Il Concilio Vaticano Secondo e la nascita della teologia ‘relativista’. Di Piero Vassallo.

Il Concilio Vaticano Secondo.

Il Concilio Vaticano II si svolse secondo un’ispirazione diversa e talora del tutto contraria a quella dichiarata dai documenti preparatori, elaborati dalla Curia romana, in esecuzione delle direttive di Giovanni XXIII e sotto la sapiente direzione del cardinale Alfredo Ottaviani. Il Papa Buono aveva invitato Ottaviani e i suoi collaboratori ad approfondire e sviluppare eodem sensu et eadem sententia la dottrina della Chiesa cattolica [1], un’impresa che, nel 1870, il Concilio Vaticano I non aveva portato a termine a causa dell’occupazione piemontese di Roma. Purtroppo le decisioni di Giovanni XXIII passavano attraverso il filtro di quella volontà influenzabile, instabile e oscillante, che si manifestò (ad esempio) tra il 1960 e il 1961, quando dopo aver affidato al card. Giuseppe Siri l’incarico d’impedire la costituzione del centrosinistra, il Papa sopportò (o permise) che voci autorevoli facessero sapere a Paolo Emilio Taviani e a Vittorio Pertusio che era lecito costituire nel comune di Genova una giunta Dc-Psi. Il Papa, con nuova flessione della propria volontà, rimproverò il card. Siri per non avere impedito la formazione del centrosinistra a Genova. I risultati del Vaticano II capovolsero le intenzioni dichiarate ma non sostenute dal Papa e obbedite dai collaboratori del card. Ottaviani. Resa invisibile la desolante involuzione della filosofia dopo Kant, i protagonisti del Vaticano II poterono ammorbidire gli spigoli della dottrina cristiana, nella pia convinzione d’incontrare il favore degli erranti, che Giovanni XXIII aveva visto in cammino verso la correzione dei loro errori. Il gesuita Karl Rahner, uno dei più influenti e celebrati protagonisti dello storico evento, nell’introduzione ai documenti del Vaticano II, affermò sfacciatamente: “Non si può negare che un determinato gruppo di teologi romani nei mesi precedenti all’apertura, avesse creduto che il Concilio non potesse fare praticamente altro che accettare ed applaudire al progetto di decreti elaborati dalle commissioni preconciliari radunate sotto il controllo del papa e che non fosse né possibile né pensabile, qualunque discussione o diversità di opinione notevole. Ma il Concilio, e fin dalla prima sessione, ha sempre respinto recisamente questo metodo e questo sistema. Le discussioni si svolsero in piena libertà e con indiscussa franchezza e così il Concilio arrivò a conclusioni che prima non solo non erano prevedibili, ma nemmeno pensabili” [2].Lo studioso di storia ecclesiastica, se onestamente impegnato nella ricerca della verità sul Vaticano II, deve affrontare il problema della doppia ispirazione del Concilio: quella dei documenti preparatori, scritti da teologi fedeli alla Tradizione e obbedienti alle direttive di Giovanni XXIII e quella emergente dai documenti finali, prodotti da un’agguerrita minoranza modernizzante, che, pur dichiarandosi refrattaria e ostile alla dottrina proposta dai teologi del regnante pontefice, ottenne da lui l’autorizzazione a procedere contromano, cioè in direzione dell’ecumenismo. Il filosofo Paolo Pasqualucci può affermare che “il vero Concilio era quello preparato dalla Curia sotto la guida del cardinale Alfredo Ottaviani e di padre Cornelio Tromp. .Un eccellente e validissimo lavoro, al quale avevano preso parte i migliori teologi ortodossi, fu buttato a mare nella convulsa e anomala fase iniziale del Concilio, grazie a una serie di colpi di mano procedurali dei progressisti, che riuscirono a conquistare la prevalenza nelle dieci Commissioni conciliari incaricate di gli schemi dei testi da sottoporre all’assemblea” [3]. Di qui l’ingresso trionfale dell’ecumenismo – maschera cauta e pudica del relativismo e del debolismo di stampo modernista – nella teologia cattolica. Nell’immaginario ispirato dai novatori, in corsa negli ambulacri del Concilio Vaticano II, “buono” è il teologo affaccendato a scongiurare i dissensi e i contrasti, che potrebbero essere causati dall’affermazione fondamentalista, secondo cui esiste una verità assoluta e irriducibile agli errori e alle mezze verità.  Il dolce fiume, in cui navigò la suggestione conciliare, correva verso Assisi, la città in cui tutte le false religioni diventano egualmente rispettabili, mentre tutte le preghiere erano indirizzate al cruciverba elucubrato da monsignor Pier Battista Pizzaballa: “non si prega insieme, si è insieme per pregare“.  Forse l’illustre teorico della svolta insiemistica della teologia ha tentato d’insinuare l’idea che il qualunque assembramento, la qualunque, caotica radunata di seguaci di veri o falsi profeti, costituisce legittimamente una comunità orante.  Ad ogni modo l’otto giugno del 2014, l’escandescenza jihadista di un musulmano, invitato alla riunione di preghiera interreligiosa organizzata da Papa Francesco, ha dimostrato che la sequela dell’ecumenismo/relativismo non diminuisce la discordia fra i popoli. Padre Giovanni Cavalcoli o. p., l’autore di un saggio sulla teologia di Karl Rahner s. j., rammenta, a proposito di ecumenismo e relativismo, che “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni[4]. Il pregiudizio ecumenista esige, pro bono pacis, che un’affermazione vera dal punto di vista di colui che la pronuncia, sia vera anche dal punto di vista di colui che dichiara l’esatto contrario. Padre Cavalcoli cercando le fonti dell’avversione rahneriana alla intransigentissima verità, ha incontrato Martin Heidegger, autore dello stravolgente principio secondo cui “la verità non sta nel giudizio col quale l’uomo adegua il suo pensiero all’essere, ma sta nella comprensione atematica, nell’esperienza trascendentale, come situazione esistenziale emotiva del soggetto autocosciente, nel quale l’essere si identifica con l’essere pensato, in modo tale che la verità del pensiero è al contempo la verità dell’essere e la verità del soggetto[5]. Svilimento della ragione umana e retrocessione dell’immanentismo moderno al pensiero selvaggio, costituiscono l’orizzonte di Heidegger e di Rahner. Ridotta la filosofia a gioco di parole e la teologia a tam tam buonista, l’errore, la non adeguazione dell’intelletto alla realtà, svanisce: di qui l’opinione (affermata da Rahner) secondo cui tutti gli uomini conoscono la verità salvifica attraverso la c. d. esperienza trascendentale. Rahner insinua che la concordia inizia dal riconoscimento che tutti sono nella verità e nessuno nell’errore. Di conseguenza propone la tesi che attribuisce agli atei la qualifica di cristiani anonimi, che in quanto tali sono destinati alla beatitudine eterna. Se non che alla fine degli anni Trenta Jean Paul Sartre aveva  anticipato la sconfessione della tesi rahneriana, proponendo, quale suggello del pensiero moderno, la formula l’uomo è una passione inutile, vivere è far vivere l’assurdo. L’assurdo è il nutrimento e il viatico del pensiero moderno e del relativismo strisciante invano fra le righe ecumeniche del Concilio Vaticano II. Per comprendere quale fosse la dottrina insegnata nelle mistiche società nelle quali si coltiva l’ecumenismo propriamente detto, è necessario un richiamo all’inedito saggio di Gianni Rocca, che analizza il significato delle allegorie religiose massoniche, alla luce delle rivelazioni di una setta banditrice del nulla informe, predicato dal mistagogo René Guénon. Dopo aver citato le pagine che l’adelphiano Guénon dedica alla storia come ripetizione eterna dell’identico, Rocca scrive: “Posta la propria visione ciclica del mondo, Guénon non sminuisce la reale portata del momento – la fine di un intero Manvantara, il ciclo di un’intera umanità – eppure dopo aver condotto il lettore ad una consapevolezza estrema di tutto ciò, lo invita ad un’inaspettata serenità. Poco più avanti spiega perché: «Da un lato se questa manifestazione viene presa semplicemente in se stessa senza riportarla ad un insieme più vasto, tutto il suo cammino è evidentemente una discesa o una degradazione progressiva, ed ecco quello che può essere chiamato il suo aspetto malefico, ma da un altro lato questa manifestazione, vista nell’insieme di cui fa parte, produce risultati che hanno un valore realmente positivo»”.  Il Nulla è qui. Il tortuoso, avvolgente discorso di Guénon intende significare che “lo sviluppo delle possibilità inferiori dell’età oscura” è, sì, allontanamento dallo stato primordiale, ma allo stesso tempo punto vicino al suo ripristino. Fedele interprete e rigoroso divulgatore della falsa tradizione,che contempla l’eterno ritorno dell’identico, Guénon promuove l’incontro dello spiritualismo massonico con gli stati d’animo crepuscolari del relativismo e del nichilismo d’ispirazione neognostica e catara. “Detto tutto ciò, conclude, infatti, Rocca, non è difficile evincere uno degli arcana della metafisica guénoniana: per ricongiungersi allo stato primordiale, un cammino iniziatico o uno controiniziatico, uno di reazione o uno di dissoluzione, uno attraverso il tradizionalismo alla De Maistre e uno attraverso lo yoga tantrico, sono di per sé perfettamente equivalenti, preferibili uno rispetto all’altro a seconda del punto del ciclo in cui ci si trova”. A scanso di equivoci e abbagli è obbligatorio rammentare che, nel saggio “Il demiurgo[6],, Guénon sostiene che il Nirvana è pienezza dell’essere e chiarisce: “È un errore molto diffuso, perlomeno in Occidente, credere che non ci sia più niente quando non c’è più forma, mentre in realtà è la forma che non è niente e l’informale che è tutto”. In processione forse non consapevole al seguito del relativismo informale di Guénon, suor Ferdinanda Barbiero, docente relativista nella Pontificia Università Urbaniana, si scaglia contro “la spiritualità congelata nella filosofia dell’essere [la filosofia di San Tommaso, Dottore comune], che non è più attuale per l’urgenza di costruire un’etica. E etica vuol dire relazione di vita, non ragione. Noi dovremmo semplificare la religiosità e renderla più vicina ai bisogni reali dei poveri”.  Andare incontro ai bisogni dei poveri era un osceno doppiosenso.In attesa di conoscere per quale strada il rifiuto dell’essere va incontro alla teologia della liberazione, si può leggere la nuova, imperiosa parola d’ordine del delirio teologico: “E’ urgente che i religiosi si accorgano che si sta passando dall’epoca dominata dall’idea dell’essere all’epoca del fatto, del reale“.


[1]              Cattolica (universale) è l’attributo della Chiesa di Cristo, il quale avendo versato il proprio sangue ha conquistato il diritto ad esercitare la propria autorità su tutto il mondo. Ecumene, la terra che offre possibilità di insediamento, è soltanto lo scenario nel quale la Chiesa esercita il suo primato sovrano.  

[2]              Cfr.: Karl Rahner, Introduzione a “I Documenti del Concilio Vaticano II”, edizioni Paoline, Roma 1967.  

[3]              Cfr.: Paolo Pasqualucci, “Il Concilio parallelo”, Fede & Cultura, Verona 2013

[4]              Cfr.: Giovanni Cavalcoli o. p., “Karl Rahner Il Concilio tradito”,“ Fede & Cultura, Verona 2011, pag. 16.

[5]              Giovanni Cavalcoli o. p., “Karl Rahner Il Concilio tradito”, op. cit., pag. 41

[6]           René Guénon, “Il Demiurgo”, Adelphi, Milano 2007, pag. 41

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