Le “opinioni eretiche” di Michele Rallo”. Dietro il presidente Usa Joe Biden c’è Obama e dietro Obama c’è Soros. Si moltiplicano sul web i video che mostrano il leader maximo degli Stati Uniti, Biden, in stato confusionale e in perenne sindrome da ambiguità.

Il presidente Usa Biden.

Due sono i filmati i piú performanti (ma ne esistono anche altri). Il primo mostra Biden errare imbambolato durante un ricevimento ufficiale, ignorato da un pubblico che riserva le sue attenzioni unicamente a Barak Obama, che é chiaramente la star della serata. Nessuno si fila il Presidente, che si dirige con lo sguardo nel vuoto verso la direzione opposta. 

Il secondo video mostra Biden che conclude un intervento ufficiale, si volge verso la sua destra e stende la mano a salutare qualcuno… che non c’é. Impiega forse una decina di secondi per rendersi conto che da quella parte non c’é nessuno. Altra svolta a destra, volgendo il viso al muro e le spalle al pubblico, altri interminabili secondi di imbarazzo generale. Infine, una terza virata di 90 gradi – quella buona – e l’incedere con passo malfermo verso la direzione giusta. 

Nulla di eccezionale, in sé. Sono cose che a una certa etá possono accadere a chiunque. La cosa sconcertante, peró, é che un uomo di quella etá, di quello stato di salute e di quella prontezza di riflessi sia stato imposto come Presidente della prima potenza mondiale; anche se – a voler dar retta ai maligni – con qualche “aiutino” non proprio limpidissimo. Quei suoi problemi non sono proprio recentissimi. Giá due anni fa, durante la campagna elettorale presidenziale, il suo apparente stato cognitivo era tale da indurre il rivale Trump a soprannominarlo Sleepy Joe, cioé Joe l’Addormentato. 

Tutto ció induce qualcuno a sottovalutare i rischi insiti nei comportamenti del Presidente USA in relazione all’attuale crisi ukraina. Comportamenti (a cominciare dal linguaggio per finire alle donazioni miliardarie) che vanno tutti in direzione non soltanto di un prolungamento del conflitto, ma anche di una guerra per procura da combattere “fino all’ultimo ucraino” contro la Russia; con il rischio oggettivo di una deflagrazione di piú vaste dimensioni, fino – in via di ipotesi – al conflitto nucleare. 

Orbene, questi pericoli, secondo gli ottimisti, sarebbero assai remoti, perché quelle di Biden sarebbero soltanto manifestazioni senili che nessuno – russi compresi – prenderebbero troppo sul serio. Anche il famoso “dito sul bottone” di un attacco nucleare, non sarebbe il dito decisivo – per cosí dire – perché dovrebbero poi esserci altri due diti (quelli di due generali) a confermare il via libera per il lancio. 

Certo, se le cose stessero cosí, i rischi di una degenerazione del conflitto sarebbero limitati. Se si trattasse soltanto di un vecchio sbandato che gioca a fare il cow-boy, potremmo almeno fare affidamento sulla saggezza dei suoi badanti. 

Le cose, purtroppo, non stanno in questi termini. Sleepy Joe non é un cavaliere della valle solitaria, bensí un accolito di Barack Obama, di cui é stato il vice. É stato Obama ad imporlo al Partito Democratico come candidato alle presidenziali. Ed é stato Obama il motore della sua campagna elettorale, fino ad una vittoria che ha suscitato piú di qualche interrogativo. 

Stando cosí le cose, c’é il ragionevole dubbio che, quando Biden straparla e sembra agognare ad una terza guerra mondiale, in realtá a tirare le fila sia Obama, con tutta l’autorevolezza e la potenza di un clan che domina il Partito Democratico e che ne determina la linea politica. 

D’altro canto, la guerra d’Ukraina non é cominciata adesso. I fatti di queste settimane sono soltanto l’ultimo capitolo di una guerra che dura dal 2014, quando – in piena era obamiama – i servizi americani organizzarono il colpo-di-Stato che depose il Presidente (filorusso) democraticamente eletto, sostituendolo con una coalizione di tutti i partiti (filoamericani) sconfitti alle elezioni. 

Da allora il conflitto é andato avanti per tappe, a marce forzate. C’é stata innanzitutto la guerra nel Donbass, scatenata dal nuovo governo ucraino contro le repubbliche separatiste filorusse: 14.000 morti, 35.000 feriti, un milione e mezzo di profughi, il tutto senza che un qualunque telegiornale occidentale si degnasse di mandare in zona un solo inviato speciale. C’é stata poi la richiesta di adesione alla NATO (consacrata addirittura nella nuova Costituzione ucraina). Poi le esercitazioni congiunte fra Ukraina e NATO sul suolo ucraino – ben tre! – a due passi dal confine russo. Ed ancora l’invio di “consiglieri” americani per addestrare l’esercito ucraino e per ammaestrare i servizi segreti. Per tacere di tanti strani movimenti di carattere finanziario, di tante sorprendenti acquisizioni di societá ucraine da parte USA, di tante “partecipazioni” sospette di trafficoni americani nei settori piú delicati della produzione di Kyiev; come quella – per esempio – del figlio di Biden, Hunter, nel consiglio d’amministrazione della societá petrolifera Burisma Holdings [vedi “Social” del 12 dicembre 2014]. Altro che “guerra di Putin”, questa é “la guerra di Obama”. O, forse, sarebbe piú esatto dire che questa é “la guerra di Soros”. La guerra, cioé, di quel galantuomo le cui speculazioni nel 1992 provocarono la crisi della lira italiana: una perdita valutaria di 48 miliardi di dollari ed una svalutazione del 30% della nostra moneta nazionale. Dicesi il 30%, quasi un terzo del suo valore. 

Amarcord a parte, George Soros ha aperto le ostilitá contro la Russia in Ucraina (e altrove) ben prima di Barack Obama. É stato lui – il “filantropo” – a tentare per primo di acquisire l’Ukraina ad una crociata “democratica” contro la Russia. Lo ha fatto nel lontano 2004, organizzando e finanziando una delle sue “rivoluzioni colorate” a Kiev. Sembrava che il miliardario fosse riuscito nel suo intento, ma gli elettori ucraini furono ovviamente di diverso parere, costringendo il suo amico Obama a ripetere l’operazione dieci anni piú tardi. Il resto é storia di questi giorni. Putin é caduto nel trappolone ed ha scatenato la guerra, mettendosi cosí dalla parte del torto. Anche i giapponesi, nel 1941, si misero dalla parte del torto attaccando la flotta americana a Pearl Harbor. Ma la storiografia dominante non riferisce di quali e quante provocazioni furono capaci gli americani per indurre i nipponici a quell’abominevole “fallo di reazione”. 

Fu solo grazie a quel drammatico evento che il Presidente americano del tempo, Franklin Delano Roosevelt, riuscí a violentare la volontá dei cittadini statunitensi che per il 77% (sondaggio Gallup del febbraio 1940) erano contrari all’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto. 

Gli americani sono maestri nelle provocazioni. E trovano sempre degli allocchi – ieri i giapponesi, oggi i russi – che si prestano a fare i “cattivi” della situazione. Ma questa, come suol dirsi, é un’altra storia. 

La storia di oggi é ancóra un’altra. É la storia di un vecchietto con lo sguardo perso nel vuoto e con il potere di scatenare una guerra mondiale. E, dietro a quel vecchietto, altri sguardi, altre capacitá, altri poteri. C’é poco da stare tranquilli. 

Lascia il primo commento

Lascia un commento