dQuante volte abbiamo sentito, a scuola, all’università, in documentari televisivi o dalla voce di persone di nostra conoscenza, frasi come queste “I nostri soldati avevano le scarpe di cartone!”, “Il nostro esercito era male armato!”, oppure “Noi avevamo il fucile 91, del 1800!”, o letto nelle classiche memorie del fronte russo di Nuto Revelli o Rigoni Stern: “Noi avevamo i muli, i tedeschi i carri armati”. Persino recentemente l’autolesionismo patrio, in una Fiction riguardante uno degli eroi veri dell’Italia, Salvo d’Acquisto, è arrivato a un “Guarda, i tedeschi hanno pure i caschi coloniali, e noi no!”, quando in realtà i soldati tedeschi dell’Afrika Korps preferivano le divise tropicali italiane o quelle inglesi catturate alle proprie. “I nostri soldati avevano le scarpe di cartone!”. In realtà gli scarponcini militari italiani erano in cuoio e pelle di buona qualità. Certamente quando si devono fare indumenti in milioni di esemplari si prendono delle scorciatoie produttive: quindi si usano fibre artificiali, etc. Gli stessi tedeschi già dal 1939 accorciarono i loro famosi stivali per risparmiare cuoio, dal 1941 distribuirono alle reclute solo degli scarponcini bassi da portare con le ghette, ed iniziarono presto ad usare filati artificiali come il rayon nei capi d’abbigliamento e bachelite, carta pressata e resine per fare bottoni o parti di equipaggiamento. Lo stesso equipaggiamento invernale italiano, consistente in cappotto in panno, guanti in lana, etc., seppur inadeguato per l’inverno russo, era esattamente pari a quello tedesco del 1941; solo nell’inverno successivo la Wehrmacht introdusse delle tenute imbottite per i suoi soldati. Di nota anche il fatto che al Btg. Monte Cervino, inviato in Russia, furono consegnati scarponi dotati delle modernissime suole in gomma VIBRAM, altro che “cartone”!
Corollario: “Avevamo le pezze da piedi e le fasce mollettiere”.
Le pezze da piedi erano considerate dai veterani come migliori e più durevoli
delle calze, le fasce mollettiere erano, all’inizio guerra, adottate da molti
dei contrapposti eserciti!
“Noi avevamo il fucile 91, del 1800!” Una delle frasi dimostranti maggiore malafede: il fucile 91 fu in effetti adottato nel 1891…ma d’altronde i fucili usati nella seconda guerra mondiale delle altre nazioni erano molto più recenti? Vediamo: Germania, Mauser K98k, adozione 1898, Inghilterra, Lee Enfield, 1900, Russia, Moisin-Nagant, 1891, Giappone Meiji-Arisaka, 1897, USA, Springfield 1903…1903! Il “vecchio” 91 era decisamente in buona compagnia! “Il nostro esercito era male armato!” Certamente dopo il 1942-1943 il divario tecnologico e industriale con le potenze Alleate o la Germania si ampliò effettivamente in modo irreparabile per il sistema industriale-militare, sociale e politico italiano, ma sino al 1941-1942, se per esempio compariamo armi e mezzi italiani con quelli inglesi in Nord Africa, uno dei teatri che videro il maggior impegno delle FFAA italiane nella seconda guerra mondiale, troveremo delle sorprese: nelle armi individuali sostanziale parità, e se gli inglesi avevano una eccellente mitragliatrice leggera, il Bren, noi schieravamo una ottima mitragliatrice pesante, la Breda 37.
Una nota dolente riguarda poi il famoso moschetto automatico Beretta MAB 38 A, eccellente arma da fuoco automatica camerata per una potente munizione da 9 mm: prodotta in decine di migliaia di esemplari già nei primi anni di guerra, fu però distribuita solo a pochi reparti ed in pochissimi esemplati a causa della mentalità retrograda degli Uffici Armi del Regio Esercito, che vedevano nella celerità di tiro dell’arma solo uno “spreco di munizioni”. Il risultato fu che prima della Repubblica Sociale Italiana il MAB finì in numeri maggiori nelle mani dell’Esercito Rumeno (che ne acquistò molti esemplari) e della Wehrmacht che ne requisì a magazzini interi dopo l’8 settembre 1943, controllandone poi la produzione, che in quelle dei militari regi italiani.
Nei corazzati, se noi allineavamo le giustamente vituperate “scatolette di latta”, i piccoli carri L3, anche gli inglesi non scherzavano con le loro “bare di fuoco”, i vari modelli di Light Tank (carri leggeri) armati di mitragliatrici; nei carri medi i nostri M13/40 e modelli M successivi tenevano bene, con il loro pezzo da 47 mm, contro il 40 mm dei carri Cruiser e Valentine inglesi, il cui cannone peraltro poteva sparare solo granate perforanti e non anche quelle esplosive, essenziali per ingaggiare a distanza i cannoni anticarro e la fanteria trincerata. I Matilda, carri pesanti inglesi, benché dotati di una massiccia corazzatura, erano pochi e lenti.
Ad ogni modo, nelle azioni tattiche di
corazzati sia gli italiani che gli inglesi sembrano dei novizi al confronto dei
tedeschi, capaci di sfruttare flessibilmente i loro Panzer appoggiati da
aliquote di fanteria meccanizzata, artiglieria, genio e aviazione di supporto:
anche in questo caso il confronto Italia-Inghilterra è quindi in pareggio. In
effetti, quando inglesi e italiani si scontrarono in Nord Africa in condizioni
di parità numerica, e senza i tedeschi di mezzo a rubare la scena, anche i carristi
italiani colsero degli allori, come la Divisione Ariete a Bir el Gobi il 19
novembre 1941, quando i suoi 130 carri M batterono i 150 carri Crusader della
potente e esperta 22° Brigata Corazzata inglese, distruggendone 42 e perdendone
30.
Sicuramente il nostro Esercito era notevolmente inferiore nelle artiglierie
controcarro, nelle comunicazioni, nella logistica e nelle forze meccanizzate,
anche se in Nord Africa una buona parte delle unità di fanteria fu comunque
dotata di automezzi, come pure le nostre Grandi Unità inviate in Russia con il
CSIR, che poteva allineare alcuni dei migliori reparti del Regio Esercito e dei
Battaglioni M.
Analizzando le performance di aerei e navi spesso arriviamo a un giudizio di non inferiorità dei nostri mezzi, per esempio anche l’utilizzo della Royal Navy del radar e della decrittazione (non efficientissima, peraltro) dei messaggi italo-tedeschi nella guerra navale nel Mediterraneo, non deve mascherare gli incredibili errori tattici e la pavidità strategica degli ammiragli italiani nel 1940-1943. Passando all’Aeronautica gli inglesi non avevano poi solo gli splendidi Spitfire: nel 1940-1941 i nostri antiquati biplani CR-39 erano coetanei dei biplani inglesi Gladiator e gli Hurricane, una volta tropicalizzati per l’utilizzo in Nord Africa, avevano le stesse prestazioni dei nostri Macchi MC 200 Saetta. Le famose “otto mitragliatrici” dei caccia inglesi, poi, se paragonate alle due dei nostri caccia, potevano risultare superiori solo a chi non osservasse che le armi inglesi erano di piccolo calibro, 7.7 mm, mentre quelle dei nostri aerei erano le potenti Breda-SAFAT da 12.7 mm, sparanti proiettili incendiari di peso quadruplo rispetto ai proiettili inglesi. Il nostro Macchi MC 205 Veltro, inoltre, benché consegnato ai reparti in pochi esemplari nel giugno 1942, aveva caratteristiche pari ai più moderni aerei avversari.
“Noi avevamo i muli, i tedeschi i carri armati” Considerando che la Wehrmacht schierò contro la Russia nel 1941 più di centotrenta Divisioni e di queste solo una ventina erano corazzate o motorizzate, e tutte le altre appiedate e ippotrainate come nelle Campagne Napoleoniche…affermazioni come queste si possono spiegare solo con il ruolo “di parte” di scrittori come Revelli e Rigoni Stern nel dopoguerra.
Le cattive prove di talune unità italiane nel periodo 1940-1942 non vanno quindi ricercate tanto nell’inferiorità dei materiali, ma nello scarso addestramento e coesione tra militari di truppa provenienti da regioni diverse, e non resi affiatati dai propri Ufficiali del Regio Esercito, i quali spesso si consideravano come superiori non solo di grado, ma anche di casta, quindi incapaci di vincere il rispetto e guadagnarsi la fedeltà dei propri uomini. Inoltre gli Ufficiali Superiori stessi, spesso anziani, applicarono tattiche risalenti alla prima guerra mondiale in un contesto di guerra di movimento molto diverso, invece di aggiornare le loro conoscenze d’arte militare preferirono dare la colpa dei loro fallimenti ai soldati o alle loro armi.
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