
Storia del concetto di Storia come mondo da Esiodo a Fukuyama.
Uno dei maggiori storici della Chiesa del ‘900, Jean Daniélou, afferma che la storia è un mistero, perché l’uomo può raggiungere al meglio ciò che pare impossibile a condizione che la studi e la rispetti, visto che essa tacitamente entra ogni giorno nella sua vita quotidiana. Massima che il più laico degli storici di ogni secolo, Marc Bloch, non a caso contemporaneo di quel teologo, la ribadiva quando nel 1943 notava una costante evasione dal passato – si veda il famoso incipit del suo saggio Apologia della Storia, 1941 – fenomeno che già Agostino aveva pure stigmatizzato. Dal maestro di Ippona derivava il concetto di Storia come totalità della vita spirituale, nozione vicaria di mondo ideale, opposto però a Natura, cioè al mondo creato da Dio. Un mondo dato all’uomo come abitazione del suo esistere e da lui studiato ed interpretato. E dunque la sua storia terrena, vista come apogeo e declino; oppure come un ciclo di eventi. Ed anche come un progredire, naturalmente verso Dio, oppure un suo allontanamento dettato dal peccato. Ma in età antica già la Storia era vista come un caos, un disordine, un esistere senza senso, con un Dio falso e bugiardo, un idolo inventato dal Potere di turno per sanare le conflittualità e contenere la violenza propria dell’Uomo. E poi infine la Storia come un ordine provvidenziale. Come si vede, queste varie letture della Storia hanno come elemento comune la ricerca di un filo logico e di un senso razionale, ma anche di una Fede sorretta dalla speranza ed in prospettiva di solidarietà sociale, una Fratellanza finale, tanto anche le correnti idealistiche laiche a poco a poco acquistarono un tipo generico di consolazione, divenendo piuttosto una linea soggettivista piuttosto di oblio del passato. Anzi, la felicità umana sarebbe consistita nella astoricità o nel riflusso del privato. Il primo gradino della scala crepuscolare era dunque un senso di decadenza che dal soggetto si estendeva al genere umano.
Esiodo.
Idea nata con Esiodo – età dell’Oro, dell’Argento, del Bronzo e degli Uomini – seguita da Platone – vd. il Crizia, intrisa di regresso morale e materiale nella società successiva a Pericle e e poi dall’Ellenismo morale di Plutarco. Sarà una sensazione razionale di tramonto in età moderna, da Vico a Fichte, l’uno di fronte agli sfaceli della guerra dei 30 anni e della fine dell’Italia rinascimentale; l’altro che commiserava la caduta della Germania di Weimar aggredita ed invasa dal genio malefico di Napoleone. Di poco dissimile è la scuola ciclica, ripresa proprio dal Vico, peraltro fiducioso che i ricorsi storici avevano la facoltà di ritornare più solidi del passato fornendo una speranza più concreta di ottenimento di un progresso sempre più vicino. Ottimismo che le considerazioni di Spengler nel primo ‘900 andavano a stemperarsi in un pessimismo cosmico di marca leopardiana e fuori da ogni calcolo scientifico positivista. Cioè, era probabile che la rivoluzione repubblicana democratica della Germania di Weimar sarebbe presto crollata – come fu veramente! – nel caos economico e sociale, mentre solo il ritorno nazionalista poteva riaprire un discorso progressista. Non è un caso che già un secolo prima il matematico ed economista Cournot aveva pronosticato la successione ciclica come un dominio positivo sulla Natura attraverso l’ordine delle Scienze e delle leggi, ideate proprio per sciogliere l’apparente confusione che in prima lettura regnava in Natura. Del resto, la scuola che si ritrovava nell’idea di progresso lineare – o con qualche curva di ribasso prima della risalita – era un’idea illuminista, che sarebbe maturata ad acquisire a piccoli passi verso la perfezione ottimale. Vico infatti affermava: Atene, Roma, Bisanzio, Parigi hanno di volta in volta, secolo dopo secolo, rappresentato un singolo stadio che tutti i popoli hanno vissuto nella loro Storia. Erano in altre parole, simboli delle tre età – Dei, Eroi, Uomini – passate e conquistate in ogni epoca. Di più: Voltaire attribuì l’età degli Uomini proprio all’Illuminismo senza alcun pessimismo storico, perché quello era il momento della Ragione, la vera dea della vita beata, singola od associata dell’Umanità, la chiave che apriva ogni scrigno e superava ogni muro. Chiave che anche Kant adoperava per perforare il velo dei costumi appassiti e lo scalpello infallibile per leggere la Storia nel presente, dopo l’esame del passato ed in vista di un futuro veramente più roseo. Ancora: Carlyle, nella sua cavalcata fra gli Eroi, presentava Odino, Maometto, Dante, Lutero, Rousseau, Cromwell e Napoleone, in una serie che illuminava icasticamente attraverso gli Eroi quel Progresso umano dei Saperi che volavano dalla mitologia al moderno fino al laico spirito rivoluzionario. Sarà poi Bergson nei primi decenni del ‘900 a dare un tocco alla finalità ormai invisibile della Storia, quasi la fine della stessa. In particolare, il filosofo francese romperà il tema del conflitto da cui partirono i filosofi della Storia, cioè la separazione fra coscienza e natura, ovvero fra spirito e materia, vale a dire la posizione primaria rilevata da Agostino e la opposta visione illuminista che Vico aveva tradotto nella visione ciclica dalla storia.
Gianbattista Vico.
Il Bergson proprio nel drammatico primo dopoguerra, concepì la Storia come una realtà unica al presente, dominata non da un tempo stabile, quanto di un Tempo come durata. Un processo cioè comprensivo di tutti gli eventi umani in tempi ed aree diverse, una durata coestensiva con la ciclicità delle ere storiche. La radici di una visione storica soggettiva che ha come fuoco operativo la storiografia. E’ allora facile citare un altro campione della nuova scuola storica degli Annales, rivista francese di Bloch e Febvre vicina alla ideologia sociale, tanto che nel secondo dopoguerra a dirigerla sarà Fernand Braudel, lo storico che introdurrà il concetto di lunga durata dei processi storici ed infrangerà il concetto atavico di totalità e di mondo storico unico. La Storia diventa nel secondo dopoguerra piuttosto storiografia, vale a dire ora la convivenza nello stesso tempo storico di varie storie del mondo, per esempio legate al territorio, attualemente la cosiddetta Geopolitica. In alte parole, oggi prevale il passaggio ad una conoscenza soggettiva e temporanea, l’acquisizione di Storie fuori dal Mediterraneo, finora centro propulsore della storia del passato del mondo. Una rivoluzione sociale e globalizzante che però porterà ad un cambio di prospettiva, vale a dire alla interpretazione della Storia come terreno fertile della storiografia. Prima fra tutte emerge la posizione di Frances Fukuyama, che sembrò a fine ‘900 ridare un colpo di coda alla Storia totalizzante. Invero, lo storico statunitense nel 1992 diffonderà un saggio politico e storico che apparve in linea con le scuole di filosofia della storia di stampo assoluto ed unilaterale, La fine della storia e l’ultimo uomo.
Frances Fukuyama.
Qui, partendo dalla prevalenza delle democrazie liberali e filocapitaliste, nonché dal genere di vita del mondo occidentale, concluderà che lo sviluppo socioculturale dell’umanità porterebbe alla forma definitiva di un governo del mondo e dunque alla fine del processo storico. Era la conseguenza della Caduta del Muro di Berlino (1989), la cessazione dell’ultimo sistema totalitario ed il trionfo della libera democrazia che privilegiava l’approdo del progresso di quella politica ed il trionfo del Diritto internazionale. Sembrò a molti la vittoria finale sull’ideologia storicista, che ora sembrava esaurito, tanto più che quest’ultimo anello della catena Storia – mondo rispondeva alla forza della razionalità illuminista, finalmente la disillusione di ogni contenuto provvidenziale cristiano nel cammino dell’Umanità giunto laicamente al termine.
Il piano provvidenziale della storia. Da Agostino a Fichte.
Come si è visto, l’idea di Progresso non era nuova, malgrado la sua enucleazione espansiva emergesse come un fiume carsico in pensatori provocati dalle necessità storiche soprattutto nei passaggi di Millennio, quando l’idea di sviluppo delle società sembrava preludere ad un ulteriore gradino di miglioramento. Così fu con l’avvento del Cristianesimo. A formulare l’ottica del piano provvidenziale di Dio fu proprio Agostino d’Ippona. Egli lesse la Storia come uno Scontro fra città celeste e città terrena: una battaglia che l’evento/Cristo avrebbe portato alla vittoria della prima sulla seconda. Ed a tale duello che Dio ci metterà alla prova finale, quando il male e la cattiva volontà, che sono in natura e nell’uomo, verrà finalmente sconfitto (vd. la De Civita Dei, cap. XI, vv. 17). E tuttavia, uno dei caratteri del pensiero storico cristiano apparve nella sua imperscrutabilità, quale effetto della infallibilità, quanto opportuno e strettamente fosse legato alla Speranza, senza che però il fedele possa comprendere le vie del Signore. Alla domanda del ruolo dal Male nella vita, egli ha fede che questo mai vincerà, come Gesù aveva predicato. Ma non è certo quando avverrà. Inoltre, la storia totalizzante soffriva di questi limiti, anche in età romantica. Hegel traspose tale non sapere in logica razionale: ora è la filosofia che rende laica questa incertezza, che rende umana e riconoscibile ogni determinazione della Ragione.
Johann Gottlieb Fichte.
Già Fichte nel 1806 – I caratteri dell’Età contemporanea – accetta la natura provvidenziale della Storia, anche all’ombra della morale kantiana. L’Esistenza della Provvidenza nella storia, cioè la necessità del Male affinché il Bene trionfi alla fine, è della Fede Cristiana, come analoga è l’esistenza dell’uomo/eroe esposto alla lotta contro il Non Io da parte dell’Io. In altre parole, i fatti della vita possono essere mediati dalla volontà dell’Uomo (così anche Schopenhauer). Una lotta reale che però Hegel stempererà nelle sue Lezioni sulla Filosofia della Storia ( 1821-1831). Il filosofo di Stoccarda, depurata la Storia dall’influenza metafisica che ancora reggeva l’idea di Progresso; ritornava su di essa in termini materialistici, o meglio ribadì la determinazione laica ed finalismo dell’azione umana. Egli si basava sulla crescita e l’espansione dello Spirito fin dalla Storia dell’oriente, dove è presente il tiranno. Poi rilegge il mondo classico attraverso le repubbliche antiche, con la storia di Roma. Quindi seguì la società cristiano-germanica e le monarchie cristiane moderne, fino all’età della libertà individuale e delle repubbliche liberali borghesi. Sottotraccia però – proseguiva Hegel – il mondo camminava con la c.d. Astuzia della Ragione, un’idea di progresso volterriana che, al disopra della coscienza umana, guida ogni popolo, nelle forme di uomini speciali (gli Eroi di Carlyle) verso un mondo più umano e più civile. Un pensiero che riassumeva e traduceva l’idea di Progresso, metabolizzando Vico ed Agostino, ma anche corredando le idee dell’ultimo Kant, quando preconizzò la concezione cosmopolitica della Pace universale figlia di una Storia universale, senza dimenticare l’utopia di Goethe riguardo alla sua letteratura mondiale. Il principio era chiaro in Hegel: Dio prevale e la storia del mondo è la sostanza del suo essere nel mondo, l’essenza del suo piano è una storia universale .. .. la filosofia moderna riguarda allora la conoscenza della realtà divina e la dura realtà del male… la Ragione altro non è che un’eco dell’opera di Dio. Il neoidealismo contemporaneo, con Croce in testa, confermerà il ruolo mediatrice della Ragione che farà da guida e da interpretazione degli Eventi. A tale lettura mancava un aspetto essenziale, la figura dell’accadimento di Cristo, cioè la Rivelazione di Dio come evento spartiacque della Storia. Cioè la realizzazione immediata del processo, anzi il fatto che Cristo abbia rivoltato la Storia, come un evento tanto necessario quanto performativo dello stesso cammino umano.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel.
Teologia e Storia.
L’idea attiva di Rivelazione come un terremoto improvviso nacque proprio in età romantica: sia Schelling che De Maistre avevano accolto il principio che la Rivelazione di Dio in Cristo Gesù si era svolta senza una chiara continuità, al punto che il filosofo francese aveva dato merito al Medio Evo, ritrovando in quei secoli non più il buio della Storia, ma addirittura la sede primaria della tradizione provvidenziale, rivalutando Tommaso ed i suoi epigoni nel XIV° secolo. Vero è però che il Rinascimento ed il primo Romanticismo, per non dire buona parte del razionalismo illuminista avevano svalutato il principio assoluto di un senso della Storia. Machiavelli aveva anticipato il caos della Storia e la natura soggettiva del Principe, pur assoggettando a pena ogni tentativo dispotico. Ma già Goethe e Schiller avevano magnificato – sia nel Faust, sia nei Masnadieri – il momento attuale rispetto al passato. Faust diceva infatti: Ora lo spirito non guarda né avanti né indietro, ma è l’istante la sede della felicità dell’Uomo.. Esistere è dovere, anche per un solo momento. Il Carpe Die dell’Umanesimo era ancora presente nel Romanticismo di Weimar. Con il Positivismo ed il Marxismo, l’idea di Progresso si distaccava del tutto dalla Rivelazione e si concentrava nel materiale divenire. L’ordine provvidenziale di Hegel significherà perfezione tecnica od economica. Comte riconosceva nella Storia la crescita cadenzata di uomini passati, presenti e futuri che hanno cooperato assieme a raggiungere l’attimo sociale con forme libere e democratiche. Marx, avendo messo le gambe allo spirito di Hegel, guardava alla Storia come un grande digramma cartesiano dove per linea retta le classi subalterne arriveranno alla cima della curva, dopo anni di lotta e di sconfitte. Ci sarà un limite finale, dove si avrà una sola classe che reggerà il Potere. Una nuova società però frutto di fatalità impreviste, come quando dal Caos germinò la Natura (vd. Il Capitale I, cap. 24, par. 7). Un fatalismo forzato della natura delle cose, quasi un’uscita dalla massa informe che Dio aveva prodotto nella genesi biblica… Intanto la storiografia prendeva un decorso soggettivistico, in armonia all’idea neoclassica che il presente era l’eternità ora e sempre e che dunque la storia comunque rimaneva una scienza del sapere che l’Uomo di per sé si crea, come Vico aveva ripreso da Tucidide e Tacito. Di qui Ranke, Meinecke e Troeltsch rincorrevano una prospettiva disomogenea, legata a livelli di conoscenza soggettiva perché andava comunque distinto il momento narrativo del profilo valutativo (i fatti ed i valori di Weber e Simmel). Poi la filosofia della storia di Nietzsche, Sartre e Jaspers, figlia dello spiritualismo del ‘900, che con fatica insisteva nel primato del presente, cui occorreva rapportare ogni azione del passato. Il senso di vuoto cui l’uomo del primo ‘900 era caduto – dalla morte di Dio, all’insorgere dell’Io nascosto di Freud, fino all’impotenza della politica di Sartre; tutte concorrevano ad alimentare il senso di isolamento nella città della tecnica. Le domande esistenziali di Heidegger su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, davano all’aggettivo storico totalizzante un senso di precarietà mai visto. La Prima Guerra Mondiale, i totalitarismi politici, l’economia finanziaria fondata sulle scommessa, la fine della Religione ridotta a mero Rito, atterrivano coloro che nelle negazione dello Spirito avvertivano di essere ormai impotenti di fronte al Male perfino divenuto un Regime politico. L’Esistenzialismo rimaneva una Ideologia che portava direttamente alla paura ed alla depressione. Questo grave sentimento di malessere individuale colpì Jacob Burckhardt, storico dell’arte, che cercò disperatamente proprio nella Storia ciò che il suo collega Nietzsche a Basilea gli aveva infranto, l’anelito cristiano verso l’eternità. Jakob aveva perso la speranza di salvezza perché gli era stato messo il tremendo dubbio di un ritorno all’essere come divenire, nonché il sospetto che il Dio della storia altro non era che un totem dietro il quale emergeva l’incoerenza, la mutevolezza e la precarietà della vita quotidiana. Non c’era alcuna Provvidenza, dunque? Il Male era destinato a vincere sempre e comunque? Domande che Adorno si ripeterà quando, in polemica con Jaspers, si chiedeva dove era Dio ad Auschwitz. Quesiti che Oscar Cullmann riproporrà durante i lavori del Concilio Vaticano II. Nel suo saggio Cristo e il tempo (1965), il teologo di Strasburgo tornava alla figura troppo mitizzata di Gesù Cristo e ne rilanciava invece la storicità, fulcro della Storia della Salvezza. Egli poneva in evidenza non solo la Rivelazione e la sua attività sanatrice e riformatrice dell’Uomo, ma riportava in auge il valore del Tempo umano così come evidenziato anche e sopratutto nel XX° secolo. Addirittura il confratello Wolfhart Pannenberg parlerà di Rivelazione come Storia e perfino Johann Metz nella sua Teologia del mondo, nega la fede quando essa non guarda che al singolo. Tutti i Teologi Conciliari negli anni di fine ‘900 sollecitavano una Chiesa aperta al Mondo e consideravano la necessità di una Storia della salvezza sovversiva in virtù del messaggio di amore e di libertà che il Cristianesimo ha apportato in opposizione alla tesi atea che aveva ridotto la Religione ad un valore respinto della Storia. Del resto, il Catechismo della Chiesa Cattolica (1993), al par. 306, recita: Dio è il padrone sovrano del suo disegno salvifico. Però per realizzarlo, si serve anche della cooperazione delle creature. Questo non è un segno di debolezza, bensì della grandezza e della bontà di Dio Onnipotente. Infatti Dio alle sue creature non dona soltanto l’esistenza, ma anche la dignità di esse stesse, di essere causa e principio le une delle altre; e di collaborare in tal modo al compimento del suo disegno. E dunque la comprensione del passato è indispensabile per proteggere il presente dalle sue criticità. Di fronte alla Storia, specie quando una Nazione tende a prevaricare le altre in virtù della loro debolezza, ogni Cristiano, divenuto consapevole di valori di giustizia e di moralità connessi alla vita comune, dovrebbe isolare e respingere qualsiasi minaccia di vassallaggio e ricorrere ad un Diritto internazionale che impedisca l’inevitabile scoppio di guerre espansionistiche.
Bibliografia:
- Sul concetto di Storia come mondo, vd. HANS GEORG GADAMER, Il problema della conoscenza storica, Napoli, 1969 nuova edizione, 2004, Nonché KARL JASPERS, Filosofia, Utet, 2013.
- Sul piano provvidenziale nella Storia, vd. FRANCESCO OLGIATI, Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, (1°ed. 1924), Milano, 1963, nonché JACQUES MARITAIN, On the Philosophy of History, New York, 1957, ripreso da Il pensiero politico di Jacques Maritain, a cura di GIANCARLO GALEAZZI, ed. Massimo, 1978, specialmente le comunicazioni di Guglielmo Forni Rosa, pagg. 124 e ss.
- Sulle scuole totalitarie della Storia, per Agostino, cfr. MARIA BETTETINI, Introduzione a Agostino, Bari, 2008. Per Hegel, Sistema ed epoca in Hegel di REMO BODEI, Bologna, 1975.
- Per la storia cristiana della salvezza, oltre alle fonti citate nel testo, vd. ancora di OSCAR CULLMANN, Dio e Cesare, ed. Ave, 2023.





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