La cinematografia della Francia di Vichy: una storia sepolta dalla discriminazione ideologica. Duecentoventisei pellicole, “novanta delle quali di valore assoluto” (François Roland Truffaut). Di Alberto Rosselli.

La bravissima (e spiritosa) attrice francese 'Arletty'.

Dopo decenni di quasi assoluto e plumbeo silenzio, complice la ferrea discriminazione politica targata ‘gauche’, risulta interessante effettuare una seppur sintetica rivisitazione del il cinema francese di “occupazione”, cioè quello della tanto deprecata Francia di Vichy, dove produttori e registi seppero produrre un ragguardevole quantitativo di pellicole. Tra il 1940 e il 1944, nella Francia sotto controllo tedesco e nei territori posti sotto la giurisdizione del governo del maresciallo Pétain vennero realizzati ben 226 film, alcuni dei quali di valore assoluto (1).

Il celebre regista Truffaut sul set.

“Truffaut – ha riportato Ranieri Polese sul ‘Corriere della Sera’ – ne giudicava interessanti almeno novanta”. Ed oggi il regista Bertrand Tavernier (autore nel 2001 del film-scandalo, Laissez-passer, dedicato al cinema francese di quegli anni: pellicola che ha fatto indignare i critici marxisti di ‘Libération’ e quelli radical chic di ‘Le Monde’), si spinge ancora più avanti, dichiarando che per una decina di titoli si può parlare addirittura di capolavori. Come ad esempio Il corvo (1943) di Henri-Georges Clouzot, Evasione (1943) di Claude Autant-Lara e La conversa di Belfort (1944) di Robert Bresson. Seppure di marca francese, la discussione sul cinema francese del periodo bellico in qualche modo può riguardare anche noi italiani, costringendoci a riaprire un più serio, equo e circostanziato dibattito sul cinema di Salò e su chi lo fece, sulla falsariga di quello innescato da Tavernier. Alla prima del suo film, il regista descrisse così il clima culturale che aleggiava sul cinema transalpino d’ ‘occupazione’. “Il comportamento del mondo del cinema francese tra l’estate del 1940 e quella del 1944 fu molto differenziato. Ci furono casi clamorosi di appiattimento nei confronti delle direttive di Berlino e ci furono posizioni più defilate. Vennero comunque prodotti parecchi buoni film. Capitarono anche vicende paradossali. Per esempio, ci fu chi lavorò per la famigerata Continental (la potente ed efficiente casa creata il 3 ottobre 1940 dall’abile e colto magnate tedesco Alfred Greven per produrre, ma anche esportare e importare film tedeschi e francesi, n.d.a.) svolgendo nel contempo attività coraggiose a sostegno della resistenza, ma che nell’immediato dopoguerra venne comunque discriminato per sospetto collaborazionismo con le autorità naziste. Con Laissez-passer ho voluto documentare tutto questo”.

Va ricordato che il 2 dicembre 1940, nel tentativo di controbilanciare lo sfavorevole rapporto di forze con l’industria tedesca, il governo di Vichy creò il COIC (il Centro Nazionale di Cinematografia diretto in un primo tempo da Raoul Ploquin e poi da Louis-Emile Galey), organismo che si avvalse della collaborazione di bravi tecnici e specialisti tra cui Robert Buron e Christine Gouze-Rénal che, nel 1944, passeranno alla Resistenza.

Arlette-Léonie Marie Julie Bathiat in compagnia di Jean Gabin.

 Molti furono i nomi illustri che accettarono di lavorare per la Continental o per altre case (Tobis-Ufa o Ace), ottenendo buoni se non ottimi risultati. Tra questi – come ricorda René Chateau nel suo Le Cinéma français sous l’Occupation (1940-1944) – l’eccellente attrice Arlette-Léonie Marie Julie Bathiat (in arte Arletty) e le brave Martine Carole e Corinne Luchaire, lo scrittore e sceneggiatore Louis Chavance, i registi e sceneggiatori Sacha Guitry, Henri Decoin e Albert Valentin, e attori del calibro di Pierre Fresnay e Fernand Contandin (Fernandel). Un posto a parte spetta però ad un regista, il comunista Louis Daquin, che nei giorni della Liberazione si metterà in luce come “grande epuratore dei cineasti e degli attori collaborazionisti”, ma che nel 1941 aveva fatto carte false per lavorare a Nous les gosses, film patrocinato dall’influente Georges Lamirand, segretario generale alla Jeunesse (la Gioventù Nazionale), producendo poi, sempre con l’appoggio del governo di Vichy, Le voyageur de la Toussaint (1941) e Premier de corde (1943).

Il grande Fernandel assieme a Gino Cervi (immagine del dopoguerra).

Come annota René Chateau attraverso la Continental (ma anche grazie alle case Tobis-Ufa e alla Ace) Goebbels permise di fatto ai registi, agli sceneggiatori e agli attori francesi rimasti in patria di proseguire con il loro lavoro, tracciando però per la ‘nuova’ cinematografia francese una precisa e rigida linea politica da seguire: “Il cinema tedesco dovrà dominare l’Europa, mentre quello francese potrà occuparsi soltanto del mercato nazionale”. Attraverso la casa di produzione Continental, Goebbels avrebbe infatti voluto imporre ai registi d’oltralpe la direzione di film a respiro locale, preferibilmente commedie e noir, a discapito di quelli più impegnati (“Ho dato direttive molto chiare in proposito – scrisse nel 1941 Goebbels a Berlino – affinché in Francia vengano prodotti soltanto film di svago, carini, ma anche cretini (…) Il pubblico si accontenterà”). Sia nella Francia occupata sia in quella di Vichy molti artisti francesi riusciranno però a muoversi con una certa libertà e soprattutto con rinnovata energia. Proprio quella che mancò al cinema di Salò, lasciato praticamente allo sbando, senza fondi e soprattutto senza una seria guida. “Paradossalmente, il periodo 1940 – 1944 si rivelò un vero e proprio âge d’or per il cinema francese. Sbarazzatosi della forte concorrenza americana e degli stereotipi culturali ed interpretativi degli anni Trenta, esso poté infatti trovare, nonostante il controllo e le pressioni naziste (nel maggio del ‘42 i tedeschi tentarono senza successo di fagocitare il cinema francese trasferendo registi e attori a Berlino, n.d.a.), nuove forme di ispirazione e sperimentare nuovi linguaggi e soggetti che, dopo la guerra, verranno ulteriormente sviluppati”. (Edward Borsboom).

Il regista e sceneggiatore Sacha Guitry con la sua terza moglie Jacqueline Delubac.

Secondo Jean Cocteau, “tra il 1940 e il 1944, la Continental, la Tobis-Ufa e l’Ace ebbero il merito di scoprire numerosi grandi talenti del cinema francese fino ad allora sconosciuti, come Henry-Georges Clouzot, autore del capolavoro Le Corbeau, Jean Dellanoy, Jacques Becker, Claude Autant-Lara, Robert Bresson e André Cayatte” (Michele Sakkara e Franco Morani, op. cit.).

         Nella fattispecie, tra il 1941 e il 1944, la sola Continental produrrà 30 film (11 nel 1941, sette nel 1942, undici nel 1943 e uno nel 1944). E secondo il giudizio di buona parte dei critici francesi contemporanei, non saranno poche le pellicole ad occupare, sotto il profilo tecnico e artistico, un posto di sicuro rilievo. Come L’assassinat du Père Noël (1941) di Christian-Jaque; Premier rendez-vous (1941) di Henri Decoin; Le dernier des six(1941) di Georges Lacombe; Les Inconnus dans la maison (1942) di Henri Decoin; L’assassin habite au 21 (1942) di Henri-Georges Clouzot; La symphonie fantastique (1942) di Christian-Jaque; La main du diable (1943) di Maurice Tourneur; La vie de plaisir (1943) di Albert Valentin e La ferme aux loups (1944) di Richard Pottier.          Dopo la liberazione di Parigi, alla fine di agosto del 1944,  buona parte dei registi, degli sceneggiatori e degli attori che durante l’occupazione tedesca e il governo di Vichy avevano lavorato con le case di produzione Continental, Tobis-Ufa e Ace, vennero sottoposti a rapidi processi farsa. Data la pochezza e la fragilità delle accuse, pochi di essi furono condannati a morte o a pene detentive, mentre molti subirono l’interdizione perpetua dal lavoro. Trascinata in un gremito tribunale, la bella e vivace attrice Arletty, accusata di avere “tradito la Francia sessualmente” in quanto innamoratasi del trentatreenne colonnello della Luftwaffe Hans Jurgen Serring, rispose al pubblico ministero, con la spavalderia e il senso dell’umorismo che l’avevano sempre contraddistinta: “Mon coeur est français mais mon cul est international !”. Alcuni anni dopo, in un libro di memorie, Arletty annoterà che “i veri collaboratori del periodo di occupazione tedesca furono proprio quei registi, sceneggiatori e attori che dopo il 1944 accettarono di slancio di girare i film sulla Resistenza transalpina


(1) Nell’estate del 1940, la produzione cinematografica francese passa di fatto sotto controllo dei tedeschi, peraltro già presenti con la Tobis, filiale della germanica UFA “In questo periodo – annota Cristina Bragaglia nel suo ’Storia del Cinema Francese’, edizioni Newton, 1995 –  i maggiori registi sono già all’estero (…) René Clair in Inghilterra, Renoir, Feyder e Duvivier negli Stati Uniti. E anche attori come Jean Gabin e Michèle Morgan prendono la via dell’esilio. Ma ai molti sceneggiatori, registi e attori che evidentemente non sentono di avere troppo da temere dai tedeschi, il lavoro non manca, anche se essi si vedono in qualche modo costretti ad abbandonare temi sociali e troppo ideologicizzati della seconda metà degli anni Trenta, per ripiegare sul genere“fantastico, come mezzo di espressione del mondo interiore. E’ la scelta che compiono Carné e Prévert, con Les visiteurs du soir (1942), una favola ambientata nel Quattrocento (…) Alla tendenza fantastica deve essere ascritto anche L’éternel retour (1943) di Jean Delannoy, alla cui sceneggiatura collabora Jean Cocteau che interpreta e sceneggia anche Le baron fantome (1942) di Serge de Poligny. Sotto occupazione tedesca continueranno a lavorare anche altri nomi importanti, come Grémillon, che nel 1944, per conto della nazista UFA, girerà l’ottimo Le ciel est à vous.E sempre nello stesso periodo “nero” si affacciarono anche registi di una nuova generazione, come Robert Bresson, Jean Becker ed Henri-Georges Clouzot”.

La situazione della Francia durante la Seconda Guerra Mondiale.

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