La libertà degli intellettuali. Giordano Bruno e George Orwell. Di Giuseppe Moscatt.

Giordano Bruno.

1. Il bestiario come categoria letteraria secondo lo stile di Bruno.

E’ noto che dagli studi medievali emerge la figura letteraria del Bestiario, stile di carattere allegorico e moraleggiante che vedeva nel mondo animale esempi di verità più profonde. Tali raccolte di favole – ispirate ai classici di Fedro, Esopo, Luciano e Plinio – narravano di animali reali – il lupo e l’agnello della letteratura romana per intenderci –  oppure l’unicorno e la sirena, dove erano loro attribuiti insegnamenti laici e religiosi di natura morale. Anche la patristica romana e cristiana, per esempio Isidoro di Siviglia col suo Naturaem Rerum (settimo secolo d.c.) seguiva il medesimo filone. Il primo biografo di Giordano Bruno – Vincenzo Spampanato nel 1921 (Vita di Giordano Bruno) – racconta che un poeta ed astronomo – Cecco d’Ascoli – aveva ripreso la tradizione tardo latina e la aveva osata contrapporre alla Commedia dantesca, già piena di logica tomista e basata sulle figure umane, proponendo invece un poemetto animato da animali e da una simbologia alchimista ed astrologica di origine araba. Influenze che Bruno adotterà in alcuni suoi primi saggi critici, in forma di  dialogo platonico, quali Lo Spaccio della bestia trionfante e la Cabala del cavallo pegaseo con l’aggiunta dell’asino cillenico, nonché La cena de le ceneri, dialoghi filosofici scritti in italiano a Londra fra il 1583 ed il 1585. Durante le sue iniziali peregrinazioni europee, in Bruno cresceva una evidente radicalismo religioso, un’insieme di panteismo mistico che tendeva a negare la dogmatica cristiana. Se il tutto era in Dio e se Dio era in tutto – cioè un Universo infinito nel quale il divino è onnipresente – a detta di Copernico – la materia è allora eterna ed in perenne evoluzione. Un dinamismo pari a quello di Democrito e Lucrezio, che svalutava la persona di Cristo, uomo fra gli uomini. Mentre la Natura era animata da Dio anche negli animali e nelle piante e anche l’Uomo stesso era ombra di Dio. Così era più facile che l’Uomo potesse conoscere dall’interno i misteri della Natura ed operare lo svelamento dei suoi segreti. In fondo era il nuovo metodo scientifico di Leonardo che fra poco Bacone, suo contemporaneo nell’Inghilterra elisabettiana, adotterà come regola generale.

Bruno crede di essere quindi un discepolo della Natura che non ha bisogno di un Cristo rivelatore, perché già l’Uomo e tutti gli esseri viventi sono membra dell’unico mondo. Di qui, la trasformazione copernicana che dalla nuova astronomia discende e rinasce nella mistica e nella magia, non a caso rivalutata dagli umanisti del ‘400, da Cusano a Ficino, da Telesio a quel Cecco di cui facemmo nota, peraltro finito arso per eresia a Firenze nel 1327. Ora, l’animale presentato da Bruno nello spaccio è ombra di Dio, che rappresenta l’infinito ed il fortissimo desiderio dell’Uomo di conquistare Diana, la dea della Natura. Anzi fra le sue bestie, l’animale è l’ombra dei mali che tormentano la vita quotidiana. E perciò le frequenti figure di animali – per esempio, l’asino ed il cavallo – che fungono da  modello per delimitare i vizi degli esseri umani. E’ la stessa logica del Bestiario medievale ora trapiantato nella Londra di Elisabetta Tudor, dove la Riforma protestante e la resistenza cattolica oscillavano fra tentativi di salvare la Corona ed un repubblicanesimo filo calvinista; fra la difesa dell’Episcopato di tendenza anglicana e la ricerca di una marcata autonomia della chiesa puritana che vedeva instaurare un regime popolare fondato sui Consigli Presbiteriali di base, quasi un anticipazione dei Consigli operai e contadini alla vigilia della Rivoluzione d’ottobre nel 1917 in Russia e che erano ben noti ad Orwell come si dirà fra poco. Elisabetta, giovane regina, e la sua classe dirigente capeggiata dai conti di Bedford e di Leicester, con l’Atto di Supremazia e l’Atto di Uniformità (1559), media in senso moderno il conflitto: accettato il principio luterano della giustificazione per sola Fede e lasciato alla misericordia divina il giudizio delle opere; risolve il problema centrale della predestinazione nel concorso bilaterale fra Uomo e Dio, regola duttile di fonte agostiniana che reggerà la Chiesa Anglicana fino ad oggi, ma che si attirò la reazione puritana, presente ad Oxford ed a Cambridge. Reazione che si oppose con varie modalità, per esempio le frequenti congiure narrate da Schiller nella sua Maria Stuarda e che videro Bruno però loro ostile per la sua mistica divina, peraltro alquanto critico con la Cristologia tomista che lo qualificava come un eretico impenitente e lontano dalle teologie Paoline, simpatizzante di Lutero e Calvino, anzi erede della filosofia di Ermete Trismegisto, maestro della cd. magia bianca, tanto avversata da San Tommaso. La campagna antipuritana del Primate Episcopale eletto da Elisabetta nel 1583 – Whitgift  – isola il Nolano, nel mirino fra i due poli della questione protestante, in una nazione cattolica e papista dove il Padre di Elisabetta – Enrico VIII – nel 1521 era stato positivamente elogiato da Leone X per aver difeso la Supremazia del Papa. Bruno si vede  inquisito sia dalla stampa puritana universitaria che da quella governativa, come se fosse lui il vero bersaglio da colpire fra gli opposti fendenti che le due correnti politiche si menavano ogni volta che prendeva la parola in nome della libertà di indagine alternativa all’ideologia dominante. Ecco dunque l’origine dello spaccio della bestia trionfante, cioè il rigetto della bestia protestante puritana e del modello di Elisabetta, prontamente approvato dal francese Enrico III di Valois, che da protestante ugonotto si converte al Cattolicesimo pur di salire al trono, divenendo Enrico IV. La comune volontà delle case regnanti di ristabilire la pace fra le varie correnti cristiane e di salvaguardare la religione della Chiesa di Stato collaudata da un millennio fin dai tempi di Costantino; è il nemico da  abbattere per Bruno, che si sente personalmente coinvolto, come l’amato Copernico, che con il suo De revolutionibus orbium coelestium (1543) aveva posto il Sole al centro delle orbite planetarie e non più la Terra, come avevano imposto Tolomeo ed Aristotele. Passaggio che Bruno condiziona ad una prima analisi necessaria, ad abbattere l’albero malefico da cui sono nati i frutti che a suo dire avevano svalutato l’Uomo e la Natura, vere ed uniche manifestazioni di Dio misticamente amate perché gloria di Lui stesso. La pubblicazione del De Servo arbitrio di Lutero lo ha esasperato, anche perché un teologo come Erasmo da Rotterdam, viene ridicolizzato in un punto – il libero arbitrio – che Bruno fin da giovane aveva apprezzato, vale a dire che non c’era conoscenza senza possibilità di critica, tema che lo aveva animato a Napoli nel seminario di San Domenico Maggiore nella sua tesi di laurea in teologia. E già nel proemio dello spaccio la serrata critica a Lutero – il drago pronto a divorare il nuovo mondo umanista – diventa la rappresentazione di un cavilloso che dissolve il mondo già decadente, un angelo del male che ha sprecato la nuova scienza di Leonardo e che costituisce il mostro dell’antica profezia apocalittica. Proprio, nella Cabala e nell’asino Cillenico, il Nolano vede negli adepti di Lutero e di Papa Gregorio XIII° i due asini per divina acquisizione, perché fomentano l’odio religioso, due ignoranti fanatici che obbediscono acriticamente all’autorità di un leader, capaci di istillare l’odio contro il nemico, di trucidare e bruciare chi ha dissentito dal loro Credo. Il testo di Bruno rimarrà ancora per secoli fino ad oggi l’esaltazione del libero arbitrio e della libertà dell’Uomo. Anche Luteroper il Nolano ha distorto il messaggio cristiano, un albero cresciuto in modo distorto che ha ridimensionato e rimpicciolito la grandezza dell’Uomo classico, a suo dire  un precipitato di sapienza e di abilità tecnica. E non è un caso che le critiche di Bruno assunsero il volto del cavallo bizzoso, la negatività dell’arroganza e la stoltezza, dell’inoperosità e dalla indolenza, l’ozio soggettivo che stava nel volto bonario di Leone X, re dei padri tomisti capziosi; oppure nel riso beato di Lutero che beffardamente a Worms si erge a difensore della Fede. Piuttosto, Bruno, come farà Orwell, ritornerà ad una asinità sensata, a quella follia del Cristiano umile, imparata da Erasmo. Partendo invero, dalla coscienza di essere ignorante, come un nuovo Socrate che si mette a studiare impegnandosi nell’azione frutto di analisi del reale. Dialogare, confrontare, avere una coscienza morale, interrogare, superare il conflitto, magari errare e risollevarsi, ragionare per il meglio dell’altro da se. Un eroico furore che lo invade e la cui condotta processuale, nelle famose discussioni dinanzi all’Inquisizione prima di essere mandato al rogo, ci appare meno tortuoso di quanto oppongano i suoi detrattori, come per esempio il Gentile che non vede nel Nolano alcun riscontro verso la Società, rivalutando il significato universale del suo essere nel mondo, rifiutando di appartenervi in quelle forme bestiali e servili che dureranno almeno fino all’Illuminismo.

2. Un intellettuale del ‘900 libero e forte: George Orwell.

George Orwell.

Nel primo dopoguerra del ‘900 un tema ricorre da Londra a Parigi, da Roma a Berlino, da oriente ad occidente: come evitare un secondo conflitto mondiale. Gli intellettuali pacifisti inglesi – con Bertrand Russell in testa – sono però divisi: da una parte ammirano Gandhi per la sua innovativa disobbedienza civile mai armata; dall’altra temono il risorgere dell’imperialismo capitalista nelle forme dal totalitarismo politico ed istituzionale. URSS, Italia e quasi sicuramente la Germania di Weimar stanno per precipitare in un nuovo conflitto armato. Del pari, la Francia e la Gran Bretagna, in piena crisi e economica del ’29, sono pronte a difendere la recente democrazia spagnola dal miraggio totalitario che si fa più pressante, benché riprendano ad arenarsi di fronte al pericolo espansionista del Fascismo e del Nazismo prossimo al potere in Germania. Il giovane scrittore laburista Gorge Orwell, era sicuramente legato ai campioni del pacifismo più antico e l’idea della disobbedienza civile dal Thoreau non gli dispiace nel confronto con la realtà totalitaria, alla quale però oppone anche una resistenza armata come ultima via d’azione. Se poi al progetto pacifista, va aggiunto un contesto utopico di estremo totalitarismo ed una politica di dipendenza assoluta da un Governo dispotico, la legittima difesa ne diventa un tema centrale di un romanzo utopico quale è 1984, che per 80 anni diverrà il simbolo della grande crisi politica che dalla fine del’900 ad oggi continua ad imperversare. Ma andiamo con ordine. Giornalista opinionista e politico di ispirazione socialista, divenne già negli anni ’20 uno dei maggiori autori di lingua inglese. Due romanzi negli anni ’40 lo pongono in evidenza nel panorama culturale mondiale: la fiaba politica, La fattoria degli animali (1945) ed il romanzo distopico 1984 (scritto nel 1948), che narrano con rara attenzione e preveggenza fantapolitica e fantascientifica lo Stato totalitario, una singolare forma di Stato di assoluta dirigenza del pensiero, quasi una riproposizione nel ‘900 del mito della Caverna di Platone, che il giovane Orwell ha metabolizzato negli anni di gioventù in India e poi in Inghilterra, leggendo Tommaso Moro e Rousseau, immaginando il mondo futuro in mano a regimi dittatoriali che già negli anni ’20 minacciavano le fragili democrazie occidentali. In quegli anni difficili in India, fa il poliziotto in Birmania per vivere e da una parte guarda criticamente Russell ed i rampolli delle classi nobiliari che parteggiano a suo dire superficialmente per il Pacifismo di fronte alla prospettiva totalitaria in Italia ed  in Germania. Ma dal vivo non aderisce al pensiero ed alle azioni di Gandhi perché diffida  di coloro che propongono rivoluzioni e che poi governano da dittatori. Pur credendo nel socialismo e nel pensiero marxista, giudicherà presto il Bolscevismo un doppione dello Zarismo, per l’autoritarismo che inficiava la riedificazione della Russia degli anni ’20. Distratto dalla sua natura di ricercatore della Verità nelle strade di Parigi e di Londra, dopo essersi laureato a Eton ed aver avuto come maestro lo scrittore Aldous Huxley – che lo erudisce nella letteratura classica di fantascienza, da Luciano di Samosata a Voltaire – dopo le citate esperienze  in Birmania ed a Mandalay in India; torna a Parigi e fa lavori umilissimi, ma libero di pensare e di essere un classico scapigliato ed anticonformista. Giornalista freelance, scrive su Le Monde e The Adelphi, giornali di sinistra moderata. Finalmente rientrò in Patria e nel Middlesex fu il maestro elementare, nonché il giornalista inviato nelle miniere di carbone, un po’ come il Cronin delle Stelle stanno a guardare, oppure come il nostro Sciascia nell’agrigentino degli ’50.  Farà anche esperienza di contadino e matura critiche severissime contro  la Chiesa anglicana, i Conservatori ed i Pacifisti come Russell e la politica liberale di Churchill e Chamberlain, la cui amicizia con Mussolini dell’uno e l’appeasement pacifista dell’altro non apprezza e perfino critica nei suoi ficcanti articoli sulla stampa laburista. Con i romanzi La figlia del reverendo (1933), Fiorirà l’aspidistra (1936) e La strada di Wigan Pier (1937), tentò con discreto successo di fare da contraltare col suo crudo realismo al buonismo di Cronin, l’altra faccia della società borghese dell’Inghilterra provinciale, dove il dottor Manson della Cittadella, gli apparve il classico rappresentante della cultura dedita alla Patria, alla famiglia ed a Dio, valori perbenistici che amplificavano il rischio preoccupante e progressivo di schiavizzazione del pensiero verso l’Unità totalizzante. Certamente, la rilettura di Nietzsche in chiave antinazista che Bernard Shaw ed Oscar Wilde avevano prodotto nella cultura del ‘900 inglese, nonché D. H. Lawrence nei suoi romanzi liberal erotici, gli avevano chiuso ogni rapporto con le Chiese Cristiane, senza contare  che il femminismo letterario di Virgina Wolf ed il gruppo di Bloomsbury (Londra) – letterati ed artisti di avanguardia fin dal 1905 – lo attirò letterariamente, giacché il Pacifismo ivi presente – malgrado Russell che gli stava antipatico – cominciò ad interessarlo nella misura in cui ora usciva dalla mera neutralità per dichiararsi senza riserve e pronto a combattere la giusta guerra antitotalitaria. La sua notissima partecipazione militante alla guerra di Spagna dal 1936 al 1938 ed il suo stupore  malcelato per i noti contrasti fra brigate anarchiche e sovietiche, preluderanno alla scrittura del suo primo grande successo, La fattoria degli animali (1945), era una combinazione fra tradizione allegorica inglese da Moro a Bacone di natura politica e distopica. Proseguita nel 1948 con il pari famoso romanzo di fantascienza, 1984. Nella fattoria, in particolare in forma di apologo si fa la metafora delle cause della Rivoluzione russa e poi della società staliniana dell’Unione Sovietica. In armonia al suo pensiero ormai socialdemocratico, dopo le sue esperienze negative dello stalinismo maturato dopo la guerra civile spagnola. Orwell, in disaccordo critico con gli intellettuali di sinistra degli anni ’30, che l’URSS era diventata una dittatura orribile, fondata sul culto del Capo e soggetta ad un regime terroristico. Ecco la ragione della scelta satirica analoga e quella di Bruno, col medesimo fine di accoppiare politica ed arte in uno stesso pamphlet. Anzi in uno dei suoi articoli di fondo più azzeccati, Perché scrivo del 1946, inventa la dizione di URSS come quella volgarizzata dal latino URSA, la donna dell’Orso, fino ad allora simbolo dello Stato zarista. Dopo che a fatica ne ottenne la pubblicazione durante la Guerra, malgrado la benevola accoglienza di Churchill; solo negli anni di inizio della Guerra Fredda – 1947/1949 – il successo editoriale fu notevole e costituì un buon trampolino di lancio per il successivo romanzo distopico 1984, stavolta ben più realistico e catastrofico per la forma di Governo autoritaria che prefigurava tutto ad uno dei diritti civili. Lezione sociale  significativa già nel primo romanzo, specialmente quando la Costituzione della Repubblica socialista degli animali, nato in nome della loro liberazione dalla schiavitù degli Uomini; a seguito di eliminazione violenta degli animali a quattro zampe, vedono il prevalere degli animali a due zampe – per esempio la successione dell’orso al lupo, a sua volta successore del cavallo. Del resto, la nuova costituzione varate dopo la rivoluzione degli animali della fattoria, aveva come regola di tutti gli animali della fattoria sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri; come appunto il maiale (Stalin) era più uguale dell’asino Beniamino (Lenin), che a sua volta aveva trombato il Cavallo (Kernsky). La scelta veniva narrata in forma di favola, la cui politicità emerse con la evidenza proprio dopo la guerra civile spagnola, dove le epurazioni staliniste avevano provato il ruolo esenzione dalle propaganda totalitaria, strumento centrale per il controllo del pensiero nei Paesi raggiunti dall’ideologia comunista. In fondo era la ripetizione di quello accaduto a Bruno, quando la faziosità dei Vescovi episcopali e dei pastori puritani lo avevano delegittimato nella sua libertà di pensiero critico, costringendolo a peregrinare in Stati meno invasivi e più democratici, come all’epoca era la Repubblica di Venezia. Orwell del pari, malgrado la tubercolosi acquisita in Spagna, dovette rifugiarsi nelle fredde Ebridi per evitare le continue accuse di tradimento da sinistra e di essere un progressista filosocialista da destra. Con l’aiuto della moglie Sonia Brownell, redattrice del giornale liberale Horizon, continuò a rivedere il suo capolavoro 1984 e poi a pubblicare articoli critici contro ogni manipolazione di pensiero libero, trovando appoggio in Italia da parte di Elio Vittorini, che in occasione della sua nota polemica con Togliatti sulla libertà dell’intellettuale, si qualificava come un suo epigono, senza contare lo scrittore Arthur Koestler che aveva imparato da lui come fosse mutata la tradizionale lotta ideologica fra capitalismo e socialismo, o fra democrazia e Fascismo; per rientrare nella più antica disfida fra Libertà e Tirannide. E se Croce rilevava del pari che la profezia sul futuro del Mondo aveva ritrovato in Orwell un nuovo Cavaliere dell’Apocalisse; lo storico Isaac Deutscher, di ispirazione stalinista, tacciava l’inglese di irrazionalismo, e di essere un pessimista mistico, che con gli ultimi romanzi aveva formulato una patina di ineluttabilità al Totalitarismo, un mostro che sarebbe presto caduto. Solo che nel lungo periodo fino ad oggi tale battaglia ha avuto non poche sconfitte e tante vittime in nome della libertà.

Bibliografia:

Su Giordano Bruno, vd. MICHELE CILIBERTO, Giordano Bruno, il filosofo che morì per la libertà dello spirito, Milano, Rizzoli, 2008, nonché il Nostro Giordano Bruno nel mondo germanico in Italia: un ribelle di ieri ed oggi, in https://giovannighiselli.blogspot.com del 4 settembre 2024.

Su George Orwell, cfr. STEFANO MANFERLOTTI, George Orwell, ed. la Nuova Italia, 1979, nonché vd. Il giudizio di Croce su Il mondo 8 ottobre 1949, in La Città del Dio ateo.

Da ultimo, vd. altresì dello stesso Manferlotti, C’era una volta una strana fattoria, introduzione a George Orwell, La fattoria degli animali, Marsilio, 2021, pagg. 7-22.

Sulla teoria bonista e minimalista di Isaac Deutscher, vd. Marxism, War and Revolutions. Essays four Decades, London, 1984.

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