La crisi del Kurdufan. Di Lorenzo Utile.

Mappa del Sudan.

Il Sudan è notoriamente un Paese instabile e la sua porzione meridionale, il Kurdufan (o Kordofan), ancora di meno. Trattasi, infatti, di un’area contraddistinta da annose dispute e sanguinose guerre intestine.

Contesto storico

In arabo, Kurdufan è una ex provincia centrale del Sudan che dal 1994 è divisa in Kurdufan Settentrionale, Meridionale e Occidentale, quest’ultimo dal 2005 amministrato da una cooperazione fra zona Settentrionale e Meridionale.

Geograficamente, la regione occupa circa 150mila km quadrati e una popolazione che, in uno degli ultimi censimenti ufficiali intorno al 2010, di circa 3 milioni e 600mila persone, in gruppi etnici come Nuba, Shilluc, Dinka e Baqqara.

Dal punto di vista naturalistico, il Kurdufan, il cui principale centro urbano è Al-Ubayyid, si presenta come una vasta e ondulata pianura, fiancheggiata dai Monti Nuba. Nella stagione delle piogge (giugno-settembre) il terreno è molto fertile, poi muta in deserto nei periodi successivi. Non è una regione molto sviluppata, l’economia si basa sulla produzione di gomma arabica, sulla coltivazione di arachidi, miglio e cotone, e sull’allevamento di dromedari Karabish.

Una traccia importante, dal punto di vista storico, sono i diari dell’esploratore tedesco boemo Ignaz Samuel Pallme (1806-1877), che compì un viaggio nel Kurdufan nel 1837 come inviato per un’azienda mercantile del Cairo, alla ricerca di nuovi canali di traffico fluviale con il Centro Africa, pubblicati nel 1843. Secondo Pallme, nel 1779 il re del Sinnar inviò lo sceicco Nasib alla testa di oltre duemila cavalieri per conquistare la regione del Kurdufan. Il dominio del Sinnar duro poco più di cinque anni, durante i quali si ebbe una consistente immigrazione di genti arabe e provenienti dal Dongala, che diedero notevole impulso all’agricoltura.

Durante il viaggio, Ignaz Pallme soggiornò per circa due anni in Sudan, e in Kurdufan in particolare, più di qualsiasi altro europeo prima di lui. Le informazioni che raccolse (oggi esposte alla National Gallery di Vienna) furono considerate di estremo interesse per la conoscenza del Paese, soprattutto la descrizione di villaggi di cui meno della metà erano segnati sulle carte geografiche, e altre notizie di valore storico, come i resoconti della caccia agli schiavi fra tribù locali, il mercato con i Paesi confinanti, usanze e costumi al tempo di Mehemet Ali (1769-1849).

Il sultano del Darfur fu a sua volta attirato dalla situazione del vicino Kurdufan, fino a decidere una spedizione militare, riuscendo a cacciare i Sinnar e a controllare la regione fino al 1821, facendo prosperare il Kurdufan in una situazione di pace e senza imposizione di tasse, nemmeno per i mercanti, a meno di donazione volontaria in omaggio al sultano del Darfur, che per altro fu ispiratore della costruzione di Bara edificata dai Dongalawi, seconda città per i commerci da e per Abissinia ed Egitto, Al-Ubayyid) e verso altri Paesi.

Nel 1821 iniziò il declino, quando Mehmed Ali, vicerè di Egitto per l’impero ottomano, inviò 4.500 uomini e due cannoni, al comando del genero Daftardar Muhammad Bey Khusraw, pe ridurre il Kurdufan alla propria obbedienza.

Memhed Ali decise di imporre nuove tasse, specialmente sul commercio, soffocando l’iniziativa imprenditoriale.

Nel 1883 Al-Mahdi conquistò Al-Ubayyid, che si scontrò con le forze anglo-egiziane del generale William Hicks, annientate nella grande battaglia di Shaykan, a sud di Al-Ubayyid, ma alla fine del 19° secolo, tutto il Kurdufan venne assoggettato alla corona britannica.

Com’è noto, nel 1837, periodo dell’espansione commerciale, l’esploratore e commerciante tedesco-boemo Ignaz Pallme fu incaricato da una ditta del Cairo di scoprire nuove vie commerciali attraverso il Kurdufan, per le comunicazioni con l’Africa centrale, e viaggiò nel territorio per due anni circa. Solo nel 1973, il territorio è stato diviso nelle province (mudiriya) del Nord Kurdufan e del Sud Kurdufan, che sono diventate stati (wilayat) nel 1994. Nel giugno 2011 è scoppiato il conflitto armato nel Sud Kurdufan, prima dell’indipendenza del Sud Sudan. Da allora i combattimenti hanno coinvolto gruppi ribelli nel Darfur e si sono estesi al Nord Kurdufan.

Un mosaico di lingue ed etnie.

Lingue e dialetti parlati nel Kurdufan fanno parte di un insieme etnico di cinque gruppi principali, diffusi soprattutto nelle Montagne di Nuba. In Sudan infatti si sono sviluppati i dialetti del ceppo Talodi-Heiban, quelli delle etnie Lafofa, Rashad, Katla e Kadu. I primi quattro gruppi fanno capo al ceppo originario delle lingue poi sviluppatesi nel bacino del Congo e del Niger, mentre il ceppo Kadu è tipico dell’etnia derivante dagli antichi popoli della valle del Nilo e del Sahara.

Nel 1963 il linguista Joseph Geenberg (1015-2001), studioso di lingue africane, unificò le etimologie linguistiche in una sorta di gruppo eterogeneo Niger-Kurdufan, ma non esiste prova che le lingue del Kurdufan siano imparentate con il ramo Niger-Congo. Oggi le lingue Kadu sono escluse da tale gruppo, come sostiene il linguista dell’università di Cambridge, Roger Blench (1953-vivente), il quale preferisce raggrupparle nel nucleo Atlantico-Congo, tuttavia la lingua Kadu e alcuni idiomi Rashad avrebbero caratteristiche genetiche originali e non ereditate, mentre il Katla e il Rashad formerebbero un ramo periferico riferito alla lingua Mande, mentre Heiban, Katloid e Talodi sono stati anche raggruppati in un’analisi computazionale automatizzata (ASJP-4) effettuata nel 2013, analisi generata automaticamente, per cui il raggruppamento potrebbe essere dovuto a prestito lessicale o ereditarietà genetica. Le lingue Heiban, chiamate anche Koalib o Koalib-Moro, e le lingue Talodi, chiamate anche Talodi-Masakin, fanno parte del gruppo Talodi-Heiban, mentre le lingue Lafofa (Tegem) appartengono alla stessa genealogia del Talodi, ma appaiono come branca separata del ceppo Niger-Congo.

Il numero delle lingue derivate dal ceppo Rashad, chiamate anche Tegali-Tagoi, sono molto varie e hanno dato origine a tre e fino a otto lingue parlate oggi nel territorio, mentre le due radici delle lingue Katla sembrano poco o nulla in comune con il ceppo Niger-Congo, come sostiene il linguista Thilo Schadeberg (1942-vivente), docente emerito di Linguistica Bantu all’università di Lleida, il quale afferma che le lingue Tantum e Kadu appartengono al gruppo Nilo-Sahara.

Per quanto riguarda i gruppi etnici, si caratterizzano a seconda delle zone abitate. Il Nord Kurdufan (Samal Kurdufan) è oggi una delle 18 province del Paese e occupa un’area di circa 185mila km quadrati con una popolazione di quasi 3,5 milioni di persone, e con Al-Ubayyid come città principale e capoluogo. Altri centri minori sono En-Nahud, Gibaish, Sodari, Abu-Zabad.

Per secoli il Nord Kurdufan è stato popolato solo da tribù nomadi di pastori, principalmente i Dar Hamid, Dar Hamad Kababish, Guamaa, Bideriya, Shwehat e alcune minoranze di Yadizi. E’ un territorio difficile, funestato da frequenti siccità fin dagli anni ’60 del secolo scorso. Inoltre, vi è il fenomeno della deforestazione, che causa importanti scompensi negli equilibri dei delicati ecosistemi locali. Attualmente vi sono diverse Ogn impegnate nei villaggi del Sudan, per riparare i danni provocati dalla deforestazione, con centri di assistenza soprattutto per le donne, che in diversi casi riescono a ottenere un reddito, e in alcuni casi sono stati installati anche impianti per l’energia solare, ma sono necessari progetti e sostegni molto più radicali, che possono venire solo da governi e grande agenzie ufficiali internazionali.

Il Sud Kurdufan (Ganub Kurdufan) occupa una superficie di circa 160mila km quadrati, con una popolazione che supera di poco il milione e mezzo di persone. La capitale dello stato è Kaduqli, nel centro dei Monti Nuba. E’ un territorio produttivo, le cui ricchezze sono concentrate soprattutto nella parte settentrionale. Vi è in particolare petrolio, recentemente scoperto in grandi quantità anche nella vicina regione del Nilo Bianco.

In base all’accordo di pace globale, i residenti del Kurdofan meridionale avrebbero dovuto tenere libere consultazioni popolari nel 2011 per determinare il futuro costituzionale dello stato. Tuttavia, il governatore del Kurdufan meridionale, Ahmed Haroun ha sospeso il processo e sono seguite violenze. Haroun era stato precedentemente accusato di crimini di guerra contro civili e crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale.

Sebbene il Kurdufan del Sud faccia parte del Sudan, ospita molte comunità pro-Sud Sudan, specialmente nelle montagne Nuba, alcune delle quali hanno combattuto a fianco dei ribelli del sud durante la lunga guerra civile, in particolare fra il 2009 e 2010, con una serie di conflitti fra tribù nomadi rivali che ha causato migliaia di vittime e sfollati.

Nel giugno 2011 è scoppiato il conflitto armato tra le forze del Nord e del Sud Sudan, in vista della prevista indipendenza del Sud nel luglio dello stesso anno. Ciò ha fatto seguito a un accordo per entrambe le parti di ritirarsi da Abyei. Le parti hanno concordato di smilitarizzare l’area contesa di Abyei dove erano dispiegate le forze di pace etiopi. Abyei è attualmente controllata dalla Forza di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il conflitto si allarga

Il conflitto sudanese nel Kurdufan meridionale e nel Nilo azzurro è stato combattuto fra l’esercito sudanese (SAF) e il Movimento di Liberazione Popolare del Nord Sudan (SPLMN), un’affiliata settentrionale del Movimento Popolare di Liberazione del Sud Sudan. Dopo alcuni anni di relativa calma in seguito all’accordo del 2005 che pose fine alla seconda guerra civile sudanese fra il governo centrale e i ribelli dell’SPLM, nel luglio 2011 scoppiarono nuovamente i combattimenti in vista dell’indipendenza del Sud Sudan, a partire dal Kurdufan meridionale e diffondendosi nel vicino stato del Nilo Azzurro. L’SPLMN, scissione dall’appena indipendente SPLM, ha impugnato le armi contro l’inclusione dei due stati meridionali nel Sudan senza consultazione popolare e contro la mancanza di elezioni democratiche. Il conflitto si intrecciò con la guerra in Darfur, dal momento che nel novembre 2011 l’SPLMN aveva stabilito una libera alleanza con i ribelli del Darfur, chiamata Fronte Rivoluzionario del Sudan (SRF).

A partire da ottobre 2014, circa due milioni di persone sono state colpite dal conflitto, con più di 500mila sfollati di cui circa la metà in fuga verso Sud Sudan ed Etiopia. Nel gennaio 2015, i combattimenti si sono intensificati, quando il governo del dittatore Omar Al-Bashir ha cercato di riprendere il controllo del territorio controllato dai ribelli prima delle elezioni generali dell’aprile 2015.

Con il rovesciamento di Al-Bashir, nell’aprile 2019, dopo mesi di proteste, l’SRF ha annunciato un cessate-il-fuoco di tre mesi, sperando di facilitare una transizione verso la democrazia. Ciò ha portato all’inizio dei negoziati di pace tra i ribelli e il nuovo governo ad interim. Il processo di pace sudanese è stato formalizzato con la bozza di dichiarazione costituzionale dell’agosto 2019, firmata da rappresentanti militari e civili durante la rivoluzione sudanese, che impose la stipula di un accordo di pace nel Kurdufan meridionale, nel Nilo azzurro e nel Darfur, entro i primi sei mesi del periodo di transizione verso un governo non militare.

Nell’agosto 2020 è stato firmato a Juba, nel Sud Sudan, un accordo di pace fra il governo di transizione del Sudan e il Fronte Rivoluzionario Sudanese. Il Movimento di Liberazione del popolo del Nord Sudan, guidato da Abdelaziz al-Hilu, e il Movimento di Liberazione del Sudan guidato da Abdul Wahid Al-Nur, si sono rifiutati di firmare l’accordo.

Nel settembre 2020, ad Addis Abeba, è stato raggiunto un accordo tra il governo di transizione e la fazione ribelle SPLM-North Al-Hilu, per separare religione e stato e non discriminare alcuna etnia, al fine di garantire la parità di trattamento di tutti i cittadini del Sudan. La dichiarazione di principi affermava che il Sudan è una società multirazziale, multietnica, multireligiosa e multiculturale, con pieno riconoscimento e sistemazione delle diversità, e nella quale lo Stato non deve stabilire una religione ufficiale, poiché nessun cittadino deve essere discriminato in base alla sua religione.

Sebbene il Kurdufan meridionale e il Nilo Azzurro si trovino a nord del confine che separa Sudan e Sud Sudan, molti residenti, in particolare nelle montagne Nuba, si identificano con il Sud e in molti hanno combattuto a fianco dei ribelli meridionali durante la lunga guerra civile.

Le province del Sud Kordofan e del Nilo Azzurro non sono state autorizzate a partecipare al referendum del gennaio 2011 per la creazione del Sud Sudan, e anche la consultazione popolare che era stata loro promesso non ha avuto luogo. Per altro, da immagini satellitari è risultato evidente come nell’intero Sudan, e nel Kurdufan in particolare, si siano verificati segnali pienamente evidenti circa l’imminente scoppio di un conflitto interno, ad esempio per i numerosi interventi si innalzamento di alcune fra le strade principali, per consentire il rapido spostamento di carri armati, nonché l’installazione di numerosi presidi di polizia e posti di blocco dell’esercito governativo.

Nel maggio 2011, prima della prevista indipendenza del Sud Sudan, sono aumentate le tensioni sullo status dell’area di Abyei, regione ricca di petrolio, per legge parte del Sud Kurdufan e del Bahr El-Ghazal settentrionale. Poiché il Sud Kurdufan doveva rimanere con il nord mentre il Bahr El-Ghazal settentrionale si stava separando insieme al resto di quella che allora era la regione autonoma del Sudan meridionale, lo status di Abyei non era chiaro e sia Khartoum che Juba rivendicarono l’area come di propria appartenenza.

Nel maggio 2011, militanti affiliati all’Esercito Popolare di Liberazione del Sudan hanno attaccato un convoglio di veicoli dell’esercito sudanese e dell’UNMIS, a 10 km a nord della città di Abyei mentre si ritiravano dal centro amministrativo dell’area, suscitando aspre condanne sia da parte del governo sudanese e le Nazioni Unite.

Almeno una ventina di carri armati sudanesi entrarono nella città di Abyei il 20 maggio, dando inizio a combattimenti su larga scala. Due giorni dopo, l’esercito sudanese aveva preso il controllo della città e la maggior parte dei residenti di Abyei era fuggita verso Bahr El-Ghazal. Sia il governo sudanese che il governo del Sud Sudan si sono accusati a vicenda di violare i termini dell’accordo globale di pace.

Nel giugno 2011, un intervento dell’Unione Africana, guidato dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, ha cercato di ridurre la tensione, attraverso colloqui nella capitale etiope Addis Abeba. Il 20 giugno, le parti concordarono di smilitarizzare l’area contesa di Abyei, e il 27 giugno fu schierata la forza di pace delle Nazioni Unite, come parte della Forza di Sicurezza ad interim delle Nazioni Unite per Abyei. L’accordo dettagliava il meccanismo con cui il consiglio di amministrazione di Abyei doveva sostituire quello sciolto dal presidente Omer Hassan Al-Bashir nel maggio 2011, con il responsabile che, secondo il patto, doveva essere scelto dall’SPLM ma approvato dal Northern National Congress Party (NCP). Tre dei cinque capi dei Dipartimenti del Consiglio di Amministrazione sarebbero stati nominati dall’SPLM e gli altri due dal PCN. Era inoltre previsto un servizio di polizia per la regione, con dimensioni e composizione determinate da un comitato congiunto co-presieduto da funzionari del Nord e del Sud.

L’allora Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, accolsero con favore l’accordo, ma affermarono che il vero banco di prova sarebbe stata la modalità di esecuzione pratica dell’accordo.

Il 21 giugno, Didiri Mohamed Ahmed, funzionario del NCP responsabile del dossier Abyei, dichiarò che durante l’incontro di Addis Abeba era stata raggiunta un’intesa tra le due parti secondo cui il Sud Sudan avrebbe concesso la futura proprietà di Abyei al Nord. Tuttavia, il portavoce dell’SPLA, Philip Aguer, rivelò alla stampa che la dichiarazione dell’alto funzionario dell’NCP non era corretta.

Il 5 giugno 2011 scoppiò il conflitto armato fra il governo del Sudan e il Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese nella parte settentrionale del Sud Kurdufan, in vista dell’indipendenza del Sud il 9 luglio. L’esercito del Nord affermò che l’SPLA aveva attaccato una stazione di polizia e rubato armi provocando una risposta. L’SPLA ha affermato che l’esercito del Nord aveva tentato di disarmare le proprie unità con la forza. Quel giorno i ribelli del JEM affermarono di aver distrutto un campo militare nella zona di Jama, nel Kurdufan meridionale, uccidendo 38 soldati e ferendone altri 27.

Il 14 giugno, le Nazioni Unite accusarono il governo sudanese di aver condotto un’intensa campagna di bombardamenti vicino al confine nord-sud che ha causato enormi sofferenze ai civili del Kurdufan meridionale, e circa 140mila sfollati. Gli uffici delle agenzie umanitarie furono saccheggiati, così come le chiese e molti edifici amministrativi. Gli operatori umanitari affermano che i membri dell’etnia Nuban furono presi di mira dai militari del nord e dalle milizie arabe, ma l’informazione venne smentita da Rabbie Abdelattif Ebaid, consigliere del ministro dell’informazione sudanese, il quale ha affermato che solo i combattenti ribelli sono stati presi di mira.

Il 15 giugno, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, chiese un cessate-il-fuoco, esortando sia il Nord che il Sud ad assumersi le reciproche responsabilità, per impedire un ritorno alla guerra civile. Il capo della Chiesa anglicana mondiale, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, dichiarò: “La sfida umanitaria è già grande, e il rischio di un’altra situazione del Darfur, con le popolazioni civili in balia del terrore sostenuto dal governo, è reale”.

Il 19 giugno, il dittatore sudanese Omar Hassan al-Bashir accusò l’SPLMN di tradimento nella vicenda del Kurdufan meridionale, promettendo spietate ritorsioni. L’Esercito del Nord disse che avrebbe continuato la campagna militare nel Kurdufan meridionale, con bombardamenti aerei fino a quando avesse schiacciato la ribellione guidata dall’ex vice governatore e figura di spicco dell’SPLMN Abdelaziz Al-Hilu. I combattimenti si intensificarono intorno alla capitale dello stato di Kadugli.

Il 6 luglio il comandante delle operazioni del JEM annunciò l’attacco a un battaglione dell’esercito governativo in un campo vicino a Heglieg. Il capo del battaglione fu ucciso, insieme ad altri due soldati. L’11 luglio furono segnalati scontri a Fula, nel Kurdufan meridionale. Il Fronte Nazionale Federale sudanese ha affermato che le loro forze uccisero 20 soldati governativi e distrutto quattro Land Cruiser, che trasportavano truppe governative, sequestrando tutte le armi e mettendo in fuga il resto del reparto nemico.

Né vincitori né vinti

I combattimenti continuarono dopo che il Sud Sudan dichiarò l’indipendenza il 9 luglio, sebbene il governo sudanese abbia insistito sul fatto che nel Sud Kurdufan l’ordine fosse stato ripristinato. Un rapporto delle Nazioni Unite, trapelato il 18 luglio 2011, ha documentato presunti crimini di guerra nel Kurdufan meridionale, incolpando entrambe le parti ma riservando molte delle sue accuse più pesanti al governo sudanese. Il giorno successivo, il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Valerie Amos, chiese un’indagine indipendente sulle atrocità commesse durante il conflitto, dichiarando che il governo del Sudan avrebbe dovuto revocare le restrizioni all’accesso alla regione. Le presunte violazioni dei diritti umani includevano sparizioni forzate, attacchi contro il personale delle Nazioni Unite, torture sistematiche ed esecuzioni sommarie.

Le forze congiunte SPLMN e JEM hanno poi sconfitto le forze governative fra il 10 e il 17 luglio sui Monti Nuba, e nei pressi di Al-Tais, una guarnigione dell’esercito fu fatta interamente prigioniera dai ribelli. Alla fine, 150 soldati governativi e un ribelle furono uccisi, un numero considerevole di armi tra cui mitragliatrici e artiglierie leggere e pesanti, RBJ, AK47 e missili antiaerei furono catturati dai ribelli. Uno leader del JEM fu successivamente condannato a morte per impiccagione, secondo quanto riferito dai media statali il 27 agosto. Più o meno nello stesso periodo, il “Sudan Tribune” ha riferito che l’SPLMN, il JEM e il Sudan Liberation Movement (SLM) avevano formato un tentativo di alleanza per resistere al governo federale di Khartoum.

Il 1° settembre, i ribelli dell’SPLMN nel Kurdufan meridionale affermarono che l’esercito governativo stava deliberatamente distruggendo raccolti e fattorie appartenenti al popolo Nuba nel tentativo di sottomettere lo stato, ricorrendo alla fame. Nel frattempo, i media statali affermavano che i guerriglieri SPLMN avevano ucciso 17 civili, compresi bambini, e ne avevano feriti 14 nella regione di Kalugi.

Il 7 settembre, a Jebel Marra furono segnalati scontri fra l’Esercito di Liberazione del Sudan, di Abdel Wahid, e l’esercito governativo di Khartoum. I ribelli affermarono di aver ucciso oltre 40 soldati governativi e catturato alcuni veicoli, registrando tre soldati morti e quattro feriti.

Un portavoce dell’esercito sudanese ha affermato che i militanti dell’SPLMN avevano attaccato posizioni dell’esercito pressi Ad-Damazin, capitale dello stato del Nilo Azzurro. Il governatore Malik Agar ha contestato questo resoconto, affermando che l’esercito aveva attaccato prima le istituzioni statali del Nilo Azzurro, inclusa la sua residenza ufficiale, quindi avevano preso il controllo di Ad-Damazin e Khartoum, compiuto saccheggi e violenze, sostituendo il governatore con un militare.

Il 2 settembre il governo federale dichiarò lo stato di emergenza. Secondo quanto riferito, l’aeronautica sudanese ha effettuato missioni di attacco, bombardando villaggi e città controllate dell’SPLMN, in particolare nella zona di Kormok.

Entro il 22 settembre l’SPLMN aveva rivendicato la vittoria in diversi campi scontri nelle zone di Ibri, Dlami, Angrto, Talodi e Abolhassan, uccidendo 25 soldati e miliziani appartenenti alle Forze Armate governative (SAF) e catturato diversi prigionieri e armi. Gli alleati dell’SPLMN nel Darfur, JEM e SLM, rilasciarono una dichiarazione congiunta in cui condannavano l’uso della forza da parte dell’esercito sudanese contro l’SPLMN nel Nilo Azzurro, definendolo un complotto per diffondere caos e uccisioni in tutto il Paese, chiedendo inoltre al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di imporre una no-fly zone sul Nilo Azzurro, sul Darfur e sul Kurdufan meridionale, continuamente sorvolati da elicotteri, aerei da guerra Antonov An-26, MiG-29 e altri velivoli, dalla base aerea di Al-Ubeyyid.

Successivamente, l’esercito sudanese affermò di aver spezzato un assedio in forze da parte dell’SPLMN di Qiessan, vicino al confine etiope, e di aver evacuato i feriti dalla città, sebbene non fosse chiaro se avessero preso il controllo di Qiessan a titolo definitivo o fossero semplicemente fuggiti dall’area.

Yahia Mohamed Kheir, governatore militare nominato da Bashir, rivendicò il controllo dell’80% dello stato del Nilo Azzurro, nel frattempo il governo sudanese affermò che 5.000 persone erano fuggite dalle loro case nel Nilo Azzurro a causa dei combattimenti, e che il ministro dell’Informazione Sana Hamad al-Awad aveva la prova che il governo sud-sudanese stava pagando gli stipendi dei combattenti dell’SPLMN oltre confine.

Ai primi di ottobre, le forze dell’SPLMN si scontrarono con l’esercito sudanese nel Kurdufan meridionale, uccidendo almeno una cinquantina di soldati governativi. Inoltre, l’SPLMN attaccò i distaccamenti governativi a Khor Adrak, nel Nilo Azzurro, uccidendone 30, distruggendo tre veicoli dell’esercito e catturandone un quarto.

L’esercito sudanese prese il controllo di Kurmuk, ex roccaforte dell’SPLMN nello stato del Nilo Azzurro, il 2 novembre. Il presidente Omar Al-Bashir visitò la città quattro giorni dopo per dichiararla “liberata”, minacciando il Sud Sudan, accusandolo di sostenere l’SPLMN nelle attività antigovernative.

Il 10 novembre, il governo sudanese bombardò il campo di Yida nello stato del Sud. Due bombardieri Antonov sono stati visti lasciare l’area. Si diceva che avessero sganciato cinque bombe, di cui quattro esplosive. Il funzionario locale Miabek Lang dichiarò che almeno 12 persone sono state uccise e 20 ferite durante lo sciopero. Il governo sudanese ha negato le affermazioni.

Due giorni dopo, le fazioni del Darfur e l’SPLMN negli stati del Nilo Azzurro e del Sud Kurdufan annunciarono la formazione di un’alleanza chiamata Fronte Rivoluzionario Sudanese, con il dichiarato obiettivo di rovesciare il governo Bashir e instaurare un sistema democratico in Sudan.

A fine novembre 2011, le forze SLA-AW si scontrarono con le SAF nella regione di Kabkabiya, nel Darfur settentrionale, catturando molti mezzi nemici carichi di armi. Negli scontri morirono 35 soldati dell’esercito.

Le truppe sudanesi hanno affermato di sconfitto i ribelli dell’SPLA nella regione del Lago Alubaid, nel Kordofan meridionale, dove le forze armate hanno sequestrato il capo della 9a Divisione e conquistato tutti e tre i campi base. Il Sudan People’s Liberation Movement ha tuttavia negato con forza questo avvenimento, e ha affermato di aver distrutto un’intera unità di milizie affiliate al National Congress Party e alle forze armate vicino alla città di Toroj, uccidendo 60 soldati nemici e distruggendo alcuni veicoli blindati. Hanno anche affermato di aver preso il controllo di veicoli corazzati e cannoni di artiglieria con un certo numero di munizioni e carburante.

Il 9 dicembre, i ribelli SAF e SPLMN hanno rivendicato la vittoria nella battaglia del Sud Kurdufan, e di aver ucciso 40 soldati governativi ad Abu Tira, catturando alcuni pezzi di artiglieria e decine di armi leggere, comprese le mitragliatrici RBG 7 e BKM. Hanno anche affermato di aver disperso le milizie del National Congress Party (NCP) guidate da Kafi Tayar che avevano attaccato Dalkoma, 10 km a sud di Kadugli, provocando la morte di nove persone.

I bollettini di guerra si susseguirono a ritmo serrato da entrambe le parti in lotta. I combattenti SPLMN del Sud Kurdufan diffondevano continuamente notizie su vittorie in scontri armati con le truppe governative, nei pressi di Warni, Abu Al-Hassan, e Al-Ashad, poi ancora a Taruje, non lontano dal confine con il Sud Sudan. Altri scontri avvennero a Jau, città sul confine, che però il governo di Khartoum descrisse come una propria vittoria.

Alla fine del dicembre 2011, ebbe inizio una grande protesta all’Università di Khartoum e della Red Sead University, dove un gran numero di studenti del Darfur minacciarono di dimettersi, dopo che alcuni loro leader sono stati arrestati, colpevoli di avere giurato fedeltà al Fronte Rivoluzionario Sudanese, e chiedevano il rovesciamento del governo centrale. Diversi studenti dell’Università di Khartoum, e di diverse associazioni studentesche, furono a loro volta arrestati dopo una protesta multietnica contro la diga di Merowe in solidarietà con il territorio di Manasir, che rischiava lo sfollamento a causa della sua costruzione.

Il 25 dicembre, il leader del Movimento Giustizia e Uguaglianza, Khalil Ibrahim, fu assassinato insieme a 30 dei suoi combattenti nel Nord Kurdufan, a ovest di Wad Banda. I media statali sudanesi hanno riferito che Ibrahim era stato ucciso in un combattimento contro l’esercito. La JEM ha confermato la morte di Ibrahim, ma ha detto che era stato ucciso in un attacco aereo, non in combattimento.

Lo scontro si inasprisce

Il 2012 inizia con le diverse associazioni umanitarie che denunciano la grave crisi in Sudan, e in particolare nella provincia del Kurdufan. Secondo i rapporti dell’ONU, quasi mezzo milione di persone era colpita da malnutrizione, e la fame era in preoccupante aumento a causa della guerra, mentre centinaia di migliaia di sfollati erano diretti verso il Sud Sudan.

Alla fine di gennaio i combattimenti fra ribelli dell’SPLMN e governativi delle SAF aumentarono d’intensità nello stato del Nilo Azzurro. I bollettini di guerra annotavano vittorie alterne, un alto numero di morti in battaglia e reciproche catture di armamenti.

In febbraio entrarono direttamente nella disputa anche i combattenti del Movimento Giustizia e Uguaglianza e un gruppo di volontari arabi provenienti dal Darfur orientale che, insieme ai ribelli del Sudan Revolutionary Front, annunciarono l’uccisione di oltre 130 soldati governativi in una battaglia avvenuta intorno al Lago Obyard, nei pressi del confine con il Sud Sudan, che da parte sua accusò il governo del Nord di avere bombardato due installazioni petrolifere con aerei da guerra. Una notizia che rischiò di portare Sudan e Sud Sudan, in uno stato di guerra aperta.

Numerosi scontri avvennero in tutto il Paese, con le parti in lotta che descrivevano vittorie dopo vittorie, accusandosi a vicenda di crimini di guerra, e negando le sconfitte. Numerose le incursioni aeree nella provincia di Unity nel Sud Sudan, con unità dell’esercito governativo di Khartoum che sempre più spesso compiono incursioni oltre confine, causando contrattacchi delle forze sud-sudanesi, specialmente per il controllo dei giacimenti petroliferi di Heglig, mentre il presidente del Sud-Sudan, Salva Kiir, denuncia le aggressioni, mentre si moltiplicano gli attacchi isolati a reparti dell’esercito e sequestri di armi e munizioni, come avviene a Ed-Damazin, fatto che il governo locale ha negato.

A metà aprile le forze governative di Khartoum prendono il controllo di Mugum, roccaforte dei ribelli alleati con i sud-sudanesi nello stato del Nilo Azzurro, costretti a evacuare la zona di Gereida, cittadina che era stata occupata pochi giorni prima.

Fra luglio e settembre, altri combattimenti si verificano fra combattenti volontari arabi e forze armate sudanesi, in diverse zone del Darfur occidentale, mentre continuano anche le uccisioni mirate, specialmente contro comandanti militari e funzionari statali di entrambe le parti in lotta. Anche lo stesso presidente del Sud Kurdufan, Ibrahim Balandiya, viene aggredito mentre viaggia fra due villaggi della regione, e il capo del Comitato Pianificazione Strategica del Sud Kurdufan, Faisal Bashir, ucciso in un agguato.

Alla fine di agosto, altri combattimenti avvengono fra SPLA-Nord e SAF per il possesso dei villlaggi di El-Houta, El-Daein, Rashad, El-Murib, con numerosi morti e feriti, con i ribelli che continuano a razziare armi e munizioni. Scontri violenti anche a Hajar Al-Doum (Kurdufan meridionale), Al-Aradeep e Al-Ashara (Nord Darfur), El-Aradib, El-Ashara, e nell’area di Khazzan Tunjur, mentre il portavoce delle truppe ribelli SLM-Minnawi, Adam Saleh, celebra la vittoria militare di East Jebel Marra e nel Kurdufan meridionale, nell’area “Kilo 50”, fra El-Dibab e El-Muglad. Scontri sono stati segnalati anche nelle montagne Nuba, dove la SRF (appartenente a SPLMN) annunciato di aver sconfitto le truppe governative e le milizie che tentavano di occupare i villaggi di Dloka e Daldako, a sud e nord-est della città di Kadugli. Pesanti scontri avvengono anche a Kolghe, dove vengono uccisi un centinaio di soldati governativi.

Alla fine di settembre, le forze dell’SLM uccidono dozzine di soldati governativi e milizie nell’area di Hashaba, e due giorni dopo accaniti combattimento avvengono a Tabit e Shangil Tobai, Jebel Marra orientale, Darfur settentrionale, dove le truppe congiunte di SLM-JEM-SLM-Abdel Wahid attaccano un convoglio governativo non lontano da Ribeige, nel Nord Kurdufan, e ad Al-Aiyd Jaranebi, nel Nord Darfur. Numerosi morti anche nel corso dei combattimenti di Umm Dehelib, nella località di Kalogi, poi a Umm Zeifah (Kurdufan meridionale), El Fasher e Abu Delek.

Il 2012 si chiude con le parti in lotta scatenate in violenze e saccheggi a East El-Leri, Del Da’ako, Kadugli, (Sud Kurdufan), Hajar-jawad, Angarko e lungo il collegamento stradale Kadugli-Dilling. Altri scontri mettono a ferro e fuoco Wadi Murrah, Tabet, Alhigairat (dove sorgeva un accampamento di truppe sudanesi), all’aeroporto di Kadugli, Ed el-Nabq, Kabkabiya e Alfaid. L’esercito sudanese, rafforzato da paramilitari delle Forze di Difesa Popolare, attacca il Sudan People Liberation Movement-North (SPLMN) a Daldoko, a nord-est di Kadugli, nel Kurdufan meridionale. L’attacco è effettuato da due direzioni: una manovra diversiva e una principale sul fianco, ma furono respinte. Secondo i ribelli, dopo la distruzione di un primo carro armato T-55, i soldati governativi sono fuggiti, abbandonando altri 4 carri armati.

Una feroce battaglia avviene nell’area di West Jebel Marra, nel Darfur centrale, tra le forze armate sudanesi (SAF) e le forze rivoluzionarie sudanesi (SRF) di Abdel Wahid, con decine di morti e l’SRF che afferma di aver catturato la principale base SAF nella città di Golo, lasciando ai governativi solo le due roccaforti di Jebel Marra.

Saccheggi, violenze e uccisioni indiscriminate

Il 2013 si apre con un ulteriore inasprimento del conflitto civile, in particolare con le violenze diffuse nel West Jebel Marra, poi nell’area di Jildu, a El-Homra ed El-Ehemer Sud Kurdufan, poi nel villaggio di Al-Shifir.

All’inizio di febbraio avviene una accanita battaglia non lontano da Golo, con morti, feriti e prigionieri da entrambe le parti, poi nell’area di Carmel, a est di Golo, e a Umm Gunja, non lontano da Nyala (Sud Darfur). Successivamente le forse sudanesi contrattaccano e liberano l’area di Mapho (Sud Kurdufan-Nilo Azzurro), Al Aradeeb Al Ashara, East Jebel Marra (Nord Darfur), Wad Bahr e Wad Banda (Nord Kurdufan) e sulla strada che collega Tawila ed El Fasher, nell’area di Kuim. Da parte loro, le formazioni del Sudan Liberation Movement for Justice (SLMJ of Karbino) e del Sudan Liberation Movement-Unity (SLM-Unity of Abdullah Yahiya) proclamano la vittoria in un attacco in forze contro un convoglio nemico ad Abu Tira.

In marzo, il teatro degli scontri più accaniti è lo stato del Nilo Azzurro, con oltre 300 soldati governativi uccisi e un non precisato numero di ribelli rimasti sul campo, nell’area di Abga Radji Biaman. Secondo il governo sudanese 100 ribelli sono stati uccisi o feriti. In aprile, si combatte anche a Dandor e Kadugli (capitale del Sud Kurdufan), poi all’aeroporto di Nyala, dove i ribelli riescono a catturare l’intera guarnigione governativa, mentre da Karthoum viene diffusa la notizia di una importante battaglia vinta a Morla. In maggio ancora violenze e uccisioni, specie nei pressi di Abu Karshola, dove oltre 30 soldati regolari furono uccisi e i ribelli catturarono un mezzo con dieci mortai da 120mm.

Altre battaglie si combattono a Tor Taan, nel Sud Darfur, con i ribelli che accumularono un cospicuo numero di armi e munizioni, poi ancora ad Abu Karshola, Kaduggli (captale del Sud Kurdufan) e Dilling. In luglio il portavoce del Sudan’s People Liberation Army annuncia la cattura della base aerea di Ambir, non lontano da Rashad (Sud Kurdufan), e rivendica ulteriori attacchi nell’area delle Numa Mountains, con l’uccisione di numerosi soldati sudanesi.

Le notizie sugli scontri in corso nel Kurdufan meridionale sono diffuse da Radio Dabanga, in particolare per quanto riguarda i contingenti del Fronte Rivoluzionario Sudanese (SRF), apparentemente guidate dal Movimento Giustizia e Uguaglianza (JEM). Il vice capo del JEM, Mohamed Al Beel Issa Zayyed, affermò che la SRF aveva ucciso più di 52 soldati regolari e miliziani filogovernativi, tra cui figure di spicco Amir Al Mujehedin Aburahman Abu Fursha e Rahman Jigir. I combattimenti proseguirono a Kas, nel Darfur meridionale, poi a Dukan e Al-Humbo, Geissan nello stato del Nilo Azzurro in Sudan, poi un portavoce dell’SPLMN annunciò una cessazione unilaterale delle ostilità per un mese a causa delle diffuse inondazioni nella regione. Fu una breve tregua, poiché gli scontri riresero pochi giorni dopo nella località di Bau, nello stato del Nilo Azzurro, a Um Sa’ouna, a nord di Ed Daein, capitale del Darfur orientale, Amarjadeed, ed East Jebel Marra.

Secondo quanto riferito, le forze armate sudanesi (SAF) e l’Esercito di Liberazione del Sudan, guidati da Abdel Wahid (SLA-AW) si scontrarono a Mellit, nel Darfur settentrionale. Nel frattempo, il Movimento Liberazione e Giustizia, guidato da Ali Karbino (LJM-K), annunciò di aver catturato truppe delle forze armate sudanesi (SAF) durante gli scontri ad Amarjadeed, a nord di Manawashi nel Darfur meridionale.

Le truppe del Sudan Revolutionary Front (SRF) attaccarono il quartier generale delle Central Reserve Forces (noto anche come Abu Tira) nella località di Mershing, Darfur meridionale, poi il SRF annunciò che le sue truppe avevano lanciato un attacco contro un battaglione delle forze armate sudanesi nell’area di Nimra, East Jebel Marra, forza combinata delle truppe LJM-K e forze dell’Esercito di liberazione del Sudan (SLA) di Minni Minawi-MM) e l’Esercito di liberazione del Sudan-Abdel Wahid (SLM-AW).

La guerra si espande a macchia d’olio, coinvolgendo diverse forze locali autonome in combattimenti sparsi per tutta la regione, poi viene annunciata l’alleanza dei numerosi gruppi ribelli del Darfur, del Kordofan meridionale e del Nilo azzurro, per l’attacco alla città di Abu Zabad, 150 km a sud-ovest di El Obeid, capitale del Kurdufan settentrionale.

Nel novembre 2013, le truppe sudanesi riconquistano l’area di Kaling, nel Kurdufan meridionale e i ribelli dell’SRF si ritirano nel distretto di Rashad, per poi tornare all’offensiva e conquistare Kalinji, nelle montagne Nuba, Kordofan meridionale.

l’anno si conclude con l’annuncio da parte del SRF, dell’uccisione di oltre cento soldati sudanesi e miliziano loro alleati, a sud di Abu Zabad, lungo il confine fra Nord e Sud Kurdufan, e la distruzione del campo avanzato di Fayu, a est di Dalami, nonché con combattimenti intorno a Damazin, capitale del distretto del Nilo Azzurro, e altri scontri aZalingei, Abata, Kadugli, alla base militare di Duma-Nyala, Mershing, Katila e Bowrgo, dove le forze ribelli erano comandate da Maaz Ahmed Bagir Najib.

Per tutto il 2014, 2015 e 2016, le forze regolari sudanesi, con milizie paramilitari alleate, cercano di contrastare le formazioni ribelli riunite del SRF, con migliaia di morti e feriti da entrambe le parti. Diversi capi locali diventano veri e propri idoli per i propri uomini, soprattutto Abdel Wahid El Nur, comandante militare del Sudan Liberation Movement, protagonista dell’attacco al presidio di Dalami, nel Sud Kurdufan.

Nomi di località sconosciute fino a quel momento, diventano tristemente celebri, come Sunta (dove i ribelli sono capeggiati da Ali Karbin), Malkan, Kalaimendo, Kauda, Alliet Jarelnabi, Haskanita (dove agiscono Malk Agar e Yassir Arman), El Fasher, e altre.

Nell’aprile 2014 l’esercito sudanese lancia l’operazione “Decisive Summer”, diretta dal generale Al-Sawarmi Khalid, con l’obiettivo di riconquistare tutto il Sud Kurdufan, aprendo così a nuove violenze e alla decisa risposta del Sudan Liberation Movement di Abdel Whalid El Nur, che coordina operazioni di contrattacco Talodi e Abu Jubeiha, in coordinamento con il Movimento Giustizia e Uguaglianza di Bakhit Dabjo, che agisce nella zona di Galab. Nel frattempo, anche da parte delle autorità di Khartoum vengono annunciate importanti vittorie, come a Al-Atmur e Kadugli, e a nulla serve la condanna ufficiale dell’ambasciatrice americana Samantha Power.

L’accordo di pace e la reazione internazionale

Il 31 agosto 2020 è stato firmato a Juba, nel Sud Sudan, un accordo di pace globale fra governo di transizione del Sudan e Fronte Rivoluzionario Sudanese (SRF), ad eccezione del Movimento di Liberazione Popolare del Sudan-Nord (SPLMN) guidato da Abdelaziz al-Hilu e dell’Esercito di Liberazione del Sudan (SLM) guidato da Abdul Wahid al Nur. Il 3 settembre 2020 ad Addis Abeba è raggiunto un accordo tra il governo di transizione e la fazione ribelle SPLM-North Al-Hilu per separare religione e stato e non discriminare alcuna etnia, al fine di garantire la parità di trattamento di tutti i cittadini del Sudan. La dichiarazione di principi affermava che il Sudan è una società multirazziale, multietnica, multireligiosa e multiculturale, con pieno riconoscimento e sistemazione delle diversità. Viene inoltre stabilito che lo stato non impone alcuna religione ufficiale.

Il 3 ottobre 2020, un altro accordo di pace viene firmato da SRF, SPLMN guidato da Malik Agar, SLM guidato da Minni Minnawi e governo sudanese, ma con l’assenza sia di Al Nur che di Al-Hilu.

Il 28 marzo 2021, Al-Hilu firma un accordo di pace con il governo sudanese a Juba, nel Sud Sudan, per istituire uno stato federale civile e democratico, che garantisca la libertà di religione e disponga di un unico esercito per proteggere la sicurezza nazionale. Al-Nur ha continuato a rifiutarsi di partecipare a qualsiasi negoziato di pace con il governo.

A marzo venne diffuso un video, non datato, in cui il governatore del Kordofan meridionale, Ahmed Haroun, ordinava ai propri soldati di eseguire operazioni speciali per ripulire il territorio dai ribelli: “Voglio il territorio totalmente ripulito. Non voglio che rimanga vivo nemmeno un ribelle. Schiacciateli, mangiateli vivi, non abbiamo bisogno di ulteriori problemi collegate a prigionieri. Nessun prigioniero!”.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, denunciò che i commenti del governatore Haroun erano vere e proprie violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario negli stati del Sud Kordofan e del Nilo Azzurro.

Da parte sua, il governo di Khartoum denunciò i discorsi di Haroun come incitamento allo sterminio, e che lo stesso Haroum doveva essere deferito alla Corte Internazionale dell’Aja con l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Haroun ribatté che il video era una provocazione costruita ad arte, e accusò il network Al-Jazeera di averlo diffuso allo scopo di distorcere la realtà dei fatti.

Navi Pillay affermò che i testimoni che avevano visitato la regione montana, abitata principalmente dal popolo Nuba e situata nel Kurdufan meridionale, hanno riferito dell’incendio di villaggi e dell’uccisione di civili in una politica di terra bruciata. Pillay affermò che si sapeva molto poco sulla portata delle operazioni militari nel Kurdufan meridionale, poiché l’accesso all’area era assolutamente negato, tuttavia era provato che nel Kurdufan meridionale si sono verificate violazioni dei diritti umani.

Oltre 110mila rifugiati sudanesi provenienti dagli stati del Kordofan meridionale e del Nilo azzurro hanno cercato rifugio in Sud Sudan. Altri 30mila erano fuggiti dal Nilo Azzurro nella vicina Etiopia.

L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha iniziato a fornire assistenza di base a più di 16mila rifugiati che si sono stabiliti a Yida, nel Sud Sudan, dopo essere fuggiti dalla violenza nella regione dei Monti Nuba, nello stato del Kurdufan meridionale. Altri 2.500 rifugiati si erano spostati verso sud, verso siti più sicuri a Nyeel e Pariang, in altri campi dell’UNHCR. Nel frattempo, nello stato dell’Alto Nilo del Sud Sudan, dove continuava l’afflusso di rifugiati dallo stato del Nilo Azzurro, è proseguito il trasferimento dalle zone di confine. Circa 86mila persone in fuga dagli attacchi nello stato del Nilo Azzurro si sono trasferiti al sicuro in siti ufficiali a Doro e Jammam. Tuttavia, dall’inizio del conflitto al confine sudanese nel 2012, l’UNHCR considera non sicuro l’insediamento dei rifugiati di Yida per soggiorni di lunga durata a causa della vicinanza alla zona del confine. Anche le autorità del Sud Sudan a livello centrale e locale esortarono i rifugiati a trasferirsi, in linea con le disposizioni della Convenzione sui rifugiati del 1969.

Il 23 agosto 2011, il presidente-dittatore sudanese Omar al-Bashir annunciò un cessate il fuoco unilaterale di due settimane nel conflitto durante una visita a sorpresa nello stato del Kurdufan meridionale, dichiarando che il governo avrebbe continuato a bloccare gli aiuti esteri diretti verso il Sud Kurdufan, e l’unico accesso umanitario sarebbe stato autorizzato solo sotto il coordinamento della Mezzaluna Rossa sudanese.

Nel giugno 2021, il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Jean Ping, invitò le parti in lotta a cessare le ostilità per consentire l’accesso agli aiuti umanitari e il ritorno degli sfollati, e ha salutato un accordo di cessate-il-fuoco come decisivo e di buon auspicio. L’UA, guidata prima dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki e poi dal primo ministro etiope Meles Zenawi, ha tentato di mediare una soluzione alle crescenti tensioni nel Nilo Azzurro, ma non è riuscita a impedire la diffusione del conflitto. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite votò per chiedere al Sudan e al Sud Sudan di ritirare le truppe dall’area di Abyei. Il segretario generale Ban Ki-Moon espresse totale sostegno agli sforzi per porre fine al conflitto alla fine di giugno 2011, affermando che il Sudan e l’SPLMN dovevano lavorare rapidamente per una cessazione delle ostilità. Un’indagine sui diritti umani della Missione delle Nazioni Unite in Sudan a giugno e all’inizio di luglio, prima dello scioglimento della missione, rilevò che la condanna era però assolutamente insufficiente, a causa delle atrocità commesse dall’esercito sudanese durante i combattimenti, compresi gli attacchi agli uffici dell’UNMIS e al personale, nonché per le violazioni commesse anche dalle altre parti. Ad agosto, gli Stati Uniti tentarono di persuadere il Consiglio di Sicurezza ONU ad approvare una risoluzione che condannasse la violenza, ma fu bloccata da Russia e Cina. L’allora Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, António Guterres, rispose allo scoppio della violenza nel Nilo Azzurro a settembre affermando che entrambe le parti devono lavorare per prevenire la crisi di rifugiati nella regione.

In maggio, le autorità del Sud Sudan denunciarono il sequestro di Abyei come atto di guerra. Il ministro dell’Informazione, Barnaba Marial Benjamin, negò le affermazioni del governo sudanese secondo cui Juba stava offrendo sostegno materiale ai combattenti dell’SPLMN e affermò che l’SPLM aveva reciso tutti i legami con l’SPLMN dopo l’indipendenza.

Gli Stati Uniti, dopo aver condannato la conquista militare Abyei del marzo precedente, si espressero tramite l’Ambasciatore presso le Nazioni Unite, Susan Rice, accusando l’esercito sudanese di perpetrare violazioni dei diritti umani nel Kurdufan meridionale. Princeton Lyman, l’inviato speciale degli Stati Uniti in Sudan, affermò che Washington era preoccupata che i combattimenti potessero estendersi e coinvolgere il Sud Sudan di recente indipendenza.

La Francia condannò a sua volta la conquista militare di Abyei e chiese il ritiro del Sudan, sostenendo che le azioni del Sudan costituivano una violazione dell’accordo di pace del 2005 e dell’accordo di Kadugli e augurò l’intervento dell’Unione africana.

Il Canada, per voce del ministro degli Esteri canadese, John Baird, condannò la recrudescenza della violenza ad Abyei, chiedendo un ritiro immediato da entrambe le parti, il rispetto dei diritti umani e la necessità di evitare un’ulteriore escalation. Baird espresse l’augurio che il Sudan e Sud Sudan abbracciassero l’opportunità offerta dal gruppo di attuazione ad alto livello dell’Unione Africana per risolvere lo status di Abyei e altre questioni in sospeso.

Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, condannò a sua volta le violenze, chiedendo a tutte le parti di cessare immediatamente le ostilità.

Anche organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch e Amnesty International hanno espresso preoccupazione per la situazione umanitaria.

Nel maggio 2012, i ricercatori del gruppo di politica umanitaria presso l’Overseas Development Institute hanno evidenziato che la situazione nel Kurdufan meridionale era ormai degenerata in una crisi aperta e chiesero una leadership e un impegno più forti dal punto di vista umanitario, nonché un raddoppio degli sforzi diplomatici per riavviare il dialogo politico in la speranza di ottenere una risoluzione duratura e pacifica.

Ad oggi, la situazione è comunque di estrema tensione, poiché i problemi di base, sia dal punto di vista etnico, che politico, diplomatico e territoriale, non sono stati risolti.

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