Ahmad Shah Massoud, il ‘Leone’ del Panshir. Di Roberto Roggero.

Aḥmad Shāh Masʿūd, noto anche con lo pseudonimo di generale Massoud.

Nel ventesimo anniversario della morte dell’eroe nazionale afghano, il fratello ne ricorda la figura in un incontro a Roma, nel corso del quale è stata ricordata anche la tragedia delle Torri Gemelle, e conferma la leadership del figlio, che ne raccoglierà la difficile eredità.

A due decenni dalla scomparsa del leggendario Leone del Panshir, nemico giurato dei Talebani, Ahmad Shah Masoud, la sua eredità in un Afghanistan nuovamente nelle mani degli estremisti islamici è stata raccolta dal figlio, Ahmad, che attualmente vive nei territori montani e inaccessibili che hanno reso famoso il padre, e in attesa di riprendere la resistenza e riportare ancora una volta il Paese verso un progresso e non una involuzione.

Il 10 settembre 2021, Wali Ahmad Masoud, fratello del Leone del Panshir, ha preso parte a Roma a un incontro nel quale sono state ricordate anche le oltre tremila vittime dell’11 settembre 2001 a New York. 

Voci provenienti dall’Afghanistan dicono che il Panshir è stato espugnato dai Talebani, ma Wali Masoud ribatte che si tratta di notizie false: “Controllare una strada non vuol dire controllare il Panshir. E’ un territorio sterminato, con villaggi remoti in ogni anfratto, in ogni valle, e in gran parte anche inesplorato. I talebani possono solo sognare di farlo, e il resto del mondo può anche crederci, ma è decisamente falso”. 

Chi combatte i Talebani da oltre 40 anni, come il Comandante Masoud e il fratello Wali, si è trovato diverse volte in situazioni estreme, e dai villaggi che si trovano nelle ampie vallate, si è visto costretto a salire sulle inaccessibili montagne, nei rifugi allestiti in profonde e ramificate grotte naturali. L’unica strada che attraversa il Panshir, è stata conquistata molte volte da ribelli e invasori, come dalle truppe del regime kemalista filorusso, dalle truppe sovietiche, e come già una volta gli stessi Talebani, ma nessuno è mai riuscito a controllare la regione, e i Mujaheddin sono sempre riusciti a cacciare ogni intruso o chiunque tentasse di penetrare nel Panshir con la forza. 

La situazione oggi è pressoché identica, con la nascita del Fronte Nazionale della Resistenza guidato dal giovane Ahmad Masoud, e Wali Masoud che si occupa dei finanziamenti per il movimento clandestino anti-talebano, ed è rimasto oltre confine perché quando i Talebani sono entrati a Kabul si trovava in Pakistan, mentre la comunità internazionale volta la testa e l’esercito regolare è collassato su sé stesso, secondo quella che Wali Masoud definisce “una precisa strategia dell’incaricato americano Zalmay Khalizad e dell’ex presidente Ashraf Ghani, che hanno regalato il potere ai nuovi padroni. La prova più clamorosa, è stata la disposizione per tutti i comandanti di unità, di non opporre alcuna resistenza e consegnare armamenti e dotazioni al governo talebano. E il presidente americano Joe Biden ha detto di non voler che suoi soldati difendessero un governo che gli stessi afghani non volevano proteggere. La domanda è: perché dopo oltre 20 anni, gli americani e i loro alleati hanno deciso di abbandonare l’Afghanistan a sé stesso? La risposta è molteplice, ma soprattutto segue la ben nota regola non scritta: cui prodest?

Masoud detto il ‘Leone’

Proprio il 10 settembre 2021, la tomba del Comandante Masoud è stata profanata dai Talebani, in segno di spregio e a dimostrazione della loro sedicente superiorità. L’atto è stato naturalmente considerato un’offesa, e ha scatenato le ire dei Mujaheddin, mentre le rappresaglie dei Talebani sulla popolazione si traducono in indicibili massacri. 

Ogni Mujaheddin, è pronto a fare tesoro degli insegnamenti del Leone del Panshir e a combattere, sempre sottomesso alla sua guida illuminata.

Celebre la dichiarazione in cui Ahmad Masoud disse: “Il terrorismo non è solo un nostro problema, ma di tutti. Possiamo vedere che il terrore si è diffuso in tutto il mondo, ma non il terrore che viene propagandato per scatenare una guerra, ma il terrore autentico, che non guarda in faccia a nessuno”.

Qual è la storia di questo personaggio, entrato a far parte della leggenda e della storia del popolo afghano?

Ahmad Shah Masoud nasce nell’Alto Panshir (o Panjshir) in un minuscolo villaggio fra gli insediamenti di Jangalak e Bazarak, nel settembre 1953, nell’allora Regno di Afghanistan. Il padre era ufficiale di polizia, e volle che il giovane Ahmad fosse istruito, per cui lo iscrisse alla scuola di grammatica di Bazarak, che dovette poi lasciare perché il genitore fu nel frattempo promosso comandante della polizia di Herat, dove Ahmad riceve gli insegnamenti religiosi, presso la moschea di Masjed e-Jame. 

Poco tempo dopo, il padre è ancora trasferito, questa volta nella capitale, dove Ahmad frequenta il liceo “Esteqlal” studiando francese, per poi iscriversi, grazie all’influenza paterna, al prestigioso Istituto Politecnico di Architettura, che risulterà segretamente sovvenzionato dai servizi segreti di Mosca, che stavano “esplorando” il paese per il crescente interesse sovietico.

L’ambiente studentesco di Kabul, l’incontro di differenti culture, l’influenza francese e sovietica, accrescono il notevole bagaglio culturale del giovane Ahmad Masoud, e saranno alla base delle determinanti scelte future: la religione sarà fondamentale nella sua vita, ma il duplice contatto con la modernità della cultura occidentale svilupperanno in lui un profondo senso nazionalista e un radicato sentimento anti-sovietico. 

Negli anni Settanta, il sentimento religioso e l’attaccamento all’indipendenza del proprio Paese, lo portano all’azione diretta, ma in tentativi senza successo, perché male organizzati a causa della mancanza di esperienza. Ahmad Masoud diventa un ricercato, e costretto a trovare rifugio nella terra natale, il Panshir, quindi passa in Pakistan, dove ha occasione di allacciare contatti determinanti in futuro, per creare il grande movimento di resistenza, che prenderà vita in territorio pakistano per poi diffondersi nel Panshir, in vista della ormai imminente quanto evidente invasione sovietica.

Nel 1972, Ahmad Masoud entra nella Organizzazione della Gioventù Musulmana, ramo studentesco della più radicata Jamiyat al-Islam capeggiata da Burhanuddin Rabbani, insegnante che si opponeva alla influenza sovietica sempre crescente. L’instabilità politica, scossa alle basi da una massiccia azione dei servizi sovietici, portò al colpo di stato che depose Mohammed Daud Khan, che a sua volta aveva conquistato il potere con lo stesso metodo, ma nel frattempo, il movimento antisovietico si scinde fra i sostenitori di Rabbani (poi a capo del governo) e quelli di Gulbuddin Hekmatyar, fondatore di Hezb-e Islami.

Nel frattempo, a Peshawar, in Pakistan, Masoud e altri esuli della rivoluzione islamica afghana, cercano di trovare un accordo per unificare il fronte dell’opposizione, ma le aspirazioni tribali e politiche costituirono da subito un problema di difficile soluzione. 

Mentre Masoud si trova in Pakistan, nel 1978 un nuovo colpo di stato, orchestrato dal Partito Democratico Popolare, dichiaratamente filo-sovietico (il che è un dato non certo da trascurare), porta a un processo di laicizzazione e sovietizzazione di livello nazionale, ma il territorio del Panshir rimase legato alla propria tradizione e cultura.

A questo punto, Masoud decide di rientrare in Afghanistan e organizzare la resistenza, che si impone di guidare fino alla cacciata di ogni invasore. L’organizzazione si rivela funzionale ed efficace, grazie a una sorprendente ramificazione e una profonda conoscenza del territorio, ma anche a livello organizzativo e gestionale il movimento dimostra di funzionare. 

Fra il 1979 e l’89 Masoud si dedica all’allestimento di una struttura che potesse affrontare la disparità di forze che avrebbe caratterizzato la guerra contro l’Unione Sovietica. Il metodo adottato fu quello della guerriglia, perfettamente adattato al particolare teatro di conflitto, basato anche su uno studio meticoloso dei grandi teorici della guerriglia, da Mao Zedong, al generale Giap, a Ernesto Guevara.

Grazie a teoria e applicazione pratica, unite a una ferrea disciplina, il nome di Masoud comincia a circolare, finché l’Armat Rossa è costretta a ripassare il confine e leccarsi le profonde ferite, e dopo aver tentato ben dieci massicce quanto inconcludenti e dispendiose offensive per conquistare la valle del Panshir.

Gli eventi furono a tal punto rapidi che, nel 1992, Ahmad Masoud si ritrova a occupare la carica di ministro della Difesa, in un governo formato forse troppo in fretta, secondo i dettami dell’Accordo di Peshawar, una sorta di spartizione concordata fra le varie forze politiche, in seguito alla scomparsa del governo filo-sovietico.

L’Afghanistan, per sua stessa formazione, tradizione e cultura, è un Paese che, storicamente, nessun invasore è mai riuscito a conquistare, ma è anche profondamente diviso al proprio interno, e questa è una delle sue debolezze. Per questo, nessun governo centrale è mai riuscito a unificarlo completamente. Del resto, lo stesso Panshir è sempre rimasto un Paese all’interno di un Paese. Su questa base, nemmeno l’azione del nuovo governo riuscì a estendere la propria legittimità su tutto il territorio nazionale. Un Afghanistan unificato e pacifico rimase, e rimane, un obiettivo mai raggiunto. 

Con Masoud membro del governo, scoppia infatti una successiva rivolta armata, capeggiata Gulbuddin Hekmatyar, sovvenzionato dal vicino Pakistan, fin da quando Masoud combatteva contro l’Armata Rossa.

Se inizialmente, nel 1980, la resistenza di Masoud contava su un gruppo di poco più di mille uomini, nel 1984 comandava già oltre 5.000 combattenti, che nel ‘90 erano diventati circa 15.000. Quando l’ago della bilancia iniziò a pendere in favore della resistenza, i successi più significativi li colse proprio Masoud, che nell’agosto 1986 riuscì a occupare Farkhar, nella provincia di Takhar, e nel novembre successivo conquistò il quartier generale di una divisione dell’esercito governativo nella provincia di Baghlan. Dopo il ritiro sovietico e altri tre anni di guerra, nel 1992, anche il governo comunista afghano crollò. 

Massacri, rappresaglie, violenze di ogni genere si diffondono, fino al 1995, quando ancora Masoud sconfigge Hekmatyar e i suoi sostenitori ma, nel frattempo, entra in scena un nuovo nemico, gli studenti del Corano, i Taebani, ancora sostenuti dal Pakistan.

Masoud scende nuovamente in guerra, combatte e comanda la resistenza per oltre due anni, poi è costretto a fuggire da Kabul nel settembre ’96, quando i Talebani prendono il controllo, e a rifugiarsi nuovamente nel Panshir.

Durante gli anni successivi, in una drammatica quanto accanita resistenza, nasce la leggenda del Leone del Panshir, impegnato contro l’Emirato Islamico Teocratico, basato su una interpretazione del Corano estremamente rigida, che comporta, com’è ormai noto, la totale esclusione da ogni attività sociale, culturale, politica e pubblica delle donne, con una violenza iconoclasta verso tutti i simboli non islamici, come le grandi statue dei Buddha di Bamiyan, demolite a colpi di cannone.

A partire dal 1996, la resistenza militare di Masoud, riunita nell’Alleanza del Nord, cominciò a operare secondo schemi ben definiti, rielaborati sulla base della vittoria contro l’invasore sovietico. Strategia indiretta, guerriglia, mobilità e rapidità.

La resistenza alle offensive dei Talebani cominciò a dare i suoi frutti e, com’era accaduto negli anni Ottanta, i guerriglieri e le guerrigliere del Panshir furono determinanti nella vittoria, politica prima che militare. Fu a questo punto che in Afghanistan ebbe inizio l’operazione Enduring Freedom, con gli Stati Uniti alla guida di una massiccia coalizione internazionale, che rovesciò sull’Afghanistan un’autentica tempesta di fuoco.

Il legame con le Torri Gemelle

Che cosa legherebbe la morte del Comandante Masoud e gli attentati di New York? 

In una analisi a posteriori, e secondo alcune recentissime rivelazioni, pare che proprio il giorno della morte di Masoud, dall’Afghanistan sia partito il segnale che dava il via all’operazione. E pare sia partito proprio dalla valle del Panshir, a nord-est di Kabul e a circa quattro ore di viaggio.

Il Panshir dei Talebani, le grotte inviolabili che diedero rifugio al Comandante Masoud, ospitarono anche Osama bin Laden, che celebra l’onore del sacrificio, il martirio di chi dona la propria vita per la morte del nemico. Lo stesso metodo che ha ucciso due giorni prima il Leone del Panshir.

L’uomo che aveva organizzato una perfetta rete militare di protezione, con i suoi Mujaheddin, fino a 48 ore prima che due aerei si schiantassero contro le Twin Towers. Ed è quel giorno che lo scudo nel Panshir, territorio grande 1/10 di tutto il Paese, viene violato per la prima volta e il clamoroso attentato suicida contro Masoud, di cui in altre condizioni si sarebbe potuto parlare per mesi in tutte le redazioni di giornali nel mondo, è oscurato dall’attacco alle Torri Gemelle.

I due fatti sono quindi collegati, ovviamente con differenze e conseguenze di base, poiché in un caso muore un uomo, pur figura chiave, nell’altro muoiono più di tremila persone. In entrambe i casi muoiono anche le speranze di pace, il prestigio e il senso di sicurezza, a livello mondiale. L’omicidio di Masoud, in sé, è presto detto, ma quel che colpisce è la dinamica, l’archetipo con cui tutte le procedure di sicurezza vengono aggirate, esattamente come accadrà a New York, al Pentagono e sopra i campi della Pennsylvania. Una tecnica ben nota, e fin dai tempi del poeta Omero: quella del cavallo di Troia. 

La premessa è che per chiunque sarebbe stato del tutto impossibile arrivare a tiro di Kalashnikov per uccidere il Comandante Masoud. Così, ai suoi nemici, non rimase che l’inganno: fare leva sul narcisismo di un uomo potente, sempre tentato dal desiderio di comunicare le proprie idee. Un’intervista, concordata con una falsa troupe, con finti giornalista e cameraman in possesso di falsi passaporti belgi. Perquisiti entrambi, ma la telecamera, forse la videocassetta, era imbottita di esplosivo. Masoud morì così, nel proprio ufficio, mentre il figlio, oggi suo erede, giocava a pochi metri di distanza. 

Massoud era un tajiko, ma soprattutto una figura d’altri tempi. Possedeva una profonda cultura, studiava filosofia, impareggiabile capo militare, capace di stringere alleanze profonde, come nel caso di quella con l’ex nemico, il generale uzbeko Doshtum, per dare vita all’Alleanza del Nord.

Probabilmente fu proprio questo che determinò la condanna a morte del Comandante Masoud, che forte dei suoi contatti internazionali e del credito che gli dava la sua cultura personale, aveva cominciato a essere troppo presente in Occidente, per denunciare le connessioni fra Talebani e Al-Qaeda, offrendo l’Alleanza del Nord come testa di ponte per scardinarne il potere, come i curdi nei confronti dell’Isis, in Siria e Iraq. Dietro il suo omicidio c’è una triangolazione fra Osama bin Laden, i Talebani e i servizi pakistani, ma soprattutto un segnale ai terroristi pronti a dirottare gli aerei, negli Stati Uniti.

Una gravosa eredità

Nel settembre 2001 il Comandante Masoud rimane vittima di un attentato suicida, mentre si trovava aKhvajeh Baha Oddin, per mano di due kamikaze, travestiti da giornalisti di una emittente marocchina. 

Diverse polizie internazionali fecero indagini. Dal Belgio si seppe che i due attentatori erano stati reclutati a Bruxelles da un connazionale, un sedicente Emiro, cioè un “comandante militare”. Ulteriori controlli chiarirono che il reclutatore si chiamava Sayf Ben Hassine, fondatore dell’organizzazione salafita tunisina Ansar Al-Shari, che faceva capo a Al-Qaeda.

Gli attentatori avevano nascosto una potente bomba all’interno di una telecamera. Uno di loro morì sul colpo, l’altro rimase ferito e fu catturato dalle guardie del corpo di Masoud, che lo portarono immediatamente in prigione. In cella fu perquisito e gli venne trovata una pistola, tentò la fuga ma fu freddato da una fucilata. Questa la versione ufficiale.

L’ultimo libro sul ‘Leone’ del Panshir.

La morte del Leone del Panshir, simbolo dell’Afghanistan indipendente, è stata una sostanziosa vittoria, soprattutto a livello psicologico, da parte dei Talebani e soprattutto di Al-Qaeda e Osama bin Laden, che stava per attuare un colpo che avrebbe cambiato la storia: gli attentati dell’11 settembre 2001. E qui si apre un capitolo sterminato. 

Di fatto, in Afghanistan viene a mancare la figura di riferimento, il principale comandante che si opponeva ad Al-Qaeda e ai Talebani, in vista delle prevedibili reazioni occidentali agli attentati di Manhattan.

Ai funerali del Comandante Masoud presero parte oltre centomila persone. Fu sepolto a Bazarak, nella valle del Panshir, mentre il secondo in comando, il connazionale tagiko Mohammed Fahim, tenta di tenere le redini del movimento oggi ereditato dal figlio, nato nel luglio 1989 e cresciuto per occupare il ruolo che fu del padre. Nel 2002 Ahmad Shah Masoud è stato proclamato eroe nazionale.

Il Panshir è al centro dell’attenzione, per i Talebani nuovamente padroni dell’Afghanistan. Qui il giovane Ahmad Masoud, figlio di Ahmad Shah Masoud, guida la nuova resistenza contro i Talebani.

Fino a pochi giorni fa la foto di Masoud campeggiava in tutti gli uffici governativi. Il suo nome evoca le drammatiche vicende che hanno coinvolto per decenni l’intero Paese. La vicenda di quest’uomo prende le mosse dal destino di un territorio che ha sempre attirato troppi invasori e non è mai stato sottomesso. La posizione geografica infatti, posta al centro di molte importanti vie di comunicazione dell’Asia Centrale, ne ha sempre fatto una preda ambita, da Ciro il Grande fino al XIX secolo, quando l’Afghanistan fu al centro di quello che è passato alla Storia come “Grande Gioco” fra Inghilterra e Russia.

Un gioco senza esclusione di colpi, ampiamente dimostrato dagli esiti dell’invasione sovietica cominciata nel dicembre 1979. I Mujaheddin della Valle del Panshir sono sempre stati una spina nel fianco di ogni invasore. Nel caso specifico si trattò dell’intera 40a Armata sovietica.

Masoud pronunciò un sentito discorso anche al Parlamento Europeo di Strasburgo, per chiedere l’appoggio dell’Occidente e per mettere in guardia il mondo contro il pericolo del capo dei talebani, il mullah Omar, e del re dei terroristi islamici integralisti, Osama Bin Laden, che volevano ì instaurare una teocrazia in Afghanistan. 

L’Afghanistan però non ebbe occasione di conoscere condizioni di pace, perché a Kabul iniziò subito una guerra civile tra le varie fazioni islamiche che in precedenza avevano lottato contro l’invasore sovietico. Masoud fu costretto a combattere ancora, questa volta contro i movimenti islamici più radicali, come Hezbi Islami di Hekmatyar, e soprattutto contro i Talebani.

Ancora una volta il Panshir diventa santuario: da qui oggi un altro Ahmad Masoud, oggi poco più che trentenne, conduce la lotta contro il regime talebano, e pare che il combattere sia ormai destino scritto di famiglia.

Bibliografia :

“Il leone del Panshir. Dall’Islamismo alla libertà” – Michael Barry, 2003.

“Massoud, destinato alla lotta” – Fabio Riggi, Focus Storia Wars, 2017.

“La Confession de Massoud” – Olivier Weber, 2013. 

“Modern Afghanistan: A History of Struggle and Survival” – Amin Saikal, 2006. 

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