Il caso Bernadotte. Figura diplomatica enigmatica che per decenni ha mediato con incisività negoziati delicati di molte nazioni, fino alla sua tragica fine, sulla quale i dubbi non sono ancora stati chiariti. Di Roberto Roggero.

Folke-Bernadotte.

Un albero genealogico che si perde nei secoli, dai Conti Wisborg di Svezia, il cui nonno paterno era niente di meno che Oscar II Fredrik Bernadotte, re di Svezia dal 1872 alla morte nel 1907, e re di Norvegia dal 1872 al 1905, alla dissoluzione dell’unione reale tra i due regni, nonché ultimo sovrano di entrambi i Paesi scandinavi. Il bisnonno, a sua volta, era Oscar I Joseph François Oscar Bernadotte, re di Svezia e Norvegia dal 1844 alla morte (1859), e a seguire indietro nelle generazioni precedenti, il re Carlo XIV di Svezia-Norvegia, o Jean-Baptiste Jules Bernadotte. Per non parlare del ramo Lussemburgo-Weilburg-Nassau, e la discendenza da Jean-Baptiste Jules Bernadotte, maresciallo del Primo Impero francese e re di Svezia-Norvegia come Carlo XIV (1763-1844). 

Una carriera di élite 

Nato a Stoccolma nel gennaio 1895, dal conte Oskar Folke Berdanotte di Wisborg, nipote diretto del re Gustavo V (1858-1950), la giovane promessa della politica, della diplomazia, della filantropia, si iscrisse alla Scuola Ufficiali di Cavalleria di Karlberg, nel 1918 era tenente e pochi anni dopo maggiore. 

Con la moglie Estelle Manville (1904-1984), fu molto attivo nello scoutismo nonché nello spionaggio (ricordando a grandi linee la figura di Robert Baden-Powell, 1857-1941), come direttore dell’Organizzazione Nazionale Svedese (Sveriges Scoutforbund) a partire dal 1937. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, propose un progetto per integrare gli scout nella forza di difesa nazionale, sia come infermieri di pronto soccorso che come addetti alla contraerea. Ricoprì diverse cariche ufficiali, rappresentò la Svezia nel 1933 alla Chicago Century of Progress Exposition e in seguito prestò servizio come commissario generale svedese alla Fiera Mondiale di New York nel 1939-1940. Fu vice e poi presidente della Croce Rossa Svedese dal 1943, ruolo che lo rese famoso per i negoziati con cui ottenere la liberazione degli internati civili e oltre 15mila persone dai campi di concentramento, compresi naturalmente migliaia di ebrei. L’autorità di Bernadotte ne fece poi il riferimento del Reichsfuhrer Heinrich Himmler (1900-1945), che volle utilizzare proprio le decine di migliaia di detenuti dei campi di concentramento, come merce di scambio, organizzando un grande trasferimento in Danimarca, mettendo “le sue SS” al servizio degli alleati occidentali per il mantenimento dell’ordine, nel cambiamento di fronte comune contro il nemico bolscevico. 

In effetti, migliaia di persone internate nei campi di concentramento furono liberate nel 1945 dalla Croce Rossa Svedese, durante il disfacimento del regime. Il gigantesco intervento umanitario fu concordato dal conte Folke Bernadotte e da Heinrich Himmler, durante tre incontri segreti, in una Germania assediata dalle truppe angloamericane e dall’Armata Rossa sovietica. Un risultato più dovuto alla mediazione di Felix Kersten (1898-1960), massaggiatore personale di Himmler e naturalmente suo agente speciale e confidente, il cui ruolo non ha ancora avuto un adeguato riconoscimento. 

Himmler si presentò l’ultima volta nel bunker della Cancelleria il 20 aprile ‘45, in occasione del compleanno di Hitler. Nelle stesse ore, nella tenuta di Felix Kersten, lo stava aspettando Norbert Masur (1901-1971), inviato del Congresso Mondiale Ebraico. All’incontro, avvenuto il 21 aprile, Masur chiese che fossero immediatamente liberati tutti gli ebrei detenuti nelle località da cui fosse possibile raggiungere i confini con la Svizzera e con la Svezia, oltre alla consegna dei campi di concentramento alle truppe alleate e la liberazione di una lista di detenuti svedesi, francesi e norvegesi, e mille donne ebree recluse a Ravensbruck. 

Felix Kersten, fra gli altri, dalla fine del ’43 era in contatto con Abram Hewitt, agente speciale dell’OSS, e oltre a Norbert Masur, incontrò altri inviatiti del Congresso Mondiale ebraico fra cui Hilel Storch (1902-1983), e Himmler si dimostrò disposto a patteggiare. Promise che gli ebrei olandesi a Theresienstadt e le mille donne ebree di Ravensbruck sarebbero stati liberati, e tutti i campi di concentramento abbandonati, all’avvicinarsi delle truppe alleate. In realtà, Himmler sapeva benissimo che, in quegli stessi momenti, erano in corso le tristemente note marce della morte da Sachsenhausen, Dachau e Flossenburg, poiché lui stesso aveva impartito ordini specifici perché tutti i detenuti fossero eliminati prima dell’arrivo degli alleati. 

Himmler incontrò il conte Folke Bernadotte il 23 aprile nella cantina del consolato svedese di Lubecca, proponendo la resa tedesca sul Fronte Occidentale ma non su quello Orientale. Gli angloamericani non accettarono la proposta di Himmler, tuttavia l’offerta venne divulgata attraverso la stampa e, il 28 aprile, Radio Londra annunciò che il Reichsfuhrer-SS, Heinrich Himmler, sostiene che Hitler era morto e di esserne il successore. A Berlino, Hitler in preda a un attacco d’ira incontenibile lo sollevò da tutti gli incarichi politici e militari e ne ordinò la fucilazione, che come si sa non è avvenuta per il corso che presero gli eventi, con il coinvolgimento, e fucilazione, del Gruppenfuhrer Herman Fegelein (1906-1945), cognato di Eva Braun e ufficiale di collegamento fra il Fuhrer e Himmler, che subì la vendetta con l’accusa di alto tradimento, per non essere stato reperibile per circa 48 ore a una chiamata di Hitler. 

Il 1º maggio, Himmler si presentò ugualmente al nuovo Presidente del Reich, ammiraglio Karl Donitz (1891-1980), per assicurarsi un posto nel nuovo governo tedesco, credendo che gli alleati avessero avuto bisogno della sua esperienza nella polizia per contrastare l’avanzata del bolscevismo. Nonostante i ripetuti incontri, i colloqui si risolsero in un nulla di fatto e Himmler decise di nascondersi, fra i militari sbandati della Wehrmacht. Il 12 maggio, Himmler e un gruppo di uomini delle SS attraversarono l’Elba, con l’obiettivo di raggiungere la Baviera. Tra questi, vi erano lo Sturmbannfuhrer Josef Kiermaier (1897-1967), sua guardia del corpo, lo Standartenfuhrer Rudolf Brandt (1909-1948), assistente personale, i due aiutanti maggiori Obersturmbannfuhrer Werner Grothmann (1915-2002) e l’SS-Sturmbannfuhrer Heinz Macher (1919-2001), oltre ad altri sette uomini e al professor Karl Gebhardt (1897-1948), Obergruppenfuhrer e medico di Ravensbruck. 

Il resto è storia nota, storia che per altro non ha mai abbastanza evidenziato il ruolo che, nelle trattative fra Folke Bernadotte, Kersten e Himmler, ebbero Walter Schellenberg (1910-1952) abilissimo capo del controspionaggio dell’SD, e Christian Gunther (1886-1966), ministro degli esteri svedese, di un governo di unità nazionale, che purtroppo non ha lasciato memorie o diari, e pochissime lettere personali e note come ministro degli Esteri, di interesse per gli storici. Di certo un esponente della realpolitik, adattata alle opzioni molto limitate di un piccolo Paese, e contrario all’idea della guerra mondiale principalmente come uno scontro di democrazia contro fascismo, ma piuttosto come una tradizionale guerra al dominio del continente europeo. Alla luce di ciò, una vittoria tedesca sull’Unione Sovietica, non era considerata negativamente. 

La verità di Kersten 

Nel 1943 l’influenza di Kersten sulla mente di Himmler era così completa che decise di sganciarsi da quella dipendenza troppo esclusiva, a cui la guerra lo aveva condannato. Poiché l’Olanda, Paese natale, di fatto non esisteva più, Kersten cercò un altro stato neutrale nel Nord Europa e disse a Himmler che desiderava trasferire casa e famiglia in Svezia. Himmler era insoddisfatto, perché non voleva perdere Kersten, ma ormai non era più quell’Himmler che poteva minacciare: il rapporto personale tra i due uomini era cambiato dal 1940, e quando Kersten diede a Himmler la scelta di non essere mai più visitato da lui o di essere visitato occasionalmente dalla Svezia, Himmler si rassegnò con riluttanza alla seconda alternativa. Nel 1943, quindi, Kersten, pur mantenendo la proprietà tedesca a Gut Hartzwalde, che aveva acquistato nel 1934, trasferì la sua base a Stoccolma. Questa mossa segnò un’altra tappa importante della sua carriera, perché lo fece diventare l’agente del governo svedese nella sua opera alla fine della guerra. 

Il primo lavoro importante di Kersten per la Svezia fu la battaglia per salvare la vita di sette uomini d’affari svedesi, rappresentanti dello Swedish Match Syndicate, che erano stati arrestati dai tedeschi a Varsavia con l’accusa di spionaggio. Ci riuscì nel dicembre ’44, con la cooperazione dell’avvocato berlinese Langbehn, poi giustiziato come antinazista. 

Nelle prime fasi di questi negoziati Kersten conobbe personalmente l’allora ministro degli Esteri svedese, Christian Gunther, e da quel momento ne divenne un agente. Nell’inverno ‘44-45, quando la sconfitta della Germania era imminente, questo intervento svedese divenne di importanza internazionale. 

Quale sarebbe stato, infatti, nelle ultime convulsioni della Germania nazista, il destino della Scandinavia occupata, della Danimarca e della Norvegia? Hitler aveva ordinato di combattere fino alla fine ovunque, e la Svezia non poteva permettere che i suoi vicini subissero distruzioni. E quale sarebbe stato il destino delle centinaia di migliaia di prigionieri, inclusi danesi e norvegesi, nei campi di concentramento tedeschi? Hitler aveva disposto che tutti i campi di concentramento fossero fatti saltare in aria, e i loro detenuti uccisi. Sia la politica che l’umanità richiedevano che la Svezia intervenisse per prevenire tale distruzione. Escluso l’entourage di Hitler, l’unica possibilità era un contatto diretto con Himmler, che poteva passare solo da Felix Kersten. 

Così fu elaborato un piano, a Stoccolma, tra Gunther e Kersten e, dopo una lunga preparazione, Kersten si presentò a Himmler in Germania per vedere se avrebbe ascoltato la voce della prudenza e della persuasione, e permesso che tutti i prigionieri scandinavi fossero concentrati in un campo dal quale, se necessario, avrebbero potuto essere trasportati in Svezia, a condizione che la Svezia fosse responsabile del trasporto. 

Himmler accettò di far entrare in Germania, ovviamente in segreto, 150 autobus per trasportare i prigionieri in Svezia. Oltre ai prigionieri danesi e norvegesi, Himmler promise inoltre, come dono personale a Kersten, la vita di 1.000 donne olandesi, 1.500 francesi, 500 polacche e 400 belghe, a condizione che potesse ottenere asilo per loro in Svezia, e 2.700 Ebrei da trasportare in Svizzera. I prigionieri per la Svezia sarebbero stati concentrati nel campo di Neuengamme. Questo accordo fra Himmler e Kersten fu concluso l’8 dicembre 1944 e confermato il 21 dicembre. Il 22 dicembre Kersten tornò in Svezia e riferì a Gunther. 

Nel febbraio ‘45 era stato organizzato il trasporto. Una colonna di cento autobus della Croce Rossa svedese partì per la Germania, noti come “gli autobus bianchi” al comando del colonnello Gottfried Bjork, e accompagnati dal vicepresidente della Croce Rossa svedese, un’importante figura sociale che Kersten ora, su richiesta di Gunther, aveva annunciato telefonicamente a Himmler, il conte Folke Bernadotte. 

Va ricordato che molti membri della corte di Himmler, temendo un giudizio, erano fin troppo ansiosi di aggrapparsi a Folke Bernadotte, parente del re neutrale di Svezia, come protettore ma di fatto, Bernadotte non aveva autorità per intavolare trattative con Himmler, e per questo i negoziati erano portati avanti essenzialmente da Kersten e Gunther, anche se gli storici sono divisi nell’affermare che questi ultimi avrebbero estrapolato i termini degli accordi da alcune note e appunti di Bernadotte. 

In particolare, era stato aveva promesso alla sezione svedese del World Jewish Congress di assicurarsi il rilascio in Svezia, se possibile, di altri 3.500 prigionieri ebrei. Himmler aveva acconsentito, ma improvvisamente Bernadotte (con sorpresa di Himmler e sgomento di Kersten) si rifiutò di occuparsi dei prigionieri non scandinavi. Alla fine, però, dopo un ulteriore incontro fra Kersten e Gunther a Stoccolma, queste difficoltà furono superate, soprattutto nell’incontro segreto, in casa di Kersten, a Hartzwalde, fra Himmler e Norbert Masur, della sezione di Stoccolma del Congresso Ebraico Mondiale, che Kersten aveva portato personalmente dalla Svezia a tale scopo. 

Nel frattempo, il 12 marzo Kersten aveva completato il programma di Gunther firmando un altro trattato con Himmler. Con questo trattato, Himmler si impegnò a non eseguire l’ordine di Hitler di far saltare in aria i campi di concentramento all’avvicinarsi degli eserciti alleati, ma a consegnarli, sotto bandiera bianca, con tutti i loro detenuti, e a fermare ogni ulteriore esecuzione. Infine, il 22 aprile, Himmler chiese a Kersten di inoltrare un’offerta di resa agli alleati tramite Folke Bernadotte, trasmise il messaggio a Stoccolma. 

Così, nelle ultime settimane del Terzo Reich, la politica per cui tante vite furono salvate fu la politica del governo svedese, e il principale negoziatore tedesco fu Felix Kersten, mentre Bernadotte fu presentato come l’uomo che, di sua iniziativa, aveva concepito ed eseguito l’intero piano. Lui solo, si diceva, affrontando Himmler, ma non pochi storici dissentono, perché gran parte della fama non gli sarebbe dovuta. 

Bernadotte dichiarò di aver ceduto solo con grande riluttanza alle pressioni degli amici e acconsentì a scrivere il resoconto delle sue azioni, rivelando di avere incontrato anche il capo dell’intelligence di Himmler, Walter Schellenberg, che si era rifugiato nella casa di Bernadotte a Stoccolma, ansioso di meritare la protezione svedese. 

In tutta onestà, nei confronti di Schellenberg va notato che nella sua bozza (di cui aveva ancora una copia in suo possesso quando fu ceduto agli alleati) fu dato qualche credito a Kersten e Masur per il loro lavoro, e solo dalla versione finale di Bernadotte entrambi questi nomi sono stati omessi del tutto. Anche Gunther, il ministro degli Esteri che aveva concepito il piano, non viene menzionato se non superficialmente da Bernadotte. Né viene spiegato chiaramente il ruolo dell’ambasciatore olandese a Stoccolma, barone van Nagell. 

Infine Bernadotte dovette ammettere che il salvataggio, attribuito a lui solo, ebbe in realtà due fasi: la prima, il rilascio dei prigionieri dai campi in Germania, operato dal solo Kersten; e in secondo luogo, il trasporto dei prigionieri rilasciati. 

Sfortunatamente per Kersten, nel luglio 1945 la coalizione di governo di cui Gunther era ministro in Svezia cadde dal potere, e i nuovi dirigenti del ministero degli Esteri adottarono un atteggiamento diverso nei confronti dello scomodo agente tedesco. 

Secondo rivelazioni successive della stampa svedese, si rifiutarono persino di rimborsare a Kersten le spese di viaggio da e per la Germania per conto del governo svedese, che dovevano essere sostenute con una sottoscrizione privata. La richiesta di Kersten per la cittadinanza svedese, nonostante il sostegno di Gunther, fu respinta. 

Così il nome dello scomodo Kersten fu coperto, e i meriti del conte Bernadotte sepolti dietro il mito romantico dell’eroe nazionale, che l’irreversibile macchina della pubblicità ad alta potenza stava spingendo di fronte al mondo. 

Chi sapeva la verità? Alcuni svedesi, ma come potevano resistere al nome di Bernadotte? Alcuni tedeschi, ma perché pubblicizzare il fatto che erano stati consiglieri di Himmler? Alcuni ebrei, ma nel settembre ‘48 Bernadotte fu brutalmente assassinato da estremisti israeliani. Per fortuna c’era una quarta categoria di coloro che conoscevano i fatti. In Olanda non ci sono tali inibizioni; e fu in Olanda che la verità alla fine cominciò a emergere, per opera dello storico N. W. Posthumus, allora direttore del Dutch Institute of War Documentation. 

In conseguenza di questo rapporto, inizialmente tenuto segreto poi rilasciato, Kersten fu nominato Grande Ufficiale dell’Ordine di Orange-Nassau, ricevendo le insegne dal principe Bernhard dei Paesi Bassi nell’agosto 1950. In Svezia, impegnata in una versione rivale dei fatti, questo riconoscimento straniero ha avuto inizialmente scarso impatto, e il rapporto olandese non ha ricevuto pubblicità. Nel 1952 la domanda di cittadinanza di Kersten fu nuovamente respinta. Sei mesi dopo il governo cedette e nell’ottobre 1953 Felix Kersten ricevette la cittadinanza svedese. 

La provata esperienza diplomatica di Bernadotte ne fece comunque persona ideale per la mediazione ONU nel conflitto arabo-israeliano, nel maggio 1948. Bernadotte diede ottima prova, riuscendo due volte a raggiungere una tregua, finché fu assassinato il 17 settembre, in territorio israeliano, con un’operazione della destra sionista, già responsabile della morte di Lord Moyne al Cairo nel novembre ’44, e di altri atti terroristi, per opera della cosiddetta Banda Stern, al soldo delle forze di difesa israeliane, che Winston Churchill (1874-1965) definì nazisti. La situazione precipitò nuovamente, con una escalation fino all’estate 1949. 

In Medio Oriente 

L’attività del conte Folke-Bernadotte nelle fasi finali della seconda guerra mondiale è documentata, e oggetto di una copiosa bibliografia. Storicamente, approfittando del ruolo ufficiale di vice-presidente della Croce Rossa svedese, organizzazione neutrale di un Paese neutrale, fu contattato dagli emissari di Himmler, non solo per la salvezza personale, e del cospicuo patrimonio accumulato, ma anche e soprattutto in veste di rappresentante ufficiale del Terzo Reich, come da telegramma fatto pervenire anche al bunker della Cancelleria, suscitando in Hitler una delle proverbiali crisi di collera. Il “fedele Heinrich” tradiva, offrendo la resa della Germania e 30mila detenuti agli alleati occidentali, chiedendo garanzie sulla necessità comune di combattere l’Unione Sovietica. Il presidente Harry Truman (1884-1972) e il premier britannico Churchill rifiutarono “sdegnosamente” e la storia prese il suo corso. 

Celebre è l’operazione storicamente definita degli “autobus bianchi”, con cui Bernadotte fece evacuare i deportati dei campi di prigionia e concentramento, dando la precedenza ai cittadini scandinavi, norvegesi e danesi in primis. 

La vicenda che ha portato alla morte del conte Folke Bernadotte è ancora oggi caratterizzata da molti aspetti segreti, dubbi e intrighi internazionali, come molti ne avvennero nel dopoguerra, in una lunga serie degenerata con i conflitti in Africa e l’attentato a Dag Hammarskjold (1905-1968) delegato ONU per la crisi del Congo. 

Lo scenario 

Il piano per la spartizione dei Territori Palestinesi, del novembre 1947, prevedeva la creazione di uno Stato di Israele e uno Stato di Palestina, ma in condizioni di guerra latente con numerosi incidenti che acuivano periodicamente la tensione, vittime, feriti, sfollati, e il Mandato Britannico non più efficace come anni prima. 

Lo Stato Ebraico, com’è noto, fu ufficialmente dichiarato il 14 maggio 1948, proprio quando Folke Bernadotte venne chiamato come mediatore ufficiale ONU per Palestina e Medio Oriente, primo a ricoprire tale incarico, vista la recente nascita dell’ONU stessa, e in effetti con una responsabilità poco invidiabile, conoscendo l’importanza geopolitica del Medio Oriente e un piano di divisione territoriale fra Stato Arabo e Israele. 

Il 27 giugno 1948, il conte Bernadotte scrisse, da Rodi, una lettera ufficiale alle autorità israeliane e arabe, con una lista di proposte per a soluzione della Questione Palestinese. Nella dichiarazione preliminare Bernadotte, ufficialmente riconosciuto “wasif” (mediatore), dall’Assemblea ONU, era portavoce senza poteri decisionali, di propositi per creare le basi di una soluzione pacifica. 

L’Art.1 della lista riguardava i confini palestinesi del 1922 all’atto del Mandato britannico, cioè con aggiunta della Transgiordania, da comprendere in una sorta di Federazione (in arabo “ittihad”), a due entità, una arabo-palestinese e una israeliana. In sostanza, la attuale e tanto discussa Soluzione a Due Stati e, di fatto, proposta che implicava l’accordo delle parti, e per questo ancora senza risultato. La clausola seguente (Art.2) proponeva negoziati con la nomina di un mediatore, con delega a presentare un progetto sui confini delle due entità, che sarebbero stati oggetto dei negoziati stessi. Secondo il progetto Bernadotte, questa Federazione avrebbe avuto il controllo (Art.3) di quello che doveva essere una sorta di ministero dell’Economia, dell’Amministrazione Civile, Dogane e Imposte, con autorità sulle imprese e sugli investimenti, nonché sulla politica estera e la difesa comune. Altra clausola (Art.4), per la istituzione di un Consiglio Centrale, che doveva nominare i relativi uffici, con i rappresentanti della Federazione. A seguire (Art.5), il principio secondo cui ogni componente della Federazione aveva potestà di amministrare i propri interessi purché non dannosi per gli altri membri, sia anche in politica estera, secondo le disposizioni e gli accordi generali di formazione della stessa Federazione. 

Una questione di primo piano riguardava l’immigrazione (Art.6), in arabo “higrah”, che ogni membro doveva amministrare secondo le proprie capacità ricettive. A scadenza biennale, ciascuna delle due entità poteva richiedere ufficialmente al Consiglio della Federazione, il riesame dei dati di politica estera, e rapporto emigrazione/immigrazione di ciascuno stato membro, reciprocamente, con eventuale aggiornamento della regolamentazione, in base alle comuni necessità. Il rapporto della Commissione in tal senso, sarebbe stato sottoposto all’ONU, che avrebbe disposto obblighi e diritti comuni. 

Si garantivano in ogni caso (Art.7) diritti religiosi, diritti umani, libertà fondamentali per le minoranze etniche e culturali, sotto protezione ONU. Inoltre si garantiva protezione, tutela e reciproco rispetto dei luoghi santi e dei centri di culto (Art.8), compresi edifici religiosi e centri di assistenza alla popolazione. Importante il diritto riconosciuto (Art.9) per ogni palestinese, costretto a lasciare la propria condizione, a fare liberamente ritorno e riacquistare i propri beni. 

Secondo alcune indiscrezioni, nella comunicazione all’ONU, il conte Bernadotte avrebbe anche compreso altre proposte ed emendamenti, riguardo all’unione di Neghreb e territorio islamico, da Al-Khalil (ovvero Hebron), alla zona ebraica. 

Sia le autorità palestinesi, che naturalmente quelle israeliane, rifiutano la proposta, Bernadotte diventò oggetto di una violenta campagna di stampa in Israele, e guardato con sempre maggiore scetticismo dai palestinesi. 

La propaganda ne fece bersaglio dell’organizzazione estremista della destra israeliana Lehi, che dalle minacce di “levare di mezzo ogni Bernadotte che si presentasse non autorizzato a Gerusalemme israeliana senza alcuna interferenza”, passò all’azione. 

Avraham Stern e la Lohamei Herut Israel 

L’organizzazione Lehi, ovvero Combattenti per la Libertà di Israele, più nota come Banda Stern, fu di stampo prettamente sionista e paramilitare, formata da elementi altamente addestrati e riforniti, attiva anche sotto il mandato inglese, nemico numero uno della Palestina da cacciare con la lotta armata, per gestire autonomamente l’insediamento, la gestione e l’espansione di uno Stato di Israele in una “nuova repubblica totalitaria”. 

L’appellativo di Banda Stern fu una trovata (politicamente suggerita) dei media britannici, che adottarono il nome del primo comandante militare Avraham Stern (1907-1942), il quale non aveva mai fatto mistero sui metodi da utilizzare. Infatti la storia della Lehi è comunque la storia di Avraham Shtern, già leader della militanza Irgun e fondatore del gruppo paramilitare separatista, in aperta opposizione al mandato britannico e all’establishment israeliano, e che si auto-legalizzò all’uso di metodi terroristi. 

Nato a Suwalki, nell’attuale Polonia allora parte dell’impero russo, durante la Grande Guerra, fu portato con la madre e il fratello David, in pieno territorio russo, finendo quasi in Siberia. A San Pietroburgo fu adottato da uno zio, poi tornò in Polonia e nel 1925, a 18 anni, si trasferì nel territorio palestinese sotto mandato britannico, poi frequentò l’Università Ebraica del Monte Scopus a Gerusalemme e si specializzò in lettere classiche. 

Fu da subito interessato alle questioni culturali e religiose, e fondò da solo un gruppo chiamato Hulda per la rinascita del nuovo Stato ebraico. Nelle rivolte del 1929 in Palestina, Stern si arruolò nella Haganah e fu destinato al corpo di sorveglianza di una sinagoga nella Città Vecchia di Gerusalemme, agli ordini del comandante Avraham Tehomi, che in seguito lasciò la Haganah poiché controllata dal movimento sindacale locale, e fondò la Irgun Zvai Leumi (Organizzazione Militare Nazionale), alla quale aderì poco dopo anche Stern, diventando ufficiale nel 1932, e mostrando un maniacale e quasi fisico attaccamento alla patria ebraica, e alla disponibilità assoluta al sacrificio estremo, espresso anche in componimenti  letterari ispirati alla lirica di Vladimir Mayakowsky (1893-1930)  che alcuni critici definiscono una “sublimazione del lato erotico della morte, nella morte dell’erotismo per la donna”. Un lato anche romantico, con guerrieri volontari rifiutati da tutti, esiliati anche nel proprio Paese, che formano un esercito destinato alla morte combattendo sotto una pioggia di proiettili, come espresso dallo stesso Stern: “Sei l’amor mio, mia Patria, per le leggi immortali di Mosè e Israele, e con la mia morte metterò la testa sul tuo grembo e tu vivrai per sempre nel mio sangue”. 

Diventato uno degli studenti più in vista, ottenne una borsa di studio per un dottorato che ottenne a Firenze, poi viaggiò in Europa orientale, con l’incarico datogli personalmente dal fondatore Tehomi, di allestire cellule rivoluzionarie in Polonia e disporre i canali per fare rientrare gli ebrei per colonizzare i territori palestinesi, contro le restrizioni britanniche. Stern in persona curò il progetto per l’addestramento di circa 40mila giovani, destinati a raggiungere la Palestina e, organizzati in formazioni articolate, cacciare le autorità britanniche. Il tutto con la tacita cooperazione del governo polacco, che concesse alcuni tecnici, osservatori e addestratori e diversi armamenti all’Irgun. Il progetto fallì quando la Wehrmacht invase la Polonia, dando inizio alla seconda guerra mondiale, e Stern si trovava in Palestina per tessere le trame del piano. Fu scoperto e arrestato, quindi incarcerato insieme a quasi tutti i membri del Direttivo dell’Irgun nella prigione centrale di Gerusalemme e poi nel carcere di Sarafand. 

In questo periodo, Stern ispirò gli altri capi dell’Irgun e nell’agosto 1940 diede vita al Gruppo Lehi, Lohamei Herut Israel, Combattenti per la Libertà di Israele, separandosi dall’Irgun, quando quest’ultimo adottò la politica dell’Haganah di sostenere l’Inghilterra nella lotta contro Hitler, rifiutando qualsiasi forma di collaborazione con gli inglesi e affermando che solo una continua lotta avrebbe portato a uno stato ebraico indipendente e risolto la situazione della diaspora. 

Le norme britanniche del 1939 consentivano solo a 75.000 ebrei di immigrare in Palestina nell’arco di cinque anni, e non più dopo, a meno che gli arabi locali non avessero dato il loro permesso. In realtà l’opposizione di Stern al dominio coloniale britannico in Palestina non era basata su una politica particolare; Stern definì il mandato britannico come “governo straniero” indipendentemente dalle loro politiche, e prese una posizione radicale. 

Popolarità e nemici 

Avraham Stern cominciò a essere d’intralcio ai piani della Haganah e dell’Irgun. Il gruppo Lehi riuniva elementi di tutti gli orientamenti politici, fra cui Yizhak Shamir (1915-2012), futuro primo ministro israeliano, che si è sempre battuto per l’espansione dello Stato ebraico e gli insediamenti dei coloni oltre i confini voluti dai palestinesi; o Nathan Yellin-Mor (1913-1980), leader del movimento per la pace in Israele; oppure Israel Eldad (1910-1996), che dopo la fine della guerra clandestina trascorse quasi 15 anni nell’attivismo dell’estrema destra sionista. 

Stern aveva una vera e propria strategia per il gruppo Lehi: un organo stampa d’informazione, supportato da diffusione radiofonica clandestina, e guerra urbana; ricerca di fondi, non solo ottenendo donazioni private anonime, ma in casi anche a scopo dimostrativo, con rapine ai danni di banche britanniche; allacciare contatti con organizzazioni straniere per il supporto delle comunità ebraiche in Europa, dove si doveva anche combattere la lotta economica dei flussi destinati alla Palestina, e comunque combattere la lotta sul suolo patrio; organizzare ed effettuare operazioni anche dirette e di stampo terrorista, contro l’occupazione inglese. 

Di fatto, le iniziative non ebbero particolare fortuna. Non vi erano fondi, stampare il giornale clandestino in numero sufficiente era impossibile, e le rapine avevano fruttato denaro, ma anche la mobilitazione della polizia sia israeliana che inglese. 

Nel gennaio 1941, Stern tentò di concludere un accordo con le autorità tedesche, offrendo di prendere parte attiva alla guerra a fianco della Germania, in cambio del sostegno all’immigrazione ebraica in Palestina e all’istituzione di uno Stato ebraico. Un altro tentativo di contattare i tedeschi fu fatto alla fine del ‘41, ma in entrambi i casi non c’è traccia di una risposta tedesca. Questi appelli alla Germania erano in diretta opposizione alle opinioni di altri sionisti, come Ze’ev Jabotinsky (1880-1940), che voleva la Gran Bretagna vittoriosa sui tedeschi, anche se voleva espellere gli inglesi dalla Palestina. 

I manifesti con i ritratti dei principali ricercati apparirono in tutto il Paese, e Stern ebbe una sostanziosa taglia sulla testa. Vagò da un rifugio all’altro a Tel Aviv, con un lettino pieghevole e una valigia, dormendo anche nei portoni dei condomini, poi si trasferì in un appartamento a Tel Aviv affittato da Moshe e Tova Svorai, membri della Lehi successivamente catturati da investigatori britannici. Il contatto di Stern, Hisia Shapiro, pensava di essere seguita e ha smise di portare messaggi nel febbraio 1942 arrivò con un ultimo dispaccio dall’Haganah, offrendo di ospitare Stern per tutta la durata della guerra, se avesse rinunciato alla lotta contro gli inglesi. Stern rifiutò e suggerì la cooperazione fra Lehi e Haganah contro gli inglesi. Un paio d’ore dopo, seguendo la madre di uno dei membri del Lehi, gli investigatori britannici arrivarono per perquisire l’appartamento e scoprirono Stern. Dopo che se ne furono andati, anche Tova Svorai fu portata via in modo che Stern fosse solo con tre poliziotti armati. Poi, in circostanze che rimangono controverse ancora oggi, fu ucciso a colpi di arma da fuoco, in sostanza, una esecuzione in piena regola. 

Il rapporto Top Secret fatto dalla polizia al governo britannico diceva: “Stern si stava allacciando le scarpe quando all’improvviso è saltato verso la finestra. Era a metà della finestra quando è stato colpito da due colpi di arma da fuoco dai tre poliziotti nella stanza. Il vice sovrintendente Geoffrey J. Morton, poliziotto più anziano presente, scrisse in seguito nelle memorie, di aver temuto che Stern stesse per far esplodere un ordigno come aveva precedentemente minacciato di fare se catturato. 

La versione ufficiale è stata respinta dai sostenitori di Stern, che credono fosse stato colpito a sangue freddo mentre cercava di scappare o perché minacciava di rivolgersi a un tribunale internazionale o perché comunque doveva sparire. 

Tra le azioni terroriste del gruppo Lehi, il massacro di Deir Yassin e l’assassinio di Lord Moyne, residente britannico in Medio Oriente, all’interno di altri attacchi portati contro le forze britanniche in Palestina. Il 29 maggio 1948, il governo del neo-costituito Stato d’Israele, arruolò i membri attivi della Lehi nello Tzahal. Alcune settimane dopo Venne ucciso Folke Bernadotte. 

Israele assicurò un’amnistia generale ai componenti della Lehi già il 14 febbraio 1949. Nel 1980, Israele decise di istituire una decorazione militare in riconoscimento dell’attività di lotta per la creazione d’Israele, la Medaglia Lehi. Yitzhak Shamir, che fu leader della Banda Stern, divenne Primo ministro d’Israele nel 1983. 

L’attentato a Bernadotte 

Stern faceva differenza fra i “nemici del popolo ebraico” (britannici) e nemici che “odiavano gli ebrei” (nazisti), credendo che questi ultimi dovessero essere sgominati mentre i primi neutralizzati. A tal fine avviò contatti con le autorità naziste offrendo loro un’alleanza con la Germania, in cambio dell’istituzione di uno Stato ebraico in Palestina. 

Le autorità britanniche concentrarono i loro sforzi contro la Banda Stern finché il leader fu ucciso e numerosi membri del gruppo furono arrestati, finché il gruppo scomparve, per poi rinascere con Israel Eldad (1910-1996), Natan Yellin-Mor (1913-1980) e Yitzhak Shamir conosciuto come “Michael”, in riferimento al patriota irlandese Michael Collins (1890-1922), fondatore dell’originaria IRA e pioniere nell’uso delle tecniche di guerriglia. 

Il nuovo Lehi fu guidato dai leader spirituali e filosofici Uri Zvi Greenberg (1896-1981) e Israel Eldad, mentre il vecchio Lehi era stato inizialmente formato in base agli scritti di Abba Achimeir (1897-1962). Fu di gran lunga il più piccolo dei gruppi armati ebraici durante l’epoca del mandato inglese e non attirò mai più di poche centinaia di seguaci. 

Il Lehi adottò una piattaforma non socialista dell’ideologia anti-imperialista. Considerava il protrarsi del governo britannico in Palestina come una violazione del mandato provvisorio in genere, e le sue restrizioni circa l’immigrazione ebraica un’intollerabile lesione del diritto internazionale. 

A differenza dell’Haganah e dell’Irgun, che combatterono su due fronti contro Gran Bretagna e arabi, il Lehi concentrò gli attacchi su obiettivi britannici, e rigettava anche l’autorità dell’Agenzia Ebraica e le organizzazioni correlate, operando indipendentemente per tutta la durata quasi della sua esistenza. 

Il 6 novembre 1944 il Lehi assassinò Lord Moyne, residente del governo britannico al Cairo. Questo atto colpì il governo di Sua Maestà e fu ritenuto un oltraggio di stato da Winston Churchill. I due assassini furono catturati, condannati a morte e giustiziati. 

Nel 1946 la Banda Stern, unitamente all’Irgun, effettuò un devastante attentato contro il King David Hotel di Gerusalemme, che causò 91 morti e numerosi feriti e, il 31 ottobre 1946, un nuovo attentato con esplosivi colpì gravemente l’ambasciata britannica a Roma causando la morte di due italiani. 

Il 9 aprile ’48, Lehi e Irgun attaccarono il villaggio arabo di Deir Yassin, causando più di 100 vittime e costringendo i superstiti ad abbandonare l’insediamento, fino all’assassinio del conte Folke Bernadotte, il 17 settembre 1948, che era stato inviato a mediare il futuro assetto politico e territoriale della Palestina. L’omicidio fu progettato di persona da Yehoshua Zetler e condotto a termine da un gruppo di quattro uomini guidati da Meshulam Markover. I colpi letali furono sparati da Yehoshua Cohen. I capi del Lehi Nathan Yalin-Mor e Matitiahu Schmulevitz furono arrestati due mesi dopo. Molti dei sospetti coinvolti furono rilasciati e a tutti costoro fu garantita l’amnistia generale il 14 febbraio 1949. 

Il conflitto fra Lehi e la corrente maggioritaria israeliana finì quando il Lehi fu formalmente disciolto e integrato nelle Forze di Difesa Israeliane il 31 maggio 1948. Ai suoi leader fu garantita l’amnistia e la fine delle incriminazioni come controparte. Il Lehi tuttavia eseguì operazioni indipendenti a Gerusalemme finché non fu obbligato a rinunciare dopo l’assassinio del conte Folke Bernadotte. Membri del Lehi fondarono un partito politico noto come “Combattenti” e Yalin Mor fu eletto nella prima Knesset, anche se il partito ebbe breve durata. 

Yoshua Zetler, capo della intransigente cellula di Gerusalemme, aveva pianificato e messo a punto la missione con Yeoshua Cohen, Yitzak Ben Moshe, Gingy Zinger e Meshulam Makover: un attacco armato al convoglio di tre auto che portava Bernadotte a visitare alcuni edifici per scegliere il proprio quartier generale, nel quartiere Katamon di Gerusalemme. Le auto, con tanto di stemmi, bandiere ed emblemi dell’ONU e della Croce Rossa, e con personale disarmato e senza protezioni, fu attaccato con armi automatiche. Bernadotte si trovava sul sedile posteriore di uno dei mezzi, con il colonnello francese André Sérot, responsabile degli Osservatori ONU a Gerusalemme, e il generale svedese Age Lundstrom, comandante della Commissione per la Tregua in Palestina e collaboratore personale di Bernadotte. 

Poche centinaia di metri dopo un posto di controllo, le auto furono bloccate da un fuoristrada e tre uomini in uniforme israeliana ne uscirono e aprirono il fuoco. Bernadotte e Sérot morirono sul colpo, uccisi da raffiche di mitragliatrice Schmeisser. 

La condanna internazionale fu unanime, il movimento Lehi fu subito sospettato e centinaia di membri arrestati nelle ore seguenti, e venne decretato lo scioglimento delle squadre d’intervento IZL, che facevano capo all’organizzazione sionista, anche contro gli arabi in Palestina, a Gerusalemme. 

Il Lehi fu ufficialmente sciolto con la legge per la prevenzione del terrorismo. Zetler sostenne di aver ricevuto una promessa esplicita dal ministro dell’Interno Yitzhak Grunbaum: “Sarai condannato a soddisfare l’opinione mondiale, dopodiché ti verranno concesse le amnistie”. Infatti, Yalin Mor e il suo vice Mattiyahu Shmulovitz, condannati nel 1949 diversi anni di prigione, non per omicidio ma per appartenenza a organizzazione terroristica, saranno rilasciati due settimane dopo. Tutti gli altri beneficiarono di amnistia generale e furono rilasciati poco dopo. 

Nathan Yalin Mor fu eletto alla Knesset nel gennaio 1949; Yeoshua Cohen divenne guardia del corpo personale di David Ben-Gurion negli anni ’50. Yitzhak Shamir, capo delle operazioni del Lehi, divenne alto ufficiale del Mossad dopo il 1950 e vi rimarrà per anni, prima di impegnarsi in politica per Herut, principale partito della destra israeliana. Diventò deputato, presidente dell’Assemblea dello Stato (la Knesset) e due volte primo ministro. A livello di diritto internazionale, le Nazioni Unite hanno richiesto il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia in merito ad azioni legali contro lo Stato di Israele per l’assassinio Bernadotte, ma come in altri non pochi casi, non si è giunti a nulla, tanto meno alla realizzazione della proposta a due Stati, più che mai attuale, trasformando la tregua in pace permanente. 

Dopo la morte di Bernadotte, l’incarico di mediatore ONU fu affidato al diplomatico americano Ralph Bunche, che riuscì a imporre il cessate-il-fuoco, firmato a Rodi, che gli valse il Premio Nobel per la Pace nel 1950, prima persona di colore a ricevere il riconoscimento. 

Di fatto, però, la morte violenta di Bernadotte, causò altre migliaia di morti violente e molti la equipararono a quella di Martin Luther King o Malcom X, e comunque furono poste le basi per la formazione della UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. 

La ragione dell’assassinio, ufficialmente fu la dichiarazione pubblica di Bernadotte in cui chiedeva libero ritorno in patria per tutti i profughi palestinesi. Le sue proposte per la soluzione della questione dei rifugiati crearono inoltre le basi della Risoluzione 194, approvata l’11 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale ONU, in cui è riconosciuto il diritto al ritorno dei profughi. Ai killer di Bernadotte il governo israeliano garantì l’amnistia generale, nonostante prove evidenti schiaccianti. 

Il Segretario Generale ONU ritenne che Israele, da poco costituito come Stato e che sarebbe divenuto membro delle Nazioni Unite dall’11 maggio 1949, non avesse adottato tutte le misure idonee a prevenire i due delitti, attribuiti ad estremisti ebraici, e che quindi fosse responsabile sul piano internazionale.

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