Israele dopo Israele. Di Fabio Bozzo.

Soldati israeliani.

Vi è una pace che sta solo al di là della guerra.

Un adagio degli anni ’70 del XX secolo recitava “La pace tra Israele e palestinesi avverrà solo quando Moshe Dayan ed Arafat si incontreranno a quattrocchi” (il grande militare e politico israeliano era iconico a causa della sua benda sopra un occhio, perso durante la Campagna di Siria mentre combatteva con i britannici contro la Francia di Vichy).

L’umorismo nero del detto era essenzialmente vero e la storia lo ha ampiamente dimostrato. Quando Israele nacque a seguito di un regolare voto dell’Assemblea Generale dell’ONU, allora come oggi il più alto consesso internazionalmente riconosciuto, venne prevista la creazione di due Stati, ovvero Israele e la Palestina. Gli ebrei accettarono, gli arabi no. Tutto il Medio Oriente invase il neonato Stato ebraico che, armato di milizie mal assemblate, sconfisse tutti e sopravvisse. Per motivi strategici gli israeliani allargarono un po’ i loro confini, ma il grosso del territorio che l’ONU aveva assegnato ai palestinesi non fu conquistato. Tali territori (essenzialmente la Striscia di Gaza e la Cisgiordania) furono invece annessi motu proprio da altri Stati arabi: la prima dall’Egitto e la seconda dalla Transgiordania (che da allora si chiama Giordania, nome mantenuto anche dopo la perdita della regione nel 1967). Allora nessuno protestò contro l’uccisione nella culla dello Stato palestinese, per il semplice fatto che tale omicidio geopolitico fu perpetuato da altri arabi e non dagli israeliani brutti, cattivi, imperialisti, alleati dell’Occidente e pure bianchi (quest’ultima la colpa peggiore agli occhi della sinistra nostrana).

La striscia di Gaza. Foto ‘Sole 24 Ore’.

Da allora la storia è stata un monotono continuum: gli arabo-islamici annunciavano in modo smargiasso la distruzione di Israele ed il genocidio del suo popolo, scatenavano guerre, le perdevano, dopo la sconfitta andavano a piangere all’ONU e le vittorie israeliane venivano mutilate diplomaticamente grazie all’intervento sovietico. Ogni volta, dopo questa tiritera, Israele ha proposto dei piani di pace, alcuni dei quali, soprattutto all’epoca dell’ex Primo Ministro Ehud Barak (1942-vivente), avrebbero garantito ai palestinesi la quasi totalità della Cisgiordania e la totalità della Striscia di Gaza. Ogni volta i palestinesi hanno respinto le proposte, sempre con pretesti e pretese ridicole, la più celebre delle quali era quella di obbligare Israele a riconoscere la sua cittadinanza a circa quattro milioni di arabi musulmani. Sarebbe come se l’Italia, con poco meno di sessanta milioni di abitanti, desse passaporto e scheda elettorale a cinquanta milioni di nordafricani. Per ovvie ragioni esistenziali Israele ha sempre rifiutato tale suicidio assistito, una palese scusa dei palestinesi per far fallire le trattative.

Soldati israeliani (Foto Olympus)

E così la storia è andata avanti, con gli Stati arabi che dopo tante sconfitte hanno compreso che Israele non era conquistabile militarmente (anche perché nel frattempo dotatosi di armi nucleari), e con l’intero mondo islamico che logorava l’unica democrazia del Medio Oriente col terrorismo finanziato dai petrodollari e dall’Unione Sovietica.

Poi la Guerra Fredda finì e l’URSS finì nella pattumiera della storia. Ciò fu una svolta benefica anche (e non solo!) per Israele. Senza la protezione del gigante comunista i terroristi islamici rimasero spaesati, mentre gli Stati arabi, giocoforza, dovettero abbassare i toni con l’Occidente. Quindi anche con Israele, che dell’Occidente è l’avanguardia ed il centurione sulle mura. In ciò furono aiutati dagli stessi palestinesi, che coi loro eccessi (i più celebri dei quali furono scatenare la guerra civile libanese ed il Settembre Nero giordano) stancarono anche il resto del mondo arabo. A quel punto Israele, compreso che i palestinesi semplicemente non volevano la pace, cominciò a mettere seriamente al primo posto la propria sicurezza strategica. Come? Allargando le zone abitate da ebrei con la costruzione progressiva di colonie di nuovi cittadini di recente immigrazione e con la costruzione del muro difensivo.

Palestinesi.

Apriti cielo! In tutto l’Occidente partì la gara a strapparsi le vesti, tanto da parte della sinistra che di quei settori dell’estrema destra che ancora non hanno capito che l’antisemitismo fu una delle (tante) perversioni che condannò il nazifascismo all’eternità nell’ultimo girone dell’inferno dantesco. Come osavano gli ebrei (ovviamente finanziati dagli “amerikani” di Wall Street) tutelare la propria esistenza dandosi un retroterra militarmente difendibile? Come osava lo Stato di Israele costruire un vallo difensivo che con la sua esistenza ridusse le incursioni terroriste palestinesi a numeri sopportabili? Mai che a sinistra o nei suddetti settori (per fortuna sempre più minoritari) dell’estrema destra si ricordasse che le colonie venivano costruite su territori precedentemente offerti da Israele ai palestinesi in cambio della pace e che gli stessi palestinesi avevano rifiutato. Mai che si ammettesse nei telegiornali strappalacrime, girati nelle ZTL di Milano e Roma (le stesse che politicamente producono i Sala, i Grillo e le Schlein), che il muro difensivo non fosse altro che una riedizione moderna del tanto esaltato limes romano, il quale per secoli difese la Civiltà.

Ma Israele tenne duro e, negli ultimi trent’anni, proseguì su politiche che gli hanno garantito una relativa sicurezza. Tali politiche possono essere riassunte nel mantenimento di un sempre superlativo apparato di difesa (anche nucleare), nel non venir meno allo Stato di diritto nemmeno nei momenti di maggior pericolo e nella demografia. Quest’ultima è stata incentivata con politiche a favore della natalità interna e dell’immigrazione degli ebrei viventi all’estero, aiutata, questa, dagli attentati antisemiti che hanno sconvolto l’Europa negli ultimi vent’anni, facendo capire a molti ebrei della Diaspora che, gira che ti rigira, Israele non solo è la patria ancestrale dei figli di Abramo, ma è anche, paradossalmente, il luogo per loro più sicuro (con l’eccezione degli Stati Uniti).

Tutto ciò ha segnato la fondamentale sconfitta dei sogni palestinesi di sterminare gli israeliani o, quanto meno, di indurne una gran parte ad emigrare per disperazione, vincendo così la battaglia demografica. Eppure Israele, anche nella vittoria, ha cercato la via della conciliazione. Come? Consegnando volontariamente ai palestinesi tutta la Striscia di Gaza e parte della Cisgiordania. Dopo questo gesto di buona volontà scoppiò un’immediata guerra civile all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese, quella sorta di pre-Stato autonomo mantenuto dalle donazioni occidentali nella vana speranza di diventare un giorno abbastanza maturo da gestire una vera indipendenza. In tale guerra civile la Cisgiordania è rimasta sotto il controllo della cricca mafiosa che fu di Arafat e che rappresenta la “Nazione” all’ONU, mentre Gaza è finita nelle mani di Hamas, un’organizzazione terrorista islamica ancora più fanatica e sostenuta da quell’altro simpatico regime che è l’Iran, ma avente un livello di corruzione oggettivamente meno osceno dei figliocci di Arafat.

Da entrambe le provincie Israele ha dovuto difendersi da attacchi terroristi (per lo più da Gaza) e da piagnistei politico-propagandistici (per lo più dalla Cisgiordania). Tuttavia, col passare degli anni, è apparso sempre più evidente che quella palestinese fosse una causa persa. Dopo cinquant’anni di sputi su ogni possibile compromesso nemmeno l’Occidente terzomondista era più disposto a far finta di credere alle sue bugie. Senza l’Unione Sovietica veniva meno la protezione mafiosa a livello geopolitico. Infine lo stesso mondo arabo non ne poteva più di questa fabbrica di  terroristi, che con la loro sola esistenza destabilizzavano Stati già di per sé poco coesi.

Arriviamo quindi allo scriteriato attacco di questi giorni (scritto nell’ottobre 2023). L’assalto folle e criminale di Hamas contro Israele ha il sapore di un atto disperato, fatto da chi vuole giocarsi il tutto per tutto a livello tattico, ma senza nessuna prospettiva strategica. Non solo perché l’offensiva è stata lanciata in un momento in cui la posizione geopolitica di Israele è solida. Non solo per l’ampiezza dei mezzi impiegati (cinquemila razzi lanciati contro le città israeliane il primo giorno ed invasione terrestre dello Stato ebraico), cosa che fa venir meno il paradigma di attacco terrorista e lo trasforma in una guerra convenzionale che nessuno sano di mente può sperare di vincere contro Israele. Ma, soprattutto, per i metodi impiegati dai miliziani di Hamas: civili rapiti per essere usati come scudi umani e rivenduti per il riscatto, donne di ogni età violentate e schiavizzate, intere famiglie massacrate nelle loro case insieme ai cani (animale impuro per la dottrina musulmana), incendio delle abitazioni, massacro di massa in un concerto all’aperto e, oscenità suprema, infanti decapitati nelle culle. Il tutto spesso ripreso con orgoglio dagli stessi subumani che compivano tali crimini. Tali efferatezze estranee, al concetto occidentale di Civiltà (ma ricorrenti nella storia islamica), hanno creato ulteriore vuoto intorno alla causa palestinese, per il semplice fatto che l’hanno mostrata per l’ennesima volta e nell’epoca dei video social per quello che è realmente.

Mentre questo articolo viene scritto Israele sta ancora organizzando la sua risposta militare, pertanto non ci azzarderemo in previsioni. Limitiamoci a completare l’adagio con cui abbiamo aperto la nostra disamina. La pace tra la democrazia israeliana e la comunità terrorista islamica palestinese non arriverà dopo un incontro impossibile, cioè mai. Arriverà invece, perché è possibile, ma solo quando una delle due entità umane che la combattono avrà sterminato o espulso l’altra dalla terra contesa. Ciò è cinico, brutale ed inevitabilmente genererà orrore alle anime belle cresciute nel benessere occidentale, benessere reso possibile da democrazia e capitalismo e protetto dalle armi della nostra scienza. Ma è la Verità, nuda ed inesorabile. Pertanto non serve nascondersi dietro vane speranze e belle parole, bisogna solo scegliere da che parte stare.

Chi scrive lo ha già fatto.

Guerra.

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