Giano Accame: oltre il Fascismo per una nuova idea d’Italia. Di Piero Vassallo.

Giano Accame.
 Nato a Stoccarda nel 1928 da madre tedesca e padre italiano, il 25 aprile 1945, Giano Accame, ad appena di diciassette anni non ancora compiuti, decise di arruolarsi come volontario nella Marina della RSI, ma la stessa sera di quel giorno fatale egli venne catturato dai partigiani. Per sua fortuna, la formazione che lo acchiappò non era formata soltanto da comunisti, e per questa ragione riuscì a salvare la pelle.  Finita la guerra,  Giano Accame aderì al Movimento Sociale Italiano di Arturo Michelini per poi lasciarlo nel 1956, stanco delle continue e logoranti polemiche interne; alla ‘carriera’ politica preferì lo studio, i libri e il giornalismo, sua grande passione. Divenuto presto una delle più seguite firme de “Il Borghese” e di varie altre testate, gli fu affidata la direzione del “Secolo d’Italia” dal 1988 al 1990. Chiamato a dirigere “Nuova Repubblica”, il settimanale fondato da Randolfo Pacciardi, divenne segretario nazionale dell’Unione Democratica per la Nuova Repubblica. Suoi punti fermi: portare avanti gli ideali di Patria e giustizia sociale, rinnovare radicalmente, ma senza vigliaccherie o comodi oblii, il pensiero socialista mussoliniano, e perseguire la pacificazione di un Paese ancora dilaniato dall’odio. A tanti anni dalla sua scomparsa (morì a Roma nel 2009), Giano Accame – che fu anche saggista estremamente prolifico – viene ancora oggi considerato uno dei più acuti, realisti e preveggenti intellettuali della Destra italiana. Ragion per cui, riteniamo giusto ricordare la sua figura.

L’ingente produzione di Giano Accame non ebbe altro fine che la radicale ‘emancipazione’ del Movimento Sociale Italiano (e delle sue multiformi schegge) dallo sterile ‘nostalgismo’, professato strumentalmente da una classe politica intesa a lucrare sull’ingenuo rifiuto di ammettere ‘La caduta del sogno così intensamente evocato e vissuto da Mussolini. Il nostalgismo, infatti, ha premiato i promotori missini della restaurazione impossibile, i banditori del progetto contemplante l’alternativa al sistema “prossimo al crollo”, chimera finalmente ridicolizzata dall’animoso & impietoso Piero Buscaroli nel saggio “Dalla parte dei vinti”. Di Giorgio Almirante, teorico e banditore dell’alternativa al sistema, Buscaroli ha scritto: “considero la sua presenza il massimo infortunio che potesse toccare al popolo disperso dei fascisti dopo Mussolini”.  Secondo Giano Accame era ovvia l’inesistenza di una seria alternativa al sistema, dopo la fine irreversibile della grandezza italiana – “Addio Impero risorto sui colli fatali di Roma, Mare Nostro, mal d’Africa, millenarie paludi bonificate, … cadeva nel nulla il miraggio di restaurata potenza romana”.

 D’altra parte,  i politici pensanti, [1], che avevano fondato il Msi e gli studiosi [2], che ne avevano nobilitato il progetto, riconoscevano apertamente l’improponibilità dell’alternativa al sistema (la dittatura? lo stato totalitario? il partito unico?) e la conseguente stabilità del sistema democratico subentrato al regime fascista. Il sistema poteva essere corretto soltanto dai princìpi del corporativismo cattolico affermati dalla dottrina sociale della Chiesa [3], non abbattuto.  Naturalmente la nobiltà del sentire contemplava con sgomento e con pena la dissoluzione del sogno italiano e soltanto una cultura alterata dal livore e avvilita dal masochismo omologante avrebbe potuto stoltamente predicare la felicità della sconfitta italiana. Giano Accame non nascondeva il disagio dietro la consapevolezza della sconfitta. La camicia nera, indossata in punto di morte, era per lui il simbolo di un’idea futuribile, non la bandiera della nostalgia fantasticante intorno alla ripetizione di una storia sepolta dagli errori oltre che dall’avversa fortuna.

  A proposito di errori, Accame rammenta che Mussolini intendeva evitare la guerra, “ma la guerra non solo non fu impedita: fu lui – sbagliando la puntata nell’errata convinzione che i tedeschi l’avessero di fatto già vinta”. E di seguito confuta e demolisce la tesi surreale, corrente tra cultori di storia giocata dietro le quinte, secondo cui sarebbe stato Churchill in persona a sollecitare l’intervento dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale: tesi utilizzabile davanti a un tribunale da cui Mussolini fosse stato accusato per la dichiarazione di guerra, ma insostenibile di fronte agli italiani “di cui aveva azzardato i destini perdendo: non avrebbe comunque potuto giustificarsi davanti alle famiglie dei caduti spiegando che tanti sacrifici erano stati richiesti per fare un favore agli inglesi”.

 La conseguenza di tale giudizio è la rinuncia alla declinazione ad ogni costo del verbo revisionistico, quasi in prosecuzione della linea accennata dal miglior Julius Evola, il quale affermava l’inderogabile necessità di “accusare  le conseguenze funeste di una mancanza del senso del limite, del fanatismo e, infine, di una effettiva megalomania da parte di Hitler” [4].  Dalla coscienza degli errori del passato discende l’adesione convinta ad un realismo politico, capace di attualizzare la migliore eredità del fascismo senza deragliare nel comizio nostalgico e nei deliri intorno all’alternativa al sistema.

 Il realismo di Giano Accame

Il realismo, cioè il senso del possibile, indirizzò Giano Accame all’appassionata, continua ricerca a Destra di interlocutori altrettanto lucidi e di sostanza (Carlo Costamagna, Ernesto De Marzio, Giovanni Volpe e Marcello Veneziani, ad esempio); al Centro (Gianni Baget Bozzo, Randolfo Pacciardi, Augusto Del Noce, Bartolo Ciccardini e Celso De Stefanis) e persino a Sinistra (Gianni Borgna, Giorgio Galli, Giampiero Mughini).

Il filosofo, politologo e opinionista Giampiero Mughini.

 Il fine perseguito da Accame era l’inserimento delle schegge salvabili del pensiero fascista nel vivo del dibattito sulla cultura italiana. Grazie alle paziente e faticosa iniziative di Accame, oggi s’incomincia a intravedere la possibilità di avviare un serio confronto sulle intuizioni (non poche) di quella che fu l’avanguardia fascista rivoluzionaria. A questo proposito, un interlocutore di Giano Accame, Giampiero Mughini, arrivò a dichiarare senza difficoltà di non avere mai provato imbarazzo a stimare la vita eroica e l’opera di Berto Ricci  [5]. E a tal proposito, forse si è schiuso un futuro in cui si potrà discutere a tutto campo dell’eredità culturale dei fascisti inattuali come Giorgio Del Vecchio, Francesco Orestano, Balbino Giuliano, Niccolò Giani, Guido Pallotta, Nino Tripodi, Carmelo Ottaviano, Nicola Petruzzellis Marino Gentile, Guido Manacorda. Tuttavia, cadrebbe in errore – a proposito dell’apertura di Accame a certa Sinistra – chi vorrebbe scorgervi un consenso ad un matrimonio suggestivo ma alquanto acrobatico.  Accame non ha mai inteso proporre la commistione di Destra & Sinistra, elucubrata dai cosiddetti conservatori-rivoluzionari, che un De Tejada definì ironicamente hegeliani di seconda mano e di dolce sale.

Chiariamo un punto. L’intento di Accame era fare capire agli intellettuali onesti e acuti (come appunto un Mughini) collocati nell’area antifascista, cioè a quanti fra gli avversari dimostravano apertura intellettuale, che alcune idee sopravvissute alla catastrofe fascista avrebbero potuto costituire un rimedio al male capitalista: una medicina certamente più efficace della sanguinaria e fallimentare chirurgia marxista [6].

 La sua puntuale rievocazione degli orrori e degli olocausti attuati dai capitalisti nel terzo mondo [7] pertanto non discendeva dalla volontà di contestualizzare e minimizzare le colpe marginali del fascismo e i crimini orrendi del nazismo e del comunismo, ma derivava dalla consapevolezza della necessità di uscire dal dominio dell’ideologia post ultra liberista (ad oggi squisitamente finanziaria e mondialista) l’unica perversa astrazione che andrebbe avversata.  Giano Accame rimane attuale poiché la crisi causata dalla distorsione capitalista, mostro gonfiato dalle nere magie suggerite dai fanatici della globalizzazione, ha messo in scena l’esigenza di liquidare l’ideologia liberalista (sposata anche dalla Cina comunista), e di ricomporre le cose in nome di una politica comunitarista in grado di imbrigliare il mostro del denaro, cioè il nuovo dio di un’epoca bislacca, miscredente e senza cuore come la nostra.

 Le coraggiose, realistiche conclusioni di Giano Accame, vero guanto di sfida lanciato all’imperialismo del denaro [8], si dimostrano quanto mai realistiche: “In forma aggiornata, rivendicare il primato del sangue, dei valori umani, pratici e morali, contro l’oro, contro la tirannia dei valori monetari , oggi è un’esigenza ancora più attuale , che può e deve combinarsi con obiettivi delle democrazie nazionali … dall’espropriazione dei poteri dei poteri popolari da parte dei poteri finanziari”.   

 Nella storia di rado s’incontrano cartelli che vietano tassativamente la rivisitazione, lo studio e la riforma di pensieri magari discussi o discutibili (come fu certo fascismo), ma comunque intesi a percorrere la via di un’innovazione socio economica ragionevole, sana, e a nostro modesto parere, ormai impellente


[1]       I vincitori, nel 1954, del congresso del Msi a Viareggio: Pino Romualdi, Ernesto De Marzio, Gianni Roberti, Nino Tripodi, Giulio Cesco Baghino, Enzo Erra, Primo Siena.

[2]              Contribuirono al rinnovamento della cultura di destra: Giorgio Del Vecchio, Balbino Giuliano, Armando Carlini, Emilio Bodrero, Marino Gentile, Carlo Costamagna, Guido Manacorda, Giulio Bonafede, Nicola Petruzzellis.

[3]               I corporativisti che militavano nel Msi facevano riferimento alla scuola italiana (Giuseppe Toniolo) e alla scuola belga (Charles Henri Perin e Antoine Pottier).

[4]     Cfr.: Il fascismo visto dalla destra, Settimo Sigillo, Roma 19892, pag. 125.

[5]     Cfr.: “La giovane destra di spranghe e libri”, Libero”, 29 aprile 2010.

[6]              Al proposito cfr. La morte dei fascisti, Mursia, Milano 2010, pag. 91-92.

[7]               Cfr.: La morte dei fascisti, op. cit.,pag. 130.

[8]              La definizione del capitalismo quale “imperialismo mondiale del denaro” è di Pio XI. Un imperialismo finanziario che trae vantaggio dalla crisi che produce: crisi (lo afferma lo storico Giuseppe Parlato) generate da processi nei quali il capitalismo finanziario  [la mano magica] opera senza in minimo vincolo. 

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