Coronavirus: dalla peste cinese del 1911 al grande contagio del 21° Secolo. Di Roberto Roggero.

Cadaveri colpiti dalla peste in Cina (1911).


Da diversi anni si parla di revisionismo in materia di storiografia. Il discorso implica diversi punti di vista, che non solo riguardano le differenti versioni di un avvenimento, sostanzialmente contrapponendo il punto di vista di chi ha prevalso (secondo il dogma “la storia la scrive chi vince”) rispetto a quello di chi ha subito, ma soprattutto portando alla luce ipotesi, coni d’ombra, interpretazioni, che la storiografia imperante non ha mai evidenziato, volutamente occultato, o trascurato, oppure tessere del mosaico di un fatto storico, che vanno a inserirsi nella loro giusta sede, per dare una chiave di lettura più completa, offrendo elementi aggiuntivi per comprendere i perché di un determinato avvenimento. In questo senso, gli storici oggi prendono in considerazione i più inaspettati punti di vista per tentare di spiegare lo svolgersi degli eventi e, nel caso specifico, una nuova visione vede l’inserimento del fenomeno delle epidemie infettive, come causa scatenante, o anche determinante, di diversi fatti che hanno caratterizzato epoche passate e, non di rado, periodi molto più vicini, se non contemporanei o attuali.

Alcuni esempi posso essere, fra gli altri, una delle cause dell’indebolimento e della caduta dell’Impero austro-ungarico fu dovuta alle epidemie di colera del primo Ottocento: fatto che – secondo alcuni studiosi – ostacolò la lotta asburgica al movimento risorgimentale italiano, a sua volta “ritardato” dalla malaria. In epoca più recente, il fenomeno della ‘mucca pazza’ sconvolse gli equilibri economici europei, inducendo forse l’Inghilterra ad imboccare la via della Brexit. Dell’Aids si è detto che questa malattia abbia posto fine al modello “libertino” e sessualmente promiscuo sorto con la ‘rivolta’ del ’68. Detto questo, se è vero che i virus possono influenzare scelte economiche e politiche e geostrategiche, è anche vero il contrario. E a questo proposito gli esempi appaiono numerosi.

Andando a ritroso nel tempo, in Cina, nel 1911, l’ultima grande epidemia di peste ( Yersinia Pestis) venne innescata da un evento prevalentemente politico, come la proclamazione della Repubblica e la fine dell’Era imperiale.

Si presume che l’inizio della grande epidemia sia da collocarsi nella provincia cinese dello Yunnan, nel 1855. A causa dello spostamento di grandi eserciti, la malattia si diffuse velocemente, arrivando a colpire Hong Kong e Canton, nel 1894, spingendosi fino a Bombay (India) nel 1898, mentre negli anni seguenti, a causa dell’incremento del commercio navale , la propagazione raggiunse Africa, Europa, Hawaii, Giappone, Filippine e Sud America. Si stima che, tra il 1898 e il 1918, in India morirono di peste circa 12,5 milioni di persone.

Nel giugno del 1894, durante l’epidemia di Hong Kong, Alexandre Yersin (1863-1943) e Shibasaburo Kitasato (1853-1931) annunciarono, a pochi giorni l’uno dall’altro, l’isolamento del batterio. Sebbene, inizialmente, la scoperta venne attribuita a Kitasato. Nella fattispecie, la descrizione del batterio fatta da Yersin risultò quella più accurata, senza considerare che fu lui ad utilizzare, due anni più tardi, un siero per curare il primo paziente. A Yersin è anche accreditata la scoperta relativa alla correlazione fra la malattia e i topi.

Nel 1897, durante l’epidemia che colpì l’India, Masanori Ogata (1853-1919) e Paul-Louis Simond (1858-1947), scoprirono il ruolo della pulce nella trasmissione della malattia. Nello stesso anno, Waldemar Haffkine (1860-1930) dimostrò l’efficacia del vaccino da lui messo a punto mentre, in occasione dell’epidemia che imperversò in Manciuria tra il 1910 e il 1911, Wu Lien Teh (1869-1960) identificò la ‘forma polmonare’ e mise a punto misure contenitive per contrastare la diffusione via aerea. Per il resto del 20° Secolo i focolai della malattia continuarono a moltiplicarsi, ma con tassi di mortalità molto inferiori alle precedenti epidemie, grazie anche all’introduzione di efficaci misure di sanità pubblica e, a partire dagli anni ’50, e soprattutto grazie all’utilizzo di antibiotici.

Ma ritorniamo alla Cina. Alcuni sostengono che l’’epidemia che colpì la Cina, in particolare la Manciuria, nel 1911, non fu però debellata dalla scienza, dalla ricerca o da ritrovati sanitari innovativi. La concezione della vita umana, nella cultura cinese, è molto differente da quella occidentale, ed è sempre stato così nel corso della storia.

Storicamente la parola “persona” segna la linea di demarcazione fra cultura pagana e cultura cristiana. Fino all’avvento del Cristianesimo non esisteva, né in greco né in latino, una parola per definire il concetto di persona, perché nella cultura classica tale concetto non esisteva: semplicemente non riconosceva valore assoluto all’individuo in quanto tale, e faceva dipendere il suo valore essenzialmente dalla condizione sociale e, in particolare, dalla razza o etnia. La singolarità della persona, unica e irripetibile e, di conseguenza, la sostanziale eguaglianza in dignità e nobiltà di ogni esponente della specie umana, il suo valore assoluto, è una verità affermata e diffusa dal Cristianesimo, e fu una verità carica di “potere sovversivo” come poche altre nella storia: man mano che si diffuse, e penetrò nella cultura pagana, la trasformò profondamente, dando origine ad una nuova cultura e ad una nuova società, che prenderanno forma nella cristianità del medioevo.

Ora, nella cultura cinese, il ruolo occupato dalla filosofia, è paragonabile a quello della religione in altre civiltà: si è soliti dire che in Cina esistono tre religioni: Confucianesimo, Taoismo e Buddhismo. E’ vero che in tutte e tre le direzioni si sono sviluppati indirizzi di carattere più propriamente religioso, tuttavia bisogna tenere presente che la civiltà cinese ha il suo fondamento spirituale nell’etica, e non nella religione. I cinesi non si occupavano tanto di religione perché si dedicavano alla filosofia. Secondo la tradizione cinese, la funzione della filosofia non è aumentare la conoscenza positiva ma elevare lo spirito, cioè il mirare a quanto sta oltre il mondo presente. Il tema centrale della speculazione cinese è il seguente: esistono uomini di vari tipi e condizioni (politici, artisti, scienziati) e per ciascuno esiste una più alta forma di sviluppo, a seconda delle capacità.

Ma per raggiungere questo ideale si deve necessariamente abbandonare la società e persino negare la vita? Secondo alcuni filosofi è un passo necessario. In realtà, le distinzioni sono meramente strumentali, perché comunque la filosofia cinese appartiene a questo mondo. Una delle differenze più grandi tra Oriente e Occidente è la visione morale: la filosofia greca, e la religione giudaico-cristiana, sono stati i due capisaldi della tradizione occidentale: la prima ha inaugurato una logica disgiuntiva che ha separato il mondo del celeste da quello terreno; la seconda si è inserita con i propri dogmi, creando un dualismo che ha contrapposto la vita alla morte.

Nel pensiero filosofico cinese, il bene e il male sono inseparabili componenti dell’esistenza (yin/yang): sarebbe quindi inconcepibile un’azione volta alla eliminazione di uno dei due principi. La santità, per i cinesi, altro non è che l’astensione da ogni eccesso, mantenendo un grande equilibrio tra le pulsioni. Un eccesso di bene è dannoso quanto un eccesso di male. Paradossalmente, il concetto cinese di “persona” e di “vita” pone sullo stesso piano Hitler o Stalin e Madre Teresa di Calcutta

La finalità pratica dell’educazione consiste nella formazione di un uomo capace di servire la comunità sul piano politico e diventare un uomo di valore sul piano morale: la responsabilità dei membri della élite colta è precisamente quella di governare gli altri per il loro bene. In tal modo si delinea da subito il destino politico dell’uomo colto che, invece di tenersi in disparte per meglio assolvere a un ruolo di coscienza critica, si assume la responsabilità di impegnarsi nel processo volto ad armonizzare la società. Ne consegue il basilare concetto del Vuoto, fondamentale nella cultura cinese, elaborato in particolare in campo medico. Il Vuoto è la condizione per ogni trasformazione, per l’accadere di ogni avvenimento.

Un dato emerge chiaramente da questi aspetti del pensiero taoista applicato alla medicina: l’uomo è responsabile del proprio stato di salute, che può favorire, con un comportamento corretto, e che ottimizza i lati positivi, minimizzando gli aspetti negativi della sua costituzione o, al contrario, distruggere applicando uno stile di vita dissoluto o contrario alle necessità del suo organismo.

Appare chiaro come la prevenzione occupi un posto rilevante nella medicina cinese e si esplichi attraverso diversi metodi. Il medico cinese si pone di fronte al paziente con un duplice atteggiamento: da una parte utilizzare tutte le armi terapeutiche a sua disposizione per curare la malattia già in atto, o mantenere il più a lungo possibile lo stato di benessere; dall’altra educare il paziente a conoscere se stesso e adeguare il proprio comportamento fisico e psichico, al fine di realizzare pienamente le proprie potenzialità. Questo secondo aspetto è fondamentale per la sua più compiuta espressione in ambito preventivo.

Questa idea fu certamente desunta dalla secolare esperienza della vita contadina, l’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni, dei cicli produttivi, ma in seguito fu assunta come regola di vita. I cinesi credono che ogni volta che una situazione si sviluppa fino alle estreme conseguenze, essa sia costretta a trasformarsi nel suo opposto. Secondo la legge ciclica del Dao, tutto ciò che è forte e superiore, è stato all’inizio debole e inferiore, ed è destinato a ridiventarlo. La moderna società industriale, che cerca continuamente di alzare il livello di vita, e così facendo ne abbassa la qualità per tutti i suoi membri, è un esempio eloquente.

In sostanza, tornando alla soluzione adottata per debellare l’epidemia del 1911, apparve necessario e conveniente annientare ogni focolaio, semplicemente dando alle fiamme intere città, con i loro abitanti. Le vittime furono oltre 200mila, senza distinzione di età, sesso e condizione sociale.

La lista delle epidemie è molto lunga. Un libro del 1976 di William H. McNeill, “Plagues and Peoples”, ripercorre la storia delle epidemie dalla preistoria a oggi. In appendice c’è la lista delle epidemie che hanno colpito la Cina dal 243 a.C. al 1911, ed è una lettura inquietante.

In particolare, la diffusione della peste in Cina nel 1911, pare sia strettamente legata alla Rivoluzione Xinhai, la Rivoluzione cinese che iniziò con la sommossa di Wuchang nell’ottobre 1911, e si concluse con l’abdicazione dell’Imperatore Pu-Yi nel febbraio 1912, e la conseguente ascesa di Sun Yatsen alla presidenza della nuova Repubblica di Cina. I due eventi, epidemia di peste e Rivolta Popolare, sembrano quindi strettamente connessi, e le conseguenze furono devastanti, quasi si fosse trattato di una eruzione vulcanica senza precedenti o, per associazione con la nostra modernità di pensiero, a un disastro nucleare.

Le malattie, dunque, possono modificare la storia, ma non sono indifferenti al contesto culturale in cui operano. Il caso della Cina nel 1911 è anche collegato all’occupazione russa di fine ‘800, comunque aperta ai coloni cinesi e della Manciuria. Solo che i mancesi avevano regole ataviche di adattamento ecologico per cui, ad esempio, cacciavano i roditori da pelliccia solo con fucile o arco, e nelle trappole rischiavano di finire bestie intontite dal contagio. Per la stessa ragione, la tribù che vedeva una marmotta barcollante levava subito le tende per andarle a piantarle da un’altra parte. I contadini cinesi, ovviamente, rifiutarono queste superstizioni da barbari, e si infettarono in massa.

Quindi, che virus e batteri possano influenzare la storia e forse modificarla non è una fantasia. Gli storici, infatti, da tempo hanno cominciato a rileggere le vicende del passato secondo questa particolare chiave di lettura e, come già evidenziato, si è parlato di strette analogie fra caduta dell’Impero austro-ungarico e diffusione del colera. Andando indietro nel tempo, il collegamento è stato fatto anche per la caduta del Sacro Romano Impero. E sarebbe stata un’altra pestilenza, che infuriò nin Medio Oriente nel 6° secolo, a demolire i due imperi rivali, bizantino e sasanide, rendendoli incapaci di reagire all’ondata di guerrieri provenienti dal deserto arabo, forti della fede nel Profeta.

Il punto di partenza di questo nuovo filone di studi è la nozione, ormai comunemente accettata, di “genocidio preterintenzionale”, usata per dare un nome a ciò che avvenne alle popolazioni dell’America pre-colombiana dopo il 1492. Gli indigeni americani sarebbero passati da oltre 110 milioni nel 1492 a 4,5 milioni intorno al 17° secolo. Stando a questi numeri, il massacro sarebbe stato superiore sia ai 50 milioni di vittime provocate dalla pandemia di febbre spagnola del 1918, sia ai 30 milioni di morti della peste nera del 14° secolo. E non perché la violenza non fosse presente, ma perché non era qualitativamente peggiore di quella utilizzata nello stesso periodo dagli ottomani nei Balcani o dagli spagnoli durante il Sacco di Roma, per non parlare dei metodi di guerra degli Aztechi.

A differenza degli episodi precedenti, la cui estensione era stata limitata a poche unità familiari, questa epidemia si sviluppò rapidamente da un villaggio all’altro, su un’area geografica abbastanza ampia. A dicembre, le città situate su entrambi i lati della Transiberiana erano state contagiate e, durante i mesi di gennaio e febbraio 1911, la crisi, al suo apice, colpì quasi l’intera popolazione di alcune località.

La prima nota originale di questa epidemia fu la sua forma clinica, esclusivamente broncopolmonare. A causa del freddo estremo, oltre i 40° sottozero, e del gran numero di vittime (circa 60mila), le autorità cinesi decisero di scavare grandi fosse comuni, dove i corpi e le mandrie delle vittime della peste furono gettati con pezzi di legno imbevuti di petrolio per la cremazione. Per la prima volta, le preoccupazioni per la salute prevalsero sulle pratiche rituali e si organizzò l’incenerimento di massa.

In conclusione, se l’attuale diffusione del Coronavirus dovesse essere dichiarata “fuori controllo”, c’è da temere che la dottrina cinese possa ammettere un nuovo “incenerimento di massa”, magari utilizzando sempre il fuoco, derivato però da moderni ordigni a contenimento controllato, con la differenza che le vittime della purificazione, questa volta supererebbero i 50 milioni di persone.

Come si pone quindi, la società e la politica cinese, che sono prodotto dell’antica disciplina filosofica, di fronte alla ormai fuori controllo diffusione del Coronavirus?

E’ poi noto che, a livello mondiale, le popolazioni di topi urbani sono aumentate in modo esponenziale, soprattutto per le grandi riserve di cibo, e in particolare per la spazzatura.

Secondo le Nazioni Unite, entro il 2050 si prevede che il 68% degli esseri umani in tutto il mondo vivrà in ambienti urbani. Questi topi, potrebbero essere il fulcro di una potenziale situazione pericolosa, poiché tendono a ospitare pulci con il batterio della peste. Ed è di pochi giorni fa la notizia secondo cui, in un ospedale di Pechino, sono stati diagnosticati due casi di peste, guarda caso provenienti dalle regioni interne della Mongolia. Secondo questa notizia, il batterio Yersinia Pestis è ancora in circolazione, anche se in forma molto ridotta rispetto al passato, di tipo “polmonare”, ovvero trasmissibile per via aerea.

Secondo quanto riporta il “New York Times”, le due persone hanno manifestato problemi respiratori circa dieci giorni prima che fosse diagnosticata la malattia, ma il Centro Prevenzione e Controllo di Pechino, ha comunicato che i rischi di ulteriori contagi sono estremamente bassi, poiché i due pazienti sono stati isolati subito dopo la diagnosi e le persone con cui erano stati a contatto sono state controllate.

A questo punto, una domanda: il Coronavirus potrebbe avere per la Repubblica Popolare Cinese, lo stesso impatto che Chernobyl ebbe sull’Unione Sovietica? Che lo scenario sia temuto dallo stesso presidente Xi Jinping lo dimostra la notizia che, proprio per evitare il paragone, il suo governo ha fatto rimuovere dai palinsesti televisivi la acclamata serie prodotta dalla HBO sul famoso disastro nucleare. C’è infatti un sito di recensioni di film e libri che si chiama “Douban”, e che è uno dei rari angoli di web cinese dove è consentito di esprimersi con relativa libertà. E lì, a quanto pare, i paragoni tra Wuhan e Chernobyl erano numerosi. Qualcuno ha addirittura pensato che il regime avesse lasciato aperta quella valvola di sfogo appunto per usare come capro espiatorio la dirigenza locale: salvo poi spaventarsi quando si è visto che il livello investiva anche i vertici nazionali.

Non bisogna però dimenticare che di “Chernobyl cinese” si è già parlato nel 2009 all’epoca della epidemia di polmonite atipica, che portò alle dimissioni del ministro della Sanità e del sindaco di Pechino. I vertici però sono rimasti al loro posto, e comunque, dalla confusione, apparentemente organizzata, ne è sorto Xi Jinping. Né la Cina ha smesso di crescere a livello economico.

Ma ancora più fantapolitica si rivelò l’ipotesi di alcuni esperti secondo la quale, se l’epidemia non fosse stata circoscritta nel più breve tempo possibile, il mondo intero avrebbe potuto rischiare una sorta di paralisi dell’hardware, con le devastanti conseguenze sui mercati globali.

Secondo questa previsione gli effetti economici del Coronavirus si faranno sentire maggiormente sui settori esposti alle spese cinesi legate alle famiglie, come traffico aereo, aeroporti, vendita al dettaglio e collegamenti stradali a pedaggio. Chiusure temporanee di impianti in Cina possono causare interruzioni della catena di approvvigionamento in alcuni settori, fra cui automobili, tecnologia e materie prime industriali. In Cina, sono probabili misure di soccorso all’emergenza, fra cui riduzioni fiscali e sussidi, così come il sostegno alle banche. Ma più che degli eventi bellici, le grandi pandemie vanno considerate conseguenza dei movimenti di globalizzazione, nei quali i soldati in marcia sono per virus e batteri veicoli efficaci quanto e più di commercianti e turisti.

Oggi viviamo un periodo in cui la lettura omnicomprensiva di fatti storici, più o meno lontani nel tempo, è sempre meno sentita e praticata, e questo è un elemento decisamente dannoso, sia per comprendere il nostro passato e il presente, ma soprattutto per formare un bagaglio di esperienze sociali, culturali, e soprattutto umane, che sono elemento di base perché determinati fenomeni non si debbano ripetere in futuro. Come si usa dire, “non esiste peggior sordo di chi non vuole sentire, né peggior cieco di chi non vuole vedere…”

Bibliografia

-“A pest in the land: new world epidemics in a global perspective” – Suzanne Austin Alchon, (University of New Mexico Press, 2003)

-“Storia delle epidemie” – Stefan Cunha Ujvari (Bologna, Odoya, 2002)

-LinkIesta – M.Stefanini (Febbraio 2020)

-“La scienza in Cina: i Ming e la medicina” – Angela Ki Che Leung, Marta Hanson, Charlotte Furth (Storia della Scienza, 2001)

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