Retrovisioni storiche. Il doppio mistero Martin Bormann e ‘Gestapo-Muller’, alias Heinrich Muller. Di  Raffaele Panico.

Martin Bormann.

Nel 1946 alcuni ufficiali americani chiesero ai loro omologhi di Mosca: “Avete qualche informazione su di lui?” – i sovietici risposero – “Ma di quale Muller state parlando?” Questa battuta divenne la barzelletta più in voga negli ambienti dell’Intelligence. E su Martin Bormann, un documento è stato sempre sdegnato dai ricercatori, è la sua agenda personale che, fino al 1972, Mosca ha negato sia stata recuperata a Berlino da una unità dell’Armata Rossa, ma quindici anni dopo…

Nel dopoguerra centinaia di libri sono stati consacrati al terrore nazista ed ai responsabili della tragedia dell’Europa nel settembre 1939. Nessuno, forse, o solo alcuni di questi libri hanno scritto su Heinrich Muller, detto Gestapo-Muller. Da Heinrich Muller dipendevano tutte le misure di terrore all’interno della Germania e di seguito in tutti i territori occupati, è quanto affermava lo storico Karl Heinz Abshagen nel 1949 nella sua biografia dell’ammiraglio Canaris, opera che ha ispirato tutti gli altri per cinquant’anni. Sparse, in una dozzina di libri, si trova qualche citazione del capo della Gestapo, la polizia segreta di Stato tedesca. Sebbene risultasse con Martin Bormann, eminenza grigia di Hitler, in testa alla lista dei criminali di guerra. A volte appariva il suo nome, la sua funzione, a volte la sua data di nascita, ma null’altro. Alcuni testimoni dicono che sia stato visto per l’ultima volta nel bunker del Fuhrer nel 1945, e che da allora sia sparito. Una tomba però, è stata scoperta a suo tempo, in un cimitero di Berlino, dagli occupanti sovietici, con il suo nome, le sue date di nascita e di morte presunta, al momento della caduta di Berlino, incise sulla stele. Era il 17 maggio 1945. Più tardi venne esumato quello che si pensava essere il suo corpo. In realtà si trattava di molti scheletri le cui ossa non corrispondevano alle misure del corpo di Muller. Nonostante, alcuni sconosciuti andavano regolarmente a posare fiori su questa tomba e lo hanno fatto per tanti anni ancora. Un altro mistero. Perché nessuna inchiesta Alleata è stata fatta per sapere chi depositava i fiori? La guerra fredda non era ancora cominciata. Un’apparente armonia regnava ancora fra gli alleati. Atlantici e Sovietici sembra che non avessero mai voluto trovare Gestapo-Muller, il nome che Muller rivendicava decisamente e lo distingueva da tutti gli altri omonimi. Tra questi uno si chiamava proprio Heinrich e come lui era Obergruppen Fuhrer SS, ossia un generale e come lui apparteneva alla Gestapo. Ma non era della Baviera come Gestapo-Muller, non aveva con lui alcun legame di parentela, e tanto meno avevano legami di parentela con lui altri tre Muller, appartenenti con rango inferiore alla stessa Polizia di Stato. Gli Alleati sono stati sempre sorpresi o indifferenti ogni volta che il fantasma di Gestapo-Muller è sorto dalle rovine della Germania, quando degli ufficiali incaricati di ricerche segnalavano di averlo visto apparire in qualche parte del mondo.

Lo storico inglese Stuart Russel dai movimenti segnalati di Muller risultava una logica non contraddittoria sui tempi e i luoghi degli spostamenti, quindi secondo l’inglese, Muller poteva essere vivo e secondo la dinamica degli spostamenti rilevati, anche sotto tutela e protezione dei servizi segreti del Patto di Varsavia. I Sovietici infatti, fornivano indicazioni in anticipo rispetto agli Atlantici. Lo storico inglese si è posto anche una domanda interessante negli anni seguenti: perché mai il Mossad israeliano si è interessato ad Eichman e Barbie, ma non a Muller a loro due superiore? E perché durante il processo ad Eichman non gli fu rivolta alcuna domanda, a lui che senza alcun dubbio e per sua stessa ammissione, fu uno degli ultimi a vederlo fra le rovine di Berlino in fuoco, quando le avanguardie dell’Armata Rossa si impossessarono del bunker di Hitler? Fino al 1961, qualche ricercatore, fra questi un commissario di polizia tedesca che lavorava agli ordini di un capo di ‘antenna’ dei servizi americani in Germania, ha mantenuto il dossier aperto. Hanno interrogato uomini e donne che nel maggio 1945 avevano avuto delle occasioni di vederlo, prima di sparire, a loro volta, nelle tenebre di un paese vinto, rovinato, annichilito per la sua sconfitta e diviso in quattro zone di occupazione. Parigi, Londra, Washington e Mosca si occupavano di altri nazisti, e proprio nel 1961, ufficialmente, finisce ogni interesse da parte del delegato americano a Monaco di cercare sia Muller e sia Martin Bormann. Solo nel 1946 degli ufficiali americani avevano posto la questione ai loro omologhi di Mosca: “Avete qualche informazione su di lui?” – e i sovietici risposero – “Ma di quale Muller state parlando?” Questa battuta divenne la barzelletta più in voga negli ambienti dell’Intelligence, e fa riflettere. I vecchi dirigenti dei servizi di informazione e di sicurezza del Reich tedesco, uomini come Walter Schellenberg, a lungo responsabile dei sevizi di spionaggio del partito, oppure Wilhelm Hoettl, lo specialista dei Balcani, pensavano che Muller, durante la sua attività, dato che indagava sulla rete dell’Orchestra Rossa, lo spionaggio sovietico a Berlino, avesse preso contatto con Mosca tramite gli agenti che aveva a sua volta portato dalla sua parte. Tutto questo avveniva nel 1943, forse prima. Da parte sua il maresciallo Tito nelle sue memorie assicurava, in incontri con i suoi ufficiali, che Muller era stato avvicinato e senz’altro reclutato da Mosca a partire dal 1927, quando ancora saliva i gradini della scala dei vertici della polizia in Baviera. Nel 1948 Arthur Koestler, il grande scrittore, ha degli incontri segreti e furtivi a Bregenz e poi nel 1951 anche Jan Valtin, nome fittizio di Krebs, quadro dirigente del Komintern, passato all’ovest nel 1937, confermano, ai responsabili inglesi e francesi, che Muller era stato reclutato dai sovietici sicuramente nel 1943. Altre prove vengono dalla testimonianza di prigionieri tedeschi, rilasciati più tardi da Mosca, che affermavano di averlo visto durante i loro interrogatori, poco dopo la caduta di Berlino, ed ancora due o tre anni più tardi. Affermazioni non contraddittorie, ma non prove irrefutabili. Mosca taceva ma c’è chi ha negli anni raccolto tutti gli indizi e le testimonianze possibili e quanto ne risulta è uno straordinario destino parallelo, la fuga di Muller e quella di Bormann. Cominciano entrambe con lo stesso scenario: Berlino brucia.

Martin Bormann divenne il delfino di Hitler in seguito alla sconcertante fuga di Rudolf Hess. Hess era l’ex segretario di Hitler che scappò in Inghilterra nel ’41 dove venne imprigionato. Restò un mistero fino alla sua morte, ma anche quella di Bormann è una vita misteriosa. Alcuni dissero che a fine guerra fu ucciso a Berlino, altri dissero che scappò a Mosca essendo una spia dei sovietici. Oggi, foto e documenti, dicono che Bormann scappò in Sud America dove è morto negli anni ’70. Questa pagina suggestiva e misteriosa, del sistema di fuga in Sudamerica dei gerarchi del nazionalsocialismo, itinerari avvolti nelle nebbie e coperti da falsi documenti. L’evasione di Bormann dalla Berlino in fiamme 1945, sembra si deduca in particolare da un documento che è stato sempre sdegnato dai ricercatori. È l’agenda personale di Bormann. Fino al 1972, Mosca ha negato che sia stata recuperata a Berlino da una unità dell’Armata Rossa, ma quindici anni dopo, gli archivi finalmente aperti del NKVD (i Servizi segreti militari; Ndr) hanno ammesso che secondo la nota 735d, datata 22 giugno 1945, Laurenti Beria, allora capo supremo dei servizi speciali dell’Unione Sovietica, l’aveva trasmessa a Stalin. La sua trascrizione in lingua russa, Beria, l’ha redatta dopo otto settimane di studi minuziosi.

Rimane insolito che fu trovata su un cadavere, mentre la leggenda tramanda che durante la notte fra il primo e il due maggio del 1945, Martin Bormann era stato ucciso dalle schegge di una bomba caduta su un carro armato, sul ponte si Weidendamm.

 Arthur Axmann, uscito con Bormann dal bunker della cancelleria, raccontava che l’aveva perduto di vista a un certo punto e poi mai più trovato. Nonostante ciò, quindici anni dopo, Axmann ammette di aver inventato questa storia, con altri testimoni voleva accreditare la versione della morte di Bormann, per proteggerne la fuga. Fatto sta, né lui né gli altri testimoni, avevano notato che il cadavere era vestito di un mantello di cuoio di una taglia diversa da Bormann, che sotto portava solo degli indumenti intimi, così come riporta in copia il documento del rapporto di Laurenti Beria a Stalin. Era solo una messa in scena, con tanto di agenda messa al fianco, in bella mostra, per identificare il cadavere anonimo e dargli un nome. Anni dopo, anche altre fonti hanno sottolineato che, a venti anni dalla fine della guerra, due cadaveri di Bormann erano stati trovati in Germania e altri quattro in America del Sud. Un gioco di piste immaginarie, volute da Gestapo-Muller, sia per lui stesso che per i suoi complici degli ultimi momenti del Reich tedesco.

Un’immagine emblematica della caduta di Berlino (2 Maggio 1945).

Molte fortune della ex Repubblica federale tedesca sono legate alla fuga e ai misteri di quella primavera estate del 1945. C’è chi ha voluto fare i conti in tasca a Martin Bormann. La metà dei settecento milioni di dollari portati da lui all’estero sembra siano tornati a casa, sia in denaro, sia sotto forma di aziende efficienti assorbite nei circuiti economici di Adenauer. Cosa invece sia successo a Gestapo-Muller, lo si è saputo per vie traverse, perché né Bonn né Mosca volevano parlare ufficialmente, dato che non aveva quella ricca dote di denaro che aveva Bormann e non era per questo, argomento della diplomazia ufficiale ma, esclusivamente, di certi settori dell’Intelligence. Costoro chiamavano “i vecchi signori” quelle persone, quegli esperti in tanti campi che agivano lontani dagli sguardi e dai rumori della guerra fredda, dalle indiscrezioni dei media e che operavano, nel corso di cinque anni, nel reintegrare averi, denari, industrie commerciali per un valore di quattrocento milioni di dollari riciclando i beni occulti del Terzo Reich nella nuova Repubblica Federale Tedesca. “I vecchi signori” avevano vissuto tutte le stagioni della Germania ed ora dovevano manovrare in modo che non si scatenassero le fanfare della propaganda. Questo è il clima di realismo politico che ha permesso con una certa disinvoltura ed una serie di machiavelliche operazioni di traghettare dalla Germania del Terzo Reich alla Germania che oggi conosciamo, ingenti quantità di denari e fortune di ogni genere.

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