
La storia sconosciuta della rivincita borbonica nella: mentre i garibaldini, in appoggio ai “nordisti”, furono accusati di codardia, gli ex sconfitti della Due Sicilie, tra le file dei “confederati”, si coprirono di gloria.
Centosessantatre anni fa, il 15 settembre 1862, durante la guerra di Secessione americana, si svolse la battaglia di Harpers Ferry, nella quale si scontrarono i soldati confederati del Sud e gli “Yankee” del Nord . Su entrambi i fronti vi erano dei soldati volontari provenienti dall’Italia ed in quella occasione i soldati napoletani arruolati nell’esercito sudista si scontrarono con i “connazionali”, seppur da solo due anni e da loro non riconosciuti come tali, arruolati nelle file nordiste [1] .
Il generale Thomas Jonathan Perez Jackson, soprannominato Stonewall (“Muro di pietra”).
Entrambi le unità di volontari italiani, “piemontesi” e napoletani, si affrontarono, l’un contro gli altri armati, in campo aperto. L’armata sudista, agli ordini del generale Robert Edward Lee, che comprendeva i “napoletani” dell’ “Italian Guards”, ebbe la meglio sull’esercito nordista – gli yankees – che includeva fra le sue file i “piemontesi “della “Garibaldi Guards” del 39mo fanteria New York, tutti ex- garibaldini, i quali furono in gran parte fatti prigionieri. In quell’occasione fu catturata un’intera guarnigione nordista di ben 12.000 uomini, e tra di loro vi era il 39° reggimento New York dei volontari italiani del Nord, reggimento sconfitto proprio dal 10° Reggimento di fanteria della Louisiana, sudista, che inquadrava gli ex-soldati borbonici in giacca grigia. E quanto gli ex-garibaldini non fossero da loro considerati “connazionali”, e quanto i napoletani non si considerassero “italiani”, ci viene ricordato da un episodio. A fine battaglia venne concordato, tra i due schieramenti, uno scambio di prigionieri, gli ex-garibaldini del 39° reggimento New York furono presi in consegna e scortati dagli ex-borbonici del 10° Reggimento di fanteria della Louisiana che li aveva catturati.[2] Il famoso generale “Stonewall” ( Thomas Jonathan Perez Jackson, soprannominato Stonewall -“Muro di pietra”) vedendoli sfilare, chiese al capitano sudista Antonio Santini chi fossero quegli italiani che indossavano la divisa blu dei nordisti. “Sono solo degli yankees homemade (fatti in casa)”, fu l’ironica risposta.
La risposta non era solo ironica, ma rifletteva uno stato d’animo che identificava i soldati napoletani del Re Francesco II, quali combattenti per l’indipendenza del Regno delle Due Sicilie contro gli invasori del Nord, che con la scusa dell’”Unità d’Italia” non avevano di fatto solo allargato il Regno piemontese di Vittorio Emanuele II. Così come il Sud agricolo di Jefferson Davis[3], lottava per la sua indipendenza dal Nord industriale. Inoltre la risposta rifletteva anche le diverse motivazioni dei borbonici e dei “piemontesi” che si erano arruolati . Nelle ‘Garibaldi Guards’ , quelli che combattevano per l’Unione erano quasi tutti italiani del nord già residenti in America o mazziniani europei e ben pochi erano venuti volontari dell’Italia. Infatti, quando nel 1861 quattro deputati americani erano venuti a Torino per arruolare una legione di volontari contro “gli schiavisti” del Sud, ed il giornale La Nazione di Firenze aveva pubblicato un appello in proposito agli ex garibaldini, pochissimi si erano presentati, e quasi nessuno aveva accettato . Si scoprì , infatti, che i «volontari» cercavano più che altro un passaggio gratuito per emigrare in America, e per giunta, tutti volevano posti di comando. Nell’ottobre, i volontari si erano ridotti a due, ed anche questi rinunciarono quando seppero che avrebbero dovuto pagarsi il viaggio. Malgrado ciò, nel 1862 quando l’Unione è a mal partito per i disastri militari inflitti dai confederati, viene offerto ai volontari un premio di otto acri di terra a guerra finita. Poco più di tre ettari non erano un grande gesto per un paese così immenso. Infatti, pochi accettarono la modica offerta, ed allora ad un Lincoln, disperato, non restò che rivolgersi a Garibaldi, il quale incaricò l’ex colonnello garibaldino Gianni Battista Cattabeni di reclutare duemila uomini che il Generale stesso avrebbe comandato. Cattabeni ne racimolò solo cinquecento, un segno che l’ardore per la causa dell’Unione era ulteriormente scemato[4].
Il patriota garibaldino Gianni Battista Cattabeni.
Ma quando Lincoln, con l’acqua finanziaria alla gola, scopre che deve pagare il loro viaggio, rifiuta di tirar fuori i soldi. Per cui malgrado gli appelli e i roboanti proclami di Garibaldi, quasi nessuno si imbarcherà per la “gloriosa” impresa. Garibaldi stesso rinuncerà perché Lincoln gli offrì “solo” il comando di parte delle truppe unioniste, mentre il poco umile ”’Eroe dei due mondi” voleva il comando supremo. Comunque gli italiani–yankees non fecero una gran figura, specie quando , come visto, alla battaglia di Harper’s Ferry si arresero ai confederati «assicurandosi il poco onorevole primato del maggior numero di soldati dello stesso reparto arresi in un colpo solo in tutta la guerra».[5] Di 525 uomini, 400 furono fatti prigionieri e gli altri disertarono, per questo una corte marziale nordista li bollerà di «vigliaccheria».

Il campo di battaglia di Harper’s Ferry.
Dopo di ciò il reggimento viene ricostituito e si comporta benino a Gettysburg, ma a riscattare l’onore militare degli italiani nella Guerra di Secessione saranno in realtà quelli che combattono per il Sud. “Uno accanto all’altro, i quarantasette reggimenti, bandiere spiegate, ufficiali in testa, muovevano avanti come per una parata di dimensioni inaudite. Mai il mondo aveva visto qualcosa del genere: mai, nemmeno ai tempi del gran Federico, ché questi non erano mercenari, addestrati ad una dura e crudele disciplina, ma cittadini liberi, spinti avanti solo dall’amore per il loro paese e dalla fede nella loro causa […] Gli uomini che marciavano avanti sapevano la difficoltà e la terribilità del compito. Sapevano che pochi di loro sarebbero rimasti, la sera, per gioire della vittoria o piangere sulla sconfitta; ma essi venivano avanti. L’indipendenza del Sud, l’esistenza autonoma della nuova nazione che veniva al mondo tra il sangue e le lacrime, posava sulla punta delle loro baionette; ed essi lo sapevano”. Con queste parole, Raimondo Luraghi[6], cantore della guerra civile americana, ha descritto i combattenti in giacca grigia a Gettysburg, e tra questi, inquadrati nel 10° Reggimento di fanteria della Louisiana, vi erano quei soldati borbonici fatti prigionieri dopo il Volturno, che si rifiutarono di giurare fedeltà al Savoia vincitore. Ed erano tanti, troppi, tant’è che Cavour non sapeva cosa farne. Lasciarli andare liberi non poteva, perché sarebbero andati ad ingrossare le file del «brigantaggio», arricchendo di veterani addestrati quella resistenza popolare contro i “piemontesi” che già si profila nel Meridione. Deportarli in campi di concentramento esteri (il nostro ministro prenderà in considerazione addirittura la Patagonia, l’Indonesia e l’Australia, già luogo di deportazione britannico) ma dopo le deportazioni nel nord Italia[7], non si poteva perché i rispettivi governi, seppur alleati dei Savoia, non ne volevano sapere. A quel punto, è un ufficiale americano ex garibaldino e amico di Garibaldi, Chatham R. Wheat[8] a trovare la soluzione. Arruolarli per combattere in America[9], Wheat viene dalla Louisiana e, appreso dell’elezione di Abraham Lincoln a Presidente, prevede un imminente conflitto tra Nord e Sud, pertanto prima di tornare in patria a servire la Confederazione, la quale, a differenza del Nord, ai volontari paga viaggio, stipendio ed equipaggiamento, ne parla con Garibaldi il quale, seppur filo-nordista, si dichiara d’accordo. D’accordo sarà anche Vittorio Emanuele II , e Cavour tira un sospiro di sollievo. A gestire l’operazione sarà un ex prefetto di polizia del re borbone Francesco II, un massone passato al servizio di Garibaldi e dei Savoia, don Liborio Romano. Grazie anche all’aiuto del maggiore dell’esercito Achille de Liguoro, che all’inizio del 1861 recluta i soldati dell’esercito riparati nello Stato Pontificio, si riesce a raccogliere un migliaio di uomini, i quali, a bordo della nave Elisabetta, partita da Palermo nel mese di gennaio, con 51 volontari siciliani e del piroscafo inglese Olyphant, che salpa da Napoli, raggiungono New Orleans in Louisiana nel marzo del 1861. Alla fine saranno qualche migliaio gli ex borbonici imbarcati a più riprese per New Orleans, fino a quando un imbufalito Lincoln, che ha considerato uno sgarbo l’azione permessa da Cavour, decreta il blocco navale della Confederazione. Ed allora i rimanenti ex soldati borbonici che non sono riusciti ad imbarcarsi finiscono nel lager piemontese di Fenestrelle [10]. I volontari italiani «confederati» al loro arrivo sono inquadrati in varie unità , tra i Bourbon Dragoons (Dragoni di Borbone), e si copriranno di gloria nelle più importanti battaglie della guerra. Tra loro c’è anche Carlo Patti, fratello della celebre soprano Adelina[11], ed uno dei fratelli di Nino Bixio, Giuseppe, gesuita . Padre «Joseph» Bixio parteciperà, come cappellano sudista alla guerra di secessione più volte arrestato dagli unionisti riuscirà sempre a cavarsela e poi, spinto dal suo carattere ardito, andrà in Australia, facendo poi ritorno negli Usa, dove sarà tra i fondatori dell’Università cattolica di San Francisco, divenendo inoltre famoso, e tuttora ricordato, come difensore degli indiani contro le Giacche Blu[12].
Giuseppe Cappellano Bixio.
In Louisiana già allora, esisteva una vasta popolazione di circa settemila emigranti italiani, per la maggior parte di origini siciliane e meridionale, dedita per lo più alla pesca e al piccolo commercio, gran parte di loro vi si erano recati dopo l’arrivo dei piemontesi, nel 1860, nel Sud Italia. Quando, nel mese di aprile, il governatore della Louisiana, Thomas Moore, decretò che si organizzasse l’arruolamento di volontari, anche stranieri, per l’imminente conflitto, le rappresentanze consolari della Gran Bretagna e della Francia si opposero, protestando la loro neutralità al conflitto. Il governatore allora stabilì che i volontari stranieri sarebbero stati inquadrati in milizie, non facenti parte dell’esercito confederato, ma al servizio comunque dello Stato. Gli stranieri che si arruolarono, furono dunque inquadrati in tre brigate europee; per gli italiani venne organizzato il 6° battaglione Italian Guards[13]. Ma furono molti i volontari non americani, tra i quali i siciliani sbarcati della nave Elisabetta, che pretesero però di far parte di un’unità dell’esercito confederato.
Le brigate europee, tra cui il battaglione italiano, ebbero un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’ordine nei cinque giorni ( 25/30 aprile 1862), in cui il generale confederato Lovell fu costretto ad evacuare le truppe dalla città di New Orleans. Con la partenza dell’esercito e dinanzi alla prospettiva dell’arrivo del nemico, comandato dal brutale generale Benjamin Franklin Butler,[14] la popolazione fu presa del panico, sapendo della tattica dell’esercito nordista di fare ovunque terra bruciata, distruggendo in particolare tutte le infrastrutture. In questa situazione le brigate europee furono le uniche milizie incaricate di mantenere l’ordine in città. Nonostante l’onorevole comportamento tenuto sul campo, le brigate furono sciolte a fine maggio 1862. Ma la notizia della partenza del 39° reggimento New York, dell’esercito nordista, costituito da ex garibaldini, indusse però molti reduci meridionali delle brigate a continuare la lotta per il Sud in varie unità militari della Louisiana. Nell’agosto del 1863 i volontari del battaglione Italian Guards furono inquadrati nella compagnia H del 22° reggimento della Louisiana. Il reggimento, trasferito nel settembre 1863 ad Alexandria Louisiana, venne assegnato alla brigata Thomas, divisione Mouton-Polignac, e partecipò alla campagna lungo il fiume Teche e alla battaglia Mainfield, dove, agli ordini del generale Richard Taylor, sconfisse le truppe nordiste del generale Nathaniel Banks, sebbene in grande inferiorità numerica. I soldati della compagnia H, che si erano comportati con grande valore in questa memorabile battaglia, continuarono a combattere fini alla resa del generale Edmund Kirby Smith, avvenuta il 26 maggio 1865 a Shreveport.
Volontari italiani ‘unionisti’.
Ci corre obbligo di precisare che le motivazioni di questa guerra, pochissimo e mal studiata dalle nostre parti, non sono quelle che la storiografia ufficiale ha condensato in un’unica, terribile parola: schiavitù. Anche in questo caso, come sempre, la propaganda dei vincitori ha una spietata efficacia, che non poggia sulla verità storica , né ha solidità di argomenti. Ed anche questo un altro punto di somiglianza fra i due conflitti: quello dell’invasione del Sud Italia da parte dei Savoia e quello della Secessione degli Stati sudisti. Brevemente vogliamo solo sottolineare, invitando all’approfondimento, che quanto emerge dal lavoro degli studiosi più onesti e avveduti: lo scontro non nacque da una questione etica. E questa affermazione scaturisce non tanto dall’ovvio rilievo che quasi mai gli Stati rischiano la propria esistenza per affermare un principio, ma da alcuni dati significativi.
Ben cinque stati rimasti nell’Unione erano schiavisti (il Kentucky, il Missouri, il Maryland, il Kansas, il Delaware e la Virginia Occidentale); sono i marinai e i mercanti settentrionali, i puritani della “Nuova Inghilterra”, che facevano affari d’oro con la tratta degli schiavi, i cui enormi profitti davano, nel Settentrione, un potente impulso alla nascita e allo sviluppo della rivoluzione industriale; al Nord era praticata una discriminazione razziale ben più cruda che nel Sud, ove i neri si mescolavano alla vita dei bianchi con un agio e un’intimità oggi difficilmente immaginabili[15], e lo stesso Abramo Lincoln manifestava idee apertamente razziste; e solo a quasi due anni dall’inizio del conflitto armato, col proclama dello gennaio 1863, e quando il Sud aveva già concesso la libertà agli schiavi che si fossero arruolati come confederati, Lincoln dichiarerà liberi gli schiavi, e, si badi, non quelli degli Stati unionisti, nè dei territori occupati dalle truppe nordiste (Tennessee e parte della Virginia)[16]. “Il principio di Mr. Lincoln – osservava da Londra il quotidiano The Spectator – non è che un essere umano non ha il diritto di possederne un altro: è che perde questo diritto se non è fedele all’Unione”.
Anche per questo sono molte le organizzazioni odierne, che rivendicano la memoria della Confederazione degli Stati del Sud ed i suoi valori, e che riconoscono anche il contributo degli italiani e particolarmente degli ex militari delle Due Sicilie. Il 22° reggimento fanteria della Louisiana è considerato un corpo leggendario, perché fu uno degli ultimi ad arrendersi alla soverchiante superiorità in uomini e mezzi degli Stati del Nord. A tutt’oggi a New Orleans esistono associazioni culturali dei discendenti di quei meridionali, ex militari dell’esercito borbonico delle Due Sicilie, che combatterono con onore, anche contro i “garibaldini” del Nord, per l’indipendenza del Sud degli attuali Stati Uniti.
Biblografia:
Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana – Rizzoli 2009
Alberto Pasolini Zanelli, Dalla parte di Lee. La vera storia della guerra di secessione americana- Goware ed. 2019
Niccolò Ferrari,- La civiltà perduta. Gli Stati Confederati nella guerra civile – Gabrielli Editori, 2013.
Fulvio Izzo, I lager dei Savoia. Storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali – Controcorrente 1999.
[1] Gli italiani ex soldati borbonici erano inquadrati nel 10° reggimento di fanteria della Louisiana a cui era stato posto il nome di “Italian Guards” Brigata europea del 10° reggimento nel 1862. Emblematico, anche per il suo cognome, è divenuto il caso di Gianbattista Garibaldi , sergente confederato nella compagnia C del 27° Virginia Infantry Reggiment. Nato nel 1831 a Lavagna in provincia di Genova, ed emigrato in America nel 1858, sopravvisse alla guerra, e restò in America. Morì il 28 ottobre del 1921 e chiese , ed ottenne di essere seppellito vicino al generale Lee, nel cimitero monumentale di Lexington. È passato alla storia per le sue numerose lettere scritte in italiano dai vari fronti di guerra alla sua fidanzata, poi divenuta sua moglie.
[2] . Il 10º Regiment Louisiana Infantry partecipò a molti altri scontri. Con un totale di 976 effettivi nel 1861, nel corso delle tante battaglie sostenute restò falcidiato, tanto che al momento della resa del generale Robert Lee ad Appomatox, il 10 aprile 1865, restavano solo 18 sopravvissuti, fra cui Salvatore Ferri, nativo di Licata – ex-soldato dell’esercito borbonico – unico sopravvissuto della Compagnia I, quella composta da italiani.Per il loro comportamento in Appomattox, ricevettero l’onore delle armi del generale Grant.
[3] Senatore dal 1857 al 1861, Jefferson Davis (nato nel 1808) diede le dimissioni al momento della secessione degli stati meridionali. Presidente provvisorio della Confederazione, fu poi eletto con voto popolare nell’ottobre del 1861. Alla fine della guerra fu arrestato e imprigionato per due anni, dopo di che viaggiò a lungo in Europa e in Canada. Morì nel 1889.
[4] Gilberto Oneto – Unità o libertà. Italiani e padani nella guerra di secessione americana (Il Cerchio, pagg. 278,).
[5] Rino Cammilleri -Quella rivincita borbonica nella guerra di Secessione- – Dom, 29/12/2013 – Il Giornale.
[6] Raimondo Luraghi (Milano, 16 agosto 1921 – Torino, 28 dicembre 2012) è stato uno storico e accademico italiano. Autore della Storia della guerra civile americana, Torino, Einaudi, 1966 e BUR, Milano 2009.
[7] Dal 1861 – primo anno dell’unità d’Italia – in poi migliaia e migliaia di ufficiali ed ex soldati del disciolto esercito borbonico, di soldati papalini prigionieri, di contadini meridionali che i piemontesi definivano briganti, di prigionieri politici e renitenti di leva, di ex garibaldini dell’impresa di Aspromonte – tra cui alcune centinaia di siciliani – furono deportati nei lager del Centro Nord Italia e, precisamente: a San Maurizio Canavese, Alessandria, Milano, Genova, Bergamo, Bologna, Ascoli Piceno, Livorno, Ancona, Rimini, Fano e nelle isole dell’arcipelago toscano e della Sardegna. In questo universo carcerario del nuovo Stato italiano il lager più importante e più tristemente famoso e temuto fu quello di Fenestrelle, nell’alta Val Chisone.
[8] Pur sembrando strano l’origine della presenza di molti soldati del disciolto esercito borbonico nelle file confederate è dovuto alla relazione personale tra il generale Giuseppe Garibaldi e Chatham Roberdeau Wheat, un avventuriero ed ex capitano dell’esercito degli Stati Uniti che aveva conosciuto Garibaldi a New York nel 1850 e che, venuto poi in Italia, aveva partecipato alla campagna per la conquista del Sud, nella battaglia del Volturno con il grado di generale conferitogli dallo stesso Garibaldi.
[9]Un ex ufficiale dell’esercito britannico, il capitano Bradford Smith, giunto a Napoli il 14 ottobre 1860 con seicento volontari della legione britannica, racconta nel suo diario che il generale americano Chatham Roberdeau Wheath, , lo aveva incaricato nel dicembre 1860 di reclutare nell’ex reame delle Due Sicilie sbandati dell’esercito delle Due Sicilie, da inviare a New Orleans, per combattere a favore degli stati Confederati del Sud.
[10] Fenestrelle, un’antica e inaccessibile fortezza sabauda a circa 150 chilometri da Torino, posta a più di 2 mila metri d’altezza a protezione del confine sabaudo-piemontese fu a partire dal 1861, il lager di casa Savoia, la Siberia italiana, in cui non ci si fece scrupolo di deportare, senza soluzione di continuità, appunto ex soldati del disciolto esercito del Regno delle Due Sicilie, papalini, pseudo briganti, prigionieri comuni e politici, donne e uomini di ogni provenienza in una promiscuità degna di peggior causa.
[11] Adela Juana María “Adelina” Patti (Madrid, 19 febbraio 1843 – Brecon, 27 settembre 1919) è stata un soprano italiano. Nata in Spagna e cresciuta negli Stati Uniti da famiglia italiana, è considerata uno dei più grandi soprani della seconda metà del XIX secolo.
[12] P. Giuseppe Bixio SJ (Genova 1819 – Santa Clara, California, 1889) fratello del generale Nino Bixio, braccio destro di Giuseppe Garibaldi , è ricordato più per la sua relazione con Nino il cui anticlericalismo lo contrappone a Giuseppe, che contribuirà all’insediamento della Chiesa cattolica nelle prime parrocchie in cui ha servito, soprattutto in California.
[13] gli italiani furono inquadrati nel 10° reggimento di fanteria della Louisiana a cui era stato posto il nome di Garibaldi Guards-battaglione italiano Louisiana Militia ma in seguito alle proteste di molti di loro , che non si sentivano “garibaldini”,il nome fu cambiato in “Italian Guards” Brigata europea del 10° reggimento nel 1862.
[14] Durante la Guerra di secessione americana, il suo modo impietoso di gestire l’occupazione di New Orleans e le sue politiche per quanto riguardava gli schiavi fuggiti dai Confederati, faranno di questo politico-generale uno degli uomini più discussi e controversi della guerra. Per molti anni, dopo la fine della guerra civile,fu intensamente odiato dagli abitanti del Sud, che gli affibbiarono il soprannome di “Maggiordomo della bestia” (Beast Butler, dove per “bestia” si intendeva il Diavolo).
[15] Lo stesso presidente Davis mise uno dei suoi schiavi preferiti come sorvegliante della piantagione. Le frustate erano bandite nella piantagione, la giustizia era amministrata da “Corti” di schiavi che decidevano circa la colpevolezza o l’innocenza dei “crimini” imputati e quindi decidevano le punizioni. Essi erano liberi di scegliere un insieme vario di punizioni, incluso un avvertimento, lavoro supplementare e altro ancora, ma le frustate non erano cosa consentita. Davis si avocò esclusivamente il diritto di grazia. Inoltre agli schiavi era consentito di coltivare quanto serviva loro come alimento in propri orti personali; era assegnato loro pollame perché le uova potessero essere vendute a loro personale profitto così come essi potevano coltivare i propri orti consegnando se volevano l’eccedenza per ottenere tutte le varietà di alimenti di cui avevano necessità dai negozi della piantagione.(Varina Davis Banks Howell, Jefferson Davis, ex President of the Confederate States : a memory by his wife, Vol. 1 pag. 171, 1890. Cit. https://it.wikipedia.org/wiki/Jefferson Davis.
[16] Circa 179.000 neri combatterono per il Nord, mentre su autorizzazione del Congresso Confederato furono reclutati nell’esercito del Sud, ben 300.000 uomini di colore e vennero organizzate alcune unità.
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