L’ Operazione “Matador” e il massacro Ramree Island (19 Febbraio 1945), quando un intero battaglione di soldati giapponesi venne divorato da centinaia di giganteschi e famelici coccodrilli marini. Di Roberto Roggero.

Birmania (Febbraio 1945): soldati giapponesi attraversano uno dei tanti corsi d'acqua infestati dai coccodrilli marini.

L’offensiva codificata come “Matador”, era uno dei piani di riconquista elaborati dalle forze britanniche, parte delle manovre del 15° Corpo indiano sul fronte meridionale in Birmania. Nel quadro di queste operazioni era inserita la conquista delle isole Cheduba e Ramree, di fronte alla costa birmana a circa 120 km a sud dell’odierna Sittwe, che era stata occupata dai giapponesi nelle prime settimane del 1942, e dove si trovava una base aerea molto importante per i rifornimenti delle truppe impegnate sul continente. In particolare, Ramree era un avamposto decisamente insalubre, lunga 89 km e larga 35, uniformemente piatta e quindi adatta per ospitare un campo aereo, ma dominata da mangrovie popolate da insetti, serpenti, scorpioni, zanzare tropicali e diversi altri animali selvatici, in particolare il grande coccodrillo di mare.

Mappa.

Quando i britannici conquistarono Akyab (oggi Sittwe), in anticipo rispetto al programma, si rese disponibile la 26a Divisione indiana per l’attacco a Ramree, il cui piano venne presentato il 2 gennaio ’45, da realizzare con priorità perché le divisioni del generale William Slim stavano avanzando velocemente, e si sarebbero presto trovate fuori portata delle basi aeree di Agartala e Imphal. Era quindi necessario impossessarsi di Ramree, Chittagong e Akyab.

L’ordine di operazione per la 26 Divisione indiana venne trasmesso il 14 gennaio, per attuare l’attacco il 21 gennaio, mentre un distaccamento dei Royal Marines formato da tre brigate doveva attaccare Cheduba. In totale, 54mila uomini, 1.000 veicoli, 14mila tonnellate di rifornimenti e 800 fra muli e cavalli.

A difendere Ramree vi era il 2° Battaglione del 121° Reggimento giapponese, al comando del Colonnello Kanichi Nagazawa, parte della 54a Divisione, con alcune batterie di artiglieria e genieri raggruppati in reparti autonomi.

La battaglia di Ramree ebbe inizio con lo sbarco dei reparti britannici che avevano come primo obiettivo gli approdi di Kyaukpyu, all’estremità meridionale dell’isola, quindi il campo aereo vicino, attraverso la baia di Hunter.

Le truppe attaccanti erano divise in tre gruppi, comandati da altrettanti ufficiali, il capitano Ronald N. Bush, il maggiore Howard Smith e il generale Cyril Lomax.

La ricognizione effettuata il 14 gennaio, trovò che le forze giapponesi stavano piazzando artiglieria in grotte che si affacciavano sulle spiagge scelte per lo sbarco e, per metterle a tacere, la Royal Navy aveva assegnato all’operazione Matador la corazzata Queen Elizabeth, l’incrociatore leggero Phoebe, i cacciatorpediniere Napier, Rapipd, Norman e Pathfinder, la nave scorta Ameer e gli sloop Kistna e Flamingo. Una notevole potenza di fuoco, a supporto della forza di sbrco.

Il 21 gennaio, un’ora prima dello sbarco della 71a Brigata di fanteria indiana del generale Cotterell-Hill, la Queen Elizabeth aprì il fuoco con 69 colpi da 380mm dalla batteria principale, con il coordinamento di un osservatore aereo. Poco dopo si unirono anche il Phoebe e un B24 Liberator, un B25 Mitchell e alcuni P47 Thunderbolt del 224° Gruppo della RAF, provenienti dai comandi di Bengal e Burma, che si concentrarono sulle spiagge.

Nel 1965, lo storico inglese Stanley Woodburn Kirby scrisse che la difesa giapponese dell’isola, e la fuga di circa 500 uomini, si era svolta nonostante che le probabilità fossero totalmente a sfavore, e che anche i britannici ebbero enormi difficoltà nel rimettere in funzione la base aerea, che fu operativa solo a partire dai primi di aprile, nonostante fosse di importanza fondamentale disporre dell’aeroporto di Ramree per il supporto aereo all’operazione Dracula, ovvero l’attacco a Rangoon, in programma per la prima settimana di maggio, da portare a termine prima dell’arrivo dei monsoni.

Per questo l’attacco Ramree era stato sostenuto da una notevole forza navale, che nel complesso, dal 4 gennaio al 13 marzo, sparò oltre 23mila colpi.

Le truppe d’assalto furono leggermente ritardate quando due mezzi da sbarco furono danneggiati da alcune mine sommerse, ma una volta cominciato, lo sbarco si svolse senza incidenti a ovest di Kyaukpyu, alle 9.40 del mattino, con la spiaggia messa in sicurezza ne primo pomeriggio

Il giorno seguente, sbarcò la 4a Brigata di fanteria indiana del generale J. F. R. Forman, prese il controllo della spiaggia e occupò Kyaukpyu. Il 23 gennaio la 71a Brigata di fanteria cominciò ad avanzare verso sud, lungo la costa occidentale. Due giorni dopo fu occupata Mayin e il 26 gennaio le truppe raggiunsero lo Yanbauk Chaung. Con i britannici che procedevano verso l’interno, aumentò gradatamente anche la resistenza del 2° Battaglione/121° Reggimento giapponese, e il 31 gennaio alla 71a Brigata indiana fu ordinato di spostarsi a nord-est, verso Sane, quindi di dirigersi a sud verso la città di Ramree. Intanto, la 4a brigata doveva mantenere la pressione sul presidio nemico di Yanbauk Chaung.

Il 26 gennaio, secondo i termini dell’operazione Sankey, i Royal Marines sbarcarono a Cheduba, a circa 10 km dalla costa sud-occidentale di Ramree Island, e la trovarono già evacuata da truppe giapponesi. Nel frattempo, a Ramree, la guarnigione della difesa opponeva una tenace resistenza, e il 1 ° febbraio, la 71a Brigata e parte della 36° Brigata, oltrepassarono Sane e attaccarono Sagu Kuyun, alleggerendo l’impegno dei Royal Marine a Cheduba.

Quando gli inglesi conquistarono la roccaforte giapponese, i 900 difensori decisero di abbandonare le posizioni e di intraprendere una marcia forzata per unirsi alla parte più grande del battaglione. Il percorso doveva svolgersi attraverso di una ventina di chilometri di paludi e mangrovie, che i britannici avevano già circondato.

Il 7 febbraio, la 71a Brigata di fanteria indiana, con alcuni carri armati di supporto, raggiunse la città di Ramree, dove trovò una accanita resistenza giapponese. La 4a Brigata indiana era intanto avanzata su Ledaung Chaung e si stava dirigendo verso est per rafforzare l’attacco. La cittadina di Ramree venne conquistata il 9 febbraio.

I Royal Marine e la 26a Divisione indiana si concentrarono quindi sul blocco dei chaung (piccoli corsi d’acqua) sulla costa orientale per impedire ai giapponesi di fuggire sulla terraferma.

Intanto, anche l’aviazione giapponese operò su Ramree, con un attacco che causò gravi danni a uno dei cacciatorpediniere, mentre una flottiglia di quaranta piccole imbarcazioni furono inviate dalla terraferma per salvare i sopravvissuti della guarnigione. La resistenza giapponese sull’isola si concluse il 17 febbraio, con i britannici che mantennero il blocco totale su Ramree Island fino al 22 febbraio, affondando molte imbarcazioni di salvataggio e causando molte vittime fra le truppe giapponesi che si nascondevano nelle paludi. Circa 500 uomini riuscirono a fuggire da Ramree mentre Cheduba non fu presidiata e la 22a Brigata dell’Africa Orientale fu inviata a rinforzare il presidio Ramree.

Questi i fatti secondo i resoconti storici, ma che cosa sarebbe successo nell’interno dell’isola, ai reparti giapponesi che decisero di raggiungere il resto del battaglione concentrato più a sud, con la marcia attraverso le paludi?

Alcuni soldati britannici, tra cui il naturalista Bruce Wright, che prese parte alla battaglia, affermò che la grande popolazione di coccodrilli d’acqua salata originaria delle paludi di mangrovie sull’isola di Ramree, fece strage dei soldati giapponesi. Wright diede una descrizione in “Wildlife Sketches Near and Far” (1962), citato da Frank McLynn.

Un gigantesco coccodrillo marino.

Secondo questo resoconto, la notte del 19 febbraio 1945 fu la più orribile alla quale un uomo avesse mai assistito. Dal perimetro esterno della palude si udivano i colpi di fucile e le grida terrificanti degli uomini che venivano massacrati dagli enormi rettili, che a loro volta emettevano spaventosi ruggiti. All’alba arrivarono gli avvoltoi per ripulire ciò che i coccodrilli avevano lasciato. Di circa un migliaio di soldati giapponesi che entrarono nelle paludi di Ramree, solo una ventina furono trovati vivi.

Un coccodrillo nelle acque di un fiume birmano.

Se il racconto di Wright è corretto, gli attacchi di coccodrilli sull’isola di Ramree furono i peggiori della storia. La British Burma Star Association sembra dare credito a questa versione, ma con distinzione, ovvero che se i superstiti furono circa una ventina, la colonna che marciò attraverso le paludi era formata non più di 900 uomini. Anche il generale J.F.R. Jacob raccontò, nel libro di memorie, “An Odyssey in War and Peace”, l’episodio di Ramree Island affermando che oltre un migliaio di soldati della guarnigione giapponese si ritirarono nelle paludi di mangrovie infestate da coccodrilli, e che alcuni reparti britannici erano stati inviati in aiuto con delle barche, fari e megafoni, per localizzare i giapponesi, chiedendo nel frattempo di uscire dall’intrico di mangrovie e arrendersi per avere salva la vita, ma non ottennero risposte.

Tali versioni sono state contestate da altri storici, fra cui il già citato Frank McLynn, i quale afferma che non era possibile la presenza di “migliaia di coccodrilli marini” su Ramree Island, perché l’ecosistema di una palude di mangrovie, con una limitata popolazione di mammiferi, non avrebbe permesso l’esistenza di così tanti sauri prima dell’arrivo dei giapponesi.

Secondo la versione giapponese, quando il reparto accerchiato, con circa mille soldati, decise di abbandonare la posizione e riunirsi al resto del battaglione, a causa della manovra della 36a Brigata indiana che tagliò in due la linea dei presidi difensivi, si accorse che l’unico modo per non esser catturati dal nemico, era attraversare la palude, tagliando in diagonale l’isola.

La palude di mangrovie era densa di fango, sabbie mobili, acquitrini, e l’attraversamento non sarebbe stato rapido. Le truppe britanniche, intanto, sorvegliavano la situazione ai margini della palude, e decisero di non inseguire da vicino le truppe in fuga perché sapevano cosa attendeva il nemico in questa trappola mortale naturale.

I coccodrilli d’acqua salata sono i più grandi rettili del mondo e le paludi sono il loro habitat naturale, dove gli uomini non possono competere per velocità, dimensioni, agilità e potenza.

I giapponesi sapevano che i coccodrilli di mare avevano la reputazione di essere mangiatori di uomini, ma entrarono comunque nella palude di mangrovie. Le conseguenze si possono paragonare a quelle subite dai marinai americani durante il naufragio dell’incrociatore “Indianapolis”, quando i sopravvissuti furono attaccato dagli e la maggior parte non sopravvisse.

Poco dopo essere entrati nella fanghiglia, i soldati giapponesi iniziarono a soccombere a malattie, disidratazione e fame. Zanzare, ragni, serpenti velenosi e scorpioni si erano in drammatico corollario alla situazione, ma il peggio iniziò alla comparsa dei coccodrilli, attirati dal rumore, dall’odore di sudore e sangue dei feriti, e attaccarono secondo la loro natura, di notte. Secondo le fonti dell’epoca, su circa mille uomini, ne sopravvissero poco meno della metà. Il Guinnes dei primati registrò l’accaduto come il peggiore attacco di coccodrilli della storia.

Tuttavia, le stime del bilancio delle vittime variano. Quello che gli inglesi sanno per certo è che 20 uomini erano usciti vivi dalla palude e sono stati catturati. Queste truppe giapponesi raccontarono quanto era successo, ma non seppero dire quanti furono esattamente gli uomini divorati dai rettili, perché nessuno sa in effetti quanto furono quelli morti per altre cause, ad esempio i serpenti velenosi, la fame, le ferite riportate, la disidratazione.

Dove sta la realtà dei fatti, e dove comincia la leggenda? In sostanza, questo drammatico evento si è veramente verificato?

Naturalmente, la minaccia rappresentata dai coccodrilli di acqua salata era sempre presente nel teatro dell’Estremo Oriente della seconda guerra mondiale. Ciò è stato particolarmente vero nelle paludi di mangrovie dove prosperano tali rettili, come sull’isola di Ramree. Ma dobbiamo davvero credere che una considerevole forza di soldati giapponesi addestrati sia stata decimata da un assalto di coccodrilli? Dopotutto, erano soldati che avevano offerto resistenza ostinata alla 14a Armata britannica del generale William Slim.

La storiografia ufficiale britannica (“Guerra contro il Giappone Volume IV: La riconquista della Birmania”) è la fonte principale nello studio del tentativo della 14a Armata di cacciare i giapponesi dalla Birmania a partire dalla fine dell’estate 1944.

In questo resoconto ufficiale ci sono riferimenti alla minaccia rappresentata dai coccodrilli d’acqua salata a Ramree Island. Tuttavia, non vi è alcuna menzione specifica dell’attacco nel quale sarebbero stati divorati i soldati giapponesi, e inoltre, i riferimenti ai nemici naturali più pericolosi riguardavano principalmente la malaria, che fu causa della maggiore parte dei decessi di soldati britannici in Birmania.

Inoltre, i resoconti ufficiale che non menzionano il massacro, ma sottolineano la feroce resistenza giapponese che durò nell’aprile 1945.

 Frank McLynn, importante storico britannico della campagna birmana, critica aspramente il racconto dell’aggressione dei coccodrilli nell’opera “The Burma Campaign: Disaster into Triumph 1942-1945”. Per cominciare, sottolinea la mancanza di prove evidenti, mettendo in dubbio la stessa presenza di Bruce Wright sul luogo.

È difficile contrastare una qualsiasi delle argomentazioni ragionevoli avanzate da McLynn in quanto non vi sono prove del contrario.

I problemi che circondano questo mistero non riguardano solo il corretto svolgimento dei fatti. Ancora più importante, concentrarsi su un evento così totalmente privo di fondamento spiega il coraggioso ruolo svolto dalla 14a Armata in quello che fu uno dei teatri più brutali della seconda guerra mondiale.

In Birmania, gli Alleati hanno affrontato un feroce nemico non solo esperto nella guerra nella giungla, ma anche noto per gli attacchi suicidi. Gli alleati dovevano anche affrontare le sfide poste dai problemi logistici e di approvvigionamento, nonché la malaria, il colera e varie altre malattie. I soldati furono presto rallentati dalle fitte paludi piene di fango che impedirono il loro progresso. Inoltre, molti uomini iniziarono a soccombere alle malattie tropicali portate dagli sciami di zanzare e dai vari ragni velenosi, serpenti e scorpioni che scivolavano e strisciavano attraverso il sottobosco fangoso. Nel corso di diversi giorni di lotta attraverso le paludi in questo modo, la fame e la mancanza di acqua potabile sono diventate una vera minaccia. Per tutto il tempo furono molestati dal fuoco di artiglieria sporadica delle forze britanniche posizionate ai margini della palude.

Alcuni rapporti dei sopravvissuti descrivevano come i coccodrilli apparissero spesso dal nulla, dall’acqua scura, per trascinare via le loro vittime. Si dice che l’aria fosse offuscata dalle zanzare, e piena delle grida dei soldati e del rumore delle mascelle dei giganteschi rettili.

Alcune fra le testimonianze dei sopravvissuti, riferiscono che i coccodrilli, allertati dal frastuono della guerra e dall’odore del sangue, si radunarono tra le mangrovie, distesi con gli occhi sull’acqua. Con il riflusso della marea, i coccodrilli si spostarono sui morti, sui feriti e su quelli che erano rimasti impantanati nel fango. All’alba arrivarono gli avvoltoi per ripulire ciò che i coccodrilli avevano lasciato.

Bibliografia

Allen, Louis (1984). Burma: The Longest War.

Jacob, J. F. R. (2012). An Odyssey in War and Peace.

Kynaston, Nick, ed. (1998). The Guinness 1999 Book of Records.

McLynn, Frank (2011). The Burma Campaign: Disaster into Triumph, 1942–45.

Platt, S. G.; Ko, W. K.; Khaing, L. L.; Rainwater, T. R. (2001).

“Man Eating by Estuarine Crocodiles: The Ramree Island Massacre Revisited”. Herpetological Bulletin. British Library Serials.

St G. Saunders: The Fight is Won. III

Woodburn Kirby, Butler, Sir James The War Against Japan: The Reconquest of Burma.

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