Il mattino del 26 aprile 1986, un reattore della centrale nucleare di Černobyl’ esplose, generando il peggior disastro nucleare della storia. L’esplosione rilasciò una ricaduta di materiale radioattivo 400 volte più grave della bomba di Hiroshima, contaminando più di 200.000 km quadrati d’Europa. Circa 600.000 persone furono esposte a dosi elevate di radiazioni; oltre 350.000 dovettero essere evacuate.
Situata a circa 130 km a Nord della città di Kiev e circa 20 km a Sud del confine con la Bielorussia, la centrale nucleare di Černobyl’ con i suoi quattro reattori venne costruita negli anni ’70. La centrale utilizzava quattro reattori nucleari RBMK-1000, un progetto sovietico universalmente riconosciuto come difettoso. Tali reattori usavano combustibile a uranio arricchito U-235 per riscaldare l’acqua, creando vapore per azionare le turbine e generare energia elettrica.
Nella maggior parte dei reattori nucleari, dove l’acqua viene utilizzata come refrigerante e per regolare la reattività del nocciolo nucleare, quando questo si riscalda e produce più vapore, l’aumento di sacche di vapore acqueo o “vuoti” riduce la reattività nucleare nel nocciolo stesso. Questa è una caratteristica della sicurezza nella maggior parte dei reattori costruiti in Occidente. Ma non nei RBMK-1000 sovietici, che usavano grafite per moderare la reattività del nocciolo mantenendo una reazione nucleare continua.
Quando si riscaldava e produceva più vuoti, il nocciolo diventava più reattivo, non meno, creando un circolo virtuoso chiamato “coefficiente positivo vuoto”.
Il 26 aprile 1986 la centrale stava effettuando un esperimento definito come test sicurezza. Per consentire l’esperimento vennero disabilitati alcuni circuiti d’emergenza. Il test mirava a colmare il lasso di tempo di 40 secondi che intercorreva tra l’interruzione di produzione d’energia del reattore e l’intervento del gruppo diesel d’emergenza. Questo avrebbe aumentato la sicurezza dell’impianto, che avrebbe provveduto da solo a far girare l’acqua nel circuito di raffreddamento fino ad avvenuto avvio dei diesel.
Quando le barre di combustibile nucleare, estremamente calde, vennero abbassate nell’acqua di raffreddamento si creò una quantità immensa di vapore che, a causa dei difetti di progettazione dei reattori, innescò più reattività nel cuore nucleare del reattore numero 4. L’aumento di potenza risultante provocò un’esplosione che staccò la piastra di 1.000 tonnellate che copriva il nocciolo del reattore, rilasciando radiazioni nell’atmosfera ed interrompendo il flusso del liquido refrigerante. Dopo alcuni secondi, una seconda maggiore esplosione distrusse l’intero edificio del reattore, rilasciando un fiume di grafite bollente e altre parti del nocciolo intorno alla centrale, dando inizio ad una serie di incendi intorno al reattore danneggiato ed al numero 3, ancora in funzione al momento delle esplosioni.
I dati comunemente accertati evidenziano che, nel complesso, l’evento appare come il risultato di una catena di errori e mancanze, riguardanti le caratteristiche intrinseche del tipo di macchina, gli errori di progetto in alcuni particolari meccanici e anche del sistema di gestione economico-amministrativo (la centrale elettrica era priva di personale qualificato). Infine per la scelta del personale d’effettuare un rischioso “esperimento”, compiuto nelle ore dell’incidente con errori di coordinamento e manovre particolarmente incaute.
Le esplosioni uccisero due operai dell’impianto, i primi di molti. Nei giorni seguenti, quando le squadre di emergenza cercarono disperatamente di contenere gli incendi e le fughe di radiazioni, il bilancio delle vittime è salito a causa dei decessi dei lavoratori dell’impianto esposti a radiazioni acute, tra cui alcuni eroici operai che si esposero consapevolmente a livelli mortali pur di evitare ulteriori perdite di radiazioni.
Le autorità sovietiche, più preoccupate della propaganda di regime che di un dramma planetario, furono lente a rilasciare informazioni sulla gravità del disastro al mondo esterno, ma, quando l’allarme radiazioni raggiunse una centrale nucleare in Svezia, dovettero infine rivelare la portata della crisi.
Il reattore danneggiato venne sigillato in un sarcofago di cemento destinato a contenere la radiazione residua. Quanto sia stato efficace questo sarcofago e quanto continuerà ad esserlo in futuro è un argomento di dibattito scientifico. I piani per la costruzione di una struttura di contenimento permanente più sicura e più vicina al reattore sono stati attuati da pochissimi anni.
A causa dell’intensità della radioattività, nella regione circostante l’ex centrale nucleare di Černobyl’, l’area non sarà sicura per l’abitazione umana per almeno 20.000 anni. Se i comunisti vollero dare al mondo un lascito durevole è innegabile che a Černobyl’ ci siano riusciti.
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