Una pagina di Storia dimenticata. Il Corpo di spedizione italiano nel Sinai, 1917-1918. Di Alberto Rosselli.

Il Corpo di spedizione italiano nel Sinai, 1917-1918.

Il Corpo di spedizione italiano nel Sinai, 1917-1918.

Fiumi di inchiostro sono stati versati per narrare e descrivere le vicende belliche che hanno visto contrapposti, nel corso della Grande Guerra (1914-1918), gli eserciti britannici e quelli turchi impegnati nello scacchiere mediorientale, e parecchio è stato scritto perfino sull’apporto di uomini e mezzi offerto in quel frangente da Germania, Austria e Bulgaria e da Francia e Australia. Nulla si sa, invece, delle vicende che videro partecipi i soldati appartenenti al piccolo corpo di spedizione italiano che, dietro ufficiale richiesta inglese, affiancò le forze dell’Intesa sulle sabbie del Sinai e sulle pietraie di Palestina. Ma se è vero che il contributo italiano non fu grande (sotto il profilo quantitativo) né risultò determinante ai fini della lunga e dura campagna, è altrettanto vero che per uno storico militare fare passare sotto silenzio (come inspiegabilmente è accaduto) questo relativamente costoso impegno da parte dell’Italia significherebbe rinunciare ad analizzare una parte di indagine indispensabile per comprendere le complicate dinamiche del gioco diplomatico e strategico che sta dietro ad ogni conflitto. Questo breve resoconto, che si basa su materiale estratto dall’Archivio Storico dell’Esercito Italiano, dalle Memorie del Generale inglese Edmund H. Allenby e dalla ricerca dello storico Sergio Pelagalli (Italiani in Palestina), ha come scopo quello di coprire, almeno in parte, questa grave lacuna.

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Il 10 aprile 1917, l’ambasciatore italiano a Londra, marchese Imperiali, comunicò al Governo italiano la richiesta da parte inglese di un contingente militare dotato di propria cavalleria e artiglieria (appoggiato da una forza aerea autonoma composta da almeno 12 apparecchi) da affiancare nel Sinai all’armata britannica agli ordini del generale Archibald Murray. Il Comando inglese, bene impressionato dalle prestazioni fornite dall’esercito italiano sul fronte veneto-friulano e su quello trentino, avrebbe “gradito in prima istanza l’invio di almeno un battaglione” da impiegare nella copertura di un tratto di fronte, in modo da liberare una divisione inglese che Murray avrebbe desiderato utilizzare per l’imminente, duplice offensiva finale su Bersheeba e Gaza: punti chiave dello schieramento difensivo austro-turco-tedesco approntato da tempo dal generale Otto Liman von Sanders, primo consigliere militare tedesco di Kemal Pasha. Dopo un primo parere negativo, il comandante in capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano, Luigi Cadorna (il generale per tutta la durata del suo incarico si dimostrò sempre avverso all’impiego di forze fuori dai confini nazionali; accoglierà di malavoglia anche l’invio del Corpo di Spedizione italiano a Salonicco, richiesto nel 1916 dalla Gran Bretagna e dalla Francia) prese l’impegno alla lettera e acconsentì per “motivi di convenienza squisitamente diplomatica”, concedendo l’invio di un solo scarno battaglione di bersaglieri (tra l’altro di base a Tripoli, in Libia), appoggiato da alcune decine carabinieri e da un raggruppamento aeronautico montato su appena 5 o 6 monomotori SALM S.2 (peraltro ottimi) appartenenti alla 118ma Squadriglia da Ricognizione. Una prima aliquota del raggruppamento “mediorientale” italiano (composta da sei ufficiali, due attendenti e 100 carabinieri armati di moschetto) partì il 6 maggio del ’17 da Napoli a bordo della nave Città di Tripoli, raggiungendo il giorno 10 dello stesso mese Tripoli dove si imbarcarono (il 13 maggio) 346 tra ufficiali e bersaglieri agli ordini del maggiore Francesco D’Agostino. Il reparto italiano, nel suo complesso, disponeva di 6 cavalli e 40 muli e di un modesto quantitativo di viveri, medicinali, munizioni per pistole e moschetti (in tutto 870.000 cartucce) e attrezzature da campo. Gli aerei ai quali abbiamo accennato avrebbero raggiunto Porto Said, solo dopo alcuni mesi dall’arrivo in questa località del reparto di terra. Sbarcati in Egitto il 19 maggio, il maggiore D’Agostino prese subito contatti con il locale Comando inglese che lo aiutò nella fase di sistemazione a terra del reparto (l’Intendenza britannica fornì agli italiani assistenza sanitaria e approvvigionamenti di viveri e acqua). In quei primi giorni gli italiani vennero fatti accampare in tende accanto alla base del Corpo di Spedizione francese (un’unità composta da tre battaglioni di fanteria, uno dei quali marocchino, una batteria di obici someggiati da montagna da 75 millimetri e alcune dozzine di mitragliatrici Maxim), disponendo nel contempo di un vicino magazzino viveri e munizioni in muratura messo a disposizione dalla filiale egiziana del Banco di Roma. Il 4 giugno, il generale Archibald Murray andò a fare visita al contingente dei bersaglieri (i “soldati gallina”, come vennero appellati ironicamente dagli inglesi per via del piumaggio dei copricapi d’ordinanza) “rilevandone l’ottimo stato di salute, il buon livello di addestramento e il lodevole senso di disciplina”. Il 13 giugno, il distaccamento partì a bordo di una tradotta ferroviaria da Porto Said, raggiungendo il giorno seguente la località di Rafa, situata proprio a ridosso della prima linea tenuta, in quel tratto, dalla 49ma Brigata Indiana. Subito, ai cavalleggeri italiani (una quarantina) venne affidato il compito di sorvegliare il tratto finale dell’importante linea ferrata che collegava Porto Said al fronte: obiettivo che era stato più volte attaccato da reparti di lancieri turchi e di sabotatori a cavallo beduini. Verso la metà di giugno, il Governo di Londra reclamò un maggiore impegno (circa 8.000 soldati armati di tutto punto) da parte dell’Italia sulla linea del Sinai e della Palestina, ma la richiesta, vista di buon occhio per motivi diplomatici e politici (il Trattato di Londra prevedeva a fine guerra compensi territoriali per l’Italia nella regione di Adalia, Turchia) dal ministro barone Sidney Sonnino, venne cassata dal generale Cadorna: “se ragioni politiche fanno ritenere necessario un nostro intervento in Palestina con un contingente assai maggiore di quello ora accordato (Sonnino aveva fatto intendere agli inglesi la “possibilità” di inviare in Egitto un massimo di 6.000 uomini, [n.d.a.]), le truppe occorrenti non potrebbero essere tratte che dalla Libia (in quel periodo già scarsamente difesa dagli attacchi delle bande berbere e turche, [n.d.a.]) od anche dall’Eritrea (dove l’Italia disponeva di pochissimi reparti indigeni [n.d.a.]) […] escludendo […] le forze combattenti in Patria”. Il 28 giugno, il generale Edmund Allenby giunse in Egitto per prendere il posto del generale Murray che aveva fallito nei suoi tentativi di occupare Gaza. Il nuovo Comandante in capo dell’Armata britannica, dopo avere passato in rassegna tutte le sue truppe, compresi i 450 soldati italiani del maggiore D’Agostino, iniziò subito a preparare una nuova grande offensiva con l’obiettivo di sfondare entro l’autunno la linea turco-tedesca Gaza-Bersheeba e poi marciare alla volta di Gerusalemme. E a favorire il piano di Allenby – che nel frattempo riceve due nuove divisioni britanniche, migliaia di cavalli e muli e circa 300 pezzi d’artiglieria – giocheranno gli attriti tra tedeschi e turchi sul come impostare l’imminente campagna (il generale von Falkenhayn, che fa visita a Damasco per consultazioni con il Comando turco, vorrebbe scatenare una controffensiva in Mesopotamia per riconquistare Bagdad, occupata dagli inglesi l’11 marzo del ’17, ma il generale Jemal Pasha si oppone definendo indispensabile la difesa ad oltranza della Palestina, per evitare la caduta della città santa di Gerusalemme e l’isolamento della numerosa armata turca arroccata a Medina, nell’Hegiaz). Alla vigilia dell’offensiva, le forze dell’Intesa dispongono di oltre 60.000 combattenti di prima linea con oltre 500 cannoni e almeno 15.000 fra muli, cavalli e cammelli, un centinaio di aerei di tutti i tipi, più 230.000 soldati e ausiliari egiziani appartenenti alla riserva e addetti ai servizi logistici, ai trasporti (con 80.000 quadrupedi) e agli impianti ferroviari, questi ultimi costruiti dal genio in tempi molto rapidi per fare giungere in prima linea un fiume ininterrotto di rifornimenti. I turchi fronteggiano questa notevole massa con circa 200.000 soldati peggio armati ed equipaggiati nonostante la presenza di qualche ottimo reparto di mitraglieri e artiglieri germanici e austriaci (i tedeschi dispongono anche di un dozzina di ricognitori Rumpler e di alcuni caccia Pfalz). Il Corpo italiano viene aggregato alla forza mobile del generale Watson (un grosso contingente misto che comprende la 20ma Brigata di fanteria indiana, una Brigata di cavalleria indiana e un distaccamento a cavallo di fucilieri francesi) al quale Allenby ha affidato il compito di presidiare un tratto di fronte presso Gaza. Nel frattempo un piccolo distaccamento di carabinieri viene lasciato a Rafa per sorvegliare la linea ferroviaria. Il 31 ottobre, l’armata britannica attacca Bersheeba che viene conquistata grazie ad una formidabile carica della cavalleria australiana. Il 7 novembre, i turchi, temendo l’accerchiamento, si ritirano da Gaza, che avevano difeso strenuamente per molti mesi, e i bersaglieri italiani vengono ripetutamente impiegati (soprattutto il 4 e il 5 novembre) per tamponare eventuali aperture. Alla metà di novembre l’esercito dell’Intesa sfonda e marcia su Gerusalemme che viene conquistata il 9 dicembre. Il 7 dicembre, un reparto composto da 50 tra bersaglieri e carabinieri con 10 carri e circa 40 cavalli parte anch’esso alla volta della Città Santa dove viene impiegato per servizi di guardia. Il 15 dicembre, un altro reparto italiano viene inviato a presidiare Beit Hanun (otto chilometri a nord di Gaza) per difendere la linea ferroviaria litoranea. Il 10 dicembre, finalmente, il Comando Italiano decide di mandare rinforzi a Porto Said, dove viene creata la Prima Compagnia “Cacciatori di Palestina” (140 uomini), agli ordini del capitano dei bersaglieri Felice Mercuri. Nel gennaio del 1918, il maggiore D’Agostino fa richiesta a Roma di ufficiali e complementi per formare almeno altre due compagnie, ma il Comando tarda nel prendere una decisione. D’Agostino ha compreso che una più cospicua presenza di forze italiane sul fronte di Palestina potrebbe giocare a favore dell’Italia interessata ad acquisire opzioni, a fine guerra, sul bacino carbonifero di Adalia. Purtroppo, come spesso accade nel ‘Bel Paese’, l’occasione viene malamente sciupata. Il 26 febbraio, un distaccamento di cavalleria italiano presidia il nodo ferroviario tra Giaffa e Gerusalemme e pochi giorni dopo il generale Allenby, “soddisfatto per la buona condotta degli italiani”, richiede al Comando di Roma l’invio di due divisioni, richiesta che viene accolta con entusiasmo dal ministro degli Esteri Sonnino che ha sempre appoggiato l’idea di un grande Corpo di Spedizione Italiano in Medio Oriente. Tuttavia, il nuovo Capo di Stato Maggiore, generale Armando Diaz pone il veto alla richiesta adducendo al fatto che “tutti gli uomini” gli sono necessari sul fronte veneto. Alla fine, grazie all’intervento del presidente del consiglio dei ministri Orlando, viene deciso l’invio di due battaglioni (900 soldati) “formati da residenti italiani in Egitto”. Ai primi di ottobre, quando ormai gli inglesi e gli arabi del colonnello Lawrence sfondano il fronte siriano, il Comando italiano ci ripensa ed annuncia di volere inviare in Palestina una brigata di 6.000 uomini, più un battaglione di fanteria italiano, tre battaglioni eritrei o somali, un reparto d’artiglieria da montagna con pezzi da 65 millimetri e alcune compagnie del genio, della sanità e della sussistenza. Troppo tardi. Pochi giorni dopo le truppe britanniche e arabe raggiungono Damasco, seguite dal contingente francese che, in maniera molto accorta, nell’agosto precedente era già stato portato ad oltre 7.000 soldati. Una mossa che consentirà a Parigi di far pesare in maniera più concreta al tavolo di pace le sue pretese su Libano e Siria. Tutti i reparti italiani in Palestina ed Egitto, dislocati a Porto Said, Giaffa e Sarona, verranno fatti rientrare in patria nell’agosto del 1919, mentre un ultimo distaccamento dei carabinieri di stanza a Gerusalemme rimarrà a proteggere la nostra delegazione consolare fino al 1° marzo 1921.

BIBLIOGRAFIA

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