Le (malsane) intuizioni neopagane di Simone Weil. Di Piero Vassallo.

Simone Weil.

     La fortuna italiana delle opere di Simone Weil corre insieme alla fluida vicenda dello spiritualismo, avviata dalla conversione antimoderna simulata dai buonisti di varia osservanza, al fine di prolungare la rivoluzione adattando le ideologie agli stati d’animo delle folle sfiduciate e depresse dalle sciagure del Novecento.    

Amalgama di buonismo, trasgressività, pauperismo, anarchismo, regressismo ed ecologismo ante litteram, il pensiero della Weil ha esercitato un influsso nella rivoluzione che ha preparato la cultura dei poteri forti in vista del III Millennio.  Avviata nei seminari di Kojève sul nirvanismo di Hegel [2], la metamorfosi pseudoreligiosa dell’ateismo moderno, infatti, subì una forte accelerazione quando Simone Weil formulò la sua tesi sull’origine biblica e romana del male storico.

     Fissa nella contemplazione di un “dio negativo” dai tratti sfuggenti [3], la Weil contestò la dottrina dei Padri, che dimostrava la convergenza d’Israele e dell’Impero romano nel disegno provvidenziale, e la capovolse nel giudizio che associa le due tradizioni (quella ebraica e quella romana) in una condanna senza appello.

   La sentenza della Weil è omogenea a quella formulata nelle rivelazioni teosofiche della convulsionaria Helena Blawatzski [4] e poi trasmessa, per mezzo del wagnerismo e dell’antroposofia, agli iniziati tedeschi e agli ispiratori del movimento nazionalsocialista [5].

   Il peccato della Cristianità consisterebbe nell’evangelizzazione di Roma, definita“battesimo della Bestia violenta [6]: la conversione dell’impero romano – della civiltà che usava la forza per imporre il diritto naturale – sarebbe stata una scelta sacrilega, ed avrebbe causato il rinnegamento della non violenza, la dottrina costitutiva della presunta opposizione del Nuovo al Vecchio Testamento  [7].

     Gli orrori dalla ferocia, che si è scatenata nella storia, pertanto, sono contemplati dalla Weil come conseguenze necessarie dell’incontro, avvenuto nel “grembo incestuoso”della Chiesa cattolica, del diritto romano con la religione d’Israele.

    La Weil, dopo aver coniugato l’avversione al diritto romano con il rifiuto del teismo veterotestamentario, giunse a sostenere che, nella storia del Cristianesimo primitivo, il battesimo della Bestia romana costituì un errore coerente con l’attribuzione della dignità di testo sacro all’Antico Testamento

    Questa inaudita affermazione si trova in un saggio scritto dalla Weil per dimostrare la superiorità della dottrina catara su quella cattolica, saggio pubblicato dalla casa editrice ecumenica Marietti di Genova [8].

     La sofistica postmoderna, alla ricerca disperata della città pacifica e globale sotto il cielo di un’improbabile Arcadia primitiva, sottolinea continuamente l’indirizzo antiromano e la tolleranza della Weil, e nasconde il prevalente indirizzo antiebraico e anticattolico del suo pensiero [9].

  Se non che l’essenza del nichilismo postmoderno ha incontrato puntualmente quel rifiuto della legge e della tradizione veterotestamentaria, che la Weil manifestava senza mezzi termini quando confessava di non essere  mai riuscita a capire come uno spirito ragionevole possa considerare lo Yahweh della Bibbia e il Padre invocato nell’Evangelo come un solo e medesimo essere[10].

   L’affermazione della Weil coincide, per un verso, con quella degli eretici, riprovati nella Prima Lettera di san Giovanni perché separavano Cristo dal Padre [11], per l’altro verso con quella dello gnostico Marcione Pontico, che negava la bontà del Dio degli ebrei.

   Il rifiuto dell’identità ebraica da parte della Weil è del resto categorico: “Non mi considero ebrea, non sono mai entrata in una sinagoga, sono stata allevata senza alcuna pratica religiosa, non ho alcuna attrazione verso quella religione, sono stata nutrita fin dalla prima infanzia nella tradizione ellenica[12].  

    E’ questo disprezzo della teologia veterotestamentaria che induce la Weila definire l’ebraismo versione grossolana e infelice della spiritualità greca [13].

   Il fatto è che l’odio antiromano e l’avversione al Dio della Bibbia, nel pensiero della Weil (e in precedenza nell’eterodossia ebraica, da Jacob Frank fino a Martin Buber) [14] sono fuse nella pietra del paradossale apprezzamento del male.

    Di qui il culto dell’immoralismo greco, che è, infatti, esaltato quale mistica dell’amore casto e impossibile.  Non per niente la Weil oltrepassò il dionisismo di Nietzsche sostenendo apertamente  che l’omosessualità greca era una forma nobile di castità: “non era il disprezzo per la donna che spingeva i Greci a onorare l’amore tra gli uomini … ciò che essi onoravano in tal modo era l’amore impossibile e dunque nient’altro che la castità[15].

   Nella Bibbia e nella storia di Roma la Weil legge, con orrore, lo spirito della giusta forza repressiva e, in ultima analisi, l’antitesi dell’adorabile armonia greca, che parificava e accordava (mediava) il bene e il male.  

 Secondo la Weil, Cristo si sarebbe riconosciuto nella media proporzionale della geometria greca, che divenne da allora la più lampante profezia: in questa luce il significato del Logos si troverebbe nel concetto pitagorico e platonico di numero, cioè rapporto, proporzione, armonia, mediazione fra gli opposti. La Weil suggerisce perfino una nuova traduzione dell’incipit del Vangelo secondo Giovanni: In principio era la mediazione.

   In congruenza di questa contorta dottrina, l’infedeltà alle intuizioni religiose della Grecia arcaica e misterica (le presunte fonti del Vangelo)diventa il peccato originale della Chiesa, e la causa della degenerazione della Cristianità: “L’influenza dell’Antico Testamento e quella dell’Impero romano, … sono a mio avviso le due cause essenziali della corruzione del cristianesimo[16].

   Un vincolo sotterraneo unisce l’avversione dei modernisti alla filosofia greca al rifiuto dell’Antico Testamento e della Romanità. Le due avversioni, unite, costituiscono la causa nascosta (e inavvertita) del regressismo suicidario, che ha alluvionato l’area dell’ex sinistra marxista, insieme con il pensiero del cavalcavia neodestro, intento al lancio della ragione sulle presunte antinomie  della verità [17].

   Scrive la Weil: “Il cristianesimo primitivo ha fabbricato il veleno della nozione di progresso mediante l’idea della pedagogia divina che forma gli uomini per renderli capaci di ricevere il messaggio di Cristo[18].

  Massimo Cacciari, che abita il vertice della speculazione postmoderna, riprende questo pensiero altamente depresso, ed afferma che dopo Simone Weil al cristiano non resta altro che l’uscita dal mondo e la decreazione, cioè un agire opposto a quello di Cristo nella Chiesa [19].

  Quando non si dimentica il pregiudizio antiebraico della Weil, l’affermazione di Cacciari svela il significato profondo del riferimento ai catari che si legge nella “Lettera a un religioso” – “I samaritani erano, nei confronti dell’antica Legge, ciò che gli eretici sono nei riguardi della Chiesa”: la fede cattolica è inquinata dalla fedeltà al Decalogo.

   La Weil, con consumata sottigliezza, formulò una tortuosa negazione della visibilità di Cristo nella Chiesa.

   Una negazione contrastante con quella dottrina tradizionale che Pio XII, nel giugno del 1943, esporrà nella più dimenticata e disattesa fra le sue encicliche, la “Mystici corporis”, dove si afferma che Cristo “talmente sostenta la Chiesa e talmente vive in certo modo nella Chiesa che essa sussiste quasi come una seconda persona di Cristo[20].

    Padre Guérard des Lauriers ha così riassunto il pensiero antagonista formulato dalla Weil: “La vera pietra filosofale, il vero Graal, è l’Eucarestia. Cristo ci ha indicato quello che dobbiamo pensare dei miracoli, ponendo proprio al centro della Chiesa un miracolo invisibile ed in certo modo puramente convenzionale (solo che la convenzione è ratificata da Dio. Dio vuole rimanere nascosto. … Tutto avviene come se con il tempo la Chiesa ritenesse essere Cristo non il corpo ed il sangue di Cristo sugli altari ma gli altari stessi, poiché questi sono gli strumenti ed il simbolo della riunione del popolo di Dio[21]

   Le verità che, al seguito della Weil, la scolastica postmoderna intende negare sono la bontà della creazione e l’efficacia dell’intervento salvifico di Dio nella sua Chiesa. La nozione di salvezza, nel nuovo schema dell’ateismo, è abbassata alla nozione di nirvana e perciò separata dalla fiducia nell’azione divina nella storia. Infine è sostituita dalla mitologia intorno al “dio negativo”.

  Alla nozione ebraica di salvezza, infatti, subentra quella ellenistica (e catara) di armonia, “l’unità dei contrari in quanto contrari… contemplare la cosa che suscita emozione, qualunque essa sia, finché non si giunge al punto segreto in cui dolore e gioia sono una sola e medesima cosa[22].

     La Weil ritenne che la dottrina dell’armonia e della vera pace fosse mirabilmente incarnata dalla civiltà catara, che possedeva “Un legame vivo [sincretistico] con le tradizioni millenaria che oggi noi tentiamo di riscoprire a fatica, quelle dell’India, della Persia, dell’Egitto, della Grecia[23].

    La dottrina neocatara esposta della Weil è puntualmente ripresentata, e accolta dai postcomunisti quale efficace medicamento per vincere i mali della modernità, quelli prodotti dal consumismo e quelli prodotti della destra nazista, il cui pericoloso moralismo sarebbe incarnato nelle teste rasate.

     L’orizzonte della Weil, disegnato dalla teosofia e dallo gnosticismo essenziale, e dalla sua falsa idea di mitezza, mette a nudo la radice del perdonismo oggi imperversante: la convinzione che sia possibile pacificare e armonizzare il bene e il male.

   Di più: l’idea delirante che il male abbia origine dal tentativo di spezzare la sublime armonia dei contrari per imporre la giustizia ebraica, romana e cattolica.

    Se prestiamo ascolto alle parole d’ordine che i buonisti ripetono incessantemente – la misericordia ci insegna a convivere felicemente  con i drogati, i ladri, gli assassini, i pedofili ecc. – e al loro corollario –la legge penale è il male assoluto – e consideriamo le statistiche sull’impunità di fatto, la devastazione prodotta dalle idee teosofiche appare in tutta evidenza. E’ il paradosso della cultura non violenta e perdonista: condannare (con il rigore di una giustizia senza misericordia) la paglia nazista nell’occhio smarrito degli skins asserragliati nelle curve dello stadio e assolvere (in nome dell’oblio perdonistico) la trave antiebraica che regge la spiritualità neocatara.

  Il terrorismo intellettuale dei post comunisti sostiene mirabilmente l’opera dell’abbaglio. Nessuno osa contestare un’intellettuale “ebrea”, buonista e perdonista, postcomunista ante litteram, pauperista fino alla scelta anoressica. Soprattutto nessuno ricorda che la suggestione catara, accompagnata da una generosa dose di ammirazione per i Barbari (maiuscolo nello scritto della Weil) giunti dal Nord per “portare un sangue giovane e fresco[24], discende dalla stessa scuola teosofica che ha dato un’impronta indelebile alla mitezza di Hitler.

 Alla fine degli anni trenta, Himmler incaricò Otto Rahn, un intellettuale organico alla S.S., di compiere ricerche sui catari. Rahn presentò un libro documento [25] in cui si leggono le più classiche opinioni antiromane ed antiebraiche della filosofia nazista: in Occitania le rudi popolazioni di stirpe germanica conobbero l’antica sapienza dell’Asia manichea e da tale incontro ebbe origine una splendida civiltà antiebraica, anticattolica e antiromana, il modello spirituale del III Reich [26].

    Opinioni simili se non identiche a quelle esposte dalla Weil. E’ un caso che la Weil, quando era preda della suggestione catara, abbia scritto (tra il 1938 e il 1939) articoli pacifisti, nei quali invitava l’Europa a rassegnarsi all’egemonia nazista?

   Le equivoche mitezze ispirate dalle antichità catare rianimano la tragica illusione che dominava al tempo del compromesso storico col nazismo.

    Ci si affida ad esse nella convinzione di poter esorcizzare la violenza mediante l’alzata della bandiera bianca. E senza vedere la faccia teosofica e catara della violenza nazista.

    E’ purtroppo evidente che la metamorfosi dell’antiebraismo teosofico nella violenza nazista costituisce una lezione cui la coscienza dell’Occidente smarrito nel postmoderno si ostina a non prestare ascolto.

  Nel forte discorso tenuto al convegno ecclesiale di Palermo nell’ottobre del 1994, Giovanni Paolo II dopo aver denunciato la colossale eruzione della nuova ideologia, che sta  dissolvendo “il patrimonio di convinzioni condivise e di valori profondamente umani e insieme cristiani”, ha indicato senza esitare il soggetto al quale compete la restaurazione della filosofia e del diritto: “All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo”.

   Nella perfetta latitanza dell’autentica destra, l’appello del Papa (il katéchon, il difensore del diritto naturale, secondo la polemica definizione di Cacciari) indica l’unica via percorribile da coloro che aspirano ad uscire dalla modernità senza incontrare l’angelismo del sottosuolo postmoderno.

  Oggi il solo compito della cultura nazionale è comprendere il messaggio che Giovanni Paolo II ha rivolto ai veri patrioti: ricostruire la civiltà a partire dall’armonia della fede con la tradizione del diritto romano.

    Ove la saggezza civile di Roma, ereditata e inverata dai giganti della fede cristiana, fosse dissolta da un neopaganesimo verniciato di “cabalismo” e da un nazismo replicante negli autori più rispettabili, l’Occidente libero sarebbe investito da una sciagura più devastante di quella che si temeva negli anni dello stalinismo.


[1]              Cfr.: “L’ombra e la grazia”, a cura di Georges Hourdin e Franco Fortini, Bompiani, Milano 2002, pag. 294.

[2]                Allievo di Jaspers, e fortemente influenzato dal pensiero heideggeriano, l’enigmatico agente del Kgb Alexandre Kojève (1902-1968) va annoverato fra gli autori che hanno avviato la parabola dell’ateismo moderno al suo esito ultimo. Impronte delle sue teorie si ritrovano nei più radicali protagonisti della svolta postmoderna, che seguirono le sue lezioni: Jean Paul Sartre, Jacques Lacan, Pierre Klossowski,Georges Bataille, André Breton ecc. Secondo Kojève il vertice speculativo del mondo moderno è rappresentato da Hegel: “sapere assoluto hegeliano o Saggezza e accettazione consapevole della morte concepita come annichilimento assoluto, completo e definitivo fanno tutt’uno”. Parzialmente pubblicata da Einaudi negli anni sessanta, l’opera di Kojève è ora riproposta da Roberto Calasso in edizione integrale, cfr. “Introduzione allo studio di Hegel”, a cura di G.F. Frigo, Adelphi, Milano, 1996.

[3]              Opportunamente Marcello Veneziani sostiene che alla Weil “si deve l’amore assoluto per un dio impotente, inerme. La manifestazione di onnipotenza si addice ai sogni degli uomini e non alla grandezza di Dio. L’idea della provvidenza, per la Weil, diminuisce la purezza dell’amore di Dio”. Cfr.: “Amor fati”, Rizzoli, Milano  2010, pag. 77.

[4]              Una corrente pseudoreligiosa, l’antroposofia, affine al teosofismo, esercitò una diretta influenza sulla Weil, tramite gli ambienti neocatari, abbondantemente intrisi delle suggestioni steineriane, Con questi ambienti la Weil intratteneva stretti rapporti. Lo ha stabilito Francesco Zambon, autore dell’introduzione alla raccolta dei testi e rituali catari ultimamente pubblicata da Adelphi, cfr. “La cena segreta”, Milano, 1996.

[5]              Sulla teosofia cfr. l’eccellente saggio di Pier Angelo Gramaglia, “Esoterismo, magia, Cristianesimo”, Piemme, Casale Monferrato, 1991. Per quanto riguarda la coniugazione del furore antiebraico con il disprezzo della romanità e del Cattolicesimo cfr. Arthur Rosenberg, “Il mito del XX secolo”, Il Basilisco, Genova, 1982. Ricordiamo che l’appartenenza di Hitler al movimento teosofico è stata ampiamente documentata da George Mosse.

[6]                 “L’ispirazione occitana”, in “I catari e la civiltà mediterranea”, Marietti, Genova, 1996, pag. 30.

[7]                 L’avversione alla Romanità era condivisa anche da René Guénon, un altro autore della cultura emergente a sinistra. Paul Sérant afferma che “Roma non gli

[a Guénon]

ispira che disprezzo”, cfr. “René Guénon” La vita e l’opera di un grande iniziato”, Convivio, Firenze, 1990, pag. 100. Sérant sostiene che Simone Weil “probabilmente non ha conosciuto Guénon, a cui non fa mai riferimento, ma alcune sue note, riflessioni e meditazioni si ricollegano singolarmente al pensiero di Guénon, e un libro come Lettre à un religieux prova che la giovane filosofa considerava per lo meno come probabili cose che Guénon considerava certe”, op. cit. pag. 29. Francesco Zambon, nell’introduzione a “La cena segreta. Trattati e rituali catari”, Adelphi, Milano, 1977, pag. 20, rafforza l’ipotesi di Sérant, dimostrando che “le sue [di Simone Weil] idee in propositosono ispirate in gran parte agli scritti di Déodat Roché e perciò, di riflesso, alla tradizione occultistica”.

[8]              Lettera a Déodat Rochet, in Simone Weil, “I Catari …”, op. cit..

[9]                Cfr. ad esempio: Roberto Esposito, “L’origine della Politica. Hannah Arendt o Simone Weil?”, Donzelli, Roma, 1996; Massimo Cacciari, “L’Arcipelago”, Adelphi, Milano, 1997.

[10]               “I Catari e la civiltà mediterranea”, Marietti, Genova 1996, pag. 43. Francesco Zambon, op. cit., pag. 21 sostiene che “questa critica al Vecchio Testamento è uno dei temi fondamentali della riflessione di Simone Weil sul cristianesimo: lo riprese anche in quella summa testamentaria delle sue idee religiose che è la Lettre à un religieux”. La Weil dichiarò la sua contrarietà al nazismo, ma nel suo pensiero il rifiuto del nazismo fu curiosamente associato al rifiuto della resurrezione: “La fede mi sarebbe più facile senza la resurrezione”, scrive infatti, “Hitler potrebbe morire e resuscitare cinquanta volte, io non lo considererei comunque il figlio di Dio”. E’ evidente che, nel pensiero della Weil, la difficoltà ad accettare la resurrezione è collegato con il disprezzo della vita. 

[11]                I Lettera di san Giovanni, 2, 21-25.

[12]             Cit. da Jean Marie Muller, “Simone Weil”, Torino, 1994. Emanuel Levinas, nell’opera della Weil non vedeva altro che l’odio per il popolo d’Israele. Questa testimonianza è particolarmente attendibile poiché Levinas fu un duro avversario della logica occidentale, cui attribuiva l’allergia e l’intolleranza nei confronti dell’altro. In questa sede è necessario rammentare che Levinas fu uno degli autori di Giuseppe Dossetti, che lo utilizzava come cavallo di battaglia contro l’impostazione occidentale.

[13]               I Catari, op. cit., pag. 29

[14]               Circa il progetto sincretista di Buber, inteso all’innesto della religione ebraica sull’esoterismo taoista e induista sono sempre valide le acute osservazioni di Henri Massis, cfr.: “Défense de l’Occident”, Plon, Parigi, 1927.

[15]               I Catari, op. cit., pag. 32. Ai giorni nostri questa opinione è largamente diffusa grazie alle opere d’impronta eco-thanatofila di autori, come Pasolini, che (al pari della Weil) presentano l’omosessualità nella luce della “mitezza”.

[16]               Ibidem.

[17]             E’ il caso di rammentare che gli intellettuali neodestri manifestano una sconfinata ammirazione nei confronti di Cacciari e della Weil. L’ultima testimonianza è resa dall’umorista oggettivo Vittorio Vettori, il quale, nel “Secolo d’Italia” del 12 gennaio 1997, descrive un’apparizione dell’immortale Jünger, al quale fa recitare un inno alla dea:Simone Weil mi pare viva e presente, a significare l’idea della pace, quasi fosse lei la grande Irene, la grande Pace a cui sempre i poeti hanno guardato e mirato sotto i più diversi nomi e sembianti. Irene dunque. Oppure? Alaliel, la lieta. Anima femminile materna pacificante del mondo”.  Oppure? La regina di questo mondo?

[18]               I catari ecc., op. cit., pag. 80]. Il concetto è ribadito nella “Lettre à un réligieux”, dove si afferma addirittura che “Il cristianesimo ha fatto entrare nel mondo questa nozione di progresso, prima sconosciuta e questa nozione, divenuta il veleno del mondo moderno, l’ha scristianizzato. Bisogna disfarsi della superstizione della cronologia per ritrovare l’Eternità”.

[19]               Cfr. la prefazione a : Andrea Emo, “Il Dio negativo”, Saggi Marsilio, Venezia, 1989.

[20]               “Mystici corporis I”, in:  “Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici”, raccolte e annotate da Eucardio Momigliano, Dall’Oglio, Milano 1964, pag. 1180.

[21]               Cfr. “Risposta alla lettera di un religioso”, in appendice a: Francesco Ricossa, “Cristina Campo o le ambiguità della Tradizione”, Centro librario Sodalitium, Verruca Savoia 2005, pag. 120.

[22]               I Catari ecc., op. cit. pag. 34

[23]               I Catari, op. cit., pag. 31

[24]                I Catari, op. cit., pag. 30. In Occitania, secondo la Weil, l’incontro dei Barbari con le tradizioni orientali (gnostiche, induiste e taoiste) generò una meravigliosa civiltà, antitetica alla Bestia romana. Sono qui condensati tutti gli ingredienti della dottrina razzista di Arthur Rosenberg.

[25]               Il libro di Rahn è stato pubblicato in Italia alla fine degli anni settanta: Cfr. Otto Rahn, “La crociata contro il Graal”, Ediz. Barbarossa, Saluzzo, 1978.

[26]               Sull’esoterismo nazista cfr.: Louis Power-Jacques Bergier, “Il mattino dei maghi”, ed. Mondadori, Milano, 1963.

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