiti, costringendolo a guerre continue, senza contare come già in Egitto, la peste infettava la maggiore città del Mediterraneo, fino ad uccidere lo stesso Marco Aurelio. Ecco perché si è detto che Renan fosse anche lui un fortissimo seguace del Cesarismo democratico proprio nel decennio successivo al suo famoso saggio. Piuttosto, come concluderà Agostino secoli dopo, non era credibile che la fede in Gesù fosse soltanto basata sulla fine del mondo. Perciò Renan vedeva in Marco Aurelio un precursore di chi trasfigurò Cristo nell’Umanità, aprendo proprio le porte ad un Cristianesimo realista e materialista, non certo però un razzista, come una certa filosofia veterotomista volle interpretarlo. In Renan mancò piuttosto il senso della memoria storica, specialmente quando si dichiarava contento se i Francesi avessero dimenticato la notte di San Bartolomeo, quando cioè migliaia di Ugonotti vennero massacrati su ordine della Regina cattolica Maria Dè Medici. Una Nazione dovrebbe ricordare ciò che unisce e non quello che divide. Ma questo pensiero, peraltro estrapolato da un testo molto complesso da parte di un Autore così diffuso e rivoluzionario per i suoi tempi; è veramente così assoluto? Oppure rischia di dividerci definitivamente se per forza di cose ritornassero tempi di polarizzazione troppo presto sepolti e non del tutto metabolizzati?

Bibliografia:

  • Per i dati biografici, vd. la sua autobiografia, Ricordi di infanzia e di giovinezza, Torino, edizione italiana, UTET, 1954 e per un giudizio complessivo vd. ERIC HOBSBAWM, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Torino,1991.
  • Per la Vita di Gesù e le relative discussioni, cfr. JOSEPH RATZINGER, Introduzione al Cristianesimo, Brescia, 1968, pagg. 56 e ss.
  • Per la ricezione nel ‘900 di Che cos’è una Nazione?, vd. SALVATORE LUPO, Il passato del Nostro Presente, il lungo Ottocento, 1776-1913.
  • Per un giudizio complessivo attuale su Renan, vd. ANDRE’ STANGUENNEC, Ernest Renan. De l’idéalisme au scepticisme, Paris, Editins Honoré Champion, 2015 e ARMANDO TORNO. Gli scritti italiani di Ernest Renan, in www.ilsole24ore.com, 30.03.2018.

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