Le tre croci italiane di Aleppo. Nell’estate 1942, tre paracadutisti italiani di origine armena, furono protagonisti di un’operazione ancora oggi sconosciuta. Di Roberto Roggero.

Molte missioni svolte nel corso dei passati conflitti mondiali, hanno ancora oggi aspetti poco noti, o sono esse stesse interamente sconosciute al grande pubblico.

In parte è dovuto al trascorrere del tempo, in parte all’imposizione del segreto militare sine die, che vieta la diffusione di informazioni. Proprio di informazioni si tratta, nel caso di Giovanni Battista Peltechian, Clemente Eghinlian e Riccardo Gurunzian, tutti di chiara origine armena, ma di provati sentimenti italiani, arruolati nei reparti operativi speciali del Servizio Informazioni Militari del Regio Esercito.

La sezione speciale del SIM era un reparto formato da ufficiali e sottufficiali con doti decisamente particolari, addestrati sia psicologicamente che fisicamente a compiere azioni estreme in condizioni estreme. La sede del gruppo era presso Scuola Paracadutisti di Tarquinia, dove i prescelti, tutti volontari, furono preparati all’impiego silenzioso oltre le linee nemiche, all’utilizzo di codici, di strumentazioni particolari, combattimento corpo a corpo, sabotaggio e molto altro. Nel corso del conflitto furono impiegati dall’esercito, dalla marina e dall’aeronautica, poi dal servizio speciale della RSI, dal Nucleo Sabotatori, dal Battaglione NP, aviolanciati, paracadutati o sbarcati dal mare.

Giovanni Battista Peltechian nacque a Burdur (Egeo), dove la famiglia si era rifugiata per sfuggire alle persecuzioni turche, quindi a Rodi, possedimento italiano. Nell’aprile 1936, ormai naturalizzato italiano, fu chiamato alle armi e destinato al 12° Reggimento Genio Artieri, poi congedato nell’agosto ’37 con il grado di caporale maggiore idoneo per la promozione a sergente. Nel frattempo, si diplomò a Palermo e lavorò al ministero dell’Agricoltura e Foreste per il Settore Egeo.

Quando l’Italia entrò in guerra, fu richiamato come sergente nel maggio ’41, e aggregato al 9° Reggimento Fanteria di stanza a Rodi. Qui si mette in luce per la profonda conoscenza delle lingue mediorientali e convocato dal Comando Superiore dell’Egeo, promosso sergente maggiore e arruolato nei reparti speciali, per la missione informativa nel quartiere armeno di Aleppo, dove fu scoperto, arrestato e quindi fucilato, il 26 settembre 1042 insieme ai suoi compagni.

La motivazione della Medaglia d’Oro al Valore Militare così dichiara: “Di origine armena, cittadino italiano di elezione, sottufficiale animato da profondo amore per l’Italia, già distintosi in precedenti azioni, si offriva con vero entusiasmo per essere aviolanciato in territorio nemico a capo di una rischiosa missione informativa. Dopo un periodo di proficua attività, tradito e catturato, veniva sottoposto ad inumane torture e ad estenuanti interrogatori, mantenendo virilmente inalterata la sua fede per l’Italia, rendendo vano ogni tentativo di carpirgli notizie e respingendo sdegnosamente ogni offerta di passare al nemico per aver salva la vita. Condannato a morte unitamente a suoi compagni di missione, dinanzi al plotone di esecuzione il suo pensiero rimaneva fermamente rivolto all’Italia, alla famiglia ed ai propri dipendenti. Al cappellano che lo assistè negli ultimi momenti ed in nobili lettere dirette alla madre ed ai superiori, confermava le sue magnifiche doti di soldato, dichiarando che egli e i suoi compagni morivano contenti per il dovere compiuto e raccomandando alla madre di non rimpiangerlo. Fulgido esempio di virtù militari e di completa dedizione alla Patria. – Medio Oriente, luglio-settembre 1942”.

Dello stesso tenore la motivazione per la concessione della medesima decorazione a Riccardo (Dikran) Gurunzian, nato ad Arpet (Armenia) nel 1910. La famiglia si era rifugiata a Rodi per sfuggire alle persecuzioni turche. Assunta cittadinanza italiana, Gurunzian fu chiamato al servizio militare nel 9° Reggimento fanteria della Brigata “Regina” dal 1931 al 1933, raggiungendo il grado di sergente. Richiamato alla dichiarazione di guerra nel giugno ’40, fu assegnato l’Ufficio Informazioni del Comando Superiore Egeo.

Così per Clemente Eghinlian, nato nel 1914 a Ankara, diplomato nel 1932 dalla Scuola di avviamento di Rodi, come meccanico elettricista. Esercitò il mestiere fino al 1935 poi fu arruolato per il servizio di leva nel 9° Reggimento Fanteria della Divisione “Regina”. Dopo aver partecipato alla campagna etiopica, fu congedato nel settembre 1936. Richiamato con l’entrata in guerra dell’Italia, fu destinato al 50° autoreparto dell’Egeo come autista. Prestò successivamente servizio al 107° Reparto Distrettuale, nel settore di Colato, e al 9° Fanteria, quindi scelto dal Servizio Informazioni per la perfetta conoscenza delle lingue araba e turca.

Missione senza ritorno

Le vite di Giovan Battista Peltechian, Clemente Eghinlian e Riccardo Guruzian sono parallele, e identica ne fu la conclusione. Le famiglie provenivano dall’Armenia e cercarono di mettere radici in Turchia, ma come molte altre furono espulse sotto la spinta della prima guerra mondiale e della pulizia etnica messa in atto dai turchi, quindi ripararono nei possedimenti italiani dell’Egeo. Qui i tre giovani vennero a contatto con altre culture e diventarono profondi conoscitori di lingue e costumi, che li resero ideali candidati per l’incarico di agenti infiltrati, in particolare nella Siria divisa fra filo-britannici, filo-Vichy e gaullisti.

Furono lanciati con il paracadute nei pressi di Aleppo e, per un certo periodo, riuscirono a trasmettere preziose notizie. Catturati per una delazione, rifiutarono ogni forma di collaborazione e, nel settembre ’42, furono fucilati alla schiena, come traditori.

Il lancio era andato bene, senza incidenti, e i paracadute accuratamente occultati. Il materiale necessario era stato recuperato e, una volta raggiunto il quartiere armeno di Aleppo, cominciarono il lavoro, che si svolse senza pericoli particolari per circa un mese. I tre erano ospiti di amici, ma la presenza di facce non conosciute, non tardò a destare sospetti e alla fine qualcuno informò le autorità. Pare sia stato un non identificato siriano filo-britannico di origini ebraiche, venuto a conoscenza della loro presenza, che li aveva avvicinati fingendo amicizia per poi tradirli. Il delatore conosceva il quartiere armeno di Aleppo ma non la casa dove i tre si nascondevano. Per dieci giorni la polizia anglo-francese perlustrò il quartiere, senza esito. Gli abitanti, molti dei quali simpatizzanti per l’Italia a motivo dell’oppressivo dominio francese sulla Siria fra le due guerre, nascosero con grave rischio i tre italiani di volta in volta in case diverse. Alla fine gli inglesi esasperati minacciarono un bombardamento di artiglieria se gli italiani non si fossero consegnati. I loro amici siriani tentarono di dissuaderli, ma i tre giovani, per non far correre rischi allaa popolazione che aveva dimostrato simpatia verso il nostro paese, decisero di consegnarsi.

Peltechian, Eghinlian e Guruzian lo fecero indossando come loro diritto la divisa dell’esercito italiano, ma gli inglesi non gli riservarono il trattamento dovuto ai prigionieri di guerra. Immediatamente arrestati, incarcerati e torturati per 18 giorni, furono fucilati alla schiena e sepolti fuori dalla città, fra rifiuti e altre tombe di sconosciuti.

E’ uno degli imprevisti dello spionaggio: non basta spiare, si deve essere sicuri di non essere spiati. Come già detto, il nemico non si fece scrupolo di ricorrere alla tortura, ma senza ottenere nulla. Furono lasciati senza acqua, senza cibo, brutalmente percossi, abbandonati in catene sotto il sole, privati del sonno e altro ancora.

Secondo i ricordi della madre, pare che Peltechian avesse chiesto acqua durante un interrogatorio, gli fu squarciato in braccio con una baionetta e gli fu offerto il suo stesso sangue, ma lui rifiutò. Anche i compagni, trattati allo stesso modo, resistettero.

A guerra finita, l’amministrazione militare decise che Peltechian, Eghinlian e Guruzian erano eroi, e che meritavano la Medaglia d’Oro, ma Rodi non era più italiana. Tuttavia la signora Lucia Hagijan Zumbul Peltechian riuscì a riportare in Italia, aiutata dal SIFAR, le tre bare con i resti del figlio e dei compagni, nel 1961, dopo molte difficoltà politiche e burocratiche. Oggi riposano al cimitero di Velletri.

Dei tre comunque si sa pochissimo. Il più noto rimane il 32enne Peltechian, che era il capo missione. Questi i fatti, ma il genere di informazioni che i tre dovevano cercare, rimane ancora oggi un mistero.

Bibliografia

Medaglie d’oro al Valore Militare, -Vol. II;

“Folgore – Storia del paracadutismo militare italiano” – Nino Arena;

Diario Storico del Comando Supremo – Vol. III;

“Aquile senza ali” – Nino Arena.

Un trimotore da trasporto a grande autonomia Savoia Marchetti SM82. Diversi velivoli di questo tipo operarono dalla base di Rodi.

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