Hugo Preuß, il padre della Repubblica di Weimar. Di Giuseppe Moscatt.

Berlino. La Rivolta spartachista.

Il 9 ottobre del 1925 moriva Hugo Preuß, colpito da ictus cerebrale, curiosamente in modo analogo alla causa di morte di Vladimir Lenin quasi un anno prima. Ritiratosi già a vita privata dopo gli anni di preparazione alla Costituzione di Weimar, l’anno prima aveva pubblicato l’ultimo saggio di diritto pubblico, sulla Costituzione di Weimar, il prodotto principale del suo pensiero giuridico e politico, quasi il suo testamento intellettuale dopo le prime criticità intervenute nel Paese dovute ad alcune imperfezioni di quella Costituzione, cui diede inascoltato alcune soluzioni. Era nato in una famiglia benestante di mercanti ebrei. Fin dal 1889 la sua carriera fu assai brillante: a Berlino conseguì la laurea di giurisprudenza ed ottenne l’abilitazione di avvocato. A Gottinga fu dottore di ricerca con tesi in diritto romano. Dal 1883 al 1889 esercitò l’avvocatura nelle Corti inferiori e poi entrò nel mondo accademico, ma dovette battezzarsi come cristiano, prassi obbligata per le professioni liberali come era avvenuto per Heine in armonia alle regole dello Stato prussiano sull’integrazione degli ebrei di lingua tedesca. Divenuto poi docente di diritto pubblico ed allievo preferito del giurista liberale Otto von Gierke, nel 1890 comincia a frequentare l’Università di Heidelberg. In quel crogiolo storicistico di dottrine liberali e democratiche occidentali, conobbe il grande chimico Carl Liebermann, col quale nel 1891 aderirà alla Società degli amici dell’Ebraismo, un cenacolo di intellettuali progressisti che intendeva proseguire le riforme del giurista illuminista Heinrich Stein, che nel primo ‘800 aveva ipotizzato uno Stato germanico unito sul modello federale nordamericano.

Hugo Preuß.

Nelle lunghe discussioni con von Gierke, il giovane Preuß – divenuto intanto coniuge di Else Liebermann, figlia del chimico – cominciò ad ipotizzare una mediazione normativa istituzionale fra la teoria organica dello Stato e la domanda di Federalismo che gli economisti liberoscambisti propugnavano. Venuto a contatto a Monaco con le potenti associazioni di studenti e professori, ne fu influenzato nella sua successiva evoluzione di pensiero per il senso di solidarietà e nazionalismo. La sua carriera politica nasce nel 1895 quando diventa consigliere del Partito Liberale al Comune di Berlino. Poi diventerà anche giudice onorario amministrativo a Berlino (1910) ed infine fondatore del partito liberale laico, al centro nel Parlamento di Stato Prussiano. Era il c.d. DDP, un movimento politico laico rivolto alla promozione dei diritti civili occidentali sul modello liberale inglese. Durante  la Grande Guerra, Preuß fu un moderato fautore della guerra contro la Francia e la Gran Bretagna, pur sollevando qualche dubbio sulla belligeranza con la Russia, temendo la collaudata tenaglia in cui sarebbe caduto l’impero Prussiano, attaccato ad Est ed a ovest contemporaneamente, ricordando la tragica esperienza della guerra dei 7 anni e la politica di Bismarck che prima di attaccare la Francia di Napoleone III, acutamente trattò con l’Impero russo, lasciandogli mano libera contro gli Ottomani nei Paesi Balcanici. Timori che vennero a galla nel 1917, quando la Prima Rivoluzione Russa, quella di Kerenskij, mantenne la guerra a favore degli alleati della Triplice Intesa. E qui occorre ricordare che in quell’anno due eventi fanno precipitare il piatto della bilancia della guerra dalla parte degli Alleati della Triplice: non solo entrano in guerra gli U.S.A.  a fianco delle potenze occidentali (6 aprile); ma anche nel Mediterraneo Orientale, nei Paesi del Medio Oriente si assiste ad una vasta rivoluzione araba contro gli Ottomani suscitata dagli inglesi. Circostanze che chiudono le valvole di rifornimenti alla Germania da ambedue le parti del mare, considerato il duplice embargo di merci alimentari destinate al consumo interno. Malgrado l’offensiva austro – tedesca da Caporetto a Verdun; la situazione peggiorerà nella prima parte del 1918 sia per la controffensiva occidentale favorita dall’arrivo di truppe fresche nordamericane, sia per il blocco di rifornimenti alimentari anche via terra, sia per lo scoppiare dell’epidemia di spagnola che flagellò le trincee tedesche. Non bastò l’afflusso di forze dall’Est dopo la pace separata con la Russia bolscevica di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918, perché il generale Hindenburg, capo di stato maggiore, temeva che sguarnire del tutto il fronte orientale avrebbe favorito un’avanzata improvvisa russa per l’inevitabile processo di fraternizzazione coi soldati tedeschi alquanto stanchi nelle trincee dopa quasi 4 anni di guerra. E poi cresceva il malcontento popolare e la fame nelle città, per di più aggravate dall’epidemia inarrestabile di spagnola. L’11 novembre del ’18, mentre il governo imperiale si era dimesso fin dall’agosto, un nuovo governo, nato da una rivoluzione moderata, nell’estate precedente, guidato dal socialista Ebert, chiese al generale francese Foch un armistizio, benché il nuovo stato maggiore, per voce del feldmaresciallo Ludendorff, avrebbe potuto opporre armate intatte contro l’invasione degli Occidentali. Non ancora in territorio tedesco, la Francia accettò per l’Intesa e fu firmato un cessate il fuoco a Rethondes. La pugnalata alla schiena – come dirà il nazionalista Jünger qualche anno dopo – era stata vibrata. Ma come si poteva continuare a combattere ad Ovest, quando all’interno la stanchezza della popolazione era evidente e mentre provenivano dall’est le sirene bolsceviche?

Il politico ed il costituzionalista democratico (1919-1924).

Una fotografia del 13.2.1919 rappresenta il governo democratico filorepubblicano riunito a Weimar, con l’obiettivo di dare alla nuova Germania, abbandonata dalla Corte imperiale prussiana fuggita in Olanda, un nuovo Stato borghese, consono alla tradizione occidentale del Paese. I rigori del trattato di Versailles erano noti fin dal dicembre del 1918: in breve, la destituzione della Germania da ogni pretesa territoriale, economica e militare. Le condizioni predette volute fermamente da Francia ed Inghilterra, nonché il terribile diktat in materia di rimborsi di guerra, senza alcun alleggerimento né politico né economico, produssero nell’opinione pubblica la rinascita di un un nuovo rigurgito militarista, anche per il timore di un ulteriore avvicinamento della Russia bolscevica. Sembrava il ritorno dell’epoca della Francia del Terrore, ora nella veste socialbolscevica di Lenin. L’Unione Sovietica era ancora lontana dalla dittatura staliniana ed i bolscevichi apparivano in Italia ed in Francia, in Gran Bretagna ed in Turchia, come gli Americani di Franklin e Jefferson. Ebert e Scheidermann socialisti, Erzberger e Stresemann del centro cattolico; Rathenau e Preuß, liberali di sinistra; presenti in prima persona o per mezzo di loro adepti politici nel primo Parlamento di Weimar, non credettero alle sirene russe. Influenzati dalle teorie del giurista austriaco Kelsen e sopratutto il Preuß, legato al pensiero politico parlamentarista di Robert Redslob; aderirono senza dubbio alla scelta occidentale. Vale a dire il definitivo abbandono della politica di Potenza – immanente anche nella Russia bolscevica – per passare alla politica liberale e liberista in difesa dei diritti civili. Del resto, la rivoluzione del 1918 era stata frutto comune della tradizionale borghesia conservatrice e del socialismo democratico moderato, sostenuti da un esercito e da una classe imprenditoriale peraltro ancora revanscista e nazionalista. Perfino Max Weber, insigne politologo, non era consenziente all’esito della Rivoluzione, perché l’alleanza fra le forze parlamentari liberali, cattoliche e socialiste avrebbe dovuto essere confermata da un Referendum istituzionale, che non fu affatto celebrato, anche per la conflittualità di piazza scoppiata fra gli spartarchisti di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, filosovietici staccatisi dal moderatismo socialista; ed i nazionalisti liberali  ancora convinti di riaprire il conflitto guidati dal citato Ludendorff. L’improvvisa adesione alla Repubblica del politologo Rathenau, il sostegno economico ai socialisti di Ebert da parte del generale Hindenburg, fecero sì che i brevi periodi di governo locale spartachista venissero soffocati nel sangue nel gennaio del 1919, strage che nello stesso mese vide il rapimento e la morte dei citati Liebknecht e Luxemburg da parte dei Freikorps, squadre di privati armati e tollerati dal Governo socialista e cattolico a favore dell’ordine di ritornare alla pace sociale nel Paese e di impedire il ripetersi di una nuova rivoluzione comunista. Sia come sia, Preuß fu incaricato dal Governo provvisorio di redigere una Costituzione per il Reich divenuto Repubblica. Il Consiglio dei rappresentanti del Popolo, presieduto da Ebert, si trasferì al riguardo a Weimar, considerato che Berlino era esposta fin dal novembre del 1918 alla guerriglia urbana fra Spartachisti e Nazionalisti che rivendicavano la ripresa della guerra con la Francia. Preuß intanto era influenzato dal modello di Repubblica parlamentare di cui si disse e ne presentò uno schema il 3 febbraio1919. In particolare, Preuß riteneva che era necessario evitare il limite dell’assemblearismo sovietico, per accedere invece alla contrapposizione equilibrata fra Esecutivo e Legislativo, uno come contrappeso dell’altro, fino ad avviare la pari presenza dei due poteri fra tre organi, il Corpo elettorale, il Presidente della Repubblica ed il Cancelliere capo del Governo. Alla base stava il telaio unitario della macchina; il motore era il secondo, l’organo di controllo era di competenza del terzo potere, quello giudiziario, il freno del mezzo.

Truppe spartachiste.

Il Presidente era un sostituto del Re,ma solo nella veste di mediatore dei conflitti fra i poteri dello Stato e doveva essere eletto direttamente dal popolo. La centralità del Parlamento veniva quindi diminuita dagli altri due organi senza alcuna fiducia parlamentare ex ante, ma solo ex post, senza contare l’intervento risolutore del Presidente quando i rapporti fra i Partiti non fossero stabili e vi fossero anche gravi motivi di ordine pubblico (art. 48). Quanto al ruolo collegiale del Governo, questo venne escluso a priori. Infatti il progetto di Preuß lasciava molto spazio al Cancelliere e tanto potere al Presidente, tanto più che anche questi era eletto dal Popolo direttamente. Un difetto di origine aggravato dal fatto che nel Parlamento federale sembrava fin dal principio che ogni Partito tirasse al proprio interesse: i monarchici guardavano al Presidente come ad un Re; i liberaldemocratici vedevano nel Cancelliere il capo gerarchico del Governo ed un tecnico abile nell’amministrazione; le opposizioni di sinistra speravano nel corpo elettorale come valvola di sfogo per limitare le pretese delle classi borghesi. Ma anche i nazionalisti estremisti negli anni successivi, fino all’avvento di Hitler col suo Nazionalsocialismo, fomentavano l’abituale dissenso sociale, causato dalle frequenti crisi economiche e nelle piazze provocheranno disordini continui, invocando ed ottenendo fra il 1930 ed a il 1933 continue elezioni di Governi diretti dal Presidente, dotato di un potere autonomo di scioglimento del Parlamento e di indizione di nuove elezioni, reiterato e spesso improduttivo. In altre parole, il testo finale difettava – già dal momento in cui veniva scattata quella fotografia di cui si disse – di un vulnus irreparabile, che si perpetuerà nel decennio successivo, fino alla caduta del Regime parlamentare, con le leggi di Norimberga del 1934, che cancellarono l’intera Repubblica e la consegnarono nelle mani di Hitler proprio per effetto di una serie snervante di elezioni anticipate. Come rilevò il Mortati – nostro validissimo giurista costituente del 1946 – la parte istituzionale di quella Costituzione era affetto da un vizio originale, vale a dire l’assenza di coesione sociale, cioè la mancanza di pesi e contrappesi fra quei tre organi suindicati che riportasse l’equilibrio democratico. Inoltre, il Preuß, sempre in ossequio al modello inglese, non presentò nel suo schema istituzionale né un riconoscimento del tutto indipendente al potere giudiziario; né la tutela dei diritti fondamentali, aree di costituzionalità interconnesse fra loro che saranno redatte a parte nel testo finale solo da un altro giurista di area cattolica, Friedrich Naumann. Rathenau, infine su mandato della associazione imprenditoriale Diritto ed economia, dettò ulteriori norme in materia di rapporti economici e sociali, monito che non fu neppure ascoltato. Un’ulteriore prova della mancanza di collegamenti unitari fra le varie parti di quella complessa ma disorganica Costituzione, fu l’assenza di una Corte Costituzionale che vegliasse sulla legalità istituzionale. Non appena fu pubblicata, la Costituzione ebbe un diluvio di critiche non solo politiche: alle bozze della Costituzione si contestava da parte del giurista Hermann Rauschning, vicino alle scuole filomarxiste, la ristrettezza dei diritti civili, di grado inferiore al valore assoluto conferito all’ordine pubblico ed all’intervento della Polizia in via autonoma rispetto al controllo della autorità giudiziari, apparentemente meramente formale. In secondo luogo, i Conservatori negavano le ampie materie attribuite alle Regioni della Germania e la decadenza della primazia del vecchio Regno di Prussia, cui era attribuito un diritto assoluto di riserva di legislazione. Preuß, con modalità mediatoria tentò di correggere sia l’una che l’altra criticità, nonché limitò il potere del Parlamento, rinforzando il potere del Presidente della Repubblica con un diritto di veto e di intervento nella ipotesi di stallo. Quindi previde come inoppugnabile l’art. 48 della Costituzione, che costituirà dopo il 1930 il punto di rottura del regime repubblicano. L’errore principale, invero, di Preuß fu quello di affidare al Presidente il potere di emanare disposizioni per ripristinare l’ordine e la sicurezza pubblica senza motivare le ragioni ed i limiti di tale facoltà e senza fissare limiti di opportunità, vale a dire un potere di eccezione all’esercizio delle libertà civili e costituzionali. Era giustificato da un periodo storico denso di minacce terroristiche e rivoluzionarie (non solo in coincidenza alle rivolte spartachiste, ma anche di fronte alle minacce antisemite dei Freikorps che da allora iniziarono una campagna di attentati che culmineranno con quello mortale di Rathenau dal 24.6.1922 operato da due ex ufficiali dell’esercito tedesco). Del resto, il periodo di governo del Preuß durò solo dal febbraio al giugno del 1919. Da Ministro dell’Interno e territorio della Costituzione repubblicana, non accettò l’esito del trattato di Versailles dal 28 giugno 1919.

Soldati appartenenti ai Freikorps.

Il nuovo Governo Bauer, senza la sua firma nel testo finale, dovette cedere all’ultimatum delle potenze vincitrici e Preuß comprese che la sua Costituzione non avrebbe a lungo sopportato quel diktat, cosa che avverrà nel decennio successivo. Prima di dimettersi e sparire dall’agone politico, dichiarò: Il nome e l’idea del Reich, hanno per noi tedeschi un valore così assoluto che non intendo mai più rinunziare… Tradizioni di secoli ed ogni speranza di Unità nazionale di un popolo tedesco diviso, è legata a quel nome….puniremo senza causa e senza alcun profitto i valori conclamati della massa popolare se la togliessimo dalla Carta Costituzionale. Ecco perché Preuß, non per mero nazionalismo, ma per un forte senso patriottico, abbandonò la politica. Oggi ci resta una fondazione indipendente a Berlino a suo nome. Ma in Italia, in un momento analogo di grave pericolo nazionale, fra il 1942 ed il 1947, una voce rilevò nella nostra Assemblea Costituente a difendere l’operato di Preuß. Invero, nel 1945 il giovane Costantino Mortati – imbevuto di letture di Weber, ma anche di Schmitt e di Kelsen –  si trovò a riflettere sul concetto di Costituzione materiale, proprio per evitare scelte utopistiche oppure nostalgiche. Occorrevano cioè formule elastiche, per mediare e ricostruire una società concreta, né mercantilista, né autoritaria. Non più un popolo sovrano che dominasse le minoranze, ma il giusto mezzo che salvasse la coesione sociale senza intaccare le istituzioni dello Stato. Decisionismo, non Autoritarismo. Un contesto politico di più Organi che si contrappongono in bilancio fra loro, dal centro alla periferia, dal Locale al Nazionale, un sistema dove un Potere trovasse una compensazione in un altro. Scelta che aveva tentato Preuß per i diritti civili, per un ordinamento federale senza primazia prussiana e per un regime parlamentare dove esecutivo e legislativo avessero avuto come territorio comune il Corpo elettorale, ma dove anche la Costituzione di per sé intervenisse a frenare i conflitti di parte. Solo che mancò in Preuß e nella costituente di Weimar sia un limite alle forme di partecipazione popolare, mentre vi fu un eccesso di potere del Presidente della Repubblica annesso ad usufruire di diritti di intervento e di scioglimento senza freni. Piuttosto Mortati volle introdurre la figura del Partito politico, un istituto regolato per fungere da palestra di convivenza e di dialogo fra le parti, fuori dal violenzedi piazza e dagli attacchi degli opposti estremismi. Di qui, gli artt. 1, secondo comma; l’art. 83 della Costituzione e l’art. 138 della stessa: la sovranità limitata del Popolo dalla stessa Costituzione; la funzione neutrale di garanzia e di sorveglianza sugli organi costituzionali e la rigidità del testo, dove la modifica é anche ammissibile con maggioranze ponderate ed abbastanza prolungate nelle votazioni. Norme che saranno oggi sufficienti a contenere una costituzione materiale realisticamente orientata a formule autoritarie?

Bibliografia:

Su Hugo Preuß, vd. SIEGFRIED GRASSMANN, Hugo Preuss und die deutsche Selbstverwaltung, Lübeck e Hamburg, 1965 e EDMOND VERMEIL, La Germania contemporanea, Laterza, Bari, 1956. Più di recente, cfr. GIAN ENRICO RUSCONI, La Crisi di Weimar, Torino, 1979. Vedi pure il nostro La repubblica di Weimar, storia, formazione ed espansione della Germania Repubblicana del 17.5.2022 e La fine della Repubblica di Weimar, del 24.5.2022, articoli entrambi su www.fattiperlastoria.it

Su Costantino Mortati, cfr. Forme di Stato e forme di governo: Nuovi studi sul pensiero di Costantino Mortati, a cura di MARIO GALIZIA, ed. Giuffrè, Milano, 2007. Vedi pure, Il Nostro, La Mediazione di Costatino Mortati in www.corriereditalia.de, sezione cultura del 27.9.2024.

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