Nel periodo 1948-1949 e negli anni immediatamente successivi, si ebbe un forte impulso nel supportare il nascente Stato d’Israele.
Il 14 maggio 1948, quando David Ben-Gurion annunciò la nascita dello Stato di Israele, il nuovo Paese si trovò subito immerso in un conflitto feroce contro una coalizione di Stati arabi. Le forze ebraiche – composte da Haganah, Palmach, Irgun e Lehi – potevano contare soprattutto su armi leggere, con scarsissima artiglieria pesante, nessuna aviazione degna di questo nome e pochissimi veicoli blindati. In quel momento critico, l’Italia, nonostante la neutralità ufficiale e il recente controllo alleato, emerse come uno dei canali principali per rifornimenti militari clandestini diretti prima alla Haganah e, dopo la proclamazione dello Stato, alle nascenti Forze di Difesa Israeliane (IDF).
L’Italia e il suo ruolo non meramente logistico.
Non si trattava solo di un ruolo logistico: l’Italia post-bellica era un territorio ricco di opportunità per chi cercava equipaggiamenti. Depositi abbandonati dalle truppe tedesche in ritirata e dagli Alleati lasciavano tonnellate di materiali bellici sparsi un po’ ovunque. Reti sioniste ben strutturate, come il Mossad le-Aliyah Bet per l’immigrazione illegale e il Rekhesh per gli acquisti di armi, sfruttarono queste circostanze tra il 1947 e il 1949. Da qui passarono fucili, mitragliatrici, munizioni, pezzi di artiglieria e persino componenti per velivoli.
Molte operazioni avvennero in segreto, con il tacito consenso di alcune autorità locali che, in un clima di ricostruzione, preferirono voltarsi dall’altra parte. Un aspetto umano importante fu quello dei volontari. Prima ancora del 1948, centinaia di giovani ebrei italiani – molti dei quali avevano vissuto sulla propria pelle le leggi razziali del regime fascista – decisero di partire per arruolarsi nel Machal, ovvero i “volontari dall’estero”. Tra loro c’erano ufficiali e sottufficiali con esperienza maturata nel corso della guerra. Non erano numeri enormi rispetto ai volontari provenienti da Stati Uniti o Sudafrica, ma il loro contributo fu prezioso, soprattutto in termini di competenze tecniche e motivazione personale. Questi italiani portarono con sé non solo le armi, ma anche un senso di riscatto dopo anni di persecuzioni.
Le diverse forniture e l’importate supporto fornito dall’Italia.
Sul fronte delle forniture aeree, l’Italia giocò un ruolo di transito e supporto indiretto. Molti surplus bellici alleati e italiani finirono in mani sioniste attraverso acquisti discreti o recuperi da depositi. Ad esempio, diversi aerei da addestramento e caccia leggeri ex-Regia Aeronautica furono acquisiti e utilizzati per formare i primi piloti della Chel HaAvir, l’aeronautica israeliana. Aeroporti nel Sud Italia, come quelli in Sicilia e Puglia, servirono, spesso, come basi temporanee per operazioni di manutenzione o trasbordo.
Carro americano Sherman (1947). Gli Usa fornirono armi e mezzi ad Israele in notevoli quantità.
Il porto di Napoli, invece, divenne un punto nevralgico per spedizioni marittime: navi cargo, a volte sotto bandiera falsa panamense o honduregna, caricavano armi, munizioni e persino immigrati clandestini diretti in Palestina. Tra le armi leggere e l’artiglieria che transitarono dall’Italia, spiccano migliaia di fucili Beretta, mitragliatrici Breda Mod. 37, mortai Brixia e Breda, oltre a cannoni campali come i 65/17 o 75/27 di produzione nazionale. Questi pezzi, spesso “recuperati” da magazzini dimenticati o acquistati tramite intermediari, rafforzarono notevolmente le capacità difensive delle forze ebraiche nei mesi cruciali della Guerra d’Indipendenza.
Pezzo da montagna italiano da 65/17.
Obice da 75/13 italiano.
Il contributo tecnico e industriale italiano.
Un altro capitolo significativo riguarda il contributo tecnico e industriale. Tra il 1948 e i primi Anni ’50, numerosi ingegneri, tecnici e operai specializzati ebrei italiani emigrarono in Israele, portando con sé conoscenze preziose in campi come la balistica, la meccanica e la produzione bellica. Alcuni di loro avevano lavorato in aziende come Ansaldo, con esperienza diretta su veicoli blindati e artiglieria. Questo know-how si rivelò fondamentale negli anni successivi, quando Israele iniziò a modificare e potenziare i propri mezzi. Pensiamo, per esempio, agli Sherman acquisiti da vari fonti internazionali: alcuni componenti e adattamenti, come cannoni derivati da modelli italiani o conversioni di pezzi contraerei, beneficiarono indirettamente di competenze maturate in Italia. Nelle officine israeliane degli Anni ’50, ex tecnici italiani contribuirono a sviluppare varianti più efficaci, come quelle armate con cannoni da 75 mm potenziati.
Carro armato statunitense Sherman.
Non bisogna dimenticare il contesto internazionale: l’embargo ONU sulle armi verso la regione mediorientale, introdotto con la Risoluzione 50 del maggio 1948, complicava tutto. Eppure, molte operazioni italiane procedettero lo stesso, grazie a reti clandestine che aggiravano i controlli. Le autorità di Roma, impegnate nella ricostruzione post-bellica e nel rientro nella comunità internazionale, spesso non intervennero con troppa severità. Guardando indietro, è difficile quantificare con precisione quanto il sostegno italiano abbia pesato sull’esito del conflitto. Di certo, senza quei rifornimenti logistici, quel flusso di volontari e quelle competenze tecniche trasferite tra il 1947 e il 1949, la resistenza delle IDF durante la Guerra d’Indipendenza sarebbe stata molto più fragile. Israele vinse contro forze numericamente superiori anche grazie a questi aiuti discreti arrivati da vari Paesi, tra cui l’Italia ebbe un posto di rilievo.
Il forte legame tra Italia e Israele
Oggi, in Israele, quel periodo è ricordato con riconoscenza. I volontari italiani, i tecnici emigrati, le reti che operarono nei porti e negli aeroporti del Sud: sono parte di una storia più ampia di solidarietà internazionale nei momenti più duri. Storie di persone comuni – meccanici, piloti, marinai, ingegneri – che, in un’epoca di caos post-bellico, scelsero di aiutare un popolo in lotta per la sopravvivenza. Quei legami, nati nella clandestinità, hanno lasciato un’impronta duratura nelle relazioni tra Italia e Israele.








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