Cosa sarebbe successo se…? Dalla storia virtuale alla storia reale. Alcuni casi ancora aperti. Di Giuseppe Moscatt.

Nikolaos Gyzis: rappresentazione pittorica dell'Historia.

Primo episodio: il caso del generale Pollio.

Si definisce storia controfattuale quel  ramo della storiografia o della letteratura distopica – ovvero dell’immaginario estetico – che studia gli effetti storici che avrebbero potuto succedere alternativamente a quelli già verificatesi, che si pone quindi quesiti sul passato, come per esempio che cosa sarebbe accaduto se il generale Pollio, capo di stato maggiore dell’esercito italiano non fosse morto improvvisamente, favorendo l’ascesa del generale Cadorna, quest’ultimo fautore della Triplice Intesa occidentale, mentre il primo propendeva per la Triplice Alleanza con gli imperi centrali? Come sarebbe andata la prima guerra mondiale per l’Italia se la spia Alfred Redl avesse continuato a fornire notizie riservate all’Italia sulla dislocazione dei reticolati al confine col Trentino e con l’Istria, piuttosto che essere catturato nel 1913? E quali sviluppi avrebbe avuto la Rivoluzione Russa e la stessa grande guerra se il filosofo marxista Parvus, cioè Aleksander Gelfand, avesse fallito nel suo tentativo di corrompere i bolscevichi al fine di favorire la loro ascesa al potere in Russia e quindi trattare la pace sul fronte orientale? Veniamo allora alle vicende del generale Alberto Pollio, classe 1852, capo di stato maggiore del Regio Esercito Italiano tra il 1908 e il 1914.  Fu un ufficiale molto colto e assai preparato, tanto da essere ricordato per due opere ancora valide per la storiografia storica militare, Custoza 1866 e Waterloo, ma ancora di più per essere stato fortemente coerente all’alleanza più che ventennale che legò l’Italia alla Germania imperiale e all’Austria – Ungheria, la c.d. Triplice Alleanza. Infatti Pollio intraprese negli anni del suo altissimo incarico, un rapporto molto stretto con il suo collega tedesco Helmuth Johann von Moltke, rivolto addirittura a portare l’azione militare dell’Italia contro la Francia sia sul terreno tradizionale delle Alpi, sia il fronte sul Reno. Perciò la firma di un protocollo al Trattato  dove l’Italia si impegnava a mettere a disposizione 6 corpi d’armata e 3 divisioni di cavalleria nel caso di uno scontro fra Francia e Germania. Tassello essenziale del c.d. Piano d’attacco Schlieffen, che prevedeva un fulmineo attacco a Parigi prima che gli alleati russi e inglesi mobilitassero a loro volta e disperdessero le armate anglofrancesi. La stima di von Moltke e dell’austriaco Conrad era perciò notevole e i politici dei due paesi alleati avevano un ottimo amico nel nostro paese che li poteva coprire da improvvise defezioni a favore della Triplice Intesa, notoriamente preferita dai liberali e dai socialisti italiani che optavano almeno per la neutralità. E quando nel giugno del 1914 avvenne il disastroso attentato a Sarajevo, la speranza di una guerra lampo con l’aiuto italiano sembrava ancora probabile. Ma un evento eccezionale fermò l’avverarsi dell’ipotesi: Pollio moriva d’infarto il 1 luglio, due giorni dopo l’attentato. Il governo tedesco esterrefatto parlò subito di un complotto e di omicidio premeditato. Fatto fu che il sostituto di Pollio, Luigi Cadorna, già suo avversario in carriera e invece favorevole alla Francia, si mise di traverso e con l’appoggio di Giolitti e di San Giuliano, ministro degli Esteri, convinse il Re e il Parlamento alla neutralità con forti dubbi di ottemperare alla Triplice. Poi sappiamo che la piazza e l’interesse  politico e economico produssero l’entrata in guerra con l’Intesa. Se Pollio non fosse morto e l’Italia avesse invaso la Francia repentinamente, quale esito più positivo per il Nostro paese? Veramente avremmo avuto con pochi morti Trento e Trieste? Poteva essere, ma non fu.

Secondo episodio: Alfred Redl.

Costui, colonnello dell’imperiale regio esercito austroungarico dal 1887 al 1913, dal 1912 alla morte fu capo di stato maggiore dell’ottavo corpo d’armata di stanza al confine sudorientale con la Russia. Pur appartenendo al controspionaggio austriaco, dal 1903 al 1913 lavorò come spia per la Russia. Perché tradì? Perché si suicidò dopo essere stato smascherato? Forse era stato ricattato perché omosessuale, circostanza che non solo gli avrebbe bloccato la carriera, ma anche perché  tale situazione era illegale in Austria, come ricordava Karl Kraus, dalle colonne del suo temuto giornale satirico. Chi lo manovrava? L’addetto militare russo Marcenko, scriveva di lui nel 1907: era insidioso e ipocrita, molto attento a non farsi scoprire, falsamente legato al senso del dovere, truffaldino e suadente, furbo e attraente, una Mata Hari in divisa e baffoni. Lavorò anche per la Francia e per l’Italia, consentendo alle nostre forze di spionaggio di conoscere fino al 1914 la dislocazione delle difese e dei reticolati austriaci lungo il confine sudtirolese. Purtroppo per lui, un disguido postale portò al suo smascheramento e poi al suo arresto, fino al suicidio in carcere, forse un omicidio simulato, come si vociferò quando fu trovato in cella con una pistola fornita dall’alto comando austriaco. E se Redl avesse cominciato a fornire informazioni dal 1915 e negli anni successivi al nostro comando? Può darsi che la nostra avanzata in Trentino sarebbe stata meno cruenta e più rapida. Ma così non fu.

Terzo episodio: Aleksander Gelfand.

Ma è il terzo esempio di storia controfattuale ci pare più inquietante. E ce la propone Sergio Romano, in un suo libretto pubblicato in occasione del centenario della Rivoluzione Russa. E’ noto che dopo il fallimento della rivoluzione comunista del 1905, il partito bolscevico di Lenin e Trotsky si era ritirato da ogni azione operativa in attesa di circostanze migliori. Gelfand viveva all’epoca in Turchia, fra i banchi del mercato di Istanbul, lui che era stato la mente del partito bolscevico proprio nella rivoluzione del 1905. In Turchia si faceva chiamare Parvus, commerciando  tutto quello che si poteva, lecito e illecito che fosse. Era già teorico della Rivoluzione permanente, aveva lasciato la berretta rossa e aveva indossato la bombetta borghese, tanto che sarà poi denominato il capitalista rosso. Da russo un po’ disamorato della lotta di classe, si era fatto una discreta posizione e fra il ’14 e il ’17 ed era corteggiato dal governo tedesco per fomentare una nuova rivoluzione in Russia. La Germania sperava che questa volta potesse riuscire col favore delle masse popolari una rivoluzione che invertisse a proprio favore la guerra prima che intervenissero in Europa le armate americane di Wilson. Il Governo tedesco si augurava sopratutto di arrivare a una pace separata insieme all’Austria, la cui esplosione dei vari popoli che dominava sembrava imminente. Già nel febbraio del 1917 si era stati ad un passo da ciò, ma i partiti democratici e liberali russi dopo la prima rivoluzione a Mosca, trasformando il paese in una monarchia costituzionale, avevano confermato la guerra contro gli imperi centrali. Kerenskij, nuovo primo ministro socialista, aveva convinto i militari a ritornare nelle trincee e a restare fedeli all’Intesa. Ma Kurt Riesler, capo di gabinetto del cancelliere von Bethmann, fedele servitore di Hindenburg e Ludendorff, generalissimi tedeschi, aveva un asso nella manica, Parvus, appunto. E come per il colonnello Redl, l’arma fu il ricatto: o la revoca della nazionalità tedesca o la collaborazione con lo spionaggio per una iniziativa eccezionale: il rientro di Lenin e della intera classe dirigente del partito bolscevico in Russia, nonché la organizzazione della seconda rivoluzione comunista con denaro tedesco fornito anche dai fondi di Parvus, il quale investiva così il suo speciale rapporto con Lenin, riconosciuto idoneo a istigare una volta per tutte le masse russe, ancora di più impoverite e con un esercito collassato al fronte. Sia il governo Bethmann che Parvus ipotizzarono già nel 1916 una nuova via di vittoria della guerra, quella di abbattere l’impero zarista attraverso l’iniezione della rivoluzione. Come ci dimostrano i diari di Riesler e l’autobiografia di Ludendorff, Parvus indusse lo stato maggiore tedesco a facilitare il ritorno di Lenin a Pietroburgo e perciò con capitale tedesco anche personale a Stoccolma consegnò ai Bolscevichi un ingente somma di denaro. Un famosissimo treno piombato attraversò l’Europa orientale portando con sé Lenin e compagni e denaro fino a S. Pietroburgo. Il convoglio attraversò una Germania incolta e deserta perché i contadini erano tutti dispersi nei vari fronti. A Berlino alcuni compagni arringarono la folla dei soldati spingendoli a ribellarsi. Nessuno li prese sul serio, salvo Ludendorff che salì a bordo e che pare consegnasse a Lenin decine di milioni di marchi in oro. Poi a Stoccolma Parvus aumentò la dose. I dubbi di Lenin erano altissimi, ma il machiavellico giochetto funzionò. Allo sbocco alla stazione Finlandia il Soviet locale lo accolse con lo spirito democratico di quella prima ondata e lo invitò ad aderire al Governo Kerensky. Ma qui Lenin mostrò il suo volto di sfida: chiudere subito la guerra con la Germania e l’Austria e dedicarsi alla guerra civile per la vittoria del Comunismo. Subito dopo, centinaia di migliaia di copie del suo giornale, la Pravda, comparvero sulle strade e la propaganda bolscevica, specie fra i militari, risalì vertiginosamente. Ad ottobre del 1917 vennero la seconda Rivoluzione, la pace di Brest-Litovsk e la chiusura del fronte russo. Il tentativo di Bethmann riuscì però in parte, perché il sistema di approvvigionamenti alle armate centrali in guerra venne meno, al punto che rivoluzioni democratiche scoppiarono a Berlino e a Vienna. Provocando finalmente la fine della guerra. Ora lo storico contro fattuale si può ben chiedere cosa sarebbe successo se Lenin avesse rifiutato le offerte tedesche. Forse la Russia avrebbe potuto restare immune dal Totalitarismo comunista? E se tale ideologia  non fosse stata importata in Germania dopo il 1918 senza che la guerra civile spartachista fosse avvenuta? Il mostro reazionario hitleriano avrebbe potuto così essere evitato? Dopo anni di silenzio e di depistaggi, però lo Spiegel nel 2007 ha ritrovato le prove dei versamenti a Lenin, cui diamo merito nell’avere fatto cessare quella sanguinosissima guerra di trincea, senza però escludere la sua grave responsabilità di quanto avvenne dal 1919 al 1921 per la non meno dolorosa guerra civile. Se però gli storici rifuggono dalla storia fatta di sé e preferiscono quella vera; non ci dispiacciono gli scrittori distopici che da ipotesi virtuali fanno derivare eventi alternativi e non di meno accattivanti, come Philipp Dick con La svastica nel sole del 1962 che immaginò un’età in cui le Potenze dell’Asse avessero sconfitto gli Alleati nella 2° Guerra Mondiale e avessero diviso il mondo secondo una geopolitica imperialista. E tuttavia un’ultima cosa va detta: la storia non cammina in modo lineare e se lo studio del passato va fatto con documenti reali, resta sempre il dubbio di vicende imprevedibili, che spesso trovano un riscontro non verificabile. Dunque sarà l’abilità dello storico quello di ritrovare l’eventuale filo conduttore razionale, sempre che esista…

Bibliografia:

  • Sui limiti della storia contrafattuale, vd. anche dal lato letterario PHILIP ROTH, Il complotto contro        l’America, Einaudi, 2014; per la saggistica vd. PASQUALE CHESSA, Se Garibaldi avesse perso…..      Storia controfattuale dell’Unità d’Italia, Marsilio, 2011.
  • Sul caso Pollio, cfr. MARCO MONDINI, Pollio Alberto, Dizionario biografico degli italiani, vol. 84, Istituto    dell’Enciclopedia italiana, 2015.
  • Sul caso Redl. vd. STEFAN ZWEIG, vd. il Cap, Luci ed ombre sull’Europa in Il Mondo di ieri, Milano,             2022, nuova ed. Garzanti.
  • Sul caso Parvus. Vd. BORIS CHAVKIN, Alexander Parvus – Financier der Weltrevolution. Online, nonché SERGIO ROMANO, Il giorno in cui fallì la rivoluzione, ed. Solferino, Milano, 2018.
  • Sul mito della ricerca storica contemporanea, cfr.. da ultimo, SERGIO LUZZATTO, Prima lezione di   metodo storico, Roma – Bari, 2013.

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