Premessa.
Il Cristianesimo si diffuse in Italia nei primi secoli di vita della Chiesa, superando le tremende persecuzioni inflitte ai seguaci della Vera Fede dal governo imperiale romano che alternò periodi di tolleranza a violente repressioni. Il sangue dei Santi Martiri per grazia di Dio prevalse e una società pagana, fino ad allora corrotta e dissoluta, divenne la roccaforte del Cristianesimo, sotto i regni di Costantino e Teodosio. Da allora il cruccio principale dei nemici della Fede divenne la separazione tra stato e Chiesa, soprattutto dopo la nascita del potere temporale dei Papi, mascherando con questa formula il proposito di un completo annichilimento della religione cristiana e la sua riduzione a fatto privato, in nome dei più svariati principi di libertà, democrazia, scienza, progresso, etc.. Gli storici fanno risalire l’inizio delle tensioni tra stato e Chiesa alla rivoluzione francese e a tutte le implicazioni da cui scaturirono correnti di pensiero e moti che proclamavano la fine del potere temporale dei Papi, preludio a maggiori offese.
Tuttavia già in epoca rinascimentale iniziò a venire alla luce uno spirito critico che, sotto le mentite spoglie di aneliti di libertà nella ricerca scientifica, predicava contro la cultura coeva, di matrice cristiana, e il potere temporale, preludio alla distruzione della Chiesa. Lorenzo Valla contestò l’autenticità della donazione di Costantino sotto il profilo storico e giuridico e, alcuni decenni dopo, nasceva la riforma protestante. L’avvento dell’illuminismo e del giansenismo segnarono la ripresa in grande stile di queste tematiche. Il governo ecclesiastico non era ritenuto compatibile con le nuove tendenze della società, ma un retaggio dell’oscurantismo, nell’ambito di una generale opera di propaganda anticristiana. La rivoluzione francese, con la presa del potere da parte dei rivoluzionari prima e di Napoleone poi, attuò i propositi che gli “illuminati” avevano preparato nelle epoche precedenti, con l’invasione e l’occupazione dei territori pontifici per ben due volte e la deportazione del Santo Padre, tristi eventi che si sommarono alle violenze la cui ferocia ricordava le persecuzioni di Diocleziano.
Il Risorgimento e l’unità d’Italia.
La rivoluzione francese non segna l’inizio della Questione Romana ma ne costituisce un prologo che è indispensabile tenere presente. Una delegazione pontificia fu costretta a stipulare, il 19 febbraio 1797, a causa del cattivo andamento del conflitto, il Trattato di Tolentino con il generale Bonaparte, con il quale Sua Santità Pio VI cedeva in Francia Avignone e il contado Venassino e in Italia le legazioni di Bologna, Ferrara e della Romagna. Questi territori si trovavano già in mano ai Francesi, tuttavia con questo trattato si intaccava il principio di inalienabilità e indivisibilità dello Stato Pontificio. Altre clausole, come l’occupazione di Ancona e il pagamento di una cospicua indennità, aggravavano le dure condizioni imposte dal vincitore. Lo Stato della Chiesa veniva così a perdere il suo primato morale, venendo abbassato al livello di qualsiasi altra nazione. Poco dopo tutto il territorio pontificio venne annesso alla Francia e al nuovo Regno di Italia. Il cambio di regime favorì la nascita di una borghesia mercantile ed imprenditoriale, di cultura settaria e illuminista, grazie soprattutto alle commesse di guerra che arrivavano dal governo imperiale francese e all’embargo contro l’Inghilterra. Questo ceto poco gradì la restaurazione post napoleonica, dando vita a congiure e consorterie di ogni tipo. “Il Carbonaro è il Massone, che lascia la squadra e il compasso e imbraccia il fucile; è il patriota che dalla meditazione passa alla congiura, che, maturata l’idea, la tramuta in fatti. Il carbonaro, se non è massone, è guidato da massoni, di cui si sente erede e alunno;”[1]. Si trattava naturalmente di cerchie molto ristrette però ben organizzate e con notevoli appoggi dall’estero. Inoltre il potere temporale era di carattere soprattutto etico-religioso, si reggeva sul consenso affettivo delle popolazioni nei confronti del Santo Padre, le forze materiali erano scarse e l’apparato repressivo quasi inesistente. Il momento della verità arrivò con i moti del 1831. Le elite rivoluzionarie ebbero facilmente ragione delle scarse forze pontificie mentre le masse rimasero spettatori inerti. Solo l’intervento austriaco servì a ristabilire l’ordine, mentre Luigi Filippo, “re dei Francesi”, fece occupare Ancona per bilanciare l’influenza asburgica in Italia. Con la Conferenza Diplomatica di Roma, aprile- maggio 1831, le potenze giunsero a formulare diverse proposte per un riassetto interno dello Stato Pontificio, fatte naufragare dall’intransigenza del Metternich[2].
Il Cancelliere austriaco Klemens von Metternich.
L’ordine ristabilito dall’intervento straniero risultava debole e precario mentre le sette, massoneria in testa, moltiplicavano i loro sforzi. Giuseppe Mazzini, in particolare, la cui adesione alla libera muratoria è stata confermata solo in tempi recenti, saldò il programma risorgimentale nazionale con la lotta al potere temporale, mettendo i “neoguelfi” nell’angolo. Questi ultimi, infatti, si sforzavano di conciliare l’inconciliabile, gettando i semi di quel modernismo che ancora oggi contamina la purezza della Chiesa e del suo apostolato, finendo per essere bollati come traditori dai cattolici e tiepidi dai rivoluzionari. Nonostante i loro sofismi apparve chiaro sin dall’inizio che non era possibile uno Stato della Chiesa e l’abolizione del potere temporale del Papa. Uno storico napoletano, Luigi Blanch, già nel 1832 ritenne impossibile la secolarizzazione dello Stato Pontificio e gli eventi del 1847- 48 gli diedero ragione. La creazione della Consulta di Stato, il 14 ottobre 1847 racchiudeva il germe di un governo rappresentativo, come subito notò Metternich, che mal si adattava all’autorità religiosa che è investita dall’Alto. Con essa l’elemento laico salì al potere lasciando nelle prerogative dei cardinali il potere nominale. Nello stesso tempo Vincenzo Gioberti, l’elemento più rappresentativo dei cosiddetti neoguelfi, proponeva la nascita di un’Italia federale che salvasse le prerogative del potere temporale. “E’ nota la scarsa chiarezza e anche la scarsa sincerità del tentativo giobertiano, che volutamente finiva per accomunare finalità contrastanti e per additare alleanze e associazioni impossibili, elogiando al tempo stesso i principi assoluti e i popoli aspiranti a riforme e progresso, la scienza e la religione, il sacerdozio e il laicato, rappresentanti rispettivamente <l’idea immanente> e le <cose transitorie>, il movimento nazionale e l’universalità del pontificato romano”[3].
L’assassinio di Pellegrino Rossi, che aveva retto il governo dal 16 settembre al 15 novembre del 1848, pugnalato da un sicario dei partiti radicali, troncò l’esperimento, affossando non solo i tentativi di riforme ma anche la più semplice coesistenza civile. Pio IX rimase sgomento di fronte a tanta violenza e a tanto odio. Ancora una volta il furore giacobino confermò la sua indole omicida. Scoppiarono dei disordini capeggiati dal noto popolano Ciceruacchio[4]. Il Papa fuggì a Gaeta e nacque la Repubblica Romana (8- 9 febbraio 1849). Il poeta massone Goffredo Mameli mandò un dispaccio a Mazzini “Roma repubblica. Venite”[5]. La Costituente affidò i poteri dittatoriali ad un triumvirato composto dallo stesso Mazzini e da altri due esponenti di spicco della libera muratoria, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, patetica imitazione della Roma pagana. La Repubblica Romana, schiacciata dai debiti e dal disordine della cattiva amministrazione giacobina ebbe vita effimera. L’intervento francese restaurò la piena autorità pontificia nella passiva indolenza delle masse, indifferenti per la sorte dei rivoluzionari e ostili alla loro rapacità fiscale.
Papa Pio IX.
Roma rimase occupata dai Francesi, le legazioni dagli Austriaci. I primi caldeggiavano l’avvio di un processo di riforme ma Sua Santità Pio IX “era rimasto assai spaventato da quelli che considerava gli eccessi e i pericoli del liberalismo sfrenato”[6], aveva capito che nessun dialogo era possibile con il fanatismo e l’estremismo anticlericale dei cospiratori. Oramai il processo di unità nazionale aveva intrapreso una svolta senza ritorno, e un governo italiano, quello sabaudo, era passato nel campo della rivoluzione con i suoi stati e le sue forze armate. Lo stesso Gioberti aveva esaltato il ruolo strategico del Piemonte. “Come Roma è il seggio privilegiato della cristiana sapienza, il Piemonte è ai giorni nostri la stanza principale della milizia italiana. Posto alle falde delle Alpi, e bilicato fra l’Austria e la Francia, quasi a guardia della penisola, di cui è il vestibolo e il peristilio, egli pare destinato a vedettar da’ suoi monti e a schiacciare tra le sue forre ogni estraneo aggressore, facendo riverire da’ suoi potenti vicini l’indipendenza d’Italia”[7]. La politica del parlamento subalpino aveva sempre più intrapreso la via dell’anticlericalismo giacobino più puro con il varo delle famigerate leggi Siccardi. “Fu merito dell’Azeglio l’aver compiuto, con la presentazione delle leggi sull’abolizione del foro ecclesiastico, sulla riduzione delle feste religiose e su altre questioni relative alla condizione economica degli ecclesiastici, rimaste poi sotto il nome di leggi Siccardi, un atto politico di decisiva importanza per la qualificazione liberale del ministero, e la sua differenziazione dalle forze più conservatrici”[8]. Pio IX pertanto non volle tentare più altri esperimenti riformatori, cercando di preservare il più a lungo possibile l’integrità della Fede che, all’improvviso, era di nuovo sotto attacco mascherato da sentimenti nazionalisti. Infatti, nel 1856, Cavour ebbe l’appoggio del ministro inglese Clarendon quando parlò contro il dominio temporale dei Papi. “In effetti, nel Congresso l’Austria rimase sostanzialmente isolata sulla questione italiana, e nella seduta famosa dell’8 aprile 1856 gli attacchi, specialmente del Clarendon, al regime borbonico e a quello pontificio parvero coronare, agli occhi dell’opinione nazionale, la lunga ricerca della solidarietà occidentale”[9]. D’altra parte le potenti logge massoniche d’oltremanica non nascosero mai la simpatia verso il processo di unità nazionale italiano che assumeva un carattere sempre più marcatamente anticlericale. Napoleone III rimase invece vincolato dal consenso politico dei partiti cattolici francesi anche se la cessione di Nizza e Savoia da parte dei “patrioti” italiani ammorbidì le sue posizioni. “Era apparsa a Napoleone III di ottenere per tale nuova strada l’annessione di Nizza e della Savoia…. Da ciò il colpo di scena realizzato con l’opuscolo “Le Pape et le Congrès che, prospettando l’appoggio francese a una rinuncia del papa a gran parte dei suoi territori rendeva impossibile la partecipazione pontificia al progettato congresso,…”[10]. Così nel biennio 1859- 60 prima le legazioni e poi l’Umbria e le Marche vennero annesse al Regno d’Italia. Rimanevano Roma e il territorio circostante.
La nascita della Questione Romana.
“Libera Chiesa in libero Stato” fu allora il motto di Camillo Benso conte di Cavour, che comprese come solo Roma, e il suo immenso retaggio storico, poteva mettere d’accordo tutti gli italiani sulla capitale da dare al regno, al fine di creare quello stato centralizzato fautore della più ottusa e burocratica omologazione, in spregio alle autonomie territoriali cui erano abituate le popolazioni italiane. Il problema insormontabile era la presenza delle truppe francesi a Roma.
Essi avevano sconfitto l’esercito austriaco a Solferino regalando, con la benedizione britannica, l’unità nazionale ai Savoia e ai rivoluzionari, concedendo ciò che non erano stati capaci di realizzare autonomamente. Un brutto precedente, senza dubbio, che abituava i dirigenti italiani a sfruttare le divergenze tra gli stati esteri con machiavellici cambi di casacca che hanno contribuito alla edificazione dell’immagine di inaffidabilità dell’Italia. Impossibilitati a risolvere la Questione Romana manu militari i nuovi dirigenti si scontrarono con l’intransigenza del governo francese, preoccupato del consenso delle masse che pur rimanevano cattoliche. “Per l’Austria appoggiare il Papa era cosa che si accordava bene con i suoi interessi e la sua politica generale. In Francia la Questione romana era un fattore importante della politica interna: la Francia era ad un tempo la figlia maggiore della Chiesa e la patria della rivoluzione”[11].
Il Presidente del Consiglio Camillo Benso di Cavour.
Cavour lanciò la proposta di libertà religiosa per la Chiesa nell’ambito della sovranità dello stato. La rinuncia al potere temporale e il capitolato, con il quale la Santa Sede avrebbe fissato la separazione dallo stato italiano, avrebbe ridotto il Papato ad una autorità semplicemente morale, impossibilitato a stipulare concordati o ad intrattenere normali relazioni diplomatiche. Chiaramente la proposta, che non aveva serietà, non venne nemmeno presa in considerazione. Cavour e i suoi successori, specialmente Bettino Ricasoli e Urbano Rattazzi, avviarono parimenti trattative con la Francia per ottenere lo sgombero delle truppe francesi, presenti a Roma dal 1849. La Convenzione di settembre, stipulata tra Italia e Francia il 15 settembre 1864, regolò i rapporti tra le due potenze riguardo la Questione Romana. I Francesi lasciavano Roma mentre gli Italiani rinunciavano a qualsiasi tentativo di impadronirsi dei domini pontifici, garantendone l’incolumità. Nell’ambito di questo accordo venne deciso anche di spostare la capitale da Torino in una città dell’Italia centrale, quale esplicita rinuncia a Roma. La scelta cadde su Firenze[12]. Mazzini ne approfittò subito per riprendere la propaganda repubblicana, tacciando la monarchia di tradimento.
I Francesi evacuarono Roma alla fine del 1866 e subito il partito d’azione e Giuseppe Garibaldi misero in campo i loro propositi aggressivi, quando oramai le truppe francesi erano ben lontane. Garibaldi iniziò a preparare una spedizione di volontari, ma le sue piazzate e la sua animosità verbale allarmarono i Francesi che, resi edotti dalla precedente spedizione contro il Regno delle Due Sicilie, nutrivano forti dubbi sulla volontà del governo italiano di rispettare i patti. La spedizione garibaldina si tramutò in un disastro. I volontari penetrarono nei domini pontifici ma, alla notizia dello sbarco di truppe francesi a Civitavecchia, parte di essi disertò. A Mentana “l’eroe”, rimasto con circa 5.000 uomini fu sconfitto dall’esercito pontificio del generale Hermann Kanzler, 8.000 uomini, rinforzato da 2.000 soldati francesi, mentre il grosso delle truppe di Napoleone III, altre 20.000 unità, rimasero inerti a Civitavecchia. Garibaldi e i superstiti ripararono in Italia subendo arresti domiciliari o altre pene blande per salvare le apparenze. Il problema venne risolto dalla guerra franco- prussiana e dalla sconfitta di Napoleone III a Sedan, che sancì la fine del secondo impero. Roma rimase sguarnita e l’esercito italiano, agli ordini del generale Raffaele Cadorna, il 20 settembre 1870 entrò a Roma dopo il bombardamento di Porta Pia. “Così si perviene al 20 settembre 1870: forse il più piccolo fatto d’armi del Risorgimento; certamente il più grande avvenimento della civiltà umana.
Porta Pia (Roma, 1870).
Risorgimento italiano: opera della Massoneria! XX Settembre: gloria della Massoneria!”[13] scrive esultando il Francocci. E ancora “per la fede e il genio di uomini che appaiono tra i bagliori della storia come semidei (sic), l’Italia sarà fatta”[14]. Comunque “Il Papa cedette alla forza superiore e non fece altro che denunciare l’atto illegale; nessuno in Europa si schierò a sua difesa e Roma divenne la capitale d’Italia”[15], neanche il “cattolicissimo” Francesco Giuseppe, troppo preoccupato a contenere l’espansionismo russo nei Balcani, con la conseguenza di prolungare la traballante esistenza dell’Impero Ottomano e le sofferenze dei suoi sudditi cristiani.
Una convivenza difficile.
All’indomani del colpo di mano Roma veniva ad essere la capitale di uno stato la cui classe dirigente era imbevuta di idee liberali e anticlericali, pur rimanendo la sede terrena del Vicario di Cristo. Il governo italiano varò la cosiddetta legge delle guarentigie, mai accettata da Pio IX e dai suoi successori, ad imitazione di quanto aveva fatto Napoleone Bonaparte. Entrambe le soluzioni concedevano al Papa una dotazione, l’immunità dei luoghi di residenza, e il diritto di inviare e ricevere rappresentanti diplomatici. La legge italiana aggiungeva l’attributo, essenziale alla sovranità, dell’inviolabilità, e quindi dell’irresponsabilità delle sue azioni, mentre con Napoleone la persona del Pontefice era sottoposta all’autorità statale. Sicuramente una palese contraddizione giuridica e non solo. L’esercizio pieno della sovranità non può prescindere dal possesso di un territorio, requisito di piena libertà e indipendenza, altrimenti rimane solo un concetto astratto. Le garanzie offerte erano una gentile concessione dello stato invasore e, pertanto, potevano essere ritirate. Inoltre nel 1882 fu firmato il primo trattato della Triplice Alleanza tra Germania, Italia e Austria- Ungheria. “Per la Germania e per l’Austria il significato principale stava nella neutralizzazione dell’Italia….Quanto all’Italia,….essa non era più isolata e….la Questione romana fu in effetti eliminata dalla politica internazionale”[16]. Pio IX si dichiarò prigioniero dello stato italiano, tale era la sua condizione, mentre per i decenni a venire si moltiplicarono i soprusi e le angherie dei massoni. Infatti con l’insediamento al governo dei partiti della sinistra radicale Roma capitale cessò di essere il fine, più propagandistico che reale, del compimento del processo di unità nazionale ma divenne un mezzo per il trionfo integrale della “ragione” e l’annientamento della Chiesa.
“In nome dei Liberi Muratori Italiani, chieggo al Governo, che intorno ai gravi indizi di cospirazione clericale contro la Patria, denunziati da quasi tutta la stampa, sia fatta senza indugio piena luce e intera giustizia. Intanto dichiaro che le Loggie (sic) Massoniche non cesseranno dal mantenere viva e vigilantissima la coscienza pubblica contro le macchinazioni del Vaticano.
Roma, lì 17 febbraio 1886:
Il ‘gran maestro’ Adriano Lemmi”[17].
Adriano Lemmi poco dopo, in occasione della campagna elettorale, invitò le logge: “a combattere senza tregua il clericalismo- unico partito per cui l’avversione è sacra…..di tenace e dichiarata volontà di liberare il Paese dai lacci che ognora la avvincono al Papato, che ogni giorno tenta riprendere animo e audacemente cospira”[18]. L’arrivo di Ernesto Nathan, di nascita cittadino britannico naturalizzato italiano e creato sindaco di Roma, inviato dalle logge d’oltremanica a riformare i gradi e gli ordini della massoneria italiana, portò altra acqua al mulino dell’anticlericalismo. “Polemizzò con lo stesso Pontefice cattolico in memorabili pubblici discorsi, con uno stile privo d’ogni morbidezza formale, ma deciso come una spada e pesante come una catapulta”[19].
Tuttavia Nostro Signore donò alla Chiesa e al popolo cristiano, che non avevano smarrito la Fede, delle figure straordinarie di grandi pontefici, basti pensare a Leone XIII o a San Pio X, che seppero fronteggiare con coraggio tutte le avversità, anche quelle interne, causate da sparute minoranze del clero che volevano il dialogo con lo stato italiano, i conciliatoristi, i cattolici liberali e i cattolici nazionali, tra cui spiccarono le figure di padre Luigi Tosti, abate di Montecassino, e monsignor Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona. Gioberti fu un precursore di questa strada. “La filosofia ha per iscopo di ritrovare il Dio scientifico, di riappacificare, mediante il sapere, gli spiriti con la religione e può essere definita l’instaurazione dell’idea divina nella scienza”[20]. La conseguenza di questa impostazione ideologica non si fece attendere. E infatti “la rottura nei confronti del pensiero cattolico reazionario fu segnata dalla violentissima polemica ingaggiata dal Gioberti nei “Prolegomeni al Primato” e poi nel “Gesuita moderno” contro i padri della Compagnia, accusati di rappresentare il momento non cattolico e non veramente sacerdotale dell’organizzazione ecclesiastica”[21].
Padre Tosti, cattolico liberale e seguace del Gioberti, scrisse un opuscolo dall’inequivocabile titolo “La conciliazione”. Offrì la sua opera di mediatore a Francesco Crispi e a Leone XIII per la soluzione della Questione Romana. A tal proposito Benedetto Croce scrisse: “Il sogno visse lo spazio di un mattino: sfiorì tra il maggio e il giugno, alacri ad impedire la conciliazione da una parte i gesuiti e dall’altra la massoneria…..il Tosti fu rinnegato dal papa che prima lo ha spinto all’opera”[22]. Premesso che Crispi era massone, rimane memorabile la sua ricerca di consenso in parlamento facendo segni iniziatici, Croce mente a riguardo della vicenda ben sapendo che il Tosti era inviso in Vaticano per le sue posizioni filo risorgimentali. Bonomelli, vescovo di Cremona, scrisse un articolo anonimo sul numero del 1 marzo 1889 della Rassegna Nazionale dal titolo “Roma, l’Italia e la realtà delle cose”, nel quale sosteneva che lo Stato Pontificio era un anacronismo e che l’unico compromesso fattibile sarebbe stato la creazione di uno stato in miniatura. La pubblicazione, in forma anonima e l’attribuzione della paternità tempo dopo, la sottomissione al Papa e la successiva giustificazione delle leggi anticlericali in Francia, servirono solo a squalificare la persona e le sue ondivaghe prese di posizione. Leone XIII cercò di difendere la Chiesa facendo leva sulla diplomazia europea, soprattutto quella austro-ungarica. Tuttavia la politica estera inaffidabile da parte dell’Italia portò i due imperi centrali ad una certa indulgenza nei confronti dell’alleato mediterraneo per il rischio che questo passasse dalla parte del blocco di potenze avversario. Questa cautela diplomatica finì per alleviare le pressioni sui governanti italiani che ebbero sempre, di fatto, mano libera nei confronti del Vaticano.
Papa Leone XIII.
Già nel 1874 venne promulgato il “non expedit”, il boicottaggio della vita politica dello stato unitario da parte dei cattolici, considerato illegittimo e usurpatore, anche se essi iniziarono ad organizzarsi nel mondo delle società di mutuo soccorso e ad intervenire in campo sociale, presso popolazioni tenute in povertà e arretratezza dai governi del sottosviluppo, bramosi di raggiungere il pareggio di bilancio a scapito del benessere delle masse, con politiche di rapacità fiscale per sostenere elevate e sproporzionate spese militari e avventure coloniali, ottime opportunità di losco affarismo clientelare. Con il pontificato di San Pio X il non expedit venne mitigato, senza tuttavia una formale abrogazione, permettendo ai cattolici una certa partecipazione alla vita politica dello stato. D’altra parte se si volevano leggi cattoliche bisognava avere deputati cattolici, o, per meglio dire, cattolici deputati.
La situazione mutò radicalmente con lo scoppio della guerra tra Italia e Turchia per il controllo del territorio libico. Tanti esponenti del clero, tra cui molti alti prelati, iniziarono a recitare orazioni pro tempore belli. La stampa cattolica coeva, Corriere d’Italia, Avvenire d’Italia, Corriere di Sicilia, prese posizione a favore della guerra. “Il fatto che il governo italiano avesse dichiarato guerra ad un grande nemico esterno della Chiesa- l’Impero Ottomano- e che il nemico esterno avesse collegamenti con un grande nemico interno- la massoneria- facilitò la mobilitazione del mondo cattolico e permise di chiudere la bocca a chi si meravigliava di questa improvvisa, entusiastica partecipazione degli sconfitti del 1870 a un avvenimento nazionale”[23]. Infatti per la prima volta dal 1870 la massoneria era in difficoltà, stretta tra la fedeltà allo stato italiano e la fratellanza universale predicata dalla setta, essendo la Turchia governata dal 1908 dal partito dei Giovani Turchi, un movimento politico progressista composto prevalentemente da massoni[24]. “L’impresa di Libia, che pareva dover coronare, quale prima operazione coloniale di successo, l’antica aspirazione del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani a suscitare e guidare l’affermazione internazionale dell’Italia (era appunto un autorevole Fratello l’Antonino di San Giuliano, ministro degli affari esteri nel terzo ministero Giolitti, a dichiarare tra i deliranti applausi di una camera in tenuta coloniale:”Sono passati per sempre i giorni della politica remissiva”), pose invece le sicure e concrete premesse per la catastrofe della Massoneria italiana non meno che della gracile, immatura democrazia”[25]. Il clima era radicalmente mutato. Lo scandalo del colonnello Gustavo Fara, che lasciò polemicamente la massoneria sostenendo che era un’organizzazione antinazionale dopo che un subalterno tentò di imporre degli ordini operativi in zona di guerra facendo leva su un grado iniziatico di loggia più alto, causò forti polemiche a mezzo stampa e un’interrogazione parlamentare da parte dei deputati cattolici sull’incompatibilità tra appartenenza alla setta e carriera militare. Lo stesso ministro della marina, vice ammiraglio Pasquale Leonardi Cattolica, dichiarò l’incompatibilità tra giuramento militare e affiliazione massonica.
La guerra italo- turca segnò una svolta sostanziale: l’inserimento dei cattolici nello stato. Nel 1913 il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni concluse un accordo elettorale con Giolitti, il Patto Gentiloni.
Nel 1914 scoppiò la Grande Guerra. Il mancato intervento dell’Italia a fianco degli alleati della Triplice aprì un dibattito molto duro sull’intervento a fianco dei vecchi nemici dell’Intesa o la continuazione della neutralità, come volevano i cattolici, che non volevano fare la guerra contro l’Austria- Ungheria. I massoni, invece, si schierarono a favore dell’intervento quale continuazione del Risorgimento. “Tuttavia la Massoneria italiana trovò l’energia necessaria per imporre al Governo e al Parlamento, dopo aver convinto con intensa propaganda il popolo, la guerra contro gli imperi centrali, germanico e austro- ungarico, al fine di completare con l’ammissione di Trento e Trieste l’unità della Patria. Durante tale periodo storico l’Ordine Massonico raggiunse l’apice della sua importanza, ed esplicò un’attività così profonda ed estesa compartecipando direttamente alla responsabilità della guerra ed esaltando fino all’esasperazione lo spirito eroico e i valori resistenziali del popolo e dell’esercito, che ne ritrasse riconoscimento e plauso, e lo stesso Capo dello Stato ne ringraziò ufficialmente il Gran Maestro”[26]. Lo stesso Giolitti, nelle sue memorie[27], indica la massoneria fra i responsabili dell’intervento, costato circa 630.000 morti e 1.500.000 invalidi.
I cattolici, invece, pur avendo fatto propaganda a favore della neutralità, servirono con lealtà nelle forze armate, mentre, il 28 giugno 1915, il Cardinale Pietro Gasparri, segretario di stato, dichiarò che la S. Sede, per rispetto della neutralità, non avrebbe creato imbarazzi al governo italiano attendendo “la sistemazione conveniente della sua situazione non dalle armi straniere, ma dal trionfo di quei sentimenti di giustizia che augura si diffondano sempre più nel popolo italiano, in conformità del verace suo interesse”[28]. Mai tatto diplomatico fu più squisito, anche se non mancarono gli incidenti. Infatti il governo bolscevico, contrario alla diplomazia segreta, pubblicò nel 1917 il trattato segreto di Londra del 1915, dove, all’art. 15, il governo italiano richiese l’esclusione della Santa Sede dalle future conferenze di pace, che si aggiunse al sequestro di Palazzo Venezia, sede dell’ambasciata austro- ungarica presso il Vaticano.
Il Cardinale Pietro Gasparri.
I Patti Lateranensi.
L’Italia uscì vincente dal conflitto, grazie all’alleanza con l’Intesa, ma lo sforzo bellico, la cattiva condotta delle operazioni militari e i rovesci subiti, le eccessive perdite rispetto ai modesti risultati conseguiti, l’avvio di commissioni di inchiesta sui profitti delle aziende a fronte della produzione di materiale qualitativamente scadente, causarono la crisi del regime liberale. D’altra parte tutto il panorama culturale europeo era mutato. Il positivismo era adesso visto con sospetto, se non con ostilità. La tecnologia era stata capace di creare strumenti di morte sempre più efficaci e sofisticati, le scienze, che avrebbero dovuto garantire un benessere e un progresso senza fine, avevano annichilito milioni di esseri umani. Max Weber, in una celeberrima conferenza tenuta nell’immediato dopoguerra, La scienza come professione, disse che l’idea che la ragione possa spiegare ogni cosa è essa stessa una fiducia non giustificata razionalmente, una sorta di credenza o di religione immanente[29]. Nel frattempo i movimenti cattolici divennero sempre più attivi, non solo in campo sociale e sindacale ma anche in politica. Nel 1920 Benedetto XV tolse il divieto di visita dei capi di stato stranieri cattolici ai reali d’Italia, mentre il governo italiano mitigò le sue posizioni abbandonando il principio di non sussidiare alcun culto con il pagamento dei supplementi di congrua ai parroci, venendo incontro ai bisogni della parte più umile del clero nazionale. Si aprirono a Parigi, nel 1919, delle trattative informali tra Vittorio Emanuele Orlando, Presidente del Consiglio dei ministri italiano, e Monsignor Bonaventura Cerretti, per dare al problema una soluzione definitiva, ma esse non portarono a conclusioni concrete.
Il 28 ottobre 1922 il fascismo prese il potere. Il movimento era caratterizzato da un nazionalismo esasperato e da rigurgiti neorisorgimentali ma il suo capo, Benito Mussolini, aveva abbandonato l’anticlericalismo degli anni giovanili. “Inoltre Mussolini, assai prima di ottenere il potere, aveva effettuato una brusca svolta nella politica del movimento fascista verso la Chiesa cattolica. Accantonando uno dei punti qualificanti del programma di San Sepolcro che parlava di confisca dei beni ecclesiastici e di abolizione dei privilegi della Chiesa, già il 21 giugno 1921, in un discorso commentato con interesse ma con differenti giudizi da gran parte della stampa cattolica e liberale, aveva detto esplicitamente: “Affermo qui che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi è rappresentata dal cattolicesimo”[30].
La firma del Concordato tra Stato e Chiesa (11 Febbraio 1929).
Non fu certo facile superare diffidenze, conflitti giuridici, concezioni etico- morali e approcci culturali molto differenti, stratificati. Ma Sua Santità Pio XI e il Duce erano tenacemente convinti di dover arrivare ad un accordo aprendo ufficialmente, nel 1925, delle trattative. “Dopo un’iniziativa del senatore cattolico Santucci per un incontro tra il Guardasigilli Rocco e il cardinale Gasparri che avvenne il 21 maggio 1925 e che segnò la ripresa dei contatti, vere e proprie iniziative prima ufficiose, poi ufficiali (anche se segrete) iniziarono nell’agosto 1926 tra il consigliere di Stato Domenico Barone, già membro della Commissione dei 18 per la riforma costituzionale, e l’avvocato Francesco Pacelli, fratello del cardinale Pacelli, il futuro Pio XII. Ma questa volta su nuove basi”[31]. Mussolini, nel 1925, sciolse la massoneria. Aveva, pertanto, bisogno di un consenso forte e vasto tra le masse popolari, mentre la S. Sede aveva di fatto ridotto le sue rivendicazioni ad un minimo territoriale per un concreto ed effettivo esercizio di sovranità. Il Duce si mostrò disposto ad accettare l’intervento del Vaticano nel diritto ecclesiastico vigente, subordinandolo alla sistemazione bilaterale dei rapporti tra Regno d’Italia e Santa Sede. Così, dopo laboriose trattative, l’11 febbraio 1929 si venne alla stipula dei Patti Lateranensi, firmati dai plenipotenziari Mussolini, capo del governo del Regno d’Italia, e dal Cardinale Gasparri, segretario di stato di Sua Santità Pio XI, con i quali la S. Sede riconobbe Roma capitale del Regno d’Italia sotto la monarchia dei Savoia e il Regno d’Italia riconobbe lo stato della Città del Vaticano.
Conclusioni.
Con tale accordo la Questione Romana era definitivamente chiusa. Mussolini coronava con un concordato la sua nuova politica ecclesiastica, con l’inizio della quale aveva scompaginato le fila del partito popolare e assorbito i cattolici nazionalisti nel fascismo rafforzando il consenso presso le masse popolari, mentre nell’ambito della politica estera sottraeva l’Italia da una grave passività diplomatica. La Chiesa superò le conseguenze negative del Risorgimento, riacquistando quella sovranità impensabile in presenza di una legislazione liberale. E, infatti, proprio nel Senato i liberali di vecchia scuola, Benedetto Croce, Francesco Ruffini, Luigi Albertini, intervennero e votarono contro l’approvazione del Concordato. Anche alcuni tra gli elementi più radicali del fascismo presero posizione contraria, si pensi a Julius Evola, pronto ad esaltare nel suo libro Imperialismo pagano le grandezze dell’antica Roma pagana[32]. Ovviamente il malcontento tra i massoni fu fortissimo ma non ebbero luogo reazioni ufficiali essendo stata la setta colpita dalla legge che proibiva le società segrete. Dagli scritti pubblicati nel secondo dopoguerra, fra tutte le “colpe” addossate al fascismo la principale sembra essere stata la soluzione della Questione Romana; “dall’attuato ripristino, sia pure in forma ristretta, del potere temporale dei Papi”[33]. Il Pontefice accettò la proposta che era già stata formulata per la prima volta, almeno ufficialmente, da Monsignor Bonomelli. Tuttavia il problema non era l’estensione della superficie del nuovo stato ma l’affidabilità degli interlocutori. Non era possibile fidarsi della classe dirigente liberale, una lunga serie di esperienze negative lo confermava. Anche dopo la firma dei Patti Lateranensi gli esponenti di maggiore spicco del liberalismo si opposero o accolsero controvoglia l’evento. Solo la caduta della classe dirigente risorgimentale e l’avvento di un nuovo regime, il fascismo, che non aveva pregiudizi anticlericali, convinsero Sua Santità Pio XI ad accettare l’accordo. La Città del Vaticano è lo stato più piccolo del mondo come superficie ma il Pontefice è di nuovo titolare di una effettiva sovranità, dopo il lungo periodo di occupazione, che gli consente di trattare con i capi di stato, stipulare concordati, inviare e ricevere rappresentanti diplomatici, ma soprattutto questa sovranità non è sottoposta ai governanti italiani e ai mutevoli cambi della politica nazionale. La sovranità resta una prerogativa del Santo Padre, nemmeno la stipula di nuovi concordati può intaccarla, mettendo il Cristianesimo cattolico romano su un piano differente dalle altre religioni.
[1] Guido Francocci, La Massoneria nei suoi valori ideali, Milano, Ed. Bolla, 1950, pag. 212; testo fuori commercio e destinato solo ai massoni.
[2] Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein, conte e dal 1813 principe, Coblenza 15 maggio 1773- Vienna, 11 giugno 1859, Cancelliere di Stato dal 1821 al 1848 dell’Impero d’Austria.
[3] Rosario Romeo, Dal Piemonte sabaudo all’Italia liberale, Bari, Laterza, 1974, pag. 95.
[4] Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, noto capopopolo romano (Roma, 27 settembre 1800- Porto Tolle, 10 agosto 1849), appoggiò la Repubblica Romana cercando di convogliare il consenso del proletariato verso il triumvirato mazziniano.
[5] Il testo del telegramma di Mameli è riportato in Alberto Maria Ghisalberti, Romana Repubblica, in Enciclopedia Italiana, vol.XXIX, pag.. 943.
[6] Renè Albrecht-Carriè, Storia diplomatica d’Europa 1815- 1968, Bari, Laterza,1978, pag.84.
[7] Vincenzo Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani, Napoli, Batelli e C., 1846,II, pag.68.
[8].? Rosario Romeo, op.cit., pag.145.
[9] Rosario Romeo, op.cit., pag. 170.
[10] Rosario Romeo, op.cit., pagg.253- 254.
[11] Renè Albrecht-Carriè, op.cit., pag. 109.
[12] Cfr. Marco Minghetti, La Convenzione di settembre, Bologna,1899.
[13] Guido Francocci, op. cit., pag.217.
[14] Guido Francocci, op. cit., pag. 216.
[15] Renè Albrecht-Carriè, op.cit., pag. 157.
[16] Albrecht- Carriè Renè, op.cit., pag.207.
[17] Adriano Lemmi era il gran maestro del grande oriente dell’epoca. La sua dichiarazione è riportata nel già citato libro di Francocci a pag. 238.
[18] Guido Francocci, op.cit., pag.239.
[19] Guido Francocci, op.cit., pag.240.
[20] Vincenzo Gioberti, Introduzione allo studio della filosofia, Napoli, Batelli e C., 1846, I, pag.38. I caratteri in grassetto sono corsivi di Gioberti.
[21] Rosario Romeo, op.cit., pag.99.
[22] Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1929 (IV ed.), pag.187.
[23] Sergio Romano, La quarta sponda, Milano, Longanesi, 2005, pag.43.
[24] Sul carattere massonico del movimento dei “Giovani Turchi” si veda l’articolo La massoneria e la rivoluzione turca, Acacia, anno III n. 20, Roma,1910.
[25] Aldo Alessandro Mola, Storia della massoneria italiana dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, IV edizione, Storia Paperback, 2001, pag. 333.
[26] Guido Francocci, op. cit., pag. 237.
[27] Cfr. Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita, Milano, Garzanti,1967.
[28] Per la dichiarazione del Cardinale Gasparri cfr. Walter Maturi, Romana Questione, in Enciclopedia Italiana, vol. XXIX, pag. 942.
[29] Su Max Weber cfr. Raymond Aron, Le tappe del pensiero sociologico, Milano, Mondadori, 1981, VI edizione; Paolo Jedlowski, Il mondo in questione, Roma, Carocci, 2010, IV ristampa,.
[30] Nicola Tranfaglia, La prima guerra mondiale e il fascismo, Storia d’Italia, vol. XXII, a cura di Giuseppe Galasso, Torino, UTET, pag. 418.
[31] NicolaTranfaglia, op.cit., pag. 420.
[32] In realtà il libro sembra essere stato ispirato dal massone Arturo Reghini. Successivamente Evola pubblicò una seconda edizione di Imperialismo pagano smorzando le polemiche anticlericali.
[33]Francocci Guido, op. cit., pag. 249.








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