Come è noto, ai nostri giorni la religione predominante negli Stati Uniti e in Canada è quella protestante (nelle sue svariate sfaccettature di culto), ma vi fu un tempo, e precisamente tra il XVI e la prima metà del XVIII secolo, in cui i colonizzatori e gli esploratori franco-cattolici riuscirono, almeno in parte, a diffondere la le popolazioni indiane nordamericane il credo cattolico, stipulando anche numerosi patti di alleanza in funzione anti britannica (nel corse di questi due secoli Inghilterra e Francia si scontrarono ripetutamente e duramente per il predominio sul Nuovo Mondo).
In ogni caso, tra la fine del 1500 e la metà del 1700, le esplorazioni francesi dei territori nord americani procedettero con una certa intensità, superando, numericamente, quelle effettuate da inglesi e spagnoli (questi ultimi provenienti dal Messico e dalla Florida) nel medesimo periodo e nello stesso ambito geografico americano. Dal 1600 al 1755, i francesi fondarono numerosissimi villaggi e fortini per controllare le nuove regioni da essi scoperte. Per ragioni di spazio ne citiamo solo alcuni: Tadoussac (1600), Québec (1608), Trois Rivières (1634), Montréal (o Ville Marie) (1630), Ft. St. Esprit (1665), Sault S.te Marie (1668), Ft. St.Ignace (1672), Ft. Frontenac (1673), Ft. Kaministiquia (1679), Ft. Niagara (1679), Ft. Crevecoeur (1680), Ft. St. Croix (1680), Ft. St. Louis (1682), Ft. Prudhomme (1682),Ft. La Tourette (1684), Ft. St. Joseph (1686), Ft. Kansas (1686), Cahokia (1698), Ft. Maurepas (1699), Ft. Ruiller (1700), Kaskaskia (1703), Ft. Miami (1704), Ft. Condé (1710), Ft. Old Mackinac (1712), Ft. Toulouse (1714), Ft. Rosalie (1716), New Orléans (1718), Ft. Chartres (1718), Ft. Orléans (1718), Ft. La Baye (1718), Ft. Quiatanon (1719), Ft. Beauharnais (1727), Ft. Michipicton (1730), Ft. St. Pierre (1731), S.te Geneviève (1732), Ft. St. Charles (1732), Ft. Vincennes (1732), Ft. Maurepas (1734), Ft. Tombeché (1736), Ft. Rouillé (1749), Ft. Le Boeuf (1753), Ft. Presq’Isle (1753), Ft. Venango (1754), Ft. Duquesne (1754), Ft. Carillon (1754), Ft. Ticonderoga (1755), Ft. Massiac (1758).
Nel 1616, Etienne Brûlé (1592–1633), un esperto esploratore che i precedenza Champlain aveva affiliato alla tribù degli Uroni per apprenderne lingua, usanze e modi di vivere, percorse la regione bagnata dal fiume Susquehanna e nel 1621 costeggiò la riva nord del Lago Huron. Sempre nel tentativo di scoprire il mitico passaggio a Nord Ovest, nel 1633, Jean Nicolet de Belleborne (1598-1642) si avventurò sul Lago Michigan e navigò i fiumi Fox e Wisconsin. Nel 1659, Médard Chouart des Groseilliers (1618–1696) e Pierre-Esprit Radisson (1636–1710) perlustrarono l’alto corso del Mississippi e nello stesso anno Jean Peré, uno dei più famosi coureurs des bois (così erano soprannominati gli esploratori francesi delle foreste), giunse, dopo una marcia estenuante, alla fredda regione della Baia di Hudson, che però trovò – come si è detto – già occupata da coloni inglesi. Nel 1721, il padre gesuita P. Charlevoix ottiene dal Governatore della Nouvelle France Philippe de Rigaud Vaudreuil l’incarico di scoprire il mitico “passaggio a Nord Ovest” (la presunta via che dovrebbe condurre alle Indie). Nel giugno 1721, Charlevoix si mette in marcia in direzione nord ovest e raggiunge l’estremo avamposto francese di Fort Michillimakinac, sul Lago Huron. Il gesuita, scarsamente informato sulle piste da percorrere, non riesce però ad effettuare che brevi esplorazioni in direzione Ovest. Inoltre, poco tempo dopo, una serie di violenti scontri tra franco-canadesi e indiani appartenenti alla bellicosa tribù dei “Renards” (Volpi), impediscono al gesuita qualsiasi ulteriore spedizione.
In questo periodo, anche i missionari francesi dettero un notevole contributo alla scoperta del Nord America, pagando spesso con il martirio la loro dedizione.
Come spiega lo storico delle missioni Antonio Borrelli, “l’apostolato dei predicatori cattolici si svolse primariamente fra i ‘pellerossa’ della zona; compito non facile, visto il loro carattere sospettoso e mutevole; i primi successi relativi si ebbero con la tribù più vicina degli Uroni; i Gesuiti usarono il metodo di farsi ‘selvaggi fra i selvaggi’, cioè adottare e adattarsi agli usi e costumi locali, avvicinandosi alla mentalità degli Indiani, cercando di comprendere le loro debolezze, riti, superstizioni. Ma dopo il 1640, la tribù degli Uroni fu attaccata ferocemente da quella degli Irochesi, per natura più combattivi e crudeli, più intelligenti e perspicaci e dotati di veloci cavalli; la guerra tribale fu violenta, portando allo sterminio quasi totale degli Uroni e annullando così l’opera dei missionari. E nel contesto di questa guerra fra Uroni ed Irochesi, persero la vita gli otto martiri gesuiti, che in varie date testimoniarono con il loro sangue la fede in Cristo, suscitando negli stessi Irochesi, una tale ammirazione di fronte al loro coraggio, nell’affrontare le crudeli e raffinate sevizie, che usavano per torturare i loro nemici, da giungere a divorare il cuore di alcuni di loro, per poterne secondo le loro credenze, assimilare la forza d’animo ed il coraggio. E come si diceva degli antichi martiri cristiani: “Il sangue di questi è seme di nuovi cristiani”, così il loro sacrificio non fu inutile, perché nei decenni successivi la colonia cattolica riprese vigore e si affermò saldamente in quei vasti Paesi. I martiri furono beatificati il 21 giugno 1925, dal grande ‘Papa delle Missioni’ Pio XI e dallo stesso pontefice canonizzati il 29 giugno 1930. Citiamo i loro nomi: Sacerdoti Carlo Daniel, Giovanni De Brébeuf, Gabriele Lalemant, Carlo Garnier, Natale Chabanel; fratello coadiutore Renato Goupil, sacerdote Isacco Jogues e il fratello coadiutore Giovanni de la Lande. Ricorrenza liturgica per tutti al 19 ottobre. Carlo Garnier nacque a Parigi il 25 maggio 1605 e studiò nel Collegio dei Gesuiti di Clermont; a 19 anni entrò nella Compagnia di Gesù, fondata da s. Ignazio de Loyola e ordinato sacerdote nel 1635. Dopo appena un anno, l’8 aprile 1636 a 31 anni, si imbarcò per il Canada giungendo il 10 giugno a Québec, allora colonia francese come tutto il vasto territorio, che sarà poi motivo di contrasto e guerre con gli Inglesi, altri colonizzatori. Il 13 agosto 1636, raggiunse con una canoa di pellerossa, il territorio degli Indiani Uroni. Si stabilì prima ad Ihonitiria e poi ad Ossossané apprendendo con rapidità la loro lingua e usanze e impegnandosi alacremente alla loro evangelizzazione, pur se contrastato dai locali stregoni, che attribuivano ai suoi malefici, lo scoppio di una mortale pestilenza. Ma padre Carlo Garnier, proprio in occasione dell’epidemia, dimostrò tutto il suo coraggio e la sua sollecitudine verso gli ammalati, che curò con passione, trasportandoli anche a spalle per lunghe distanze; sopportando la sporcizia e il puzzo delle piaghe; consolando i moribondi e quelli che avevano subito torture, nelle guerre tribali. Si meritò il titolo di ‘Agnello’ e di ‘Angelo delle Missioni’. Nonostante ciò, nel 1637, gli stregoni convinsero gli Uroni di quei villaggi di distruggere la Missione, al punto che padre Carlo Garnier scrisse il 28 ottobre 1637, una lettera-testamento al superiore di Québec.Tranquillizzatosi alquanto la pericolosa situazione, egli fu richiamato nella sede di S. Maria e nel 1639 incaricato di evangelizzare la nazione del “Tabacco” posta a sud della Baia Georgiana. Vari tentativi fatti dal 1640 al 1646 ebbero esiti negativi, finché nel 1646 riuscì a fondare due Missioni ad Etbarita nel “clan del lupo” e ad Ekarreniondi nel “clan del cervo”, che chiamò rispettivamente di S. Giovanni e di S. Mattia.Ma nel 1649 il 7 dicembre, la Missione di S. Giovanni a Etbarita, fu attaccata dai feroci Irochesi che ne sterminarono gli abitanti; lo stesso padre Garnier fu colpito da due colpi di moschetto al petto e alla coscia e finito con due colpi di scure al capo; gli Irochesi alleati degli Inglesi, erano riforniti di armi da fuoco da quest’ultimi. Il suo corpo fu recuperato da altri missionari due giorni dopo e seppellito in mezzo alle rovine della cappella. È ricordato il 7 dicembre, giorno del martirio”.
Nel 1669, i sulpiciani François Dollier de Casson, (1636-1701) e Gallivée esplorarono il Lago Ontario e videro per primi le cascate del Niagara, mentre nel 1683 Louis Jolliet (1645–1700) e padre Jacques Marquette (1637–1675) effettuarono una lunga e meticolosa ricognizione del Mississippi discendendone il corso a bordo di canoe, da nord a sud. Sempre intorno al 1680, un altro gesuita, padre Louis De Hennepin percorse il fiume Illinois fino alla sua confluenza con il Mississippi. Qui venne catturato dagli indiani Sioux che per diversi anni lo tennero prigioniero in un loro villaggio situato nel lontano Minnesota. Come riporta Philippe Jacquin nel suo ‘Storia degli Indiani d’America’ ( Arnoldo Mondadori Editore, 1984). “Gli europei caduti prigionieri nelle mani degli indiani ci hanno lasciato informazioni e resoconti molto interessanti sulla vita e le abitudini di quelle popolazioni. I cronisti più famosi sono: il prelato francese Brébeuf e gli inglesi John Williams (catturato nel 1704 durante l’attacco indiano a Deerfield nel Massachusetts) e John Giles (di Pemmaquid, Maine), catturato nel 1689. Ma abbiamo anche delle donne, come Mary Rowlandson, catturata nel 1675 vicino a Lancaster, Frances Slocum e Mary Jameson, due fanciulle rapite ancora giovanissime. Nel corso della loro prigionia, entrambe si sposarono con degli indiani e preferirono finire i loro giorni nella tribù adottiva. Giunta alla fine della sua vita, Mary Jameson dettò ad un anonimo cronista inglese le sue interessanti memorie raccolte successivamente in una pubblicazione che divenne un vero e proprio best seller”. Nel 1683, il già citato cavaliere René Robert Cavelier, Sieur de La Salle completò, affiancato da un ufficiale di origini italiane, Henri de Tonti (1649–1704), l’esplorazione del Mississippi visitandone il delta e fondandovi alcuni avamposti. Con la morte di De La Salle – assassinato nel 1684 da un ammutinato nel corso di un’esplorazione delle coste del Texas – si concluderà la grande epopea francese nel continente settentrionale, così come nel 1542 l’ultimo viaggio di Francisco Vázquez de Coronado (1510-1554) aveva posto fine alle similari operazioni spagnole nel medesimo scacchiere.
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