Geopolitica mediorientale. Le Alture del Golan: una disputa infinita tra Siria e Israele per concordare un confine che non c’è, ma che va bene a tutti, anche grazie a ‘baratti’ poco chiari. Di Roberto Roggero.

Le alture del Golan.

Il Golan, in arabo Al-Jawlan, è un altopiano prevalentemente montuoso, vasto circa 1.800 km quadrati, il cui punto più alto è il Monte Hermon, a poco meno di 3.000 metri, e la più bassa a circa 400 metri, dove scorre il fiume Yarmuk, e convenzionalmente segna la linea di confine fra Israele, Siria, Libano e Giordania, zona nota come Gaulantide. Dopo la Guerra dei Sei Giorni, secondo la storia nota, il territorio è stato occupato dalle truppe israeliane, in una zona che corrisponde alle pendici meridionali del Monte Hermon alla riva sud del lago di Tiberiade (noto anche come Mare di Galilea e Lago Kinneret, a -200 metri sul livello del mare) e fino al confine con la Giordania, che si immette poi nella valle del Giordano. Una zona che si trova al margine sud-occidentale della Siria, speculare alla zona nord-orientale di Israele. La zona a sud del fiume Yarmuk appartiene alla Giordania mentre la zona all’estremità orientale del fiume Raqqad è controllata dalla Siria. Il resto è sotto il controllo di Israele. 

Secondo il diritto internazionale, il Golan appartiene politicamente alla Siria, ma sottoposto a occupazione militare israeliana con conseguente annessione unilaterale, per altro non riconosciuta dalle Nazioni Unite, e tuttavia senza che la situazione abbia subito cambiamenti dopo il termine della Guerra dei Sei Giorni, sebbene nel 2008 Damasco e Tel Aviv abbiano dato inizio a negoziati per risolvere il contenzioso, poi interrotti a causa dello scoppio della guerra civile in Siria, nel 2011. 

Dalle fonti storiche, pare che le prime tracce di insediamenti umani nel Golan, risalgano al Paleolitico Superiore, ma nel corso dei secoli si alternarono diversi padroni, fino alla conquista dei turchi ottomani nel 16° secolo, che solo nel 1878 autorizzarono le prime costruzioni stabili in insediamenti organizzati. 

Al termine della prima guerra mondiale, con il disfacimento dell’impero ottomano, dopo un breve periodo in cui fu assegnato al Governatorato di Damasco, passò direttamente all’amministrazione della Francia, alla quale venne affidato il mandato su tutta la Siria e nel 1944, quando scaddero i termini del mandato, il Golan divenne ufficialmente parte della Repubblica Araba di Siria. 

Dove sta la verità? 

Israele.

Dove sta la verità?

Nel 1967, in seguito alla Guerra dei Sei Giorni, quando la Siria di Hafez Al-Assad attaccò Israele proprio attraverso il Golan, l’esercito dello stato ebraico contrattaccò sul Monte Hermon e occupò militarmente 2/3 del Golan, accettando poi di restituire il 5% del territorio occupato, in seguito alla Guerra dello Yom Kippur del 1973, e trasformato in zona demilitarizzata sotto mandato internazionale, denominata UNDOF, creata l’anno seguente come garanzia per l’attuazione di un accordo di disimpegno. 

E’ però la definizione di “territorio invaso e militarmente occupato” che pare non sia esattamente corrispondente alla verità dei fatti, secondo più di una fonte riservata, di provenienza giordana. E’ una notizia che naturalmente va presa con il beneficio del dubbio proprio in quanto di provenienza giordana, ovvero di un Paese che di fatto non ha interessi politici per quanto riguarda il Golan, ma da valutare nella giusta considerazione: il Golan, come alcune altre zone di interesse geopolitico e strategico nello stesso territorio, sarebbe stato oggetto di un baratto politico fra Damasco e Tel Aviv, in seguito al quale lo Stato siriano avrebbe incassato non meno di 15 milioni di dollari dell’epoca. Un accordo che avrebbe dato a Tel Aviv il potere di espellere dalla zona occupata la quasi totalità della popolazione residente, con successiva espansione e costruzione di nuovi insediamenti. 

Le autorità israeliane esercitarono l’amministrazione militare fino al 1981, quando venne emessa la Legge sulle Alture del Golan, con la quale si includeva la regione sotto la giurisdizione civile, iniziativa ufficialmente condannata dall’ONU con la Risoluzione n.497 che dichiara priva di valore la decisione israeliana di imporre leggi e amministrazione. Un documento che le autorità israeliane ignorarono a loro volta, sostengono di avere il diritto di inglobare il territorio nella propria sfera di influenza diretta, in riferimento proprio a una Risoluzione ONU, la n.242, risalente alla Guerra dei Sei Giorni, in questo caso rispettata, la quale stabilisce che ogni Stato sovrano e indipendente ha il diritto di garantire la propria integrità territoriale. Peccato però che il territorio del Golan non dovrebbe fare parte di Israele, secondo il Diritto Internazionale riconosciuto, così come la strategica zona delle Fattorie di Sheb’a, appartenenti politicamente al Libano e occupate per iniziativa unilaterale di Tel Aviv. In sostanza, quasi un milione di sfollati e profughi siriani, dal 1967 attendono una risposta da parte della comunità internazionale per il diritto al ritorno nella propria terra, dalla quale sono stati forzatamente espulsi, e che stanno pagando il prezzo di un baratto politico segreto, stipulato dalle autorità del proprio Paese e dalle autorità di occupazione, che hanno deciso a tavolino la separazione di comunità secolari rimaste in quella parte del Golan oggi occupato, cioè famiglie separate, che non hanno ancora la possibilità non tanto di riunirsi, quanto di incontrarsi o frequentarsi, fra una popolazione di circa 39mila persone, fra cui poco meno di 20mila drusi e oltre 2.000 musulmani. 

Mazari Shib’a 

Un percorso storico simile al Golan caratterizza le vicende della zona agricola dove sorgono circa 15 fattorie, contesa fra Libano e Israele. La stessa Siria ha riconosciuto le fattorie di Sheb’a come territorio appartenente al Libano che, soprattutto a causa della particolare fertilità, Israele non intende abbandonare, e ribattezzata Har Dov, alle pendici occidentali del Monte Hermon, punto di congiunzione fra i confini di Siria, Libano e Israele, estesa circa 15 km e larga più o meno 2 km, con un’altitudine che varia da 400 a 2.000 metri. Oggi il territorio di Sheb’a rimane amministrato dall’occupazione israeliana, anche dopo il ritiro delle truppe dal Libano meridionale, dopo la guerra che durò dal 1982 al 2000, e ricade sotto le autorità che hanno giurisdizione sul Golan, sebbene il movimento politico Hezbollah le ritenga parte integrante del Libano, con il riconoscimento del governo siriano. 

Il diplomatico norvegese Terjie Roed Larsen, alto dirigente ONU, ha affermato che fra le circa 80 mappe analizzate, solo una comprendeva la zona di Sheb’a all’interno del Libano, ammettendo però che tale fonte era di dubbia autenticità. Per altro, le mappe e le carte topografiche analizzate erano di provenienza russa, francese e inglese, e quindi redatte in base a interessi non certo locali. 

Di fatto, quando Israele occupò le alture del Golan, le fattorie di Sheb’a erano considerate territorio siriano, ma in relazione al fatto che il Libano non partecipò direttamente alla Guerra dei Sei Giorni. A nulla servì quindi la Risoluzione ONU-425 che sanciva l’evacuazione delle truppe israeliane dal Libano meridionale, immediatamente seguita dalle proteste ufficiali di Beirut e Damasco, secondo le quali Israele non ha mai completato il ritiro, tuttavia tali proteste, specialmente nel caso della Siria, appaiono una posizione fin troppo determinata da errori di valutazione, che non tengono conto della manifesta ambiguità in campo giuridico. 

Nel corso di una delle numerose riunioni di emergenza del Consiglio di Sicurezza ONU, convocata su proposta della Siria, è stata votata e approvata la mozione contro il riconoscimento della sovranità israeliana sulle Alture del Golan e sulla zona di Sheb’a, ma di fatto non è stato preso alcun provvedimento sul piano pratico, e ancora una volta Israele e Stati Uniti hanno avuto gioco facile, nonostante la successiva condanna ufficiale dell’Unione Europea che ha dichiarato il Golan territorio militarmente occupato. 

Un carro israeliano abbandonato sul Golan.

Perché Israele vuole il Golan? 

Tradizionalmente, fra Siria e Israele non è mai esistita particolare simpatia, come d’altra parte fra i diversi altri Paesi arabi e Stato ebraico, ma la contesa sul Golan è peculiare nello scenario regionale e, nonostante derivi da vecchi attriti, presenta caratteristiche nuove rispetto alla storica rivalità. 

Tel Aviv ha più volte fatto sapere che non ha intenzione di recedere, poiché il Golan è ritenuto di estrema importanza strategica per la sicurezza nazionale, ma di certo è più credibile che manifesti la volontà dello Stato ebraico di evitare contatti diretti, attraverso il territorio in questione, fra Siria e Libano, o più propriamente fra autorità siriane e Hezbollah e, per diretto richiamo, un ponte fra l’Iran e Hezbollah con il benestare di Damasco. A tale scopo, si parla quindi di un accordo segreto fra Israele e Siria, che avrebbe condotto a una vera e propria “trattativa di vendita” del Golan, ceduto a Israele per 15 milioni di dollari. 

Negli anni che hanno insanguinato la Siria a causa del conflitto tra l’esercito nazionale (sostenuto dall’Iran) e Isis/Daesh, Teheran ha di fatto realizzato un corridoio per le forniture di armamenti e milizie sciite, pronte a sostenere Hezbollah in un nuovo conflitto contro Israele, e l’unico pezzo di terra che ha finora scongiurato una escalation è proprio il Golan. Non è poi un segreto che Teheran abbia mire espansionistiche verso il Mediterraneo, obiettivo al quale per altro pare non avere rinunciato, ma il fulcro della strategia israeliana in proposito sta proprio nell’impedire che Teheran realizzi un asse esteso al bacino mediterraneo attraverso la Siria, che sarebbe controllato nel suo sbocco occidentale da Hezbollah, che diventerebbe in tutto e per tutto una diramazione alle dipendenze degli Ayatollah. 

Il Golan non è sempre stato considerato un territorio di valore strategico da Israele. La Risoluzione ONU-242, sostenuta anche dall’Unione Europea, non chiedeva infatti il completo ritiro israeliano dal Golan, ma solo da alcune sue parti, e proprio nel maggio 1974, alla firma dell’accordo fra Damasco e Tel Aviv sul disimpegno nel Golan, Israele di fatto ritirò le truppe da una buona parte del territorio, che aveva come centro nevralgico la città di Quneitra. Damasco, quindi, pare avere acconsentito all’accordo, per non fomentare aumenti di tensione che potrebbero uscire dal controllo e causare danni molto maggiori. Il presidente siriano Bashar Al-Assad, tuttavia, ufficialmente manifestò opposizione a una proposta che non comprendesse la totalità del Golan, rifiutando eventuali trattative con Israele, che avrebbero ribaltato i delicati equilibri e i rapporti con Iran e Libano. 

Gli interessi terzi 

Sullo sfondo di questo scenario, bisogna riconoscere però un radicato pregiudizio, diffuso in ambito ONU, che evidenzia una contrarietà verso Israele e fornisce prima di tutto ai palestinesi una rappresentanza ufficiale con caratteristiche che nessun altro popolo con simili rivendicazioni possiede, come ad esempio Tibet e Kurdistan. 

Il Golan dovrebbe certo essere restituito alla sovranità alla quale appartiene di diritto, ovvero alla Siria, in base a un processo di pace molto peculiare, mai realizzato, nonostante molte promesse, fra Damasco e Tel Aviv. Allo stato attuale, infatti, non è mai stato concluso alcun negoziato fra i due Paesi, e di fatto, anche dal punto di vista del diritto internazionale, la questione è in stallo. Vi sono però opinioni contrastanti, proprio in materia di diritto, secondo cui non sarebbe possibile accogliere alcuna possibilità di accordo, nel caso in cui un Paese aggressore perda una parte del proprio territorio nazionale nel corso di un’azione di aggressione militare, come fu la Guerra dei Sei Giorni che vide Israele, parte offesa, ribaltare l’esito degli scontri conquistando proprio le Alture del Golan. 

Bisogna inoltre ricordare che negli anni ’90 dello scorso secolo, Tel Aviv ha anche proposto la restituzione di una parte del Golan, in base ad accordi predefiniti poi non concretizzati. Al giorno d’oggi, però, la situazione è differente, a causa dell’ingerenza iraniana nella regione, e per tale motivo, neanche Tel Aviv è più intenzionata a venire a patti. Inoltre, è un fatto che con altri attori in campo, come ONU e Unione Europea, vi sia una diffusa e costante instabilità, acuita dalla posizione degli Stati Uniti che spingono perché Israele ottenga il riconoscimento internazionale sulle Alture del Golan. Insomma, una sorta di Risiko giocato su un braciere, con fiammiferi accesi come pedine, di certo non favorita dalla rielezione di Benjamin Netanyahu a primo ministro, a capo di una coalizione di estrema destra, per altro pesantemente contestata all’interno del Paese. A monte di tutto ciò, la posizione delle Nazioni Unite, rispetto allo status giuridico delle Alture del Golan, resta invariata: è un territorio occupato illegalmente. Il Consiglio di Sicurezza aveva espresso forte preoccupazione in merito alle dichiarazioni del premier israeliano Netanyahu e alla volontà di Tel Aviv di considerare quel territorio di sua appartenenza, e aveva inoltre ribadito che, in base alla Risoluzione n.497 del 1981, la decisione da parte israeliana di imporre leggi e amministrazione nei territori del Golan occupato è totalmente illegittima, senza fondamento o riconoscimento internazionale. 

Per Netanyahu il Golan rimane comunque una spina nel fianco, dopo che non è riuscito a creare una zona di sicurezza nel sud della Siria, usando le milizie jihadiste che combattevano il governo di Damasco (fatto documentato dagli osservatori ONU e denunciato dal segretario generale Antonio Guterres), per cui non rimane che rivolgersi a Washington per ottenere altri risultati, in particolare per guadagnare consensi all’interno del proprio Paese. La questione è poi mantenuta viva dalle stesse autorità siriane, che più volte hanno affermato di essere pronte all’uso della forza se Israele rifiuta di ritirare le truppe di occupazione dal Golan, e la riapertura della base militare avanzata di Quneitra ne è un chiaro esempio. Da non dimenticare, inoltre, che sulla scena vi è anche la Russia, tradizionalmente legata alla Siria, e che proprio in Siria dispone di basi aeree e navali decisamente ben attrezzate. Mosca infatti, ha dato il proprio tacito favore alla presenza di milizie filo-iraniane in Siria, sebbene Tel Aviv giudichi tale presenza una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale. 

Nonostante tutto questo sfoggio di muscoli, di fatto Israele continua a operare in territorio siriano con vere e proprie azioni di guerra, lanciando missili contro le postazioni siriane proprio nel Golan, senza che la Siria abbia ancora osato dare seguito agli avvertimenti a proposito dell’uso della forza per riavere le Alture. 

Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha affermato che il confine meridionale del Paese, a ridosso di Israele, dovrebbe essere presidiato solo dai militari siriani. Ciò è stato percepito come un indizio che la Russia sia incline ad accettare la richiesta di Israele di allontanare le forze iraniane e le milizie sciite ad essa alleate (cioè Hezbollah) dal confine Israele-Siria. In realtà, Netanyahu ha ribadito la richiesta che le milizie iraniane debbano abbandonare l’intero territorio siriano. 

La chiave di lettura risulta quindi la seguente: l’offerta russa potrebbe essere accettabile da Israele, specie se Damasco acconsentisse all’occupazione israeliana del Golan, secondo le pretese di annessione di Tel Aviv. Eventualità decisamente irrealizzabile. 

In termini più accettabili, la Siria potrebbe impegnarsi a non attaccare Israele, eventualità che in ogni caso, nelle attuali condizioni, sarebbe un vero e proprio suicidio. A questo punto, sembra che Tel Aviv abbia intenzione di giocare sul tempo, mantenendo la presenza militare nel Golan per fare in modo che tale iniziativa porti come conseguenza l’accettazione dell’occupazione. In questo quadro, il presidente siriano potrebbe accettare di aprire un negoziato, se non altro per porre termine allo scontro fra Iran e Israele che sta devastando la Siria, per un confine che a tutti gli effetti non esiste.

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