L’Imperiale Regia Marina Veneta. Con il tramonto della Repubblica di Venezia, nel 1797, cessa di esistere di fatto anche la flotta che doveva tutelare la supremazia della Serenissima. Di Gualtiero Scapini Flangini.

Vascello veneziano nei primi anni del '700 all'ancora nel Bacino San Marco (dettaglio pittorico del Bacino di San Marco di Gaspar van Wittel).

Il 12 maggio 1797 vide la fine della Serenissima Repubblica di Venezia. Il naviglio che a fino ad allora aveva avuto il compito di difendere Venezia, e i vascelli in costruzione o in allestimento in arsenale, furono catturati e depredati. La stessa sorte era toccata al grosso dell’armata veneta, catturato nella rada di Corfù senza colpo ferire dal generale francese Antoine Gentili (1743 o 1751-1798) e incorporato nella marina da guerra francese.                                                                                                                 

Con il trattato di Campoformido (17 ottobre 1797), prima di abbandonare la città, i francesi asportarono o distrussero tutto ciò che poteva essere utilizzato dai nuovi padroni. Gli scafi in costruzione furono fracassati sugli scali, e le navi nelle darsene affondate o sabotate in modo irreparabile. Agli Austriaci, giunti da Trieste a bordo di due vecchi cutter, di poche cannoniere e qualche nave mercantile armata, rimase la grande delusione: della flotta che fino a ottant’anni prima aveva saputo tenere testa alla smisurata forza dell’Impero Ottomano, non rimanevano che relitti. 

Francesco II d’Austria (1768-1835), informato da un rapporto dell’ammiraglio Andrea Maria Querini Stampalia (1757-1825, di nascita veneziana ma al servizio degli Asburgo) sulle condizioni dell’Arsenale e sulle unità superstiti, non si scoraggiò; consapevole che per l’Austria era di vitale importanza il possesso di una marina militare, anche se afflitto da gravi problemi finanziari e politici, si persuase che, per realizzare il progetto, l’unica via fosse quella di utilizzare i resti dell’armata veneta. 

Perdute le navi, restavano gli uomini, gli impianti, e l’esperienza e, nel 1799, ordinò la nascita della “Oesterreischisich-Venezianische Marine”, (Imperiale Regia Veneta Marina), una piccola flotta adatta solo a difendere il commercio dalle scorrerie dei pirati barbareschi e dei corsari francesi. 

Nel 1801 fu nominato ministro della Guerra e della Marina l’arciduca Carlo (1771-1847), fratello dell’Imperatore, il vincitore di Napoleone ad Aspen, che subito si incaricò di riorganizzare una vera marina da guerra. L’anno successivo fu fondata la Scuola Cadetti di Marina, con 41 allievi, e una Scuola di Ingegneria Navale. Lo stesso anno, il nuovo presidente dell’Arsenale, il capitano di vascello Josef Graf von L’Espine (1761-1826, di nascita francese ma passato al servizio degli Asburgo), raggruppava il personale dell’ex Veneta Armata nel Dalmatiner Korps o “Corpo Dalmata Mezzi e Reali Invalidi dell’Estuario”, dal quale derivarono un battaglione di fanteria di marina e un reparto di guardia costiera mentre, con elementi del cessato reggimento d’artiglieria della Serenissima, fu formato un battaglione d’artiglieria di marina. 

La squadra navale contava otto fregate, quattro brigantini, quattro golette e una quarantina fra cannoniere e scialuppe; il corpo degli ufficiali era composto da due capitani di vascello, nove capitani di fregata, venti tenenti di vascello e sessanta tenenti di fregata. Le foreste del Cansiglio, del Montello, di Montona in Istria e di Valvasone in Friuli, che la defunta Repubblica aveva gestito con scrupolo e gelosia, furono riprese in carico dall’amministrazione della Marina austro-veneta, ciascuna amministrata da un capitano. Certamente le possibilità erano ridotte: la monarchia non aveva possedimenti o colonie oltremare da difendere, e l’esigenza di possedere una forte marina da guerra era limitata, come faceva notare un rapporto del ministro delle finanze, conte Zicky, all’arciduca Carlo, nel settembre 1803. 

Riorganizzazione e protagonisti 

Si stabilì che la marina imperiale fosse italiana nello spirito e nella lingua. Gli ufficiali e gli equipaggi furono formati da veneziani, istriani, dalmati, abitanti di Corfù e delle altre Isole Ionie. Fin dalla caduta della Repubblica, molti gentiluomini del patriziato, che militavano nell’armata veneta, avevano scelto di passare al servizio dell’Austria piuttosto che sottomettersi ai detestati giacobini. Nella Imperiale e Regia Marina Veneta gli ordini erano impartiti in veneziano, e il linguaggio corrente a bordo era il veneto, pur nelle varie inflessioni leggermente diverse tra loro. Nel collegio di Marina s’insegnava la lingua di Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) e nonostante la conoscenza del tedesco fosse necessaria per l’avanzamento nella carriera dei giovani ufficiali, ai quali erano concessi tre anni per impararla, tuttavia, almeno fino al 1848, a bordo delle navi rimase l’uso dell’italiano nella versione istro-veneta. In pratica, fino al 1918, quando la sconfitta dell’Austria-Ungheria decretò la fine della Imperiale e Regia Marina, la lingua di bordo rimase il veneto. Anche le navi, fino al 1848-49, avevano nomi italiani. La corrispondenza con il ministero a Vienna avveniva in tedesco. Solamente dopo la rivolta di Venezia divenne obbligatorio l’uso del tedesco anche a bordo. 

Nel 1814 la Marina fu divisa in tre dipartimenti: Venezia, sede del comando, Trieste e Zara. I primi anni del governo austriaco non furono esaltanti e la marina, agli ordini di Agostino De Cornink, un oscuro generale olandese, era considerata un’appendice dell’esercito. 

L’Imperatore Francesco I d’Austria (1768-1835), anche forse per ingraziarsi i nuovi sudditi, mostrava particolare interesse per Venezia e con una serie di indovinate iniziative riuscì a conquistarsi le simpatie della città. Il ritorno dei quattro cavalli di bronzo, e soprattutto del Leone sulla colonna della piazzetta, precedentemente trasferiti a Parigi da Napoleone Bonaparte (1769-18121) insieme all’enorme bottino trafugato a Venezia durante l’occupazione francese, suscitò un’enorme emozione popolare. 

Il testo del pubblico manifesto stampato per celebrare l’arrivo dei cavalli così recitava: “Il giorno di mercoledì 13 corrente dicembre è destinato da S.M. l’Augustissimo Nostro Sovrano per dare alla Veneta Nazione la più generosa testimonianza della Sua Paterna affezione                                                                                col ricondurre un prezioso monumento dell’antica gloria Veneziana”. 

Nel 1824 l’Imperiale Regia Marina fu distaccata dall’esercito e resa autonoma. A comandarla fu destinato il marchese modenese Amilcare Paolucci delle Roncole (1773-1845). La forza era di circa 2100 uomini, in maggioranza Veneti, Dalmati, Istriani, isolani delle Ionie; pochi i Triestini e i Fiumani, assenti o quasi gli Austriaci. Tra gli ufficiali si ricordano personaggi come il N.H. Nicolò Pasqualigo (1770-1821), distintosi al servizio dell’ammiraglio Angelo Emo (1731-1792) e comandante di una galera fino all’anno della caduta della Serenissima. Pasqualigo fu protagonista nel 1815 del blocco di Ancona contro Gioacchino Murat (1767-1815) e più avanti della cacciata dei pirati barbareschi dall’Adriatico. Nel 1818 scortava con la sua divisione fino a Rio de Janeiro l’arciduchessa Leopoldina, sposa del principe ereditario del Brasile, Dom Pedro de Braganza (1798-1834). Era la prima volta che la bandiera austriaca si affacciava in quei mari. 

Altro personaggio degno di nota fu Silvestro Dandolo (1766-1847), che aveva fatto parte della squadra di Angelo Emo a Tunisi e a Sfax, l’ufficiale che il grande condottiero chiamava “la perla dei nobili di nave”. Non aveva partecipato alla disgraziata seduta del Maggior Consiglio che aveva decretato la fine della Serenissima. Vantava tra gli antenati quattro dogi, tra i quali Enrico, il conquistatore di Costantinopoli. Provveditore a Cerigo, ebbe direttamente dall’imperatore l’incarico di riportare a Venezia i quattro cavalli e il Leone di San Marco.  Guadagnò titoli e onori, divenne conte dell’impero austriaco, vice ammiraglio e vice comandante superiore della Marina, fu insignito del titolo di cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro. 

Nel 1821, al comando di Paolucci, la squadra navale austriaca aveva incrociato nelle acque di Smirne, per difendere gli interessi della casa d’Austria durante l’insurrezione greca.  Otto anni dopo, nel 1829, il veneziano Francesco Bandiera (1785-1847), capitano di corvetta, al comando di una squadra navale composta dalle unità Adria, Carolina e Veneto, oltrepassava lo stretto di Gibilterra e raggiunte le coste del Marocco bombardava la città di El Araish, al fine di ottenere il rilascio di una unità mercantile austriaca col suo equipaggio, predata dai pirati marocchini. Francesco Bandiera fu protagonista nel 1831 dell’impresa che lo mise in luce presso la corte e l’alto comando imperiale di Vienna: le Romagne erano in subbuglio e i moti insurrezionali provocarono l’intervento dell’Austria, gendarme dello status quo europeo. Al comando del maresciallo Geppert, l’esercito austriaco avanzò e occupò la Romagna, mentre la Marina, con una divisione di cinque navi, comandate da ufficiali veneziani, pattugliava le coste e l’alto mare, dal delta del Po fino ai confini dello stato pontificio. Al largo di Ancona la flotta intercettò il brigantino Isotta, con a bordo 99 insorti in fuga. Tra loro, il comandante militare dell’insurrezione, i generali Zucchi, Olivi e Rossi. I fuggiaschi erano diretti a Corfù, dove avrebbero dovuto trovare rifugio dopo la capitolazione di Ancona. Finirono tutti imprigionati; Zucchi fu condannato al carcere a vita, ma nel 1848 fu liberato. Bandiera ne ricavò onori e una carriera prestigiosissima, divenne contrammiraglio e barone dell’impero austriaco. 

Curioso personaggio, come racconta il cronista Cicogna, fu N.H. Giuseppe Maria Corner, discendente dell’antico casato, nato da Tommaso da San Canciano e da Cecilia Piovene. Ex ufficiale della Marina italica e cavaliere della Legion d’Onore, era nipote di quel Flaminio Corner che nella Serenissima aveva ricoperto la carica di inquisitore di Stato e come tale aveva fatto arrestare Giacomo Casanova (1725-1798). 

Nel 1821 il capitano di corvetta Corner perdette il grado, con la grave imputazione di avere “maneggiato” denaro pubblico. La verità però ben presto si rivelò: era accusato di avere imposto al proprio cane il nome di Francesco II. Non si sa come, l’inchiesta finì nel nulla, con la restituzione del grado e dell’incarico. Da quel momento egli diventò il più integerrimo e il più religioso uomo della Veneta Marina. 

Nel 1837 un membro della famiglia imperiale decise di entrare in Marina. Era l’arciduca Federico Ferdinando d’Asburgo-Teschen (1821-1847), terzogenito sedicenne dell’arciduca Carlo(1771-1847). Fino ad allora nessun membro della casa d’Austria era statomarinaio e tale decisione promosse un rinnovato interesse del governo di Vienna per il mare. Il giovanotto diventò in breve tempo capo della Imperiale Regia Marina. 

Nel 1839 il vicerè d’Egitto si ribellò all’Impero Ottomano e le potenze europee, Inghilterra, Russia, Austria e Prussia, decisero d’intervenire in soccorso del vacillante Impero. Gli Asburgo vollero inviare un contingente di marina a rinforzo della forza navale costituita per l’impresa.         In precedenza, nel periodo 1833-1838, la divisione navale austriaca d’Oriente era stata comandata dal contrammiraglio Dandolo. Nel 1839, per l’intervento in Egitto, il comando passò al Bandiera, e alle dipendenze di questi, il granduca Federico si mise in luce nei combattimenti di San Giovanni d’Acri e di Saida, al comando della fregata Guerriera, meritandosi la più alta decorazione al valor militare dell’impero, la croce di Maria Teresa, primo ufficiale di Marina decorato con quel prestigioso e ambito ordine. In seguito a ciò, a Vienna si cominciò a considerare diversamente e con interesse quella che fino ad allora era per il governo un’entità secondaria. L’arciduca, promosso prima contrammiraglio, poi viceammiraglio, nel 1844 divenne comandante superiore, succedendo nell’incarico a Paolucci. Il ministero della guerra gli affiancò l’ammiraglio Dandolo e il capitano di corvetta Johann Ritter von Marinovich (1793-1848). Capace e dal carattere duro, Marinovich era incaricato di condurre un’inchiesta sulle disfunzioni e le malversazioni sulle quali il governo austriaco aveva avuto sentore. Marinovich svolse l’incarico con severità e meticolosità, lasciando il ricordo di uomo potentissimo e odiatissimo. 

Complotto interno e vento di rivolta 

Il problema fondamentale della Marina Imperiale, rivelato già nel 1842 dal maresciallo ungherese conte Ferdinand Zichy de Zics et Vazsonyko (1783-1862) in un rapporto inviato a Vienna, era dovuto al fatto che la Marina non era austriaca ma italiana. La nomina dell’arciduca, il pensionamento dell’ammiraglio Paolucci, l’inchiesta di von Marinovich erano le conseguenze di eventi preoccupanti, e proprio in quel 1844 fu scoperta la cospirazione radicata nella flotta. I capi erano due ufficiali di Marina, Attilio ed Emilio Bandiera figli dell’ammiraglio più stimato per capacità e fedeltà alla casa d’Austria, Francesco Bandiera. Primogenito del contrammiraglio, imbarcato al fianco del padre col grado di aiutante, Attilio era iscritto alla Carboneria, aveva fondato la società segreta Esperia al fine di conseguire l’unità e l’indipendenza italiana. Fin dal 1842 Attilio Bandiera era in contatto con Giuseppe Mazzini (1805-1872), da quando gli aveva inviato il collega Domenico Moro (1822-1844), per offrigli la carica di dittatore quando l’Italia ormai libera sarebbe stata divisa in dodici province e sessantasei dipartimenti, come previsto dal progetto dell’Esperia. Il piano prevedeva anche la cattura della fregata Bellona e la diserzione del brigantino Veneto, con l’insurrezione armata appoggiata da appartenenti allo stato maggiore della Marina. La trama fu scoperta dalla polizia austriaca, informata da un agente infiltrato, presentato l Moro proprio da Mazzini. Nel gennaio 1844 Attilio Bandiera disertò. 

Il secondogenito Emilio era l’aiutante di Paolucci. Tra gli altri incarichi aveva quello di leggere la posta. Gli fu facile intercettare l’ordine del suo arresto, firmato dal direttore di Polizia Cattanei di Momo. Emilio nascose la lettera e chiese il permesso di andare a Trieste per un ballo, riuscendo a fuggire. Paolucci finì sotto inchiesta, poi allargata tanto che l’anno successivo molti ufficiali eranosottoposti a sorveglianza speciale. Fra loro il capitano di corvetta Luigi Matricola, gli alfieri di vascello Francesco Baldisserotto, Achille Bucchia, Antonio Santini, Amilcare Mariani, il tenente di vascello Girolamo Turra, il cappellano Pietro Insom, l’alfiere Luigi Fincati. I due fratelli e Domenico Moro furono infine fucilati in Calabria, dopo il fallimento dell’insurrezione antiborbonica.                                                                                                   Gli ufficiali affiliati all’Esperia erano numerosi, ma l’inchiesta non riuscì a raggiungere prove definitive contro i sospettati, tanto era stato mantenuto il segreto. 

Quali furono i motivi per i quali le idee rivoluzionarie avevano attecchito e si erano diffuse nell’ambiente della Marina, in special modo nel Collegio di Marina? Forse le memorie e i racconti dei veterani che avevano servito sotto il vessillo di San Marco, che avevano decantato le vittorie della gloriosa Armada da Mar veneta e le imprese di Angelo Emo, lo spirito di corpo, l’uso del linguaggio, le tradizioni della Serenissima, marcavano il distacco dagli altri popoli dell’Impero e dalle sue organizzazioni e avevano fatto nascere un sentimento di viva insofferenza. 

Federico, il giovane arciduca appassionato di Venezia e della Marina, ricoprì per soli tre anni l’incarico di comandante superiore perché, per i postumi del tifo e della malaria che aveva contratto nei viaggi nel Levante, morì nella notte tra il 5 e il 6 ottobre 1847. Gli successe per breve tempo l’ormai anziano ammiraglio Dandolo, morto poco dopo, il 16 novembre 1847. Marinovich lo sostituì nel comando interinale fino al 22 dicembre, giusto il tempo perché arrivasse il nuovo comandante superiore, il neo promosso viceammiraglio di origine italiana Antonio Stefano Ritter (von) Martini (1792-1861), direttore dell’accademia militare di Wiener Neustadt. Durò tre mesi. 

Il nuovo anno vide la ribellione di Venezia e Il 22 marzo la nascita della Repubblica Veneta di Daniele Manin (1804-1857). Gran parte degli ufficiali veneziani o dalmati dello stato maggiore della Marina austriaca passarono nell’Assemblea veneziana del 1848-49. Oltre a Paolucci, a Bucchia e Baldisserotto, vi facevano parte il capitano di vascello Graziani, suocero di Attilio Bandiera; il capitano del genio navale Antonio Alberti; il tenete di vascello Fabio Mainardi; il tenente di vascello Carlo Alberto Radaelli, lo storico dell’assedio che più tardi diventò generale; i professori del Collegio di Marina Lorenzo Grassi e il capitano di fregata Agostino Milonopulo, direttore dell’istituto e nominato da Manin comandante in capo della Marina Veneta, al posto di Leone Graziani. 

L’infelice decisione di affidare al comandante del vapore del Lloyd, che trasportava a Trieste il governatore austriaco Pàlffy, l’ordine di rientro a Venezia della squadra di stanza a Pola, col risultato di lasciare in mani austriache il grosso della flotta, è il segno dell’incompetenza e della passività dei personaggi. La Marina veneta rappresenta il capitolo più negativo di tutta la rivoluzione veneziana del 1848-49. Gli ufficiali superiori nominati da Manin, abulici e deboli, non avevano qualità di comando. Al contrario, la flotta austriaca, riorganizzata sotto il comando del danese Hans Birch von Dahlerup (1790-1872), il nuovo ammiraglio, fu impiegata per il blocco e il bombardamento di Venezia. Da parte veneziana gli equipaggi, in gran parte istriani e dalmati, non erano entusiasti e non condividevano lo slancio patriottico degli ufficiali e meno ancora dei cittadini, con il conseguente deterioramento della disciplina. Ne seguirono vari processi e una fucilazione. Lo stesso corpo ufficiali non era immune da quello spirito sciovinistico se non disfattistico. I contrasti e le divergenze sul concetto di dovere erano forti tra i giovani ufficiali e gli anziani ufficiali superiori, dei quali, secondo quanto scritto da Luigi Fincati, “nei quattro mesi corsi dall’aprile all’agosto 1949 soltanto pochi fecero il loro dovere”.                                                                                                                                                   Per l’Austria la tempesta veneziana del 1848-49 fu provvidenziale per definire il futuro dell’Imperiale e Regia Marina. La flotta veniva finalmente “austricizzata” dato che fino ad allora era stata cosa privata di Venezia, dominata da italiani, con l’italiano come lingua di comando, nomi italiani per le navi, tradizioni e mentalità italiane. 

Da quel momento in poi la flotta offrì le stesse condizioni e opportunità alle varie nazionalità dell’impero e, come nell’esercito, la lingua tedesca diventò predominante nel comando. La denominazione ufficiale diventò Kaiserische Koeniglische Kriegsmarine e l’espressione “Veneta” fu cancellata. Venezia fu messa in sottordine, pur mantenendovi la sede del comando superiore della Marina. Fu avvantaggiata Pola, divenuta l’arsenale militare austriaco più importante fino alla sconfitta dell’Impero nel 1918. 

Gli ufficiali che avevano aderito e servito la Repubblica di Manin furono dimissionati, ma realizzare in breve tempo il processo di “austricizzazione” non fu facile né rapido. Tutti gli ufficiali, di qualsiasi nazionalità, avevano studiato nel Collegio di Marina di Venezia, come l’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff (1827-1871), artefice e protagonista della vittoria della flotta austriaca nella battaglia di Lissa, il 20 luglio 1866. Gli equipaggi dovevano essere arruolati lungo le coste adriatiche dell’impero, che altro non erano se non gli antichi possedimenti veneziani, escluse Trieste e Ragusa.  

Bibliografia 

“Venezia austriaca”, Alvise Zorzi, Laterza 1985; 

“Lissa, ultima vittoria della Serenissima”, Etttore Beggiato, Il Cerchio 2013; 

https://www.cherini.eu/KuK/Kriegsmarine.htm

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