Prima ancora che sulla Libia, l’interesse della politica mediterranea dell’Italia aveva puntato le sue carte sulla Tunisia. Ma anche allora, nel 1881, una Francia gelosa e dispettosa si preoccupò di ostacolare i disegni italiani.
La recente pubblicazione di un pregevole lavoro di Enzo Tartamella (“Emigranti anomali. Italiani in Tunisia tra Otto e Novecento”, Maroda editori) ha, tra gli altri meriti, quello di riportare alla ribalta due temi non secondari nella storia della nostra diplomazia: quello, appunto, della emigrazione italiana in Tunisia, e quello – strettamente connesso – del ruolo della Tunisia nel contesto della politica estera italiana, fin dal 17 marzo di 150 anni fa. L’occasione è opportuna, anche, per ripercorrere le tappe principali di quel rapporto particolarissimo fra la nazione italiana e la sua “quarta sponda” nordafricana; rapporto ritornato d’attualità oggi, quando l’Italia è stata costretta a partecipare alla sciagurata guerra contro la Libia. Ufficialmente il nostro interesse per la Libia risale ad un secolo fa, quando il Regno d’Italia mosse guerra all’Impero Ottomano per impadronirsi di Tripolitania e Cirenaica. In realtà, l’Italia si sarebbe forse accontentata della piccola Tunisia, che aveva iniziato a colonizzare pacificamente fin dall’indomani del raggiungimento dell’unità nazionale. La locale comunità italiana (con una componente siciliana del 75%) giungerà a sfiorare le 100.000 unità, assolvendo ad un ruolo importantissimo di promozione e di supporto alla economia locale.

Tunisi ai primi del Novecento.
Questo avvìo di colonizzazione della Tunisia era sostenuto e favorito dai primi governi dell’Italia unita, impegnati ad abbozzare una linea diplomatica che non poteva più essere quella del piccolo Piemonte sabaudo, ma che doveva necessariamente avere un respiro mediterraneo. E il Mediterraneo, al tempo, era diviso tra la signoria dell’Inghilterra ad est e quella della Francia ad ovest. I domìni britannico e francese erano ovviamente comprensivi di possedimenti e protettorati sul versante africano: l’Inghilterra dominava (ancora non del tutto) l’Egitto, mentre nel 1875 avrebbe acquisito il controllo del canale di Suez; e la Francia deteneva l’Algeria ed il Marocco. In mezzo v’erano tre regioni di media grandezza: la Cirenaica (al confine con l’Egitto), la Tripolitania (in mezzo) e la Tunisia (sul versante algerino). Si trattava di tre province dell’Impero Ottomano, una delle quali – la Tunisia – era però sostanzialmente indipendente, affidata alle cure di un Bey che agiva di fatto come un sovrano. La Tunisia, peraltro, era una meta tradizionale dell’emigrazione italiana: dagli antichi flussi di origine soprattutto ligure, a quelli più recenti di provenienza siciliana.
Orbene, la nascente politica mediterranea del Regno d’Italia non aveva che una prospettiva: creare una pur modesta area di predominio italiano al centro del “mare di mezzo”, in modo da interporsi fra l’est britannico e l’ovest francese, oltre che per impedire all’Inghilterra (che già controllava, con Gibilterra, l’accesso al Mediterraneo) potesse trasformare definitivamente l’ex Mare Nostrum in un Great British Lake, un Grande Lago Britannico. Ovviamente questa nostra “area” avrebbe potuto avere rilevanza (economica e militare) solo se si fosse estesa dalle coste della Sicilia a quelle del Nordafrica, comprendendo dunque un possedimento sulla riva sud. E questo possedimento (o anche soltanto un protettorato) non avrebbe potuto essere che la Tunisia. Ecco perché il governo di Roma stipulò nel 1868 un trattato di collaborazione con il Bey di Tunisi, trattato che diede il via ad un nuovo consistente flusso migratorio siciliano verso la Tunisia: bene accetto al governo ed alla popolazione del piccolo paese arabo, perché tale flusso era pacifico, laborioso, non predatorio, apportatore di benessere, prezioso per le prospettive di sviluppo di quel territorio.
Il Primo Ministro Benedetto Cairoli. Questi subì il cosiddetto “schiaffo di Tunisi”: onta che gli costò le dimissioni.
La politica italiana del tempo, infatti, rifuggiva dalle conquiste militari per acquisire sbocchi coloniali; politica che, al contrario, era praticata su larga scala dalle “grandi potenze”, in primis da Inghilterra e Francia. Quest’ultima, in particolare, non si faceva scrupolo di compiere una vera e propria rapina a mano armata ai danni dell’Italia. L’11 maggio 1881, così, le truppe francesi varcavano il confine algerino ed occupavano militarmente la Tunisia. Era quello che sarebbe passato alla storia come “lo schiaffo di Tunisi”, a significare l’affronto mosso al Regno d’Italia da una Francia che pure si proclamava nostra “amica”. L’umiliazione era tale che il Presidente del Consiglio del tempo, Benedetto Cairoli, rassegnava le dimissioni, travolto dalle critiche che sommergevano l’intera politica diplomatica del suo e dei precedenti governi. Quanto all’Inghilterra, l’anno seguente avrebbe invaso l’Egitto, sostituendosi – di fatto – al dominio dell’Impero Ottomano (che ufficialmente permarrà fino al 1914).
‘Cacciatori’ francesi a cavallo in Tunisia (1881).
Ritornando alla Francia, comunque, questa si installava saldamente in Tunisia, sostituendosi con arroganza alla pacifica, operosa presenza dell’Italia. La comunità italiana, tuttavia, era talmente numerosa e talmente radicata nel paese, che le nuove autorità non riuscivano a soppiantarla facendo affluire corpose ondate di “coloni” dall’Algeria. Ancora cinquant’anni dopo lo “schiaffo” – negli anni ’30 del XX secolo – in Tunisia c’erano assai più italiani che francesi. E ciò malgrado una rozza politica di assimilazione che non otterrà che scarsissimi risultati. La mossa francese vanificava, non di meno, la nascente politica mediterranea del Regno d’Italia. Il vagheggiato asse verticale Roma-Tunisi non era più nel novero delle cose possibili e, conseguentemente, il Mare Nostrum tornava ad essere una grande palestra per i traffici delle flotte di Londra e di Parigi. Il primo tentativo dell’Italia di assurgere al rango di “grande potenza” naufragava sul nascere, travolto dall’arroganza, dalla gelosia, dalla prepotenza della Francia. Una Francia che rigettava (allora come oggi) ogni ipotesi di solidarietà euro-latina, preferendo – come dirà più tardi Mussolini – il ruolo di “cameriera dell’Inghilterra”. In ogni caso, però, la politica mediterranea dell’Italia non mutava indirizzo. Sfumata l’occasione della Tunisia, si profilava un nuovo obiettivo: la Libia.




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