Le ‘due Americhe’ colonizzate a confronto. Cultura cattolica a Sud e cultura protestante con influssi massonici a Nord. Di Michele Tosca.

Lo sbarco di Cristoforo Colombo in America.

Per capire la situazione attuale delle Americhe, bisogna  approfondire la differenza delle conquiste coloniale  tra i territori occupati dai cattolici e quelli occupati dai protestanti. Questa differenza è fondamentale per comprendere le conseguenze, anche odierne, sulle popolazioni indigene. Se ai Conquistadores ed ai regnanti cattolici il Papa scriveva che  “..gli Indiani sono dei veri uomini [ … ] capaci di ricevere la fede cristiana  … che non devono essere privati né della libertà né del godimento dei loro beni»[1]. Questo non era certo il pensiero dei coloni del Nord America di cultura massonico-protestante,[2] che, considerando i popoli indigeni una razza inferiore,  avrebbero sterminato i Pellerossa ed introdotto la schiavitù con il mercato degli schiavi dall’Africa. Non è perciò difficile comprendere anche per quale ragione il Messico, che era la  più grande e florida nazione del sud America attirerà le brame imperialistiche  degli Stati Uniti, che, per poterlo dominare , si attiveranno in primis nel distruggere la Fede cattolica radicata nei peones e motivo di unione della Nazione.[3]

Cristoforo Colombo in America.

Il nuovo mondo venne scoperto da un cattolico, Cristoforo Colombo, per conto di uno Stato che si autodefiniva “cattolicissimo”, la Spagna[4]. E di tale vantaggio iniziale le potenze cattoliche, Spagna e Portogallo si avvalsero per colonizzare la maggior parte del Nuovo Mondo, dalla Florida alla Terra del Fuoco, conquistando aree ricche di metalli preziosi. Purtroppo gli indios dei territori portoghesi non ebbero la fortuna di avere una Corona spagnola che, per fare rispettare la propria volontà, disponeva, oltre all’appoggio dei religiosi, di un notevole corpo di uomini di fiducia, i giudici delle  Real Audiencias . Questo perchè l’America, per i Re di Spagna, al contrario degli Inglesi, non era vista come una “colonia di popolamento” [5], questo, infatti, non era mai stato il motivo della Conquista. Mentre, più tardi, nell’America anglosassone e protestante, c’era al contrario la volontà di “conquista delle terre” degli immigranti europei: tutte le terre dell’ovest degli Stati Uniti vennero dichiarate proprietà statali, per cui al pioniere bastava espellere gli Indiani dalla terra desiderata e pagare un dollaro per acro allo Stato, per diventarne legalmente ed interamente proprietario. Ed è in quel periodo che nasce il detto «l’unico Indiano buono è l’Indiano morto», frutto della cultura protestante verso gli indigeni e della pratica di porre  una taglia per ogni scalpo di indiano che fosse stato portato alle autorità, con una differenziazione di premio per scalpi di adulto maschio, di donna o di bambino. [6] Nel 1703 il governo del Massachusetts pagava 12 sterline per scalpo, tanto che la caccia all’indiano (organizzata con tanto di cavalli e mute di cani) diventò presto una sorta di redditizio sport nazionale. Questo criterio di considerare gli indigeni spiega la quasi totale scomparsa dei Pellerossa nei territori anglofobi. Mentre, in Messico e in Perù (i due vicereami spagnoli della Conquista) la popolazione è ancora oggi costituita dal 90-95% da Indios e meticci di Indios.[7] Mentre la Spagna proteggeva gli indio e la proprietà delle loro terre, i Pellerossa che sopravvissero agli eccidi[8] videro le loro strutture tribali abrogate e furono confinati in apposite riserve, dove vissero in uno stato di costante miseria[9]. La poca terra rimasta loro, con l’emendamento Dawes del 1887, fu lottizzata in piccole proprietà da autogestire in modo individuale, mentre i terreni “eccedenti” ( si fa per dire)  dalla ripartizione furono ceduti dal Dipartimento degli Interni ai coloni bianchi. Di conseguenza i terreni adibiti a Riserva Indiana passarono dai 136.3943985 ai 72.865.373, ovvero una diminuzione di oltre il 40%.( nel 1907 l’anno della chiusura della riserva Potawani il 75% dei terreni era in mano ai coloni bianchi).

E’ importante tenere conto delle motivazioni e convinzioni, che avevano i colonizzatori, per  comprendere gli avvenimenti  che stiamo trattando, ed è utile e necessario  avere elementi per un giudizio completo sulla vicenda della colonizzazione dell’America latina, troppo spesso deformata da interessati storici, che  si sono concentrati volutamente e falsamente su un unico “colpevole”: i Conquistadores . Quale giudizio è diffuso, infatti, dalla divulgazione scolastica e giornalistica? La leggenda: che gli spagnoli ( cattolici) sarebbero stati un concentrato di ottusità, brutalità, ferocia, a differenza degli inglesi (protestanti), a cui spetterebbe la palma della civiltà e del rispetto dei diritti umani. Per semplicità parliamo di inglesi, ma includiamo sinteticamente in tale voce anche altri stati europei di cultura protestante, come per esempio l’Olanda. [10] La tesi “ inglesi buoni, spagnoli cattivi” è solo una leggenda propagandistica costruita ad arte. La cultura protestante che animava i colonizzatori inglesi li spingeva non a convertire, ma ad estirpare i popoli amerindi, ai loro occhi predestinati alla dannazione eterna. Le cifre parlano da sole: quanti sono e come sono ridotti i Pellerossa negli U.S.A.? E inoltre che ne è della loro cultura: non è forse vero che ne è stata fatta terra bruciata?

Chi ha praticato la schiavitù fino al 1860 non è stata la Spagna, ma gli Stati Uniti d’America. Chi ha praticato la discriminazione razziale fino al 1960 ? sempre gli U.S.A.. E chi ha discriminando i neri con l’Apartheid fino a pochi anni fa, fino alla fine del ‘900 non è stata la Spagna, ma il Sudafrica anglosassone. Chi ha definito con fierezza il proprio popolo come una “razza estirpatrice”, che non si mescola ai popoli assoggettati, ma ne elimina brutalmente la cultura e, se necessario, anche la popolazione, non è stato uno spagnolo, ma un inglese, Charles Dilke (nel suo celebre Greater Britain).

Sacrifici atzechi.

Sicuramente tra i molti elementi che ci fanno dire che gli spagnoli rispettarono il valore della persona umana molto più degli inglesi, vi è il fatto che gli inglesi, protestanti e legati all’idea della predestinazione, ritennero che i Pellerossa non appartenessero al novero degli “eletti” e perciò con loro era lecito, anzi giusto, usare metodi brutali, compreso il genocidio. Gli spagnoli invece, cattolicamente convinti che non era possibile sapere in questa vita chi sarebbe stato eletto e chi no, cercarono, pur tra mille errori, la conversione degli indios. A riprova di ciò si osservi a tal riguardo la percentuale di discendenti degli abitanti originari nei paesi latinoamericani (i morenos). La seguente tabella confronta la percentuale di discendenti di abitanti originari in diversi paesi del Nuovo Mondo [11]

Comparazione popolazione nei paesi colonizzati dalle varie potenze europee nel 1990
 Paese colonizzatore% amerindi% meticci% europei% discendenti di schiavi (africani o altro)
MessicoSpagna31%60%9% 
PerùSpagna45%37%15% 
Guyana br.Inghilterra0%0%<4%96%
Stati UnitiInghilterra<1% 85% ca.12% ca.

I dati dimostrano chi perpetuò lo sterminio, o meglio il genocidio dei popoli amerindi. La percentuale di discendenti dei popoli sottomessi agli Spagnoli è elevata, viceversa, è scarsa nei paesi colonizzati dall’Inghilterra. Inoltre è evidente di quanto l’arte, la musica e la cultura latinoamericana ha recepito della cultura indigena. Nei paesi di civiltà ispanica si è creata una nuova cultura, in cui elemento originario ed elemento europeo si sono fusi. A differenza dei maschi spagnoli e portoghesi cattolici che non esitavano a sposare indigene, nelle quali vedevano persone umane alla pari di loro, i protestanti erano animati da quella sorta di “razzismo” o, almeno, di senso di superiorità da “stirpe eletta”. Questo, unito alla teologia della predestinazione (l’indiano è arretrato perché “predestinato” alla dannazione, il bianco è progredito come segno di elezione divina), portava a considerare come una violazione del piano provvidenziale divino il rimescolamento etnico o anche solo culturale. [12]Documento inequivocabile di ciò è l’esistenza di un’ampia percentuale di meticci, nati dall’unione tra spagnoli e indios. Gli europei di matrice protestante, invece, disdegnavano i matrimoni misti, e mai si sarebbero uniti con degli esseri “subumani e predestinati alla dannazione”; gli spagnoli, di cultura cattolica, no , in quanto riconoscevano negli amerindi degli esseri pienamente umani e soggetti di diritto come testimonia la citata Bolla, del 1537, di  papa Paolo III , e a chiunque guardi con prospettiva di fede, simbolo di tale fusione è, come vedremo, il miracolo della Madonna di Guadalupe: la Madre di Dio apparsa appunto nella sembianza di una meticcia, profezia di un incontro positivo e arricchente tra due mondi e due culture. D’altronde da chi sappiamo degli abusi, che sicuramente ci furono anche da parte degli spagnoli? Dagli spagnoli stessi, e in particolare da padre Bartolomeo de Las Casas: segno che il maltrattare gli indios era contro la legge e la religione. Inglesi e olandesi sfruttarono poi tali documenti per fini propagandistici antispagnoli. In malafede, non distinsero le responsabilità della Corona di Spagna dalle colpe di alcuni avventurieri andati nel Nuovo Mondo per avidità di ricchezze e di potere. [13] Ancor oggi la “menzogna nera” è raccontata, malgrado le cifre sopra esposte, nei libri di testo scolastici, parlano di genocidio dei Conquistadores.  Come potrebbe la popolazione del Messico essere composta quasi al 90% da discendenti (puri o meticciati) degli antichi amerindi se gli Spagnoli li avessero voluti estirpare? D’altronde se l’intento degli Spagnoli fosse stato di sterminare gli Indios è immaginabile che questi ultimi si facessero pacificamente uccidere, loro che erano milioni, mentre gli spagnoli erano poche migliaia. E’emblematico il fatto stesso che  il conquistadore  Cortes,[14] (che si comportò nei loro confronti come un compatriota)  quando morirà, in Spagna a 63 anni, dopo aver lasciato in eredità le sue proprietà anche ai figli naturali meticci, stabilì nelle disposizioni testamentarie di essere sepolto a Tezcuco, attuale Città di Messico[15], dove riposa tuttora nella chiesa di Jesús Nazareno e Inmaculada Concepción.

Uno storico autorevole come Franco Cardini ha precisato che il numero di amerindi volontariamente uccisi dagli Spagnoli (nella fase di conquista dell’America) si può contare non in termini di milioni, non in termini di centinaia di migliaia, non in termini di decine di migliaia, ma in termini di “qualche centinaio” [16] In effetti l’unico vero genocidio, taciuto e dimenticato dai pennaioli, è quello degli indios del nord America, i Pellerossa, sterminati dai coloni protestanti. E quando questo sterminio è portato alla luce, viene banalizzato e ridotto nelle proporzioni: gli storici moderni, parlano di “soltanto” un milione di amerindiani sterminati (i vincitori ed i loro pennaioli falsificano la storia e dopo sanno anche, ipocritamente, versare lacrime di coccodrillo). Ma le fonti più attendibili, come già detto, attestano che prima dell’arrivo dei protestanti europei circa 12 milioni di indiani occupavano l’America del Nord. Nel 1692, non restavano che circa 4 milioni e mezzo d’indigeni. Oggi gli indiani sopravvissuti sono meno di 50mila.[17] All’arrivo dei primi coloni gli indiani si mostrarono accoglienti, ma, al contrario che nei territori spagnoli, qui i nuovi arrivati erano massoni e protestanti, perciò quando gli immigrati furono abbastanza numerosi, cominciarono a premere sui territori dei nativi americani per strappar loro la terra. Essendo “selvaggi, predestinati alla dannazione “ i coloni danno il via ad un genocidio mostruoso, costellato di continue stragi e massacri di villaggi, operato con una pianificazione scientifica: affamare gli indiani, facendo tabula rasa delle mandrie di bisonti, e spingerli nelle zone più invivibili per farli morire di stenti e malattie continuando, al tempo stesso, ad attaccarli. Inizia così l’epoca delle Riserve, che ben presto diverranno autentici campi di sterminio, aree incolte, malsane e povere di mezzi di sostentamento.
Migliaia di indiani, poi, vengono spostati da una riserva all’altra, apparentemente senza motivo: marce forzate su tragitti lunghissimi, in realtà studiate apposta per decimare la popolazione. Nelle riserve, viene attuata la vera “soluzione finale”: impossibilitati a procurarsi il cibo con la caccia, come loro costume, gli indiani sono costretti a nutrirsi con alimenti avariati che non possono più essere venduti sul mercato dei coloni. Il genocidio viene attuato con ogni mezzo, anche con le coperte: agli indiani vengono fornite coperte e vestiti  infettati coi microbi del vaiolo e della tubercolosi e queste malattie, micidiali per un popolo che non le conosceva, nel giro di pochi anni, completano lo sterminio. Per chi volesse documentarsi  ricordiamo che il ricorso all’uso del vaiolo appare già in un rapporto al generale Amherst, datato 13 luglio 1763, in cui il colonnello Henry Bouquet relaziona al suo superiore circa l’uso di coperte infettate da malati per contagiare gli indiani. Questa tecnica  verrà usata con gran successo nelle riserve, per affrettare la risoluzione della “questione indiana”. Dai lager, presto ridotti a grandi lebbrosari, si poteva uscire solo morti: ogni rivolta, ogni tentativo di fuga veniva represso con inaudita ferocia. Così scomparve il popolo delle Grandi Praterie, vittima dell’immigrazione protestante e, oggi, della dimenticanza storica e delle ipocrite lacrime di coccodrillo statunitensi.

I primi coloni inglesi sbarcano in America del Nord.

Per contro vi è negli storici un vuoto di memoria sugli interventi della Corona di Spagna, con Isabella e poi con Carlo V, per proteggere le popolazioni indigene. Lo stesso Cristoforo Colombo, pur essendo un personaggio di grande prestigio, venne arrestato perché ritenuto responsabile di maltrattamenti agli indios. E non a caso Bartolomé de las Casas si rivolse proprio alla Corona per ottenere giustizia per gli indios, e l’Imperatore gli darà ragione.

La «lotta spagnola per la giustizia a beneficio degli Indiani »[18], non fu soltanto un episodica volontà , come lasciano credere anche le recenti storie della Chiesa. Fu una politica sistematica che cominciò ad essere applicata sin dagli anni precedenti il 1500 «essa nacque dall’inquietudine manifestata dalla regina, dai poteri regi, dagli uomini passati nelle nuove terre e dai religiosi evangelizzatori.  Nacque perché si volle sinceramente che, al di là di tutte le limitazioni umane, nel Nuovo Mondo fossero giuste le leggi e morali le azioni». [19] Per verità storica dobbiamo peraltro ammettere che la schiavitù, imposta agli Indio è esistita, in maniera ufficiale, per un breve periodo nei territori della Corona spagnola. E per colpa di un italiano, proprio dello scopritore dell’America, Cristoforo Colombo. Egli l’applicò, solo nei tempi iniziali, quando aveva il potere effettivo di Viceré delle terre scoperte, dunque solo al momento dei primissimi stanziamenti europei nelle Antille, prima del 1500.  Colombo non era spagnolo e  «si muoveva in una mentalità pienamente schiavistica».  Quando Colombo, nel 1496, inviò in Spagna diverse centinaia di schiavi indiani, Isabella la Cattolica reagì come aveva reagito nel 1478, quando aveva ordinato liberare gli schiavi dei coloni delle Canarie.[20] Essa fece rimandare nelle Antille gli schiavi inviati da Colombo e li fece liberare, al loro arrivo sul posto, dal suo inviato speciale Francisco de Bobadilla il quale, inoltre, destituì Colombo rimandandolo prigioniero in Spagna.[21]

Da quel momento la politica adottata è chiarissima: gli Indiani sono uomini liberi, sudditi  di della Corona come gli altri, e che come tali devono essere rispettati, tanto nei beni quanto nelle persone [22]. Pensiamo importante riportare, a tal riguardo, un brano del testamento della regina di Castiglia, Isabella la Cattolica,[23] nel quale si legge: «Supplico molto affettuosamente il re mio signore, e raccomando e ordino alla principessa mia figlia e al principe suo marito, di non ammettere né permettere che gli indigeni delle isole e della terraferma, conquistate o da conquistare, subiscano il minimo torto nelle loro persone come nei loro beni, ma di comandare invece che vengano trattati con giustizia e umanità, e di riparare i torti che possano aver subito».

Suore cattoliche francesi nella Nouvelle France. Il rapporto fra cattolici e indiani, o indios, fu ben più reciprocamente rispettoso a fronte di quello tra inglesi e nativi.

Della protezione legale degli Indios e dell’affetto che, di conseguenza gli Indios nutrivano per i religiosi ed i Re cattolici,  vi è una testimonianza che ci dice come la condizione degli Indiani era “favoritissima”[24]. E’ una testimonianza, incontestabile in quanto resa da un protestante inglese, visitatore straniero in Messico, il già citato mercante Henry Hawks, che nella sua Relazione, scritta su richiesta del signor Richard Hakluyt, redatta al suo ritorno in Inghilterra nel 1572, scrive:

«Gli Indiani hanno molta reverenza per i religiosi, poiché grazie a loro e alla loro influenza si vedono liberi dalla schiavitù ……Così oggi è necessario supplicare molto gli Indiani, e pagarli molto bene, perché lavorino , e ciò va a grande detrimento dei proprietari delle miniere e delle quote e dei diritti regi sui prodotti delle miniere stesse  … . Gli Indiani sono favoritissimi dai tribunali, che li chiamano i loro orfani. Se qualche Spagnolo arreca loro offesa o danno, spogliandoli di qualche cosa (come solitamente avviene), e se ciò capita in un luogo dove c’è un tribunale, l’aggressore viene punito come se avesse offeso un altro Spagnolo. ……Quando uno Spagnolo si trova lontano da Città di Messico o da altro luogo dove esista un tribunale, pensa che potrà fare al povero Indiano quello che gli aggrada, considerato che è ben lontana l’istanza che potrebbe riparare al malfatto. E così obbliga l’Indiano a fare ciò che gli comanda; se l’Indiano rifiuta, lo batte e lo maltratta a suo piacimento. L’Indiano dissimula il proprio risentimento fino a che si presenta l’occasione di manifestarlo. Allora, prendendo con sé uno dei suoi vicini, se ne va a Città di Messico a presentare la propria querela, anche se fino alla capitale ci sono venti leghe di cammino. La querela è ammessa all’ istante. Anche se lo Spagnolo è un nobile o un potente caballero, gli viene ordinato di comparire immediatamente, e viene punito nei suoi beni o nella sua persona, con l’imprigionamento, come al tribunale sembra opportuno. «Questa è la ragione per cui gli Indiani sono dei sudditi così docili: se essi non fossero così favoriti, gli Spagnoli l’avrebbero presto fatta finita con loro, oppure loro stessi massacrerebbero gli Spagnoli».[25]

Pensiamo pertanto di poter confermare, come già detto, che gli abusi e le violenze che ci furono verso gli indios dei territori spagnoli, vanno attribuite alla perversa volontà di singole personalità, andate nel Nuovo Mondo con intenti malvagi, e non alla Corona di Spagna, che ovunque fosse necessario intervenne a difesa degli indios, sanzionando gli abusi conosciuti e documentati. Non così nel Nord America dove lo sterminio e lo sfruttamento degli indiani fu dovuto ad una volontà politica fondata sul Protestantesimo dei coloni britannici ed olandesi, e vittime di questi pregiudizi saranno anche gli stessi coloni irlandesi, in quanto cattolici .

Ma se il Sud America, fu salvaguardato dal razzismo dall’azione evangelizzatrice cattolica e dalla tutela degli indio della Corona spagnola, l’unificazione culturale e religiosa del popolo messicano[26] si deve ad un  fatto che avrebbe indissolubilmente unito Messico e Cattolicità. Fu un avvenimento miracoloso: il patrocinio sulla nuova cristianità messicana fu garantito dalla Madonna apparsa a Guadalupe[27], il 9 dicembre 1531, non ad un europeo ma ad un indio, Juan Diego, un contadino di 57 anni [28]. Juan mentre si recava in chiesa vide una bellissima ragazza che si presentò dicendo: “Io sono la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del Verissimo e unico Dio” e chiese che in quel luogo fosse costruita una chiesa in suo onore.

 L’indio riferì tutto al vescovo, Juan de Zumarraga, il quale era però reticente al credere. E allora quella misteriosa ragazza riapparse e disse a Juan di andare sulla montagna, cogliere dei fiori e portarli al vescovo. Diego obbedì, malgrado pensasse di non poter trovare fiori nel freddo rigido di dicembre. Invece trovò delle bellissime rose. Le raccolse e le pose nella sua tilma, [29] poi andò dal vescovo. Quando aprì la tilma, il vescovo, e tutte le persone presenti, videro formarsi su quella rozza stoffa l’immagine della Madonna. La stessa immagine che ancor oggi si venerà nella Basilica di Guadalupe. Il prelato cadde in ginocchio e credette al racconto del povero indio. Quell’immagine venne portata nella cattedrale ed esposta alla venerazione del pubblico. La devozione si diffuse rapidamente, anche perché si verificarono subito molti prodigi. Fu eretta una cappella e in seguito un grande santuario e, recentemente, un altro santuario ancora più grande per poter ospitare i pellegrini che ogni anno aumentano.

La Vergine di Guadalupe.


L’immagine rappresenta una giovane sui 15 anni, alta 143 centimetri, con carnagione un po’ scura e per questo i messicani la chiamano “Virgen Morenita”. I tratti del viso non sono ne’ europei ne’ indio, ma presentano una perfetta commistione di queste due razze. Si potrebbe dire che è una perfetta meticcia, ma va ricordato che, allora, i meticci, frutto appunto delle due razze, Atzeca e europea, non esistevano ancora. Infatti quell’immagine, nella sua configurazione fisica, profeticamente, rappresenta la razza meticcia che costituisce la popolazione messicana di oggi. [30] Questo ci spiega perché, ogni volta che il popolo messicano è insorto in difesa della propria libertà, dalla lotta per l’indipendenza  a Zapata e ai Cristeros, l’identità nazionale e la fede religiosa si sono fuse in un sentimento di difesa della propria Tradizione, ed il simbolo sempre scelto è stato la Vergine di Guadalupe!

Biblografia:

Tarciso Azcona –Isabel la Catolica-Madrid 1964

Saverio Borgheresi -Etnocidio Made in USA- articolo su web “Italia Sociale”

R. Carande, Carlos y sus banqueros, Barcellona, 1978

Pierre Chaunu, Séville et l’Atlantique, Parigi, 1959, Ed. Ecole des Hautes Etudes en Sciences

Henry Hawks- Relazione scritta su richiesta del signor Richard Hakluyt- Madrid 1963

Massimo IntrovigneMassoneria e religioni, – Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1994

Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana . Ed. Paoline, Milano 1992,

Arthur Preuss -Saggio sulla massoneria americana. Centro Librario Sodalitium, 2014

Pino e M. Tosca -Dio, patria e libertà. La storia del Messico e dei Cristeros perseguitati dal mondialismo, traditi dal Vaticano, uccisi dalla massoneria  Chiaramonte ed. 2013

«Mar Oceana Revista del Humanismo Español e Iberoamericano», anni 1999 e 2001


[1] bolla Sublimis Deus del 2 giugno 1537, di papa Paolo III.

[2] A dimostrazione del legame tra Massoneria e Protestantesimo sta anche il fatto che gli statuti della Gran Loggia Unita d’Inghilterra (1717) che segna la nascita della Massoneria «moderna» come «Società segreta», furono scritti da due pastori anglicani .

[3] Ha scritto Maria Valtorta:“Si  ha l’impressione  che  il  mondo  abbia scelto a suo condottiero Satana  il cui intento è quello di affogare tutti gli uomini in un mare di sangue”. E che Satana, nel Messico degli anni venti, avesse fra i suoi alleati gli Stati Uniti d’America, ce lo dice il seguente episodio: un pastore protestante americano, volle reclamare per le violenze sessuali a cui erano sottoposte le suore cattoliche di Vera Cruz; si rivolse al Presidente americano, e tramite un rappresentate diretto di Wilson ricevette questa risposta: “Dopo la prostituzione, la peggiore cosa del Messico è la Chiesa cattolica. Entrambi devono sparire!”.

“Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati  Uniti” recita un adagio messicano. In realtà, a Dio il Messico è sempre stato più vicino che a tante nazioni occidentali, ma i suoi 2.600 chilometri, di frontiera con l’Impero del Dollaro hanno segnato la spogliazione della sua antica identità ispanica. Gli yankees  che, rapinandoli, si sono appropriati del Texas, dell’Arizona, della California e del Nevada, riuscendo persino a passare per “liberatori”, mentre esercitavano, nei territori a loro soggetti, ancora la schiavitù, che il cattolico Messico aveva abolita da tempo. Le motivazioni di questo imperialismo colonialista non sono state solo economiche: vi era un odio radicato, venato da sfumature razziste, nel protestantesimo nord-americano contro il cattolicesimo messicano. I novanta anni che separano Ford Alamo dalla rivolta dei Cristeros sono contrassegnati dalla opprimente interferenza statunitense nella vita politica messicana, al punto che si può dire che non vi fu caduta o ascesa di un sol uomo politico che non fosse stata prima pianificata a Washington. E nelle logge massoniche messicane che avevano, ed hanno, come loro occulti referenti i Gran Maestri di quelle statunitensi, alle quali era ed è del resto affiliata la maggioranza di essi.

[4] Re come Ferdinando d’Aragona e sua moglie Isabella di Castiglia chiesero al Papa il permesso di impiantarsi nel Nuovo Mondo. La Francia e, ovviamente, l’Inghilterra se ne guardarono bene.

[5] Coloro che credono ad una corsa sfrenata di conquistadores verso la terra della Conquista rivedranno le loro convinzioni prendendo conoscenza delle bassissime cifre dell’emigrazione spagnola , 27.787 persone in cinquant’anni, dal 1509 al 1559, gli stessi anni della Conquista che si estese dalla Florida allo Stretto di Magellano. Cinquecento persone all’anno per quegli immensi territori! Si veda R. Carande, Carlos y sus banqueros, Barcellona, 1978, vol. I, pp. 24-25.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

[6] Il termine scalpo deriva da un lemma inglese, scalp, che significa “cuoio capelluto”. Negli Stati Uniti la cruenta usanza si  è diffusa già nelle prime colonie, a partire dal XVIII secolo.

[7] La Conquista spagnola e la colonizzazione, sono  soltanto una «rete irregolare» dalle «maglie sottili che hanno bisogno di una preventiva occupazione del suolo da parte di una società indigena». Dunque l’opposto di una colonizzazione d’espropriazione di tipo nordamericano.” In Pierre Chaunu, Séville et l’Atlantique, Parigi, 1959, Editions de l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences voI. VIII, pp. 145 e 146.

[8]Nel 1890, l’anno della fine delle guerre indiane, la popolazione nativa degli Stati Uniti arrivava a meno di  300.000 unità.

[9] Ancora nel 1928, una commissione governativa stilò il Meriam Report, che dimostrava che i nativi vivevano in uno stato di perenne abbandono da parte dell’autorità statale e vivevano nella più completa miseria. La situazione socio-sanitaria nelle riserve era orribile, e solo l’agricoltura era diventata l’attività di sostentamento di un numero limitato di persone , ma era cronica l’assenza di istruttori e macchinari per i lavori agricoli. La condizione sanitaria era catastrofica, il 90% dei bambini in età scolare aveva contratto la tubercolosi, il tracoma colpiva il 70% della popolazione.

[10] Parlando di “inglesi” non intendiamo parlare del popolo inglese nella sua totalità, ma degli esponenti della classe dirigente anglosassone guidati da una certa visione della realtà  massonico- protestante. Non esistono in effetti popoli buoni e popoli cattivi, ma persone, e il bene e il male sono presenti ovunque, e possibili a chiunque, l’esempio è il Messico , un popolo buono con , in molti casi, cattivi governanti.

[11] fonte ADN-Kronos

[12] Ciò non è successo solo in America e con gli inglesi, ma in tutte le parti del mondo dove arrivarono europei protestanti: l’apartheid sudafricano, per fare un esempio è tipica creazione teologica del calvinismo olandese.

[13] Quanto Carlo V tenesse ad evitare la brutalità nei confronti degli Indios lo si vede dalla posizione che assunse nel dibattito, avvenuto davanti a lui per appurare la verità di quanto stava accadendo nel Nuovo Mondo, tra Bartolomeo de Las Casas e Juan Gines de Sepulveda.

[14] Riportiamo qui un brano in proposito

“Collocatisi tutti e sei dinnanzi all’idolo, genuflettevano e si disponevano intorno alla pietra piramidale convessa che […] era collocata davanti alla porta della camera dell’idolo. Questa pietra era talmente incurvata, che collocando su di essa di spalle colui che doveva essere sacrificato, il suo corpo si piegava in due, in modo che lasciato cadere il coltello sul suo petto esso si apriva a metà con grande facilità. Dispostisi ordinatamente questi sacrificatori, prendevano tutti quelli che avevano catturato in guerra ed erano stati destinati al sacrificio per quella data festa e, dietro scorta di molte persone armate, li facevano salire per quella lunga gradinata ai piedi della palizzata, tutti in fila e completamente nudi. Subito scendeva un dignitario del tempio nominato per svolgere quel compito, e portando in braccio un idoletto […] lo mostrava a coloro che si avviavano a morire.Quindi andavano tutti dietro di lui e, giunti al luogo dove erano pronti i sacrificatori, questi ultimi afferravano una alla volta le vittime umane: due la prendevano per i piedi due per le mani e poi la collocavano supina sull’anzidetta pietra angolare mentre il quinto sacrificatore poneva alla gola della vittima il collare di legno. Quindi con rapidità straordinaria il sommo sacerdote le apriva il petto, le strappava il cuore con le mani e lo mostrava al sole. Si volgeva poi verso l’idolo e gli cospargeva il volto di sangue. Frattanto il corpo del sacrificato rotolava giù dai gradini del tempio con gran facilità, in quanto la pietra del sacrificio era collocata così vicino alla gradinata, che non distava dal primo gradino più di due piedi: bastava un calcio per buttar giù i cadaveri. È in tal modo che sacrificavano i prigionieri di guerra. Una volta giunti i corpi ai piedi della scala, coloro che li avevano catturati li afferravano, se ne spartivano le carni e le mangiavano, e così celebravano la festività.

Per pochi che fossero i sacrificati erano almeno quaranta o cinquanta ogni volta, dal momento che vi erano dei guerrieri assai abili nel catturare i nemici. […] Finiti i sacrifici, subito uscivano i ragazzi del tempio preparati come si è già detto, tutti in ordine e in fila gli uni di fronte agli altri, e danzavano e cantavano al suono di un loro tamburo in onore della solennità e del dio che celebravano. Al loro canto rispondevano tutti i nobili, gli anziani e i rnaggiorenti, danzando nel cerchio da essi formato, costituendo uno splendido colpo d’occhio secondo il loro costume, tenendo sernpre nel mezzo fanciulli e fanciulle. A tale spettacolo assisteva l’intera popolazione della città. Questo giorno del dio Huitzilopochtli era una festa di precetto assai osservata in tutta la regione.”

[15] Hernán Cortés, che si era ritirato a vita privata nella sua proprietà a Castilleja de la Cuesta, in Andalusia, muore il 2 dicembre del 1547, all’età di 62 anni. La sua salma, così come espressamente voluto, verrà inviata a Città del Messico e tumulata nella chiesa di Gesù Nazareno. Ancor oggi il Golfo di California, il tratto di mare che separa la penisola della California dal Messico continentale, è conosciuto anche come Mare di Cortés.

[16]intervista a Il Sabato, numero speciale del Meeting 1992, pp. 5/12

[17] Saverio Borgheresi –Etnocidio Made in USA– articolo su web “Italia Sociale”

[18] La definizione è dello storico americano Lewis Hanke .                                                                  

[19] Tarciso De Azcona –Isabel la Catolica-Madrid 1964, pagg. 695-698.

[20] Cfr. E. González Fernández, Humanismo frente a esclavitud en América durante el Cuatrocientos, in «Mar Oceana Revista del Humanismo Español e Iberoamericano», III, 1999, pp. 65-78; A. Rumeu de Armas, La politica indigenista de Isabel la Católica,.; M. Hernández Sánchez-Barba, Conciencia moral y dominio soberano: Isabel la Católica y la dignidad del súbdito americano, in «Mar Oceana Revista del Humanismo Español e Iberoamericano», IX, 2001, pp. 25-36.

[21] Colombo non fu l’unico caso, anche altri capitani ed esploratori, trasgredirono volontariamente il divieto reale. L’esploratore Cristobal Guerra inviò nuovi schiavi in Castiglia nel 1501. Quando lo seppe, Isabella in persona gli contestò il fatto, confiscò i suoi beni (per poter pagare il riscatto degli indios ed il loro viaggio di ritorno) e lo fece arrestare

[22] Tarciso Azcona –Isabel la Catolica-Madrid 1964, pag .699- Come ricorderà Carlo V a Cortès , nel 1523.

[23] redatto a Medina del Campo il 23 novembre 1504

[24] Dobbiamo anche dire che il termine usato dal mercante inglese, condizione favoritissima, non è affatto esagerato infatti ,  se errore fu commesso dagli spagnoli, fu  quello che i tribunali favorirono “troppo” gli Indios al punto che la loro statica difesa ha perpetuato, assieme ad altre cause, quello che oggi viene definito il “ritardo indiano”. Hanno invece veramente servito gli Indios  molti religiosi  che,  come il curato di Pinampiro (Quito), li hanno spinti ad imparare dagli Spagnoli a diventare essi stessi coltivatori e allevatori, a praticare, grazie ai loro buoi, una vera agricoltura a semina fitta, con l’aratura e la concimazione che solo il bestiame può permettere. Non si tratta di un paradosso, ma di una realtà documentata anche da Silvio Zavala , nell’ opera De Encomiendas y propiedad territorial, a pagina 54, dove si vedono i tribunali dare ragione agli Indios contro gli allevatori spagnoli in modo assolutamente  ingiusto. Non crediamo, infatti, che in questo modo i tribunali abbiano difeso i veri interessi degli Indios. Le stesse restrizioni o interdizioni alle famiglie spagnole titolari di encomiendas aggiungendosi al carattere revocabile – e spesso revocato – del titolo di encoomienda rese la situazione di questi coloni poco invidiabile. Questi erano in realtà assai mal protetti e l’incertezza per la loro sorte ebbe come conseguenza un pessimo rendimento delle terre in encoomiendas. È quanto constatano nel 1531, al loro arrivo in America, i membri della seconda Audiencia di Città di Messico. In un rapporto al re di Spagna, essi notano che non avevano” trovato, nelle encomiendas, le terre coltivate come avrebbero dovuto essere, per il timore in cui si trovavano i titolari di perdere i raccolti e il bestiame se i loro titoli fossero stati revocati, come si erano abituati a fare i precedenti governatori» .Sempre Silvio Zavala, nell’opera citata ci informa che due anni più tardi, nel 1533, la municipalità di Città del Messico scrive, dal canto suo, al Re: «Poiché coloro che avevano ricevuto delle encomiendas allevavano bestiame  nel territorio di queste ultime, e poiché i corregidores, funzionari reali,  li hanno da là espulsi, essi non ebbero altra soluzione, non potendo più nutrire il loro bestiame, che quella di vender a basso prezzo. Così hanno dovuto abbandonare questa città cinquecento e più uomini…  E poiché i corregidores non allevano nessun genere di bestiame, e ogni giorno passa questo si fa meno numeroso, dato che gli Indiani non ne allevavano, la cosa pubblica ne soffre pregiudizio» .

[25] Henry Hawks- Relazione scritta su richiesta del signor Richard Hakluyt- Madrid 1963, pagg. 63-70. Henry Hawks trascorse cinque anni nella Nuova Spagna e non era certo disposto ad incensare gli Spagnoli, essendovi stato condannato al bando, nel 1571, dall’Inquisizione.

 

[27] Se non fossimo cattolici, potremmo parlare di una singolare coincidenza del fatto che che “Guadalupe” significhi nell’idioma indigeno: “schiaccia la testa al serpente” (vedi Genesi 3:15)

[28] dichiarato santo da Giovanni Paolo II nel 2002

[29] una specie di rozzo grembiule che portavano i contadini messicani

[30] L’immagine così misteriosamente formata, continuò a presentare sempre più stupefacenti anomalie. La tilma è di un tessuto di fibre di agave, che in genere venivano adoperate per fare corde. Una volta ritorte, quelle fibre danno dei fili aspri, duri e molto resistenti. Il tessuto che si ottiene è rozzo, assolutamente non adatto ad essere dipinto. E molti, osservando l’immagine, si chiedevano come mai fosse stato possibile ottenere una figura così bella su una tela tanto rozza. Cominciarono le ricerche. Prima fatte da pittori curiosi, poi da medici e scienziati e vennero così alla luce caratteristiche misteriose e inspiegabili con le conoscenze scientifiche. Nel 1936, il professor Richard Kuhn, direttore della sezione di chimica del Kaiser Wilhelm Institut di Heidelberg, che due anni dopo, nel 1938, avrebbe ottenuto il premio Nobel per la chimica, dimostrò in maniera scientificamente inoppugnabile che sulle fibre di quella tela non vi è traccia di coloranti di nessun tipo, né vegetali, né animali, né minerali, pertanto quel quadro non poteva essere stato dipinto da mano umana.  Ma il fenomeno più sorprendente riguarda le scoperte fatte nelle pupille della Vergine. Ingrandendo gli occhi dell’immagine della Vergine di Guadalupe, il professor José Aste Tonsmann ha evidenziato nettamente un indio seduto, nudo, con la gamba sinistra appoggiata al suolo e quella destra piegata sopra l’altra, con i capelli lunghi, legati all’altezza delle orecchie, orecchino e anello al dito. Accanto a lui, un uomo anziano, con la calvizie notevolmente avanzata, la barba bianca, il naso dritto, le sopracciglia sporgenti, e si vede che una lacrima gli scende lungo la guancia destra: in questo personaggio è stato identificato il vescovo Juan de Zumarraga. Alla sua sinistra, un uomo abbastanza giovane, e si suppone che si tratti di Juan Gonzales, che fungeva da interrete per il vescovo de Zumarraga. Più avanti, appare il profilo di un uomo in età matura, con barba e baffi aderenti alle guance, naso grande e marcatamente aquilino, zigomi sporgenti, occhi incavati e labbra socchiuse, che sembra indossare un cappuccio a punta: è un indio, immortalato mentre sta per aprire il proprio mantello. Egli è rivolto in direzione dell’anziano calvo. E’ la scena di quando Juan Diego portò le rose al vescovo. La Madonna era presente, la scena che vedeva era nei suoi occhi e rimase fissata nelle pupille dell’immagine che misteriosamente in quel momento si impresse sulla tilma di Juan.

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