L’epopea della ‘Legione Borbonica’ e delle ‘Garibaldi Guards’ durante la Guerra di Secessione americana. Di Alberto Rosselli.

Volontari borbonici in battaglia.

Parteciparono a molte, importanti battaglie della Guerra Civile Americana e pagarono un alto tributo di sangue, coprendosi di gloria. Un loro reparto, ridotto ad appena 18 uomini al comando del tenente Salvatore Ferri, si arrese il 10 aprile del 1865, ad Appomatox (Virginia), quando vista l’impossibilità di continuare la lotta contro gli unionisti, il pur coriaceo generale confederato Robert Edward Lee decise di deporre le armi. Stiamo parlando dei 684 volontari della “brigata borbonica” che dopo la caduta del Regno delle due Sicilie, decisero di emigrare in America e di combattere al fianco delle truppe del presidente Jefferson Davis. Circa le vicissitudini e le gesta degli italiani coinvolti nella grande carneficina fratricida che per quattro lunghi anni funestò il Nord America poco si è detto, anche se negli Usa le gesta dei cosiddetti “home made yankees sono ricordate e immortalate da numerosi cippi (vedi quello, famoso, di Gettysburg) disseminati dalla Louisiana allo stato di New York, perché – occorre ricordarlo – anche tra le file delle dei reparti unionisti militarono diverse centinaia di volontari provenienti dalla penisola, molti dei quali, di fede mazziniana e repubblicana, attratti dalla figura e dagli ideali del presidente Abraham Lincoln. A partire dal 28 maggio 1861, i quasi mille volontari italiani “nordisti” furono infatti inquadrati nell’Italian Legion e nella Garibaldi Guards, inserita nel 39° New York Infantry Regiment, fornendo in seguito un valido contributo alla causa delle “giacche blu”.

Manifesto per l’arruolamento dei ‘garibaldini’ nell’Esercito Unionista.

Ma torniamo ai “legionari” delle Due Sicilie. Dopo la battaglia del Volturno, (1° ottobre 1860) che determinò il tracollo dell’esercito di Francesco II di Borbone, circa 1800 tra ufficiali, sottufficiali e soldati dell’ex esercito meridionale si imbarcarono – grazie all’interessamento del console americano a Napoli, Joseph Chandler, e nonostante le vivaci proteste del conte Camillo Benso di Cavour – su sette navi (Charles & Jane, Utile, Olyphant, Franklin, Washington, Elisabetta e Monroe) dirette a New Orleans. Raggiunsero la meta nel gennaio del 1861, assieme ad altre centinaia di volontari europei decisi ad arruolarsi nell’esercito nordamericano: compagine ormai prossima alla scissione (il 21 gennaio 1861, con il proclama di secessione del Mississippi e le sue dimissioni dal Senato, Jefferson Davis innescò di fatto il conflitto Nord-Sud, spaccando le forze armate in due netti tronconi). Bisognoso di uomini bene addestrati alle armi, la nuova compagine confederata accolse a braccia aperte gli esuli borbonici. Nella fattispecie, lo stato della Louisiana ne reclutò la maggior parte, novecentosettantasei, inserendoli nel Decimo Reggimento fanteria della Louisiana formato da europei, istituito a Camp Moore dal colonnello volontario francese Mandeville De Marigny. Nacquero così il battaglione dell’Italian Guards. In seguito, molti volontari in virtù del loro inusuale ardimento furono sepolti a Lexington accanto alla tomba del “loro” generale Lee.

Volontari italiani dell’Esercito Unionista sfilano davanti al presidente Lincoln.

Va rammentato che, a causa delle violente proteste dei borbonici, una Garibaldi Legion sudista venne poi ribattezzata “Legione o Guardia Italiana” (anche per evitare confusioni con le Garibaldi Guards unioniste). A partire dalla primavera del 1861, altri esuli borbonici andarono ad ingrossare alla spicciolata svariati reparti confederati che, successivamente, vennero rimpinguati da altri elementi borbonici giunti nel frattempo dall’Italia grazie, questa volta, ad un ripensamento del Cavour. Per risparmiare sul vitto e l’alloggio dei prigionieri delle Due Sicilie (alcune migliaia di irriducibili che, essendosi rifiutati di prestare giuramento ai Savoia, erano stati rinchiusi nei campi di concentramento dell’Italia del nord (vedi la tristemente famosa fortezza di Fenestrelle, dove centinaia di meridionali morirono di fame e di malattie), il pragmatico conte pensò bene di disfarsi dell’impiccio, permettendo ai reclusi borbonici di espatriare nelle Americhe. Tra il 1861 e il 1864, le unità borboniche confluirono, assieme ad altri gruppi non italiani, nel Sesto Reggimento European Brigade, mantenendo tuttavia una propria bandiera e partecipando, come si è detto, a numerosi episodi bellici.

Volontari ‘garibaldini’ unionisti in una rara fotografia.

Essi ebbero modo di far valere il proprio valore a Bull Run, Cross Keys, North Anna, Bristoe Station, Po River, Mine Run, Spotsylvania, Wilderness, Cold Harbor, Strawberry Plain e Petersburg. Per la cronaca, il primo reparto ad entrare in linea fu  il Decimo Reggimento fanteria della Louisiana. Inviato in Virginia, esso ricoprì un ruolo fondamentale nella strepitosa vittoria confederata di Manassas (detta anche “Prima battaglia di Bull Run”, 21 luglio 1861): scontro che avrebbe potuto determinare addirittura il collasso dell’esercito nordista se solo il Comando confederato avesse deciso di incalzare il nemico e piombare su Washington. Cosa che tuttavia non fece. Il 15 settembre 1862, ad Harpers Ferry, al seguito del granitico generale Thomas Jonathan Jackson, detto Stonewall (Muro di pietra), i “borbonici in giacca grigia” ebbero l’occasione per venire alle mani con i volontari unionisti italiani del 39° New York Volunteers, sconfiggendoli piuttosto agevolmente. A battaglia ultimata, confederati e unionisti si accordarono per uno scambio di prigionieri, e i soldati del 39° Reggimento New York “Guardia di Garibaldi” furono scortati dalla Prima compagnia del 10° Reggimento Louisiana al punto di scambio, proprio al cospetto del generale Jackson che chiese al capitano Antonio Santini della Prima chi fossero quegli italiani. “They are just only home made yankees” (“Sono solo degli yankees cresciuti a casa nostra”) rispose con pepata ironia Santini. Poi, con il passare dei mesi, le sorti delle guerra iniziarono a pendere in favore degli unionisti – supportati dallo strapotere industriale degli Stati del Nord – che alla fine del 1864 scatenarono una serie di offensive risolutive obbligando i confederati prima alla ritirata generale e poi alla resa. Terminata la guerra, molti dei nominativi dei volontari borbonici andarono perduti, giacché il 20 maggio 1865, il generale Kirby Smith, comandante del settore del Transmississippi, decretò lo scioglimento di tutti i reparti, compresi quelli in cui militavano i nostri connazionali.

Stendardo confederato e stentardo borbonico.

Non solo, egli fece anche bruciare tutti i fogli di leva per evitare che cadessero in mano nordista. Non a caso, negli atti ufficiali di resa del 26 maggio non viene fatta alcuna menzione circa i disciolti reggimenti e battaglioni. Fortunatamente, a ricostruire l’archivio e a ridare un nome, soprattutto ai tanti caduti ignoti meridionali che indossarono la giacca grigia, ci pensò, nel 1920, lo storico Andrew B.Booth che, al termine di un lungo e difficile lavoro, ricostruì l’organico, e le gesta, della gloriosa “legione borboni.

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