I bombardamenti cino-comunisti di Quemoy e le ‘crisi’ dello Stretto di Formosa. Di Alberto Rosselli.

Mitragliera antiaerea da 20mm. cinese nazionalista.
Lo Stretto di Taiwan.

Il 5 gennaio 1950, in seguito alla vittoria delle armate comuniste di Mao Tse Tung su quelle nazionaliste di Chang Khai Shek, il presidente Harry Truman annunciò che “gli Stati Uniti non si sarebbero fatti trascinare in una guerra con Pechino”, anche nel caso di un attacco comunista a Formosa, isola dove si erano rifugiati l’esecutivo e le superstiti forze del Kuomintang. Tuttavia, il 25 giugno 1950, allorquando ebbe inizio la Guerra di Corea, Truman dovette cambiare opinione dichiarando, il 27 giugno, che l’America avrebbe garantito, anche con la forza, la “neutralizzazione dello Stretto di Formosa”. Tanto è vero che, pochi giorni dopo la Settima Flotta venne inviata nel suddetto braccio di mare per impedire “qualsiasi tentativo offensivo di Pechino nei confronti di Taiwan, ma anche per dissuadere alle forze del Kuomintang ad effettuare (assai improbabili) azioni di disturbo contro la Cina di Mao”.

Tuttavia, in seguito ai primi pesanti bombardamenti effettuati dall’artiglieria cino-comunista contro l’arcipelago delle Quemoy (1), situato a breve distanza dalla costa cinese e all’interevento in Corea, al fianco delle forze comuniste, di forti contingenti di Pechino, il Congresso degli Stati Uniti ritenne necessario fornire a Chang non soltanto protezione, ma anche un certo quantitativo di armi e rifornimenti per il suo esercito. Politica che, subito dopo il suo insediamento alla presidenza (2 febbraio 1953), il successore di Henry Truman, l’ex generale Dwight D. Eisenhower, decise di intensificare.

Forte dell’appoggio usa, ai primi di agosto del 1954, Chang Khai Shek trasferì 58.000 soldati a Quemoy e 15.000 nel vicino arcipelago di Matsu, in modo da creare una ‘cintura’ di contenimento atta a sventare eventuali attacchi contro Formosa: mossa che irritò non poco l’esecutivo di Pechino, intenzionato fino dal gennaio del 1950 ad impossessarsi dell’isola. Non a caso, l’11 agosto, Chu En-lai, nel corso di un intervento pubblico, ribadì a chiare lettere questo proposito, preannunciando anche l’uso della forza al fine di conseguirlo: dichiarazione destinata ad innescare una serie di reazioni a catena. Sei giorni più tardi, infatti, il governo degli Stati Uniti mise sull’avviso Pechino, avvertendo che in caso di attacco contro Taiwan, l’America sarebbe in qualche modo intervenuta per scongiurarlo. Monito, quest’ultimo, che spinse l’Unione Sovietica a criticare aspramente Washington e a lasciare intendere sue eventuali mosse di carattere militare. Nonostante l’avvertimento della Casa Bianca, il 3 settembre 1954, cinque divisioni di artiglieria medio-pesante dell’Armata Rossa cinese si posizionarono lungo la costa orientale, dando inizio ad un pesante bombardamento su Quemoy. Non solo, nel successivo mese di novembre, diverse squadriglie di caccia bombardieri cino-comuniste attaccarono ripetutamente dall’aria le posizioni nazionaliste delle Isole Tachen, causando notevoli danni. Di fronte a questa escalation, il 12 settembre 1954, i capi di Stato Maggiore statunitensi suggerirono al presidente Eisenhower l’ipotesi, in caso di uno sbarco comunista a Quemoy, di utilizzare come mezzo di dissuasione prima l’arma aeronavale per poi passare, se necessario, ad una rappresaglia nucleare contro Pechino. Data la delicatezza della situazione, Eisenhower prese tempo, ma il 23 novembre 1954, la Cina comunista decise di mostrare i muscoli, processando e condannando a lunghe pene detentive 13 aviatori nordamericani abbattuti sul territorio cinese nel corso nella Guerra di Corea. Seppure infastidito da questa palese ‘rappresaglia’, il presidente Eisenhower dichiarò di volere rinunciare, almeno per il momento, a qualsiasi iniziativa militare ai danni di Pechino per risolvere la Crisi degli Stretti. Detto questo, il 2 dicembre 1954, dietro sollecitazioni del senatore della California, William Knowland, il Congresso siglò però un trattato di mutua difesa con il governo nazionalista di Taiwan. L’intesa mandò su tutte le furie Mao che, il 18 (o 20) gennaio 1955, con un atto molto rischioso e assai poco accorto, attaccò e occupò l’isola di Yijiangshan, ubicata ad appena 210 miglia a nord di Formosa (nel corso della battaglia, i comunisti non fecero prigionieri, trucidando l’intera locale guarnigione nazionalista formata da 750 uomini).  Indignati per l’accaduto, quattro giorni più tardi i membri del Congresso approvarono a maggioranza assoluta l’’Ordine del Giorno di Formosa’ autorizzando il presidente Eisenhower di difendere con le armi non soltanto Formosa, ma anche le isole Quemoy, Dachen, Nanchi e Matsu. Nonostante la sua rafforzata posizione di forza, il presidente preferì tuttavia fare pressioni su Chang Khai Shek affinché accettasse di evacuare i suoi 11.000 sodati (e i 20.000 civili) presenti nelle Isole Dachen e Nanchi, lasciandole di fatto alla mercé dei cino-comunisti. Suggerimento, questo, per nulla bene accetto da a Chang che, per contro, nutrendo forti preoccupazioni, soprattutto in seguito al ‘massacro’ di Yijiangshan,  fece, al contrario, rinforzare tutte le guarnigioni poste a difesa degli arcipelaghi intorno a Formosa. Il generale Chang inviò truppe e armamenti pesanti a Quemoy, Kinmen e Matsu, dando ai suoi l’ordine di effettuare cannoneggiamenti contro la costa cinese. Pechino schierò un enorme quantità di truppe supportate da artiglieria pesante lungo il litorale compreso tra le città portuali di Fuzhou e Xiamen, riprendendo i cannoneggiamenti su Quemoy e Matsu e le Isole Pescadores. Il 9 febbraio 1955, la crisi indusse il senato americano a ratificare il patto di Mutua Sicurezza tra Washington e Taipei (che non aveva valore per le piccole isole nazionaliste poste a pochi chilometri dalla costa cinese), votando anche una nuova più estesa risoluzione che di fatto impegnava gli Stati Uniti a proteggere tutti i territori sotto la giurisdizione di Taipei. Il 15 febbraio, pur sostenendo la politica americana, il Primo ministro Inglese Winston Churchill sconsigliò Washington a prendere in considerazione, anche nel caso di un attacco diretto a Taiwan, l’opzione atomica. Tuttavia, il 10 marzo, nel corso di una riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC), l’influente segretario di Stato statunitense John Foster Dulles ribadì che il popolo americano avrebbe comunque dovuto prepararsi ad un’eventualità di questo tipo e quindi ad una guerra totale contro la Cina comunista. Dichiarazione avvallata il 17 marzo dallo stesso presidente Eisenhower, la cui determinazione provocò notevole sgomento presso i governi dei Paesi della NATO, quasi tutti contrari ad eventuali ritorsioni atomiche contro Pechino. Timore che, tuttavia, non scalfì minimamente la volontà di Washington che, il 25 marzo 1955, tramite l’ammiraglio Robert B. Carney, confermò le sue intenzioni, raggiungendo infine i suoi scopi. Contrariamente alle opinioni degli analisti europei, la politica del braccio di ferro premiò infatti gli Stati Uniti, costringendo Mao a rivedere tutti i suoi piani. Il 23 aprile, infatti, la Cina, presente alla Conferenza Afro-Asiatica, palesò la sua disponibilità a “negoziare” un’intesa di pace con Taiwan. E il 1° maggio, a dimostrazione delle sue buone intenzioni, Mao ordinò la cessazione dei bombardamenti su Quemoy e Matsu, mettendo così fine alla Prima Crisi degli Stretti. Non solo, il 1° agosto 1955, la Cina rilasciò anche i 13 aviatori statunitensi precedentemente incarcerati, riconsegnandoli agli americani.

La tregua nello Stretto di Formosa durò soltanto tre anni in quanto, all’alba del 23 agosto del 1958, circa 600 pezzi di artiglieria di piccolo, medio e grosso calibro dell’Armata Rossa, dislocati lungo la costa cinese meridionale, nell’area di Xiamen, ripresero improvvisamente a martellare Quemoy. Dopo avere scaricato sull’isola nell’arco delle prime 24 ore  qualcosa come 49.000 proiettili, per circa una settimana, l’artiglieria comunista proseguì il suo terrificante lavoro di distruzione nel tentativo di demolire i bunker e le difese interrate del caposaldo nelle cui profonde ed attrezzate viscere stavano rintanati ben 100.000 soldati di Taiwan, cioè quasi un terzo delle forze a disposizione di Chang Khai Shek. Complessivamente, Quemoy incassò altre 140.000 granate: un quantitativo tale da modificarne sensibilmente l’orografia. Il 29 agosto, convinto di avere annientato tutte le difese avversarie, il Comando del parco artiglieria del Fujian, inviò un ultimatum di resa alla guarnigione nazionalista che, tuttavia, lo respinse. Con grande stupore, i cino-comunisti si accorsero che i danni provocati dai massicci bombardamenti erano riusciti in realtà a scalfire il fitto sistema di casematte e bunker del caposaldo insulare: notizia che mandò su tutte le furie l’apparentemente compassato leader Mao che procedette d’impulso all’epurazione dell’intero Comando del Fujian, dimenticando di prendersela con i veri responsabili del fallimento, cioè i servizi segreti. Poche settimane prima, l’intelligence di Pechino aveva infatti fornito al Comando dell’Esercito e al Politburo informazioni oltremodo ottimistiche, ma totalmente fuorvianti, circa la forza e le capacità di resistenza della guarnigione di Quemoy. Nonostante lo smacco subito, Mao, che alla fine di agosto si trovava in riunione con il Comitato Permanente del Politburo presso la stazione climatica di Beidaihe, diede comunque ordine di continuare con i bombardamenti e nel contempo di allestire una forza navale per tentare uno sbarco a Quemoy. Impaludato in un soffice accappatoio di seta, il leader spiegò ai suoi collaboratori che era giunto il momento di “saggiare non soltanto la determinazione delle forze di Chaang, ma anche quella di Washington”. Il ‘grande timoniere’ continuava infatti a pensare che gli americani non avrebbero certo rischiato una guerra, magari nucleare, per evitare l’occupazione di un anonimo isolotto. Ma la risposta degli Stati Uniti non si fece però attendere. Dimostrando di non temere affatto il coinvolgimento in un più vasto conflitto, il presidente Eisenhower rinforzò il dispositivo della Settima Flotta (composta da quattro portaerei più decine di altre navi da combattimento e appoggio) già presente nella zona con altre due portaerei, una mezza dozzina di altre unità da guerra e diversi trasporti, inquadrati nella Task Force 77. E il 7 settembre, la squadra statunitense iniziò addirittura a scortare le navi nazionaliste impegnate nelle missioni di rifornimento a Quemoy. Va notato che su ciascuna delle portaerei giunte di rinforzo, oltre i normali velivoli da assalto e cacciabombardieri Skyraider e F-100D Super Sabre, risultava imbarcato anche uno speciale bombardiere Douglas A3D (A-3) Skywarrior, armato con un ordigno nucleare in grado di cancellare dalla faccia della terra Pechino o qualsiasi altra città cinese. Contestualmente, le unità ausiliare della Task Force 77 ricevette anche l’ordine di trasferire dal Giappone a Taiwan un’intera divisione di marines (circa 16.000 uomini), più un notevole quantitativo di armi, munizioni e rifornimenti destinati all’esercito di Chang. Successivamente, sembra che gli americani abbiano inviato a Quemoy anche uno speciale raggruppamento di artiglieria “strategica” dotato di un cannone da 240 mm. in grado di sparare proiettili atomici e una batteria di missili Matador con gittata di 600 miglia, armati anch’essi di testate nucleari. Anche se appare più verosimile che queste sofisticate armi siano state invece posizionate lungo la costa occidentale di Formosa. A distanza di tanti anni l’interrogativo che molti studiosi di storia militare si pongono è il seguente, cioè se, in occasione della “Crisi di Quemoy”, Washington fosse stata veramente intenzionata ad utilizzare ordigni nucleari per difendere l’integrità della Cina nazionalista, anche a rischio di scatenare una guerra di proporzioni inusitate. Stando ai documenti del Pentagono si direbbe di si. Un memorandum segreto del Dipartimento di Stato redatto appena dieci giorni prima il bombardamento di Quemoy faceva infatti riferimento a possibili ed eventuali rappresaglie atomiche contro bersagli militari situati nelle aree di Shanghai, Hangchow, Nanchino e Canton. E tutto ciò nonostante lo stato di massima allerta sovietico. Sebbene molto irritato con Mao per non essere stato preventivamente messo al corrente circa i suoi piani offensivi contro Taiwan, durante quel caldo settembre del 1958 il Cremlino ribadì più volte che un eventuale utilizzo americano di armi atomiche contro la Cina avrebbe giustificato un contrattacco russo di pari natura contro gli Stati Uniti. Va tuttavia ricordato che nel corso della ‘Seconda Crisi degli Stretti’, pur continuando a mobilitare le sue forze e ad assicurare il più totale sostegno a Chang, Washington non mancò però di invitare il leader nazionalista alla massima prudenza, onde evitare di “raccogliere le provocazioni” di Pechino. Sia i russi che gli americani preferirono in buona sostanza giocare le proprie carte su più tavoli, nella convinzione che uno scontro frontale avrebbe provocato l’apocalisse. Il braccio di ferro tra Mao e Chang (guidati e controllati dai rispettivi ‘protettori’) andò comunque avanti per diverse settimane, tra proclami bellicosi e ambigue aperture, dopodiché Mao – pressato da Mosca che in realtà temeva più di Washington una guerra con gli Usa in quanto meno attrezzata sotto il profilo aeronautico e navale – iniziò a rivedere i suoi piani e a farsi decisamente più cauto. Anche se, nel corso di svariati interventi pubblici, non mancò di dichiararsi pronto a “dare una lezione alla ‘tigre di carta’ americana”, ma ben si guardò dal tirare troppo la corda.

Per giustificarsi con l’ala dura del Partito, in seguito Mao dichiarò di avere voluto procrastinare di proposito l’invasione di Formosa in attesa di tempi migliori. Dichiarazione, la sua, essenzialmente propagandistica e dettata dalla salvaguardia del suo prestigio personale. In realtà Mao (e Mosca) sapeva bene che Chang era deciso a resistere ad oltranza, con o senza l’appoggio americano, a qualsiasi ulteriore tentativo di invasione. E ciò è dimostrato dalla strenua resistenza opposta dalla guarnigione di Quemoy la cui bandiera venne abbattuta dal fuoco delle artiglierie e dai razzi dei caccia bombardieri cino-comunisti per ben 17 volte ed altrettante sostituita con una nuova, o dai 29 Mig 17 e 19 che tra l’agosto e il settembre erano stati abbattuti dalle modeste forze aeree nazionaliste che, per contro, avevano accusato una sola perdita. Per non parlare dei successi conseguiti dalle motosiluranti e dai cacciatorpediniere di Chang ai danni di decine di unità leggere “rosse”. Alla fine di settembre, la sostanziale sterilità dei bombardamenti su Quemoy e le sensibili perdite subite indussero Mao ad intavolare un negoziato diretto con Washington (Pechino, infatti, non volle trattare direttamente con Taipei) per addivenire ad una “decorosa” tregua utile a salvare la faccia. E fu così che, dopo circa un mese di incontri, il 6 ottobre, il governo comunista dichiarò un cessate il fuoco unilaterale. E due anni più tardi (nonostante alcune interruzioni della tregua) il Grande Timoniere fu addirittura costretto ad addivenire ad un’intesa diretta anche con l’odiato Chiang Khai Shek, giungendo ad una specie di armistizio destinato a durare fino al 1978. Dopo la morte di Mao, l’atteggiamento di Pechino nei confronti di Taiwan e delle Quemoy, si ammorbidì sensibilmente, anche se il Politburo non rinunciò mai a rivendicare pubblicamente il possesso di entrambe le isole, riaccendendo a corrente alterna la tensione. Da alcuni anni a questa parte i rapporti tra la Cina e Formosa sembrano essersi però incanalati lungo un tracciato di distensione (soprattutto dopo la clamorosa svolta economica “liberista” avviata da Pechino), tanto che il governo di Taipei ha provveduto a ritirare dalle Quemoy circa i 4/5 della guarnigione, aprendola addirittura ai turisti. Attualmente, l’isola, ancora fittamente costellata di bunker e postazioni di artiglieria e missili, ha assunto una funzione quasi simbolica e i potenti altoparlanti che un tempo replicavano ai proclami propagandistici lanciati dalla costa comunista, ogni sera trasmettono non slogan, ma programmi di musica pop e rock made in Taiwan.

FINE

NOTE:

1) Quemoy è la principale isola di un piccolo arcipelago la cui popolazione nel 1990 ammontava a 81.479 unità. Il gruppo di isole (formato da Chinmen, dalla Little Chinmen e da altri 12 scogli) si trova a pochi chilometri dalla costa cinese, all’ingresso della Baia di Xiamen, e a circa 240 chilometri da Taiwan. L’arcipelago Matsu, si trova anch’esso a pochi chilometri dalla costa cinese (provincia di Fuzhou) e a 160  chilometri da Taiwan. Esso è formato da diciannove isole, la più grande delle quali è appunto Matsu.

2) Tra il 1995 e il 1996, Pechino schierò lungo la costa del  Fujian circa 150.000 soldati, annunciando la sperimentazione di missili con ogiva nucleare in grado di colpire Taiwan. Nel marzo del 1996, Washington fu quindi costretta ad inviare nello Stretto di Formosa la Settima Flotta.

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