Qualcuno si chiede “perché” da alcuni anni si parla di nuovo della “guerra lampo” in Francia. Le ragioni sono essenzialmente due. In primis, perché la campagna di Francia fu lo scontro che segnò lo spartiacque tra una concezione della guerra ancora tributaria di alcuni schemi risalenti al 1914 e la guerra contemporanea, ovvero come la conosciamo oggi. Secondariamente, perché l’esito della campagna fu, almeno in parte, predeterminato sia dall’atteggiamento dei politici francesi che da quello dell’intellighenzia culturale. Infatti, come rilevava lo storico britannico Sir Basil Henry Liddell Hart, “La storia vera di un grande evento è spesso molto diversa da come appare nel momento in cui esso si svolge”. E ciò vale, particolarmente, per gli avvenimenti decisivi del 1940: la Francia fu travolta da un’offensiva che riuscì per una serie impressionante di ragioni. Alcune delle quali tra le più singolari. Come, primariamente il fatto che ci fu un mutamento di piani da parte tedesca. Il piano originario, elaborato dall’OKH (Oberkommando des Heeres), il Comando supremo dell’esercito, sotto la direzione del Generalfeldmarschall (feldmaresciallo) Walther von Brauchitsch e del Generaloberst Franz Halder, era nelle grandi linee simile al vecchio “Piano Schlieffen”. Il quale prese il nome del suo autore, il generale Alfred von Schlieffen, capo di stato maggiore dell’esercito imperiale, che lo ideò nel 1905 e che fu modificato, con conseguenze negative, dal suo successore, il generale Helmuth von Molte, nel 1911 e, infine, messo in esecuzione nel 1914. Il Piano iniziale prevedeva una rapida mobilitazione dell’esercito guglielmino, che, senza tenere conto della neutralità dell’Olanda e del Belgio, avrebbe dovuto dilagare attraverso di essi con la sua potente ala destra in direzione sud-ovest attraverso le Fiandre, colpendo la Francia in un settore completamente sguarnito. Contemporaneamente l’esercito tedesco avrebbe mantenuto un atteggiamento difensivo con il centro e l’ala sinistra nei settori di confine tra Francia e Germania, allo scopo di attirare all’attacco l’esercito francese. L’obiettivo strategico ultimo del Piano era, perciò, l’aggiramento e l’intrappolamento in un’immensa sacca della grande maggioranza dell’esercito francese schierato a ridosso della frontiera franco-tedesca. Dopo il ritiro di Schlieffen nel 1906, divenne capo di Stato Maggiore von Moltke. E, anche in considerazione del fatto che l’esercito russo avrebbe comunque potuto mobilitare una parte delle sue truppe in tempi brevi e, soprattutto, che l’impostazione dell’esercito francese negli ultimi anni si era fatta sempre più offensiva con l’adozione nel 1911 del Piano XVII, furono alcune modifiche al Piano. Come sottrarre alcune divisioni all’ala destra, quella attaccante, per utilizzarle nel rafforzamento della difesa in Alsazia-Lorena e eliminare l’invasione dell’Olanda. Con il risultato di accorciare il braccio della tenaglia che avrebbe dovuto stringere l’esercito francese da nord, di creare un “collo di bottiglia” attraverso il Belgio e di non poter sfruttare anche le ferrovie olandesi per le esigenze di rifornimento. A questi aspetti già negativi, si aggiunsero, in fase d’esecuzione del Piano, la resistenza dell’esercito e dei civili belgi, la presenza e l’efficienza del Corpo di spedizione britannico e la capacità del sistema ferroviario francese di agevolare le operazioni di riposizionamento dei soldati. Ho fatto questa digressione sul “Piano Schlieffen” per poter spiegare che se, nel 1940, l’esercito tedesco avesse attuato il piano originario, l’esito dell’offensiva tedesca sarebbe stato molto diverso. Infatti, il “Fall Gelb” (Caso Giallo”, cioè il nome in codice assegnato dalla Wehrmacht al Piano) prevedeva che il massimo sforzo venisse esercitato dall’ala destra per una penetrazione in profondità attraverso le pianure del Belgio, la cui esecuzione sarebbe stata affidata al gruppo d’armate B, comandato dal generale Fedor von Bock. Il gruppo d’armate A, sotto il comando del generale Karl Gerd von Rundstedt, sarebbe stato schierato dinanzi alle Ardenne e avrebbe avuto un compito secondario. Il gruppo d’armate C, comandato dal generale Wilhelm Ritter von Leeb, schierato alla frontiera con la Francia, avrebbe dovuto semplicemente minacciare e tenere inchiodate le forze francesi che presidiavano la linea Maginot. Von Bock avrebbe avuto ai suoi ordini la diciottesima, la sesta e la quarta armata; Rundstedt la dodicesima e la sedicesima; Leeb la prima e la settima. E, cosa ancora più importante, la totalità delle forze corazzate sarebbe stata concentrata sull’ala destra per la mazzata portata avanti da von Bock. Nessuna unità corazzata sarebbe stata assegnata a Rundstedt, il cui compito era semplicemente di avanzare fino alla Mosa per coprire il fianco sinistro di von Bock. E’evidente che, sulla sua strada, von Bock avrebbe trovato l’esercito britannico e la parte meglio equipaggiata dell’esercito francese. L’attacco tedesco avrebbe cozzato frontalmente contro queste forze. E, anche se avesse sfondato il fronte alleato in Belgio, non avrebbe fatto che sospingere le forze avversarie verso la loro linea fortificata nella Francia settentrionale, più vicino alle basi di rifornimento. Però, tutto questo non accadde, in quanto, il 10 gennaio 1940, a causa dell’atterraggio forzato di un ufficiale di collegamento, il maggiore Hellmuth Reinberger, su territorio belga, dovuto alle condizioni di tempo proibitive, alcune parti importanti, tra cui le linee generali, del piano d’invasione, caddero nelle mani delle autorità belghe. Ciò portò alla sostituzione del “Fall Gelb” con il piano ideato dal Generalleutnant (generale di divisione) Erich von Manstein. Questo piano, denominato poi “Sichelschnitt” (“colpo di falce”), è, secondo lo storico francese Raymond Cartier, uno dei maggiori risultati operativi di Manstein. A dire il vero, il piano era già stato esposto, verso la metà di dicembre del 1939, dallo stesso Manstein al vice capo dell’Ufficio Comando e Operazioni dell’OKW (Oberkommando der Wehrmacht, cioè il Comando supremo delle Forze armate) generale Walter Warlimont. Ma, sia l’OKH che il generale Alfred Jodl respinsero la proposta. Grazie all’incidente di volo di cui ho accennato ed alle opinioni favorevoli sia di von Rundstedt che del generale Heinz Guderian, il piano giunse, finalmente, a conoscenza di Hitler che lo approvò. E, qui sta la prima grossa causa della riuscita dell’invasione della Francia: lo spostamento del peso principale dell’attacco dalle pianure belghe alle Ardenne in direzione di Sedan. La seconda causa del successo tedesco sta nel differente impiego dei carri armati. I tremila (quelli tedeschi erano duemilaquattrocento) carri francesi (il nuovo Char de Bataille B1 da trentuno tonnellate, armati con un pezzo coassiale da 75 mm. e uno in torretta da 47 e una mitragliatrice da 7,5 mm; il carro medio Somua S35 da venti (armati con un pezzo da 47 mm. e una mitragliatrice), e i carri leggeri Renault R-35 e Hotchkiss H-35, armati con pezzi da 37 mm. e una mitragliatrice) erano stati dispersi tra le divisioni di fanteria (1.600 mezzi) o distribuiti (altri 800) alle divisioni di cavalleria. Ovvero, sono ancora concepiti anticamente come mezzi di appoggio e sono, perfino, privi di radio. Mentre i carri tedeschi (l’MkI, armato con due mitragliatrici da 7,9; l’MkII, munito di un cannoncino da 20 mm e una mitragliatrice da 7,9; l’MkIII, armato di cannone da 37 mm. e una o due mitragliatrici da 7,9, e l’MkIV, da 24 tonnellate, dotato di cannone da 75 mm. più una o due mitragliatrici da 7,9 cm) erano raggruppati in Divisioni Panzer, secondo le teorie elaborate (e diffuse nel libro “Achtung Panzer”, pubblicato nel 1938) da Guderian che riguardavano l’uso combinato e massiccio delle truppe corazzate e dell’aviazione, basato sull’attacco a sorpresa. Invece, ciascuna delle tre sole divisioni corazzate francesi aveva solo la metà dei carri delle divisioni tedesche. Si può fare lo stesso discorso per le forze aeree. Qui, oltre alle superiorità tecnica (il più diffuso caccia francese, cioè il Morane-Saulnier MS-406 risultava più lento di 80 chilometri e peggio armato rispetto al Messerschmitt Bf-109 E, dotato di due cannoncini Mauser da 20 mm. e due MG da 7,9) e l’utilizzo strategico dei mezzi, la Luftwaffe aveva anche quella numerica. Il Reichsmarschall Hermann Goring poteva, infatti, schierare quasi 3.500 aerei (tra cui 342 bombardieri in picchiata Junkers Ju-87B), senza contare i ricognitori e gli Junkers Ju-52 da trasporto, contro i 1.200 apparecchi francesi. E’ vero che i francesi erano superiori in alcune delle altre armi convenzionali, come, ad esempio, nell’artiglieria pesante, con undicimiladuecento bocche da fuoco di vario calibro contro le settemiladuecento tedesche. Le quali, però, come affermò Hitler, non avrebbero svolto “alcuna funzione di importanza decisiva nella guerra mobile”. Nell’antiquata concezione difensiva francese rientra, a pieno titolo, la linea Maginot. Si trattava di un complesso integrato di fortificazioni (suddivise in opere minori e maggiori, come postazioni di mitragliatrici e artiglierie di piccolo e medio calibro, casematte e veri e propri forti come l’Hochwald o il Grand Ouvrage Hackenberg) voluto dal ministro della Guerra Andrè Maginot (in carica dal 2 novembre 1929 al 17 febbraio 1930) e realizzato, tra il 1928 e il 1940, a protezione dei confini che la Francia aveva in comune con il Belgio, il Lussemburgo, la Germania, la Svizzera e l’Italia (la cosiddetta “linea Maginot Alpina”). Ma la Maginot, ideata per esorcizzare le spaventose esperienze del Primo Conflitto Mondiale (una guerra di trincea caratterizzata da scontri di violenza inaudita, martellanti bombardamenti di artiglierie, utilizzo di gas asfissianti e vescicanti) finì per rivelarsi di mediocre utilità e, soprattutto, estremamente costosa (ben 5 miliardi di franchi dell’epoca). Come disse il generale britannico Alan Brooke: “la Maginot non dà che una illusoria impressione di sicurezza. Penso che i francesi avrebbero fatto meglio a impiegare il denaro in difese mobili che non a farlo inghiottire dal terreno”. Infatti, il 15 giugno 1940, la 1° Armata del generale Erwin von Witzleben (inquadrata nel Gruppo d’armate C, al comando del generale von Leeb) non ebbe difficoltà, o quasi, nel conquistare l’importante forte di Langres. Il primo sfondamento germanico della linea francese si verificò a sud di Saarbrucken, poi seguirono quelli di Colmar e di Mulhouse, fino al crollo definitivo. Ma Maginot a parte, la sconfitta francese ebbe anche altre cause: il piano difensivo francese, l’atteggiamento dei generali francesi e la particolare situazione politica, sociale e culturale. Del primo fattore è presto detto. Il successo del colpo sferrato attraverso le Ardenne dai tedeschi deve infatti essere attribuito in notevole misura al piano francese “Dyle-Breda”. Infatti, appena il generale (capo di stato maggiore delle difesa e, dunque, comandante di tutte le forze terrestri) Maurice Gamelin ebbe notizia dell’attacco al Belgio e all’Olanda, la Settima Armata del generale Giraud, il Corpo di Spedizione Britannico del generale John Gort e la Prima Armata del generale Blanchard, cioè la spalla sinistra dello schieramento anglo–francese, si spinsero verso i fiumi Dyle e Mosa. Credendo, così, di trovarsi di fronte ad una pedissequa ripetizione del “Piano Schlieffen”, le forze alleate si cacciarono in trappola. Infatti, il vero “colpo di falce” venne sferrato dalle sette divisioni corazzate al comando di von Kleist che avanzarono attraverso le “impraticabili” Ardenne per aprire un varco sulla Mosa, tra Dinant e Sedan, con l’assalto principale portato dalla 1°, 2° e 10° divisione Panzer del XIX Corpo d’Armata di Guderian, dalle truppe scelte del reggimento “Grossdeutschland” e del XIV Corpo d’Armata motorizzato di von Wietersheim. A fronteggiare l’attacco della punta di diamante della Wehrmacht c’erano la Nona Armata del generale Corap e la Seconda del generale Huntziger. Cioè due tra le più mediocri delle armate francesi. Questo perché il Maresciallo Pétain aveva, a suo tempo, definito le Ardenne come una barriera naturale da cui non sarebbe potuta venire alcuna insidia. E, dunque, le unità migliori erano state dislocate a nord per aiutare il Belgio. La rigida e cieca fiducia (il 9 maggio 1940, il famoso “chansonnier” Maurice Chevalier tenne, addirittura, uno spettacolo per le truppe della Seconda Armata schierata nel punto critico di Sedan) dei comandanti francesi in un sistema difensivo fermo al 1918 fu sconvolta al tal punto che quando il generale Huntziger chiese al generale Georges (comandante delle truppe sul fronte nord-orientale) quale avrebbe dovuto eseguire, la risposta di Georges fu di agire “per il meglio”. Peraltro, se i generali francesi facevano affidamento su una politica difensiva ormai anacronistica, il popolo francese entrò in guerra con somma riluttanza, in quanto il ricordo delle perdite spaventose della Grande Guerra erano ancora molto vive in ogni famiglia. E, via, via che passavano i primi, statici (anche se la staticità, almeno da parte tedesca, era solo apparente), giorni di guerra (la “drôle de guerre” o “strana guerra”) tra i civili si diffusero i dubbi e tra i militari una sorta di noia. Per cui si vedevano spesso ufficiali che ignoravano l’ordine d’indossare l’elmetto e il cinturone. Oppure ai soldati venivano concesse, d’abitudine, licenze nel fine settimana. Per non parlare, poi, dell’influenza del partito comunista. La cui azione, sia a causa dell’ostilità di Stalin nei confronti delle “democrazie borghesi” che del patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica stipulato il 25 agosto 1939 dai ministri degli esteri von Ribbentrop e Molotov, giunse fino a dei veri e propri atti di sabotaggio nelle fabbriche addette alla produzione di materiale bellico, come quello che ebbe luogo nello stabilimento Renault di Parigi. Riguardo al quale, un resoconto dei danni riferiva, ad esempio, di “dadi, bulloni e rottami di ferro introdotti nelle scatole del cambio e nelle trasmissioni”. Mentre alcuni ex – socialisti (in rotta con il marxismo ufficiale), come Marcel Déat, politici della Terza Repubblica, come Pierre Laval, e generali, come gli stessi Pétain e Weygand, erano inclini ad un compromesso con la Germania. Per cui, ben presto, per parecchi francesi, il nemico tedesco diverrà “pas méchant” (“non troppo cattivo”), mentre, già dal 17 giugno 1940, due celebri stelle del varietà francese, Suzy Solidor e Lucienne Boyer, cantavano in un locale degli Champs-Élysées affollato di ufficiali della Wehrmacht. In Germania, invece, pur ricordando le enormi sofferenze patite durante la Grande Guerra, specialmente dopo la Campagna di Norvegia che si era risolta pere il meglio, la popolazione era tranquilla. E, i giovani, in particolare, credevano ciecamente in Hitler e nel suo successo. Ecco, queste sono, in sintesi, le ragioni del crollo così rapido della Francia. Un crollo che lasciò stupito il mondo intero.
Bibliografia:
Gian Enrico Rusconi Rischio 1914 – come si decide una guerra – Il Mulino
Basil Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale – Mondadori
Basil Liddell Hart, Storia di una sconfitta – Rizzoli
Raymond Cartier, La seconda guerra mondiale – Mondadori
W.L.Shirer, La caduta della Francia – Einaudi
Zeev Sternhell, Né destra né sinistra – Dalai Editore
R.O.Paxton, Vichy. Il regime del disonore – Il Saggiatore
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