La Campagna di Mesopotamia, 1914-1918. Di Alberto Rosselli.

Pezzo da 150 mm. turco in azione.

Alla fine di ottobre del 1914, il Vicereame d’India, preoccupato per la sicurezza dei campi petroliferi del Kuwait (territorio affrancatosi dalla Sacra Porta nel 1913) e per parare eventuali infiltrazioni turche in Persia meridionale, predispose un piano per occupare la modesta, ma strategica ridotta turca del Qatar (vicino a Doha si trovava un vecchio forte ottomano difeso da appena 100 uomini e due vecchi cannoni) e soprattutto per mettere piede nella Mesopotamia inferiore (zona di Bassora), area peraltro scarsamente controllata dagli ottomani. La manovra avrebbe consentito, oltre ad una più agevole tutela degli emirati arabi fedeli alla Gran Bretagna, anche la costituzione di un’utile testa di ponte dalla quale muovere, successivamente, in direzione di Baghdad. Il 7 novembre 1914, un primo reggimento di 4.500 soldati indiani, proveniente da Bombay, sbarcò sull’estremo lembo dello Shatt-el-Arab, seguito tre giorni più tardi da un’intera divisione anglo-indiana (la Force D) che, con l’appoggio di alcune unità leggere della Marina- tra cui la cannoniera Odin – conquistò il piccolo forte turco di Fao. Consolidata la prima testa di ponte, il corpo di spedizione britannico in Mesopotamia, posto al comando del generale Charles Townshend, iniziò a risalire il corso del Tigri, occupando, il 22 novembre, la città di Bassora.

Bassora nel 1914.

Vista la scarsa resistenza nemica e le irrisorie perdite subite (nel corso delle operazioni condotte tra il 7 e il 22 novembre i britannici avevano lamentarono 500 tra morti e feriti contro oltre 1000 caduti da parte turca), Townshend decise di proseguire la sua avanzata verso nord. Dopo avere conquistato il 9 dicembre Qurna, posta alla confluenza tra il Tigri e l’Eufrate, ed avere causato al nemico forti perdite (nella battaglia i turchi lasciarono sul campo circa 1000 soldati e una quarantina di ufficiali), il generale inglese (che nel frattempo aveva ricevuto nuovi rinforzi da Bassora, dove era sbarcata nel frattempo la 6a divisione indiana) continuò la sua marcia, lanciando i suoi reparti mobili alla conquista di Amara, ma venendo questa volta contrastato dai turchi. Il Comando turco di Baghdad, che fino a quel momento non aveva dato segnali di grande intraprendenza, concentrò infatti 12.000 soldati regolari turco-tedeschi e circa 13.000 guerrieri iracheni nella zona di Nasiriya lungo l’Eufrate, sbarrando il passo al nemico.

Mappa battaglia di Kut el Amara.

Nel marzo 1915, il Corpo d’Armata formatosi con il sopraggiungere della 6a divisione indiana passò al comando del generale John Nixon. E in aprile, mentre Townshend procedeva verso Amara, Nixon occupò Shaiba (dove accantonò un contingente di 7.000 unità) per protegge Bassora, ordinando nel contempo al generale George Gorringe di marciare da Abadan in direzione della città persiana di Ahwaz, situata sul medio corso del fiume Tarun. Manovra che venne attuata per rafforzare la difesa dei giacimenti di Abadan e per preservare il fianco destro di Townshend da possibili attacchi.

Tuttavia, l’11 aprile, reparti turchi provenienti da Nasiriya piombarono improvvisamente su Qurna, presidiata dalla 6a divisione anglo-indiana, e su Shaiba, costringendo il Comando di Bassora a mettere in campo tutte le sue riserve, riuscendo a sventare la manovra avversaria. In questo frangente, un ruolo molto importante venne svolto dal 2° reggimento Dorsets e dalla 24ma divisione Punjabis che inflissero ai turchi pesanti perdite. Il 13 aprile, reparti britannici confluirono su Shaiba, contrattaccando le avanguardie ottomane che nel frattempo erano riuscite a giungere a poca distanza da Bassora. Battuti sul campo ed impossibilitati a ricevere rinforzi dalle retrovie, i reparti turchi si ritirarono quindi verso nord, a Nasiriya. Poi, tra la metà di aprile e l’inizio di giugno il fronte si placò progressivamente, non facendo registrare alcun scontro di rilievo.

Il 3 giugno, dopo avere risalito il Tigri alla testa di una forza composta da circa 10.000 tra soldati e marinai, Townshend raggiunse finalmente la località di Amara, abbandonata nel frattempo dalla scarna ed eterogenea guarnigione ottomana (formata da appena 200 soldati e da un reparto di 450 pompieri) e da circa 2.000 civili turchi.

Nel frattempo, un secondo contingente anglo-indiano, agli ordini del generale Gorringe, lasciava Bassora, risalendo l’Eufrate e marciando verso il Lago Hammar. L’obiettivo del generale inglese era quello raggiungere ed occupare la località di Nasiriya, rinforzando il fianco sinistro di Townshend. Il 25 luglio, le truppe di Gorringe conquistarono Nasiriya e ai primi di agosto del 1915, l’intera Mesopotamia inferiore era ormai sotto stretto controllo britannico.

Sulla base dei buoni risultati conseguiti, sia Nixon che Townshend decisero di fare avanzare ulteriormente le proprie truppe in direzione di Kut-el-Amara. E fu così che la 6a divisione anglo-indiana, supportata da una brigata di cavalleria inglese, mosse lungo il Tigri a bordo di una numerosa flottiglia (soprannominata “regata di Townshend”) composta da piccole imbarcazioni, gran parte delle quali a vela. Raggiunta Kut-el-Amara (località posta ad appena 65 chilometri a sud di Baghdad e situata laddove lo Shatt-el-Hai si stacca dal Tigri per confluire a sud di Nasiriya nell’Eufrate), gli inglesi, anziché fermarsi ed attendere rinforzi da Bassora, lanciarono la loro cavalleria in direzione nord, inseguendo le retroguardie turche fino ad Aziziya, situata a circa metà strada tra Kut e Baghdad.

Artiglieri turchi in azione.

Imbaldanzito da questo successo, Townshend tentò allora di compiere un ultimo sforzo per raggiungere la capitale della Mesopotamia e battere definitivamente l’armata turca agli ordini dell’anziano generale tedesco Colmar von der Goltz. Ma le cose non andarono nel modo sperato. Dopo essersi scontrato il 22 novembre a Ctesifonte con un robusto contingente ottomano formato da elementi della 35ma, 38ma, 45ma e 51ma divisione agli ordini del generale Nur-ud-Din Pascià, Townshend – che nel corso della battaglia aveva lasciato sul campo più di 4.000 uomini, contro 7.000 persi dai turchi – venne travolto da un’improvvisa controffensiva nemica. Ritiratosi fino a Kut, il generale inglese concesse ai suoi uomini una sosta e poi, il 7 dicembre, decise di trincerarsi in una grande ansa del fiume Tigri. Trovandosi in pieno territorio nemico e a molta distanza da Bassora (gli inglesi erano penetrati per oltre 300 chilometri in una regione priva di vie di comunicazione ad eccezione di quelle fluviali del Tigri e dell’Eufrate), Townshend non poteva certo sperare di ricevere, almeno in tempi brevi, i rifornimenti che gli erano necessari per fronteggiare il nemico, che nel frattempo stava circondando il suo corpo di spedizione. L’8 dicembre 1915, preponderanti forze turche giunte da Baghdad agli ordini del giovane generale Khalil Pascià, completarono infatti l’accerchiamento del corpo inglese. E quando il Comando di Bassora suggerì a Townshend di ritirarsi, questi rispose che ormai non gli era più possibile effettuare alcuna manovra di sganciamento, ma che era deciso a resistere fino all’arrivo dei soccorsi. Ma la situazione de Corpo britannico non poteva risultare peggiore. Quasi tutto il terreno all’interno del perimetro difensivo poteva essere martellato dall’artiglieria o spazzato dalle mitragliatrici turche appostate sulle alture circostanti. Oltre 10.000 soldati britannici stavano rintanati in trincee e rifugi molto precari. Le riserve di munizioni per fucili e mitragliatrici erano scarse, ma ancora più disastrosa risultava la situazione dei viveri e dei medicinali. I recenti e duri combattimenti sostenuti avevano provocato numerosi feriti che giacevano senza cura nelle trincee. Buona parte degli altri soldati era tormentata dalla dissenteria e dalle febbri malariche. Non essendo possibile assistere in alcun modo sul posto i feriti e i malati, Townshend decise di tentare di evacuarne almeno una parte, utilizzando le poche imbarcazioni in suo possesso. Ma quando i natanti iniziarono a ridiscendere il fiume, i turchi entrarono immediatamente in azione, falciando la fragile flottiglia con un nutrito fuoco di armi automatiche e di fucileria. E a quella specie di orrido tiro al bersaglio si unirono anche alcune bande di predoni iracheni assoldati dagli ottomani. Nonostante la difficile situazione, il Comando di Bassora cercò in tutti i modi di prestare aiuto alle truppe di Townshend. Nixon spedì parecchi natanti lungo il Tigri, ma gran parte di questi non riuscì a giungere a destinazione a causa della stretta sorveglianza turca. Bersagliati senza posa dai reparti nemici, i velieri e le motozattere inglesi, che con molta lentezza ed ostinazione tentavano di risalire la corrente, vennero regolarmente affondati o andarono ad arenarsi sugli argini, cadendo nelle mani del nemico. Gli inglesi provarono anche ad inviare, via terra, un grosso contingente armato, composto da circa 8.000 soldati anglo-indiani che, giunto in località Shaikh Saad al termine di un’estenuante marcia forzata, venne però battuto dai turchi, lasciando sul terreno ben 4.000 effettivi. Il Comando di Bassora si rivolse allora all’aviazione per cercare di lanciare sul campo trincerato di Townshend alcuni urgenti quantitativi di munizioni e medicinali. Tuttavia, l’irrisoria portata dei velivoli (monomotori francesi Farman 20 in grado di trasportare ciascuno un carico di appena 100 chilogrammi) non permise di ottenere risultati apprezzabili.

Mitraglieri indiani a Kut el Amara.

Nel gennaio 1916, approfittando dell’arrivo a Bassora di due divisioni britanniche provenienti dalla Francia (la 3a e la 7ma), rinforzate da una cinquantina di pezzi d’artiglieria, il generale Nixon tentò di abbozzare una controffensiva per distogliere l’attenzione dei turchi da Kut. Ma l’operazione, preparata con troppa fretta, fallì. Il 13 gennaio 1916, le forze del settantaduenne feldmaresciallo tedesco von der Goltz, riuscirono infatti a bloccare la marcia dei britannici a Wadi, dove inglesi e indiani accusarono perdite rilevanti (circa 200 morti e 1.400 feriti). Poca cosa, tuttavia, a confronto alla seconda sconfitta che otto giorni dopo gli inglesi subirono a Hanna. In questa località le forze di Nixon lasciarono sul campo oltre 2.600 tra morti e feriti e un gran numero di cavalli e carri. Dando prova di indiscutibile determinazione, il Comando di Bassora fece ancora un tentativo di soccorso provando ad utilizzare un grosso piroscafo a ruote, il Julnar, in grado di trasportare circa 270 tonnellate di rifornimenti. Ma anche questo espediente non sortì alcun risultato. La pericolosa missione fluviale, alla quale parteciparono quindici tra ufficiali e soldati, tutti volontari, non riuscì che a coprire metà del percorso che separava Bassora dal campo assediato di Kut. Il Julnar incappò in un dedalo di reti d’acciaio poste dai turchi lungo il fiume, andando alla deriva e venendo catturato. Venuto a conoscenza del disastro, alcuni alti ufficiali britannici suggerirono di proporre ai turchi un patteggiamento, cioè consentire la ritirata del contingente Townshend in cambio di una forte somma di denaro. E per raggiungere questo scopo, il Quartier Generale del Cairo spedì in Mesopotamia i capitani Thomas Lawrence e Aubrey Herbert. Il Cairo scelse Lawrence in quanto questi, prima della guerra, aveva avuto modo di soggiornare abbastanza a lungo in Mesopotamia (proprio nei pressi di Kut, egli aveva partecipato ad alcuni scavi archeologici, promossi e sovvenzionati dal governo inglese), venendo a contatto con le locali autorità turche, sia civili che militari.

All’inizio di aprile, la piccola delegazione inglese si trasferì da Suez a Bassora e il 27 aprile, dopo alterne vicende, riuscì a raggiungere l’accampamento del generale turco Khalil al quale Lawrence offrì circa un milione di sterline che tuttavia il generale rifiutò seccamente. L’atteggiamento forse eccessivamente spavaldo palesato nel corso della trattativa dal giovane emissario inglese aveva infatti irritato il generale ottomano. E Lawrence, – che prima della partenza aveva rassicurato i suoi superiori dichiarandosi certo di potere corrompere Khalil – fu costretto, alla fine di un penoso colloquio, ad arrendersi. Non soltanto Khalil respinse l’offerta, ma riferì a Lawrence che se il generale Townshend non si fosse arreso immediatamente, egli avrebbe annientato l’intero contingente britannico. E fu così che Lawrence dovette rientrare a Bassora, riferendo ai suoi superiori il fallimento della sua missione. Nel frattempo, la situazione a Kut stava precipitando, anche a causa del completo collasso dei reparti indiani che, rifiutandosi da giorni di mangiare l’unica carne disponibile, cioè quella di cavallo e di mulo, non erano più in grado di reggersi in piedi. Il 29 aprile 1916, dopo ben 147 giorni di assedio, Townshend si arrese ai turchi. Dodicimila soldati di Sua Maestà, di cui 6.000 ammalati o feriti, consegnarono le armi ad una forza composta da 8.000 soldati turchi.

La débacle del contingente Townshend avvenne proprio mentre le prime avanguardie cosacche dell’armata russa proveniente dalla Persia attraversavano il passo di Paitak penetrando in Mesopotamia. Pochi giorni dopo la resa inglese, alcuni reparti di cavalleria zaristi arrivarono ad appena 150 chilometri da Kut, senza però spingersi oltre. Forse, se il Comando Supremo inglese e quello russo avessero pianificato e coordinato per tempo le loro rispettive mosse, la sorte della guarnigione di Kut sarebbe stata diversa.

Dopo la resa, i turchi incolonnarono i prigionieri e li inviarono verso nord, in direzione di Baghdad. Soltanto un terzo dei reduci di Kut scampò ai terribili disagi della marcia. Va comunque detto che Khalil concesse a circa 2.500 feriti inglesi di ritornare alle proprie linee, in cambio del rilascio di un eguale numero di prigionieri turchi che si trovavano in mano ai britannici. Il 30 aprile, gran parte dei soldati britannici sopravvissuti alla marcia venne trasferita nei campi di concentramento dell’Anatolia, dove parecchi di essi in seguito sarebbero morti di malattia e di fame. Il 18 maggio, quando la prima colonna di prigionieri giunse a Baghdad, il console americano Brissell – inorridito dalle condizioni fisiche dei superstiti – volle pagare di tasca propria i funzionari turchi affinché ricoverassero in ospedale almeno 500 dei feriti più gravi.

Contrariamente a quanto accadde ai suoi uomini, il generale Townshend poté invece godere di un trattamento di tutto riguardo. Dopo la cattura, egli fu condotto in treno a Costantinopoli. E per uno strano gioco del destino, a bordo del convoglio sul quale viaggiava Townshend venne anche caricata la salma del generale tedesco von der Goltz, morto a Baghdad poco prima della resa inglese di Kut. Una volta giunto nella capitale ottomana, Townshend venne rinchiuso in una villa situata nell’Isola dei Principi, trascorrendo bene il resto della sua prigionia fino alla fine del conflitto.

Il 3 maggio 1916, intanto, un secondo distaccamento di cavalleria russo riuscì a penetrare nuovamente in Mesopotamia, raggiungendo il fiume Diyala (affluente del Tigri) e occupando la città di Khanaquin, situata a nord-est di Baghdad (1). Ma anche in questa occasione, la manovra zarista non sortì alcun effetto concreto, anche perché dopo lo scacco di Kut l’Armata britannica aveva interrotto qualsiasi operazione in direzione della città delle Mille e una Notte. Preoccupato per un’eventuale infiltrazione russa nella regione, Khalil inviò un reggimento di fanteria sull’alto corso del Diyala dove, il 5 maggio, turchi batterono le forze zariste, costringendole a ritirarsi verso la frontiera persiana. Nella primavera del 1916, le forze turco-tedesche erano riuscite a ristabilire a loro vantaggio la situazione militare in Mesopotamia centrale

L’offensiva inglese in Mesopotamia

Nell’aprile del 1916, le forze britanniche erano state costrette a ritirarsi e a ridiscendere il Tigri fino ad Amara, per poi arretrare ancora più a sud, fino ai confini settentrionali della regione di Bassora. Questa manovra, pur determinando l’abbandono di gran parte dei territori conquistati nel 1915, si rivelò comunque molto saggia. La dura batosta subita dall’imprudente Townshend e le gravi perdite patite dai britannici nel corso degli infruttuosi tentativi compiuti per liberare la divisione assediata a Kut, avevano indotto il Comando inglese ad optare per una completa riorganizzazione dei propri effettivi. Completato il nuovo posizionamento dell’armata, Londra decise però di esonerare alcuni alti ufficiali del Comando di Bassora, considerati correi del disastro di Townshend. E fu così che la direzione generale delle operazioni in Mesopotamia venne trasferita al Consiglio di Guerra di Londra. Impressionato dalla débacle di Kut el-Amara, il Capo di Stato Maggiore imperiale, Sir William Robertson sembrò addirittura propenso ad adottare in Mesopotamia, per almeno tutto il secondo semestre del 1916, una tattica puramente difensiva. Ma il generale Frederick Stanley Maude (nominato nell’agosto 1916 comandante delle forze sul campo), riuscì a convincerlo circa l’opportunità di non concedere l’iniziativa al nemico. Maude sostenne inoltre l’utilità politica, oltre che militare, di una nuova, ma più ragionata avanzata verso nord. Anche in considerazione dell’imminente arrivo a Bassora di nuovi, forti contingenti provenienti dall’India.

Dopo essersi consultato con Lord Gorge Curzon, presidente del Comitato per l’amministrazione della Mesopotamia, e con gli ufficiali superiori Duff e Munro, Robertson accettò la tesi di Maude. Per tutta la primavera del 1916, Maude impiegò le sue energie per portare a termine un’accurata riorganizzazione dei suoi reparti, per migliorare le condizioni sanitarie della truppa, per sviluppare un’adeguata rete di comunicazioni stradali e per accantonare la grande quantità di rifornimenti sbarcati nel frattempo a Bassora. Oltre ai cannoni, alle mitragliatrici, ai fucili e ad un elevatissimo numero di quadrupedi, Maude ottenne anche camion, trattori e autoblindo, nonché diverse squadriglie di aerei, equipaggiate con moderni ricognitori R.E.8 e monoplani da caccia Bristol M.1C. Oltre a ciò, la Royal Navy gli mise a disposizione una flotta di rimorchiatori, zattere e monitori fluviali armati con pezzi d’artiglieria, in grado di trainare e proteggere i convogli lungo il Tigri e l’Eufrate. Già a partire dalla metà del 1916, Maude si sentì in grado di anticipare la sua offensiva, stabilendo, grazie ad alcuni riusciti colpi di mano, utili teste di ponte lungo la riva occidentale del Tigri. Il 21 febbraio 1917 – dopo aver ripulito la riva del fiume e avere fatto avanzare le sue truppe fino a ridosso delle linee turche in prossimità di Sannayat, fino all’ansa di Shumran – egli diede inizio ad una vasta manovra tesa a scacciare definitivamente le forze ottomane dalla Mesopotamia centrale. Mentre una parte delle truppe britanniche tenevano bloccata l’ala sinistra dello schieramento turco a Sannaiyat, alcuni reparti mobili guadarono rapidamente il fiume, investendo le linee di comunicazione del nemico. Nonostante la determinazione dimostrata dalle forze impegnate nell’attacco a Shumran, il piano di Maude sortì soltanto un successo parziale, in quanto la cavalleria inglese si mosse troppo tardivamente, consentendo ai turchi di ritirarsi ordinatamente. Il ripiegamento ottomano lungo il fiume venne disturbato soltanto dall’audace inseguimento di una flottiglia armata inglese e, sui suoi argini, dalla simultanea avanzata di un gruppo di autoblindo. Tallonati da questa duplice forza mobile, i turchi sgomberarono un’area piuttosto estesa. Confortato dal questo mezzo risultato positivo, Maude decise allora di approfittarne e di puntare contro la località di Aziziyah.

Il 5 marzo 1917, il 7° Corpo d’Armata inglese scattò all’attacco, ma venne momentaneamente fermato dai turchi all’altezza di Diyala. Approfittando della presenza della flotta, Maude trasferì i suoi uomini sulla riva occidentale del fiume Tigri, con lo scopo di aggirare le posizioni nemiche e minacciare Baghdad. Ma i turchi, pur trovandosi in netta inferiorità, riuscirono a sventare questa minaccia, opponendo una ferma e tenace resistenza. Resosi conto della notevole superiorità tecnica e militare dei britannici, il Comando turco cominciò a prendere in esame la preventiva evacuazione della capitale. La carenza di artiglierie e soprattutto di autoveicoli e di carriaggi avrebbe infatti provocato, nel caso di un urgente ripiegamento verso nord, la cattura da parte britannica di gran parte delle appiedate truppe ottomane.Lasciato ai genieri tedeschi il compito di distruggere i depositi e di bloccare le strade di accesso al nucleo urbano, la notte del 10 marzo, il grosso della guarnigione (circa 9.500 soldati) si ritirò quindi lungo il fiume. L’ultimo reparto ad abbandonare la città delle Mille e una Notte fu un plotone guastatori tedesco che, dopo avere dato alle fiamme quasi tutti i depositi e la locale stazione radio, si dimenticò, tuttavia, di distruggere nove ricognitori e caccia Rumpler e Albatros giunti pochi giorni prima da Mosul per ferrovia e giacenti, ancora imballati in casse di legno, in un magazzino della stazione:

E fu così che l’11 marzo 1917, la cavalleria di Maude fece il suo ingresso trionfale in città, attraversando la Porta Sud, seguita poche ore dopo da una lunga colonna formata da ben 40.000 uomini. La popolazione di Baghdad accolse con calore gli inglesi, e le minoranze armene ed ebraiche – che per tanti mesi avevano dovuto sopportare i soprusi dei turchi – furono quelle a gioire maggiormente del successo britannico.

L’occupazione della capitale della Mesopotamia, pur non risultando risolutiva nell’economia del conflitto in Medio Oriente, assunse tuttavia un grande valore politico e propagandistico. Senza contare che con questa mossa gli inglesi non soltanto riuscirono a mettere le mani su due terzi della Mesopotamia, ma pregiudicarono qualsiasi eventuale offensiva nemica in direzione della Persia. La perdita di Baghdad convinse infatti i turchi circa l’inopportunità di mantenere un’eccessiva quantità di truppe lungo i confini di quest’ultimo paese. Anche perché proprio in quel periodo, gli ottomani, pressati dai russi, erano stati costretti ad effettuare diversi arretramenti, sgomberando la città di Hamadan e ripiegando su Kermanshah.

Consolidata l’occupazione dell’intera provincia di Baghdad, Maude meditò una nuova offensiva in direzione di Mosul, capoluogo dell’Alta Mesopotamia. Non prima, però, di avere dato disposizioni per trasformare la primitiva città di Baghdad in un vero e proprio centro logistico, dotato di banchine fluviali, ampi depositi, caserme, ospedali, impianti ed officine destinate al ripristino dei mezzi a motore e degli aerei. Mai, prima di allora, si era visto in Mesopotamia uno spiegamento di uomini e mezzi moderni così cospicuo e specializzato, operante a supporto di un contingente militare. E mai la popolazione locale aveva concesso ad un esercito “invasore” una collaborazione così intensa. L’atteggiamento liberale ed amichevole mostrato da Maude nei confronti degli abitanti di Baghdad, fece guadagnare alla causa inglese l’appoggio di quasi tutti i leader locali. Ma intanto la guerra continuava. Nell’aprile del 1917, le forze del generale Maude continuavano ad avanzare in direzione nord e raggiungendo le località di Baquba, di Ruz e l’importante centro di Samarra, che venne conquistato il giorno 23. Dopo una breve sosta, il 28 settembre, Maude diede il via alla seconda fase della sua offensiva, puntando su Remadieh, dove le sue truppe anglo-indiane, appoggiate da mezzi blindati e aerei, sconfissero i resti dell’Armata Turca di Mesopotamia. Fra il 1° e il 6 novembre 1917, al termine di una veloce marcia, le avanguardie britanniche occuparono anche le città di Daur e Tikrit, concludendo una delle più brillanti operazioni militari della campagna mediorientale. Contemporaneamente, una seconda colonna inglese marciando da Baghdad verso nord-est attraverso le alture del Jebel Hamrin conquistò la località e l’aeroporto di Kifri.

Nel novembre del 1917, il generale Maude, morì di colera, venendo rimpiazzato dal generale William Marshall. A quest’ultimo il Comando supremo britannico affidò il compito di completare l’intera conquista della Mesopotamia turca, predisponendo una seconda manovra offensiva, attraverso la Persia, che avrebbe avuto come obiettivo i lontani campi petroliferi russi di Baku, che, in seguito allo sgretolamento dell’esercito zarista e alla successiva offensiva turca nel Caucaso, rischiavano di cadere nelle mani delle forze ottomane.

Ultime fasi della campagna di Mesopotamia

Dopo essere riuscito a strappare ai turchi le località di Remadieh, Tikrit e di Kifri, il nuovo comandante in campo dell’armata britannica in Mesopotamia, generale William Marshall, proseguì l’offensiva lungo il Tigri puntando su Mosul – sede del quartiere generale della Sesta Armata turca al comando di Ismail Hakkie – e Nisibin. Marshall predispose anche una seconda avanzata in direzione nord-ovest, lungo il corso dell’Eufrate. L’intento di questi era quello di cacciare i resti dell’armata turca dal territorio mesopotamico e di impedire qualsiasi collegamento tra le truppe di Hakkie e i reparti ottomani ancora impegnati lungo il confine persiano.

Il generale Marshall suddivise le sue forze su tre colonne. Il grosso dell’esercito, al comando del generale Alexander Cobbe, avrebbe dovuto risalire il corso del Tigri e conquistare la località di Abu Rajash; una seconda colonna dislocata a ovest lungo l’Eufrate avrebbe dovuto rimontare il fiume in direzione di Hit, mentre una terza, partendo da Kifri, si sarebbe spinta fino Kirkuk

Subodorando il pericolo, il generale Ismail Hakkie cercò di arginare l’avanzata britannica concentrando le proprie forze a Khan Baghdadi, a nord di Hit, lungo l’affluente di sinistra del Tigri Little Zab, e a Tuz Khurmati, località situata a mezza strada fra Kifri e Kirkuk. Ma data la schiacciante superiorità britannica, Cobbe non ebbe problemi a battere i turchi ad Abu Rajash e lungo le sponde del Little Zab, conquistando Fatah e raggiungendo alla fine di ottobre la località di Sharkat. Dopo avere piegato la resistenza turca a Tuz Khurmati, le forze britanniche presero Kirkuk, proprio mentre l’ala sinistra della loro armata, posizionata sull’Eufrate, raggiungeva Hit, travolgendo i turchi a Khan Baghdadi.

La disfatta di Sharkat costrinse i resti della Sesta Armata ottomana a ripiegare su Mosul, consentendo alla cavalleria britannica di proseguire verso Hammam Ali (poche decine di chilometri a sud del centro petrolifero): località che venne occupata il 1° di novembre 1918. Ritenendo inutile qualsiasi tentativo di difesa della città, il 2 novembre, il generale Hakkie decise di abbandonare Mosul, ripiegando in direzione nord-ovest verso la città di Nisibin che raggiunse il 10 novembre. Il giorno seguente le avanguardie britanniche facevano il loro ingresso a Mosul, completando di fatto la conquista dell’intera Mesopotamia. Terminava così una campagna che, tra il 1917 e il 1918, era costata ad entrambi i contendenti notevoli perdite, anche se nella fattispecie erano stati soprattutto i turchi a subire quelle maggiori. Secondo le stime britanniche, tra l’autunno del 1917 e l’autunno del 1918, gli ottomani avevano avuto 185.000 tra morti e feriti, lasciando nelle mani del nemico 45.000 prigionieri, 250 cannoni e un grosso quantitativo di munizioni e materiali. Dal canto suo, l’Armata britannica aveva avuto 14.814 soldati uccisi sul campo, ben 12.807 deceduti a causa di malattie, 52.000 feriti e 13.494 tra prigionieri e dispersi.

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