Islam moderato: realtà o illusione? Di Vittorio di Lepanto.

Manifestazione di donne musulmane.

Dopo gli ultimi, ennesimi attentati terroristici in Francia, diversi intellettuali hanno proposto soluzioni per cercare di scongiurare lo ‘scontro di civiltà in atto’.

Per tutti la parola d’ordine è stata “integrazione”, benché le statistiche ci dicano che sono proprio le ultime generazioni di musulmani ad essere più restie ad accettare i valori occidentali, a dimostrazione del fatto che il processo di integrazione sembra destinato al fallimento.

Fallimento, a mio modo di vedere, dovuto anzitutto a un “peccato originale” che è alla base della pretesa di integrazione a tutti i costi: il voler imporre, sia pure in modo soft, i nostri valori a popoli che non li condividono, presupponendo dunque una nostra superiorità etica e culturale di fondo che sfocia in un eurocentrismo non troppo dissimile da quello dei colonizzatori occidentali del passato. In altre parole: gli europei, nella loro infinita bontà, pretenderebbero di convertire alla propria causa popoli che, sebbene non lo si proclami ad alta voce, vengono considerati “barbari e incivili”. A questa nuova forma di suprematismo i “barbari” avrebbero buon gioco a rispondere, con giusta ragione, che i nostri valori di democrazia e tolleranza non valgono uno zero, dal momento che ora siamo noi a farci invadere e massacrare da loro, incapaci di reagire e infiacchiti come siamo dagli stessi principi che ci illudiamo di elargire come verità assolute.

In effetti sarebbe molto più onesto e rispettoso della cultura islamica tagliare il nodo di Gordio imposto dal politically correct e ammettere l’incompatibilità tra i nostri valori, basati sulla cultura greco – romana e giudaico – cristiana, e quelli proclamati dal Corano. Da questa posizione conseguirebbe la necessità di interrompere immediatamente i flussi migratori e di incoraggiare o addirittura imporre il processo opposto di “remigrazione”, ovvero il ritorno degli immigrati nei paesi di origine: sulla base del principio “Ognuno a casa propria, governato dalle leggi che preferisce”.

La “remigrazione” si potrebbe ottenere in due modi, uno più drastico uno più soft: in primo luogo mettendo fuori legge l’Islam, come hanno fatto recentemente in Angola, favorendo invece l’immigrazione dei cristiani provenienti dalle nazioni islamiche, che sono i veri perseguitati del mondo attuale. Oppure istituendo permessi di soggiorno a tempo determinato, come in Giappone: 15–20 anni di permesso e poi a casa, con un bel gruzzoletto frutto dei risparmi da investire o da godersi nella propria nazione. Permessi di soggiorno e perfino cittadinanza andrebbero revocati per coloro che si macchiano di reati o che danno prova di mancata integrazione, principio da applicare, per equità, anche agli immigrati non musulmani.

Alle anime belle che dovessero stracciarsi le vesti per l’indignazione suscitata da tale proposta, ricordo che uno stato di diritto che venga attaccato ha il dovere di difendere i suoi cittadini con atti di forza, purché non degenerino nella violenza. Ricordo inoltre che Gheddafi nel 1969 cacciò dalla Libia, nel giro di pochi giorni, decine di migliaia di italiani che vivevano e lavoravano lì da generazioni, dopo aver confiscato loro tutti i beni. Certo, Gheddafi era un dittatore, ma non si vede perché le democrazie occidentali debbano continuare a trattare con i guanti chi, dopo essere stato accolto e affrancato dalla miseria, reagisce portando terrorismo, stupri di massa, criminalità e degrado. O, nella migliore delle ipotesi, costruendo nelle nostre città una società parallela basata su valori opposti a quelli di chi li ospita. Ma gli apostoli dell’integrazione, costi quel che costi, non demordono dalla loro illusione, proponendo due ricette, peraltro opposte tra loro.

La prima, che per fortuna trova sempre meno esponenti, sosterrebbe che non è stato fatto ancora abbastanza per integrare i giovani musulmani emarginati nelle squallide Banlieu francesi e che si devono investire ancora più risorse per ingraziarseli. Insomma, viene riproposta la solita sociologia d’accatto di sinistra, terzomondista ad oltranza, palesemente volta a colpevolizzare sempre e comunque l’Occidente capitalista, responsabile di tutti i mali del mondo. Analisi peraltro contraddittoria, dal momento che sono pur sempre i valori occidentali ad essere invocati, per realizzare la tanto agognata integrazione. Analisi per giunta superficiale, perché non tiene conto del fatto che le squallide periferie – dormitorio esistono in tutto il mondo: possono produrre degrado e microcriminalità, ma non certo dei mostri che sgozzano o travolgono con i camion passanti innocenti, al grido di “Allah u-akbar”!

Invertendo l’ordine dei fattori, per così dire, il risultato non cambia: nelle banlieu francesi vivono centinaia di migliaia di immigrati non islamici che lavorano, si integrano e danno il loro contributo alla società che li ha accolti. Inoltre, le banlieu saranno anche squallide, ma non mi risulta che i musulmani che le abitano vivessero prima nella reggia di Caserta, quindi non vedo perché la sinistra debba stracciarsi le vesti per la loro dolorosa sorte…

La questione posta dalle periferie degradate rimane dunque in sospeso: perché proprio solo i musulmani sono così restii all’integrazione? La risposta non può che essere di carattere culturale, per i motivi che cercherò di riassumere più avanti.

La seconda teoria pro-integrazione farebbe invece riferimento all’ “Islam moderato” come unico interlocutore in grado di isolare i violenti e far vivere armoniosamente quelli pacifici con tutte le

altre etnie, sotto il rassicurante ombrello della società multietnica. Ma qui si pone una domanda alla quale non è stata data mai una risposta esauriente: cosa si intende per “Islam moderato”?

In genere nella categoria si comprendono quelli che rifiutano il radicalismo violento e le azioni terroristiche; tuttavia non si riflette sul fatto che ciò non è sufficiente per definirli moderati secondo i nostri standard: l’Europa è piena di bravi musulmani che lavorano, vivono tranquillamente e danno l’impressione di essere integrati, ma che antepongono la Sharia alle leggi dello stato che li ospita. Ad esempio: ritengono la donna inferiore all’uomo, non accetterebbero mai che si fidanzasse con un cristiano (a meno che lui non si converta all’Islam), rifiutano la divisione tra Stato e Religione e sono convinti, in buona fede, che l’Islam debba conquistare il mondo. “Rebus sic stantibus”, quando costoro diventeranno maggioranza in Europa grazie al loro maggior tasso di natalità, noi, volenti o nolenti, dovremo sottometterci alla Sharia, diventando, a tutti gli effetti, dei Dhimmi. A tal proposito, ritengo che la conquista islamica dell’Europa proceda con una strategia a tenaglia, ben chiara a chi sappia vedere oltre le apparenze: mentre noi ci affanniamo a combattere il braccio violento della tenaglia, l’altro braccio, composto dai “buoni e giusti”, si ingrandisce e si chiuderà inesorabilmente, fino a conquistare il potere senza colpo ferire, con libere elezioni. Come ci ha insegnò, a suo tempo zio Adolfo, in arte Fuhrer.

C’è chi ha riassunto questa strategia “a tenaglia” con una battuta: “la differenza tra gli islamici moderati e gli estremisti sta nel fatto che i primi non ammazzano nessuno perché lasciano che a farlo siano i secondi”.

In maniera più neutra, io mi limito a sintetizzare la differenza con una formula matematica, estremisti islamici : moderati islamici = moderati islamici : cittadini occidentali. Esiste infine una terza teoria che, nel definire l’ “Islam moderato”, fa riferimento ad una nutrita schiera di teologi liberali o progressisti che tentano un’impresa intellettuale impossibile quanto la quadratura del cerchio: interpretare il Corano in un’ottica tale che lo renda compatibile con i valori occidentali. Per arrivare a questa conclusione si seguono due strade: o la contestualizzazione dei versetti più bellicosi, scritti in un’epoca di lotte e guerre necessarie alla sopravvivenza dell’Islam in un mondo ostile, ma anacronistici al giorno d’oggi; oppure un’interpretazione filologicamente raffinata, volta a dimostrare che tali versetti possono essere letti in modo meno vincolante.

Il primo ostacolo che però questi teologi trovano è, semplicemente, quello della loro stessa sopravvivenza: molti di loro si sono dovuti rifugiare in Occidente perché minacciati di morte dai fondamentalisti, come riportato anche alla fine del primo articolo postato qui.

Qui elencherò altri tre teologi progressisti perseguitati dai loro “fratelli di fede”: Nasr Hamid Abu Zayd, egiziano, costretto dalle minacce di morte a fuggire in Olanda, e Fazlur Rahman Malik, pachistano, obbligato a rifugiarsi e ad insegnare negli USA.

Amina Wadud, afroamericana convertitasi all’Islam negli anni 70, teologa e femminista: ovvero una delle tante femministe pro immigrazione che, con un misto di arroganza e ingenuità, pretendono di far convivere pacificamente il diavolo e l’acquasanta. Minacciata di morte (negli Stati Uniti, si noti bene) per aver osato, lei donna, condurre la rituale preghiera del Venerdì con un gruppo di seguaci.

Pare che l’esperimento non sia stato più ripetuto: https://it.wikipedia.org/wiki/Amina_Wadud

Purtroppo il nobile sforzo di questi isolati intellettuali non ha prodotto risultati tangibili: non esiste ancora un movimento di massa che porti avanti l’ideale di un Islam tollerante. In altre parole, come già sosteneva la Fallaci quasi venti anni fa, per la legge dei grandi numeri esistono certamente musulmani perfettamente integrati nella società occidentale, ma una vera e propria corrente riformatrice è, per usare un simpatico gioco di parole, un’araba fenice.

Da allora non mi risulta che sia cambiato alcunché, anzi, da quanto riportato nei primi articoli qui postati, la situazione è in netto peggioramento.

Ma quali sono, dal punto di vista teologico e ideologico, le ragioni del fallimento di tali encomiabili intenzioni?

A mio modo di vedere si possono riassumere in quattro punti fondamentali: 1) Le cosiddette “porte dell’interpretazione coranica” sono state chiuse fin dal Medioevo e da allora qualsiasi tentativo di rilettura del sacro testo dell’Islam viene osteggiata o considerata apertamente eretica. 2) I versetti più bellicosi appartengono alle Sure Medinesi, scritte dopo l’Egira, ovvero la fuga di Maometto dalla Mecca verso Medina, mentre quelli più mistici e tolleranti appartengono alle Sure Meccane, scritte in precedenza. Per il c.d. “Principio di abrogazione”, in caso di messaggio contradditorio tra un versetto meccano e uno medinese, il secondo abroga il primo, poiché Allah è sempre libero di cambiare idea e di prescrivere una diversa regola di vita. 3) Ne consegue che mettere da parte o addirittura eliminare i versetti che incitano alla Jihad significherebbe mutilare e snaturare il Corano in modo irrimediabile. Anzi, arrivo a sostenere che così verrebbe privato di gran parte del suo fascino: un fascino pericoloso, certo, ma pur sempre seducente per chi, come i fanatici, mette la violenza al servizio della causa di uguaglianza e giustizia universale, promessa dal sacro libro dell’Islam. Qualcosa di molto simile, insomma, agli ideali della sinistra rivoluzionaria che, come scriveva Karl Popper: “Per voler portare il paradiso in terra, ha creato un rispettabile inferno” (“La società aperta e suoi nemici”).

Questa pulsione di uguaglianza sociale, da conseguire con ogni mezzo, può spiegare il fascino che l’Islam esercita tuttora sulla sinistra: un fascino suicida, come ci ha insegnato la rivoluzione islamica in Iran, che ha avuto successo anche grazie al contributo dei militanti marxisti. Peccato solo che, una volta salito al potere, Khomeini ha ricambiato il favore eliminandoli, incarcerandoli o esiliandoli. Ma, evidentemente, i compagni hanno la memoria corta, oppure, nell’ostinarsi a sostenere l’immigrazione islamica, si illudono di poter cavalcare la tigre del fanatismo religioso, che, una volta sguinzagliata, li disarcionerà per farli a pezzi.

4) Le raffinate esegesi e analisi filologiche dei teologi progressisti trascurano, a mio avviso, un elemento essenziale che, purtroppo, finisce col dar ragione ai sostenitori dell’interpretazione letterale : il Corano non è stato scritto per essere letto se non da pochi intellettuali, in un’epoca nella quale la stragrande maggioranza della popolazione, in Oriente come in Occidente, era analfabeta e i libri ricopiati a mano costosissimi. Il Corano veniva (e tuttora viene) trasmesso oralmente all’interno di una moschea o dall’alto di un minareto a masse di persone che dovevano solo comprenderlo, introiettarlo ed obbedirlo, esattamente come si fa con gli ordini militari.

Quanto agli Imam o ai Muezzin che lo proclamavano alle masse, il principale sforzo intellettuale loro richiesto era quello di impararlo a memoria, come si fa ancora oggi nelle scuole coraniche o Madrase. Il significato stesso della parola “Corano”, infatti è sia “lettura” che “recitazione salmodiata”.

Concludo con alcuni pareri di illustri personaggi sull’ “Islam moderato”:

Annie Laurent, profonda conoscitrice dell’Islam, anche recentemente ci ha messo in guardia sull’illusione di trovare tolleranza all’interno del Corano, cosa che, dall’altra sponda, ha fatto anche Erdogan, con apprezzabile onestà intellettuale. Da ultimo ricorderò che Elias Canetti, in “Massa e potere”, definisce l’Islam come “Religione della guerra”, nella quale “…la bipartizione tra fedeli e infedeli è assoluta”.

Canetti, a sua volta, fa riferimento a Ignaz Goldziher, tra i massimi studiosi dell’Islam del secolo scorso, per il quale ”Maometto è il profeta della lotta e della guerra”.

La prova del nove su quanto sia poco affidabile l’ “Islam moderato”, anche in Italia, si è avuta con l’episodio di Silvia Romano: la giovane è stata accolta dopo la prigionia con tutti gli onori dai

musulmani italiani, che hanno perso l’occasione, dimostrando anche miopia politica, di dissociarsi dalla sua conversione all’Islam terrorista di Al-Shabaab, estorta con la forza.

Dopo quanto esposto, ritengo che un “Islam moderato” non possa esistere, se non su basi teologiche ed ideologiche estremamente fragili. Dunque l’unico modo per un musulmano di aderire ai nostri valori sarebbe quello di abbandonare la sua religione, convertendosi al Cristianesimo, oppure proclamandosi ateo/agnostico.

Peccato però che l’apostasia venga tuttora punita in diverse nazioni islamiche con la pena di morte, in base ad un versetto coranico (4, 89): “Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate.” E con questo il cerchio sul cosiddetto “Islam moderato” si chiude, come il cappio attorno al collo di chi osi abbandonare la “Religione di pace”.

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