Il relativismo e il dramma della Chiesa moderna. Di Roberto de Mattei.

«La situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi» venne posta al centro dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella Messa crismale un paio di anni fa. E non si è trattò di una generica denuncia: il Papa fece, infatti, esplicito riferimento alla situazione della Chiesa in Austria, dove era stato pubblicato un Appello alla disobbedienza del movimento Pfarrer-Iniziative (Iniziativa dei parroci). Questo appello, sottoscritto da quattrocento sacerdoti austriaci, chiedeva tra l’altro il sacerdozio femminile, l’abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale, la comunione per i divorziati risposati. Punti su cui, come nel caso dell’ordinazione sacerdotale delle donne, la Chiesa si è espressa in maniera irrevocabile e definitiva. Va sottolineato come la disobbedienza degli esponenti del clero, denunciata dal Papa, non rappresenta un episodio di isolata indisciplina, ma l’adesione organizzata ad errori od eresie. Essa si presenta dunque come uno scisma, almeno potenziale. La distinzione fondamentale tra eresia e scisma risale a San Girolamo, che definisce eresia la perversione del dogma, mentre lo scisma è la separazione della Chiesa (In Epist. ad Titum, PL, vol. 26, col. 598). Nell’eresia prevale dunque una separazione dottrinale o teologica, nello scisma una separazione disciplinare o ecclesiale. Non tutte le eresie si traducono in scismi, ma ogni scisma presuppone generalmente un’eresia. La storia della Chiesa, fin dalla sua nascita, è la storia delle sue persecuzioni, ma anche degli scismi e delle eresie che, fin dalle origini, ne hanno minato l’unità. San Paolo, nelle sue lettere, fa spesso riferimento a queste deviazioni dall’insegnamento di Cristo e della Chiesa, che già si presentavano tra i fedeli. Così, nella IV lettera agli Efesini, li ammonisce a «non camminare, come camminano i gentili, nella vanità del proprio pensamento, con l’intelletto oscurato dalle tenebre, lontani dalla via del Signore, per causa dell’ignoranza che v’è in essi» (Ef. 4, 17-18). L’origine di questo allontanamento dalla via del Signore è nella mancanza di sottomissione dell’uomo a Gesù Cristo, unica Via, Verità e Vita. «Gesù Cristo – ricordò il Papa nella sua Omeliaha concretizzato il Suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la Sua missione. Non la mia, ma la Tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la Sua umiltà e insieme la Sua divinità, e ci indica la strada». Il sacerdote dovrebbe sempre ripetere con il Vangelo: «La mia dottrina non è mia (Gv. 7, 16). «Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. (…) Ma la disobbedienza – ha detto il Papa – è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?». Un tempo, sulle dichiarazioni eterodosse di esponenti del clero si sarebbe steso un velo di pietoso silenzio. Poi, alla luce della deriva relativista, Benedetto XVI si vide costretto a dare ufficiale allarme; tacere è, infatti, una colpa, anche se parlare significa portare alla luce gravissime responsabilità. E’ quanto è accaduto ancora una volta in Austria, dove il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, poco tempo fa ratificò l’elezione di Florian Stangl, un ventiseienne dichiaratamente omosessuale, nel consiglio della Parrocchia di Stützenhofen, nella sua Arcidiocesi (cfr. “Corrispondenza Romana”, n. 1237, 11 aprile 2012). Il giovane, ufficialmente iscritto come convivente con un “compagno” nei registri civili, venne eletto a grande maggioranza nel consiglio della sua comunità ecclesiale, ma il Parroco, don Gerhard Swierzek, in conformità a quanto prescrive il Diritto canonico, manifestò la propria opposizione alla nomina. Il neo-eletto, peraltro, non si era detto per nulla disposto a rinunciare alla sua situazione, di fatto e di diritto omosessuale, respingendola anzi come «una richiesta irrealistica». Il caso rimbalzò sui mass-media ed intervenne personalmente l’arcivescovo di Vienna che, dopo aver invitato a pranzo Florian Stangl ed il suo convivente, rilasciò un’intervista all’emittente tv “ORF”, in cui si dichiarò «molto impressionato» dal giovane omosessuale, «umanamente, personalmente e cristianamente» ed illustrò davanti alle telecamere la decisione di confermarlo a capo del Consiglio pastorale, malgrado l’avviso contrario del parroco. Il Cardinale affermò di aver voluto guardare «prima agli uomini che alla Legge» e ha poi annunciò l’intenzione di rivedere le regole di accesso, «per chiarire i requisiti necessari per i candidati». Il cardinale Schönborn volle come suo Vicario generale ed uomo di fiducia mons. Helmut Schüller, lo stesso che ora guida il movimento dei disobbedienti Pfarrer-Iniziative e, a suo tempo, consegnò alla Congregazione del Clero un memorandum, accompagnato da una nota personale sul tema del celibato sacerdotale, affinché «qualcuno a Roma sappia cosa pensa una parte dei nostri laici dei problemi della Chiesa». In Italia, il presule, che più di ogni altro sembrò in sintonia con Schönborn, fu Sua Eminenza il cardinale Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano. Nel volume, dal titolo Credere e conoscere, il cardinale Martini, presentato dal giornalista come «una delle massime autorità spirituali del nostro tempo», affermò che il comportamento omosessuale «non può venire né demonizzato né ostracizzato». «Io ritengo che la famiglia vada difesa (…) – aggiunse il porporato – però non è male, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi nella Chiesa se la prende con le unioni civili. Io sostengo il matrimonio tradizionale con tutti i suoi valori e sono convinto che non vada messo in discussione. Se poi alcune persone di sesso diverso, oppure anche dello stesso sesso, ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?» (“Corriere della Sera”, 23 marzo 2012). Benedetto XVI, in occasione della visita ad limina dei vescovi americani, criticò «le potenti correnti politiche e culturali che cercano di alterare la definizione legale del matrimonio», affermando che «le differenze sessuali non possono essere respinte come irrilevanti per la definizione del matrimonio». Benedetto XVI ricordò che l’unione omosessuale, regolata o no dallo Stato, non poteva ricevere nessuna approvazione dalla Chiesa. E se l’ordinazione della donna violava la legge rivelata da Dio, l’omosessualità infrangeva, oltre alla legge della Chiesa, la legge naturale, impressa dal Signore in ogni cuore umano. Il Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 2357, definisce le relazioni omosessuali «gravi depravazioni», «intrinsecamente disordinate», «contrarie alla legge naturale» ed «in nessun caso» da approvarsi. A che serve celebrare il ventesimo anniversario dell’entrata in vigore di questo Catechismo se si tollera che siano gli stessi uomini di Chiesa a metterlo in discussione, nelle parole e nei fatti? E come immaginare di far fronte allo scisma che incombe, senza colpire chi favorisce gli errori all’interno della Chiesa, anche se rivestito della porpora cardinalizia?

*(Fonte: ‘Radici Cristiane’)

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