La cornice storica.
Chiunque oggi si avvicini all’idea nazionalista tedesca, ovvero al quasi sinonimo che è il Sovranismo od il Suprematismo; ha due figure di intellettuali con cui fare i conti. Hans Kohn (Praga, 1891 – Filadelfia,1971) e Thomas Mann (Lubecca, 1875 – Zurigo, 1955), l’uno il maggiore storico che la studia, l’altro il principale autore che la incarna e che a metà della sua lunga carriera la rinnega per accettare l’anima cosmopolitica e non solo. Già perché Thomas Mann – a 150 anni dalla nascita ed a 70 dalla morte – rappresenta un enigma irrisolto per la definizione delle sue opere, grandiose, peculiari, significative, fra ben due secoli a Noi vicini, ma del pari spesso inestricabili e circonflesse, legate all’anima tedesca così ambigua malgrado le luci di Goethe, Schiller, Lessing, Wieland e compagni nella Weimar di fine ‘700, una piccola città nel cuore d’Europa in pieno Ellenismo, patria della Ragione e della Pace dopo un ‘600 che aveva ridotto il suolo germanico in un ammasso di rovine ed in un paese sperduto di uomini e cose. La ricostruzione del Germanesimo toccherà ai giovani romantici Fichte, Hegel e Schelling, ma anche a Bismarck, Wagner e Nietzsche, sotto il tallone di ferro della Casa Hohenzollern, da Guglielmo I a Guglielmo II, eredi del Grande Federico, non per caso riconosciuto da Mann il Padre della Patria, il Re soldato, il Monarca che per primo valutò l’idea di Germania unita da lingua, religione e consuetudini e che da Arminio a Wallenstein avevano caratterizzato 16 secoli di storia nel triangolo territoriale fra Reno, Danubio ed Elba. Fu Hans Kohn invece a sviscerare in circa 22 saggi la nascita e lo sviluppo mondiale del concetto di Nazionalismo, che lo rendono il Padre della Storia europea, egli che nella sua autobiografia del 1964 – Vivere una rivoluzione mondiale. I miei incontri con la storia – era scritta con la consapevolezza di quel sentimento di identità nazionale del popolo tedesco invaso da Napoleone, minacciato dai Romanov e dominato dalla Casa Asburgica dopo quella disgraziata guerra dei 30 anni radicata dal Protestantesimo, governata da una classe dispersiva di Principi locali che presto avevano detronizzato la Casa Sveva di Federico II. Sia come sia, Kohn ci ha narrato razionalmente vizi e virtù del Nazionalismo tedesco, nato appunto dal senso di accerchiamento della Nazione che proprio fu la costante preoccupazione del Re soldato, che per esigenze di difesa durante la guerra dei 7 anni (1756-1763), inventò la guerra d’attacco, per impedire alle forze nemiche coalizzate di conquistare il suo paese.
Johann Gottlieb Fichte.
Nel saggio di Mann del 1915 – Federico e la grande coalizione, un saggio adatto al giorno e all’ora – viene spiegata con acuta attenzione l’azione del Grande Federico: attaccare ed occupare rapidamente il vicino ducato di Sassonia, peraltro neutrale, proprio per impedire che le forze alleate francesi ed austriache circondassero senza via di scampo l’armata prussiana. Un gesto di legittima difesa per Mann; un precedente inammissibile per il diritto internazionale di guerra, dove la neutralità di un paese veniva violata in barba ai Trattati internazionali ed alle consuetudini di guerra da Westfalia in poi (1648). E qui nasce la posizione del giovane Mann, il suo panegirico a favore del popolo tedesco che ha attuato un gesto naturale, la difesa con ogni mezzo della propria libertà collettiva. Ma nel 1914, da ipotetico discepolo di Schiller ormai dichiarato nello splendido racconto del 1905, come giustificare l’invasione del Belgio neutrale analogamente all’invasione della Sassonia?
Thomas Mann.
Le considerazioni di un impolitico. Il canto del cigno nazionalista.
Ma non era nato a Lubecca il 6 giugno 1875, secondogenito maschio – il primo Heinrich, era nato nel 1871 – in una famiglia benestante di imprenditori marittimi da secoli membri della lega Anseatica. A 14 anni, Thomas entra nel liceo locale. Poi la morte del padre nel 1891 e la liquidazione della ditta. Mentre il resto della famiglia si trasferisce a Monaco con una buona rendita mensile, Thomas prosegue gli studi classici, ripugnando a 16 anni ogni studio economico e politico al di fuori della tradizione familiare, sicuramente stimolato dalla madre Julia da Silva Bruhns, brasiliana e colona, che infuse al figlio quel carattere mediterraneo libertario che lo caratterizzerà fino alla morte, lungo un sessantennio di romanzi, novelle e saggi letterari e storici alquanto impressionante (11 romanzi, 32 racconti lunghi, 12 saggi autobiografici, 40 fra saggi storici e letterari, 9 epistolari ed un lungo Diario, tutti redatti fra il 1894 ed il 1955). Fra il 1894 ed il 1913, collabora con riviste di indirizzo naturalista e pubblica il suo primo romanzo, Altezza reale (1903), seguito dai primi due capolavori, Tonio Kröger e Morte a Venezia, racconti lunghi che lo vedono distaccarsi lentamente, ma inesorabilmente verso lo spiritualismo in armonia alla nuova corrente letteraria che va espandendosi, dove è perseguito l’ideale dell’esteta decadente, impersonato dallo scrittore francese Paul Bourget, che gli trasferisce l’antipatia per gli scrittori realisti, da Zola a Hauptmann, legati alla politica occidentale dei diritti civili, piuttosto che agli ideali Nietzsche e Wagner. Anzi, fin dal 1895, si lega all’ideale pangermanista di Fritz Lienhard. Per ora è vicino al fratello Heinrich, ma poi a poco a poco gli si separa perché questi aderisce agli ideali socialisti filofrancesi e per di più gli sottrae la fidanzata ricca e piacente Katia Pringsheim, sposandola nel 1904. Oltre ai due romanzi predetti, Thomas studia bozze del romanzo autobiografico più famoso, I Buddenbrook edil Felix Krull, che abbandona presto e che riprenderà nel 1951. Nondimeno, rivede gli stessi romanzi più volte citati, vari racconti brevi, nonché sulla rivista decadentista Simplicissimus di Monaco dove pubblica un singolare racconto, La via del cimitero (1900), tradotto in italiano nel 2022.
E’ un quindicennio che lo vede emergere nella folta platea di scrittori che ora perseguono lo spirito decadente del tempo, non a caso parallelo al Proust in Francia, al Musil in Austria, al Pirandello in Italia, vicini all’esplosione decadente di Joyce e D’Annunzio allo scoccare della Grande Guerra. Di certo fino al 1914, Mann era come i precedenti un suddito nazionalista, con uno spirito guerrafondaio più volte presente, benché il suo pensiero esulasse dalla politica attiva, intriso di obbedienza all’Impero fin dall’agosto 1914. In questo periodo – 1914/1918 – non aderisce al manifesto degli intellettuali filo germanisti schierati a favore della Triplice Alleanza, perché il suo pensiero è già impolitico, ovvero metapolitico. Con l’articolo Pensieri di guerra e con il saggio storico Federico e la grande coalizione (1915-1916), partecipa con favore all’esaltazione della guerra ed accoglie senza limiti la missione culturale della Germania. Il nemico assoluto era la decadenza francese, il fuoco di paglia del 1789, il carattere miserabile del borghese democratico e l’ambigua società fautrice dei diritti civili. Un Capitalismo disumano era poi quello anglosassone, dove la ricchezza era l’unica moneta da guadagnare in modo sofisticato attraverso una finanza rapace, molto simile a quella che aveva prodotto a Lubecca il fallimento della famiglia paterna e che già aveva descritto nel suo già famoso romanzo I Buddenbrook. Di più: nella ricerca degli elementi propri del carattere tedesco, Mann finalmente pensa di riscoprire il vero spirito del suo Paese. Dalla mera esaltazione della Guerra, perviene ad un nodo storico già avutosi nel ‘700, quando l’intera Europa si pose in odio contro il popolo tedesco, la c.d. Grande coalizione nella guerra dei 7 anni or ora citata.
Era una coalizione ingiusta giacché si poneva ad impedire la nascita di una Germania unita e capitalista buona, cioè dedicata alla produzione dei beni per il popolo. Un regime assolutista frutto della collaborazione fra il Re e la massa popolare, il c.d. Cameralismo economico. Mann cioè vedeva nella collaborazione fra padronato e lavoratori uno spirito alternativo ed equilibratore fra il mondo consumistico e profittatore dell’Occidente e quello umanitario e popolare d’oriente. I valori borghesi, i cc.dd. Diritti civili, erano falsi, come fasulla era la Democrazia, un regime politico che mascherava il profitto di parte e che trascurava il popolo. Ancora: questa democrazia – la c.d. Zivilisation – era un umanesimo che dichiarava di essere etico, mentre di fatto perseguiva un’ideologia materialista e tecnicista, molto distante dalle tradizioni classiche cristiane, un abbandono del modello identitario esaltato da Goethe, Schiller, Schopenhauer, Hegel e compagnia cantando….Un conflitto ideologico che Mann ripropone con spirito più organico nelle successive Considerazioni di un impolitico, un imponente saggio storico e filosofico del 1918, quasi alla fine della guerra, mentre la fame imperversa nelle retrovie di Monaco e nelle trincee vicino al Reno, ormai in mano agli alleati pronti ad invadere la Patria.
‘Considerazioni di un impolitico’.
Mann insiste radicalmente sull’Europa Germanica, intrisa di una Kultur virtuosa e religiosa, operosa, legata alla Terra ed alla Natura. Un insieme di valori assoluti spirituali che la civilizzazione franco-inglese aveva disperso nello spirito massificatore ed antitradizionalista, quasi un papato romano senz’anima, senza arte, partigiano ed elitario, che sgovernava e sradicava le comunità a favore delle tecniche più disumane. Come Arminio si era opposto ai Romani di Augusto e come Lutero aveva alzato la Bibbia contro la corruzione vaticana; come Federico di Prussia aveva alzato il bastone contro le orde francesi; così Guglielmo Hohenzollern aveva rotto l’assedio e si stava sacrificando per l’Europa più genuina ed autentica, cristiana e popolare, ancora non corrotta dalla civiltà delle macchine. Merita anche notare il sottotitolo, saggio adatto al giorno ed all’ora, credendo nella ripresa dell’avanzata tedesca ad ovest del Reno. Mann cioè credeva nella Germania come Potenza pronta a conquistare l’occidente sempre più imbelle e corrotto. Era una convinzione non del tutto errata: ad est, la pace di Brest-Litovsk del 3. marzo 1918, firmata con lo stato Bolscevico ex impero russo, con i Paesi Centrali pronti ad entrare ad ovest. Infatti lo stallo di Verdun sul Reno con la Francia e la Gran Bretagna (1917), era stato uno scontro impressionante di uomini fra le parti, con un fortissimo numero di morti ed una realtà di disillusione sulle sorti della guerra (si veda per esempio il film storico Orizzonti di gloria, di Kubrick del 1957) rendeva ancora flebile la speranza del contingente alleato degli Stati Uniti che potesse intervenire al più presto. Senza contare però la diffusa epidemia di Spagnola che mise lo scompiglio nelle trincee tedesche solo dopo qualche tempo. Circostanze che alimentarono una primavera di nuove speranze di vittoria germanica anche nello stesso Mann ed in tutta la popolazione pur stremata dalla parallela carestia. Nelle Considerazioni insisteva nello svalutare la democrazia, una mera finzione a favore della maggioranza, un fantasma di umanità! Il sacrificio del popolo tedesco non poteva essere dimenticato, la resistenza e la controffensiva era opportuna. Anzi, malgrado i segnali inoppugnabili di sconfitta, lo Spirito del popolo era ancora intatto, molto meglio per esempio dell’Italia, dove la sconfitta di Caporetto aveva prodotto cedimenti in trincea. Ma Mann non cessa invero di stupire per la sua livorosa filippica contro l’occidente democratico. Considera “il popolo tedesco come un mondo unitario indivisibile pronto al sacrificio finale, un contesto irrazionale dove la Germania è una Nazione in armi per un destino datato da uno Spirito naturale proprio rispetto ad ogni altro Paese....Noi crediamo che la Nazione dovrà lottare per risorgere … come il Poeta è alla ricerca di una fiamma per accendere il mondo, così la guerra è il fuoco della vita! Solo il poeta soldato è un artista infervorato di gloria….non c’è Dio se ci si limita a pensare ad un mondo in pace perpetua… Si è artisti quando si è al di sopra dell’Umanità…Solo la guerra lo rende per quello che è: il liberatore dell’Uomo vero!” Un efflusso di frasi retoriche che, simili a quelle che qui abbiamo estratto, che compare in stampa il 6 ottobre 1918, una predica che rappresentava il canto del cigno del mondo prussiano. Rimaneva ferma la nobiltà di una coorte di intellettuali irregimentati, come un corpo franco, contro le forze pacifiste, non a caso guidata da Heinrich Mann quel fratello traditore filo francese da cui ormai da anni si è separato in ogni aspetto, tanto più che anche la moglie Katia, già fidanzata del fratello, lo aveva preferito a sposare. Heinrich, da scrittore progressista, invero era stato visto uno schiavo della Ragione, un pensatore debole, un nulla di vero e di sano, come lo avevano bollato il giovane Jünger e perfino Hermann Hesse, al pari di Mann invasati della gioia nazionalista. Tanto che il Nostro cessa di scrivere il suo aspirato romanzo – la futura Montagna incantata – ed in quell’estate del 1918 completa le Considerazioni, ribadendo quello che lui stesso di anni dopo chiamerà delle mere farneticazioni, malgrado la ampiezza dell’opera, ben 600 pagine, nella imperitura traduzione italiana di Mariano Maranelli. Subito, al di là delle lodi in Patria, si vide soltanto in quella torrida estate – funestata il 17 luglio dalla strage della famiglia imperiale russa da parte delle forze sovietiche – un inno alla guerra, una sfida all’ultimo sangue fra conservatori fanatici e democratici razionalisti. I primi vennero innalzati sugli scudi come i portatori della Metafisica, della Musica e della Pedagogia; gli altri come i fautori della barbaria materialista. La corsa della classe borghese tedesca a dare uno Spirito sano all’economia, vedeva nel sociologo Weber e nell’economista Rathenau, i propri maestri. Mann era soltanto il capo corifeo di un senso comune che aveva nei Paesi mediterranei un forte appoggio geopolitico. D’Annunzio e Mussolini in Italia, Galdos ed Ortega y Gasset nel mondo ispanico, Kavafis in Grecia; esprimevano nelle loro lingue mediterranee la necessità di fermare la stupidità della democrazia e di rinforzare l’intelligenza della propria identità, con la Germania porta bandiera contro la tirannia della Ragione, la primazia del profitto, la civilizzazione della Pace. Lo Stato Autoritario era la nazione, quello democratico era il Caos. Il terrore del 1792 era il vero volto della democrazia….la morte del Re aveva ingabbiato lo spirito …. più crescevano gli odi, più potente divenne la Francia…..Napoleone incarnò la fine della Pace e della felicità fra i Popoli. La soluzione dei diritti civili nei Paesi anglosassoni divenne una foglia di fico per coprire le vergogne della Democrazia. Non mancarono dalla Francia voci profondamente dissenzienti di tali paragoni storicamente azzardati. Romain Rolland, intellettuale pacifista della prima ora, era profondamente turbato per l’aggressione al Belgio nel 1914 da parte della Germania, specie dopo la distruzione di Lovanio, la gloriosa università umanistica del ‘400. Si oppose a Mann perché il repubblicanesimo democratico non aveva nulla di disumano e perché tale forma di Governo era l’unica mediazione fra Stato e Popolo. Anzi i Diritti Civili erano lo scudo per la difesa del Potere che mostrava la faccia feroce quando relegava l’individuo e le minoranze ai margini della società. Insomma, Rolland segnalava al contrario come la Pace della Kultur in una società complessa, come quella industriale del ‘900, altro non era che la soffocazione del pensiero libero, una gravissima lesione delle libertà individuali dietro la speculare macchinazione di un Potere che dava invece spazio alla volontà di una parte del popolo. Di qui, la voce di un giovane giurista austriaco, Hans Kelsen, che già proclamava nella Fonte legislativa, emessa dai Parlamenti democratici, il luogo dove compensare il dialogo fra convinzioni ideologiche e responsabilità dei legislatori, un passaggio ideologico che già Max Weber andava esponendo nella Monaco ormai spaesata fra crisi degli approvvigionamenti ed epidemia spagnola. Intanto, malgrado lo spostamento di truppe dal fronte russo a quello occidentale; le Argonne e Ypres venivano raggiunte dalle forze dell’Intesa finalmente rinforzate dagli Americani. Il crollo del fronte appare vicino ed il nuovo cancelliere von Baden, intavola trattative segrete con Wilson dichiarando un cessate il fuoco e che la Germania sembra disposta ad accettare in armonia ai 14 punti. Nondimeno ad ottobre, il Belgio è liberato ed il sacro suolo della Patria tedesca sta per essere invaso. Il 28 ottobre a Kiel, base principale della marina tedesca, gli equipaggi – decimati dalla carenza di cibo e colpiti duramente dalle febbri spagnole – rifiutano di pendere il mare. L’ammutinamento si estenderà presto alle caserme e nelle trincee, mentre nelle città del nord – Brema ed Amburgo – la popolazione stanca della guerra e degli effetti sociali già visti, si solleva sul modello russo del 1917, costituendo i primi consigli di operai e soldati. A Vienna ed a Istanbul accadono eventi analoghi. Il 24 ottobre parte l’offensiva italiana del Piave, segue a breve la rotta di Vittorio Veneto dell’esercito Austriaco, con la caduta di Trento, Trieste e Fiume, il 3/11, si firma l’armistizio. Poi, il 7 novembre scoppia a Monaco, dietro casa di Mann – ormai padre dei due figli maschi Klaus e Golo – e di una femmina – Monica – una forte insurrezione popolare ed il re bavarese Federico Augusto III è costretto ad abdicare. Viene proclamata la Repubblica, ormai in armonia ai socialisti di Ebert. Seguirà l’indomani la pari caduta dell’Imperatore Guglielmo II a Berlino. Scheidermann proclama la nascita della Repubblica e lo stesso Ebert assume la Presidenza provvisoria del Reich. Ma l’opposizione di sinistra – i cc.dd. spartachisti – alza il tiro: tutto il potere ai consigli operai ed ai soldati, come a San Pietroburgo ed a Amburgo e Brema. L’11 novembre a Compiègne, su un famoso vagone ferroviario, si firmerà l’armistizio ed il Bacino industriale e minerario è occupato dagli alleati. La Germania imperiale è finita ed i nazionalisti temono perfino della loro vita, date le notizie di stragi di nobili e conservatori che provengono dalla Russia. Heinrich Mann, intanto rispolvera per la futura repubblica le idee di Kant e di Goethe, il cui cosmopolitismo illuminista aveva rischiarato il mondo europeo dopo la bufera napoleonica, quando il popolo tedesco era stanco di guerre, epidemie e carestie. Di fronte alla inutile strage della Grande Guerra, veramente la Kultur autentica e naturale era la scelta giusta? Le ultimi parti delle Considerazioni, risultano alquanto angosciate per le evidenti sconfitte militari e la crisi economica incipiente. Qui, nascono le nuove idee di Mann, specie dopo la nascita dalla seconda figlia femmina Elisabeth, proprio il 24 aprile 1918. Si direbbe oggi che fino al 15 ottobre1922, al nr. 1 di Poschingerstraße nel quartiere di Bogenhausen, sfilarono nel suo salotto letterario ogni giovedì , tutti i maggiori intellettuali del paese. Ora l’orientamento politico di Mann comincia a mutare. La tempesta del dubbio lo porterà alla svolta democratica di quel 15.10 di cui si disse, al discorso pubblico a difesa della Repubblica di Weimar. Anni di meditazione sul che fare, mentre i rumori della guerra civile lo influenzeranno verso la sua famosa svolta di vita.
La Buddenbrookhaus, nel 1870.
Bibliografia:
- Vd. MARINO FRESCHI, 1918. Tramonti tedeschi, Bonanno, 2018.
- Vd. ELENA ALESSIATO, L’impolitico. Thomas Mann, fra arte e guerra, Il mulino, 2011, dove emerge un Mann originale ed alternativo alla rappresentazione critica offerta da HANS KOHN, I tedeschi, Edizioni di Comunità, 1963, pagg. 276 e ss.
- Su Federico il Grande, vd. ALESSANDRO BARBERO, Federico il Grande, Sellerio, 2007 e dello stesso THOMAS MANN, Federico e la grande coalizione riedito da Treves, a cura di Nadia Carli, Treves editore, 2006.
- Sulla figura del giovane Mann, vd. il nostro, Ironia e nostalgia nella Germania odierna, Morrone editore, 2022, pagg. 131 e ss..






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