In campo cinematografico la Lituania non si segnala certo per un grande numero di produzioni. Va inoltre aggiunto che ancora oggi appare problematico riunire in un quadro d’insieme tutte le opere realizzate prima della sospirata indipendenza dall’Unione Sovietica (1990). Il cinema di Vilnius può essere infatti sostanzialmente diviso in due grandi periodi – sovietico e postsovietico. Pur non essendo questa la sede per una dettagliata analisi delle singole realizzazioni, è comunque possibile individuare nell’arco di tempo della dominazione comunista (1940-1990) un sistema produttivo che replicava il modello industriale e finanziario imposto da Mosca: una media di sette lungometraggi, quaranta documentari e due film di animazione all’anno. Delle sette pellicole, tre erano girate per filmare le realizzazioni teatrali messe in scena in tutto il territorio dell’Unione e quattro erano direttamente commissionate dalla Gosteleradio (la Televisione Centrale di Mosca). Uno schema più o meno simile veniva applicato anche alla produzione di documentari. Il budget lituano finanziava principalmente le notizie di attualità di Soviet Lituania (documentari ad uso e consumo locale) e una restante quota di pellicole. Tutti gli script dovevano essere approvati da Mosca con conseguenti limitazioni ideologiche a scapito della libertà e della qualità creativa. Tuttavia a Vilnius si sviluppò un certo numero di talenti e di ottimi professionisti grazie all’apporto della locale scuola di cinema. Un dato comunque è chiaro: allora come oggi i film lituani riflettevamo profondamente e quasi esclusivamente l’identità nazionale. La critica sembra anche concorde nel riconoscere come il miglior film della produzione lituana realizzato sotto il periodo della dominazione sovietica sia stato Jausmai (1968) di Almantas Grikevičius, pellicola che tuttavia ebbe una scarsissima distribuzione in patria.
Conseguite indipendenza e democrazia, la struttura di realizzazione e distribuzione cinematografica lituana ha sensibilmente modificato la propria organizzazione. Nuove società di produzione hanno affiancato il vecchio Film Studio Lituano (di proprietà dello Stato), che deteneva il monopolio dei talenti e delle tecnologie di ripresa. Oggi i film sono realizzati secondo un sistema misto, basato sui finanziamenti privati, locali e stranieri, e sui contributi statali. Naturalmente non obbligatoriamente integrati. La qualità media delle produzioni è inoltre sensibilmente migliorata. Tuttavia il numero totale delle opere realizzate resta ancora piuttosto esiguo. L’anno 1992 ha costituito la svolta per le pellicole “girate” dalle società private che, per la prima volta, hanno superato il numero di produzioni del Film Studio Lituano (12 contro solo 5, ivi compresi lungometraggi, “corti” e documentari). L’anno di esordio, il 1990, le case di produzioni private avevano registrato all’attivo solo 3 documentari contro 19 produzioni ( 4 “lunghi” e 15 documentari) messe in campo dal Film Studio. Nel corso degli anni seguenti il numero dei lungometraggi realizzati in regime misto si aggirava intorno ai due all’anno. Cifre ancora troppo basse perché sia possibile riscontare una qualità media sensibilmente elevata dovuta a una tradizione e a un “mestiere” consolidati. Dati dei quali occorre tener conto per valutare appieno una pellicola come Vienui vieni (2003, 90 m.), girata comunque in un ottimo bianco e nero da Jonas Vaitkus . Troppo concentrato nello sforzo di girare epicamente la decennale guerra di resistenza combattuta dai patrioti lituani contro l’occupazione sovietica, il regista non riesce a sorvegliare l’integrità artistica di un’opera talvolta retorica. Pur non essendo un capolavoro, dunque, il film rappresenta un documento abbastanza fedele delle gesta compiute dal partigiano Juozas Lukša Daumantas e dai suoi compagni. Ambientato nel 1950, Vienui vieni racconta con notevole passione la sanguinaria e brutale repressione attuata dall’Unione Sovietica ai danni delle popolazioni e dei partigiani lituani con il supporto dei collaborazionisti locali. Nella descrizione della caccia ai “Fratelli della foresta” e delle persecuzioni alla popolazione civile il film sembra fare il verso a Schindler List (1993) del regista americano Steven Spielberg. Lukša ama Nijole, conosciuta in Occidente, ma rinuncia al conforto dei sentimenti per proseguire la sua disperata e inutile lotta. Vienui vieni insiste poi sui tentativi compiuti da Daumantas per riuscire ad ottenere aiuti militari dall’Europa occidentale, ma i suoi sforzi e quelli della resistenza antisovietica vengono vanificati dalle infiltrazioni e dalle dure retate della NKVD. Anche la famiglia di Lukša soffre così le persecuzioni degli uomini di Stalin: due suoi fratelli sono uccisi dai sovietici, altri due deportati in Siberia e il padre, prostrato dalla perdita dei figli, impazzisce. Il film si conclude con la morte dell’eroe, caduto appena trentenne in un’imboscata, anche se il suo corpo non verrà mai ritrovato.. La pellicola è preceduta da un breve documentario esplicativo.
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